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Autore: darkmoon94    27/01/2015    1 recensioni
"Non ero mai stata capace di farmi degli amici. Mai. Avevo solo un amico d’infanzia e me lo tenevo stretto. È grazie a lui che ho conosciuto quel mondo. Un mondo pieno di colori e forme e quello strano odore di vernice."
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Non ero mai stata capace di farmi degli amici. Mai. Avevo solo un amico d’infanzia e me lo tenevo stretto. È grazie a lui che ho conosciuto quel mondo. Un mondo pieno di colori e forme e quello strano odore di vernice. Ricordo che era già iniziato l’anno scolastico e ovviamente io e Luke, Luca il vero nome, eravamo in classi diverse. Ero sola e avevo paura. Non ero brava a legare e ad attaccare bottone con gli altri, quindi me ne stavo sulle mie. Io, le cuffie, il mio blocco da disegno e la mia fantasia. Sempre seduta in ultima fila, vicino alla finestra; sempre in cerca di una libertà che non avevo mai avuto. Stare in quella classe era un’agonia, davvero. Tutti che parlavano, che sorridevano e scherzavano facilmente. Ma una persona sola saltava subito all’occhio: Alex.
Beh, chiunque l’avrebbe notato. Alessandro Martinelli: forse il ragazzo più popolare della nostra scuola, il più ambito e corteggiato da tutte le ragazze, o quasi tutte. A tutte sembrava spettacolare, magnifico, stupendo; invece a me sembrava solo un pomposo, narcisista, arrogante ragazzino che si divertiva a prendere in giro gli altri. Non lo apprezzavo, lo ammetto, anzi quasi lo odiavo proprio, ma i miei occhi non la finivano di seguirlo, di osservare ogni suo movimento, espressione. Lo osservavo involontariamente e mi ritrovavo a disegnare i lineamenti di quella figura che, ormai, conoscevo, che riuscivo a distinguere tra quella folla di studenti. Riuscivo a trovarlo durante la ricreazione, o quando si usciva da scuola. I miei occhi sembravano legati al suo corpo e, dopo quattro anni passati in classe insieme, mi abituai a quella strana “routine”, a quello studio giornaliero che facevo. Non era particolarmente bravo ma anche lui, come me, eccelleva nel disegno. Forse solo per questo motivo, per questo minimo fattor comune, che cominciai ad osservarlo e, pian piano, mi abituai alla sua presenza. Anche oggi, come tutti gli altri giorni, lo avrei visto. Avrei visto quel ragazzo da 180 centimetri, con le spalle larghe, le mani enormi e le braccia forti. Avrei visto ancora una volta Alex.

***

La mia giornata ormai si svolgeva da sola, come se il mio corpo avesse inserito il “pilota automatico”: sveglia che suonava alle 7.00, colazione veloce solo dopo essermi vestita , passeggiata fino alla fermata dell’autobus con Luke, passeggiata fino alla scuola con Luke dall’ultima fermata del bus. Arrivati a scuola cominciava il mio inferno: Luke saliva fino al secondo piano dell’edificio principale, io svoltavo al secondo corridoio sulla sinistra del piano terra. Non che amassi farmi quattro rampe di scale la mattina presto, ma non ero a mio agio ad arrivare per prima in classe. Salutai Luke che continuava a sorridermi e svoltai per il mio corridoio. Quella mattina non stavo bene. Non avevo fatto colazione come al mio solito e mi sentivo strana, quasi sul punto di addormentarmi anche in piedi. Mi consolava il fatto che sarei stata da sola in classe per un bel po’, o perlomeno fino al suono della seconda campana, quella che annuncia l’inizio delle lezioni. Nessuno ad osservarmi, nessuno a ridere, scherzare. Nessun rumore. Niente di niente. Ma forse quel giorno era proprio diverso e avrei fatto bene a ritardare un po’. Arrivata in classe, convinta di essere sola, sospirai profondamente. Un sospiro così pesante che forse avrei potuto provocare un uragano in qualche altro paese. Entrai svogliata in quella classe, occhi bassi, convintissima che non ci fosse neanche un’anima in quel buco. Non notai nemmeno che già le finestre erano aperte e si vedeva l’orticello che il signor Marcello, il responsabile dell’aula di chimica, stava coltivando con cura meticolosa. Mi sedetti al mio banco, vicino alla finestra e poggiai la fronte sul banco, il mio banco pieno di disegni, di scritte strane e simboli ancora più strani. Il mio bruttissimo vizio era quello di distrarmi durante le altre lezioni e stare attenta solamente durante la lezione di disegno/storia dell’arte. Eravamo in 21, in classe, e ovviamente io avevo un banco singolo, da sempre. Si vedeva proprio che stavo male, che non ero in me, quel giorno, perché non mi accorsi di Alex. I miei occhi non lo videro, non seguirono quella figura, non erano riusciti a trovarlo in quell’ammasso di banchi vuoti che era la mia classe durante la mattina. Non sentii nemmeno che si avvicinò al banco di fronte al mio e si sedette. Solamente dopo qualche minuto, quando alzai la testa per cambiare canzone della playlist del cellulare, mi resi conto che mi stava osservando, anzi fissando. I suoi occhi erano strani e bellissimi. Quegli occhi di un azzurro che ti uccide, davvero. Un azzurro così intenso che il cielo, a confronto, è un azzurro pallido e smorto. Erano bellissimi, quegli occhi. Quando li incrociai, mi misi a sedere per bene, quasi saltando. Sentivo il cuore correre, o meglio faceva lo stesso rumore di un masso che rotola giù per un pendio e avevo paura che lui riuscisse a sentire quello strano rumore così imbarazzante. Abbassai lo sguardo e, mentre lo facevo, vidi che mi sorrise. Alex sorrideva a me? Perché? Tolsi piano una delle auricolari, non che aspettassi che dicesse qualcosa, non a me perlomeno. La sua voce la conoscevo bene, ma non mi aveva mai rivolto la parola in quattro anni. Nessuno dei miei “compagni di classe” lo aveva mai fatto, a dire il vero, non che soffrissi per tutto ciò. Ero semplicemente abituata. Invece adesso, quella situazione, mi era del tutto nuova. Non sapevo come comportarmi, cosa fare. Forse avevo anche dimenticato come si respirasse, talmente ero presa d’ansia. Rapportarmi con gli altri, con qualcuno che non fosse Luca, mi metteva sempre ansia.

-“ Hola” – La voce di Alex suonò chiara, come sempre. Nessun tremore, nessun dubbio. Era sicuro, tranquillo.
- “Sa-salve” – La mia, invece, tremava, tanto. Sentivo una scossa partire dalla nuca e correre lungo tutta la spina dorsale e sembrava quasi che stessi per esplodere dentro. BOOM, all’improvviso. Pian piano il mio viso e le mie orecchie diventarono rosse come non mai. Sentivo quello sguardo addosso, che mi penetrava, che mi leggeva l’anima. Guardai fuori, per evitare quegli occhi, anche se con la coda dell’occhio vidi che non smetteva di sorridere e di fissarmi.
- “ Tu sei… Azzurra, vero?” – Mi voltai verso di lui, sorpresa. Sapeva il mio nome. Sapeva il mio nome? Com’era possibile?! Ero convintissima che per quella classe io fossi meno di zero, che ero solamente la sfigata di turno da ignorare. Alex sapeva il mio nome. Qualcosa dentro di me si fece più pesante, proprio all’altezza del petto. Pesante e caldo, piacevole. Piacevole e strano.
- “ S-sì. Perché me lo chiedi?” – Cercavo di apparire quanto più normale possibile anche se sapevo che il risultato era completamente l'opposto. Perchè stava parlando a me?! Non mi aveva mai parlato, mai. Perchè proprio ora? Perchè proprio quella mattina? Cominciai a farmi miriadi di domande a cui non riuscivo a trovare alcuna risposta.
- " Volevo solamente essere sicuro di non aver dimenticato il tuo nome" - Quel sorriso non spariva da quel suo viso, da quel viso che, ormai, sognavo pure la notte. Conoscevo perfettamente ogni angolo di quel viso. Ogni ruga quando sorrideva. Conoscevo il suo volto quando era serio e quando, invece, lasciava andare i pensieri. Io lo conoscevo, forse anche troppo. Pensai solamente in quel momento quanto io sapessi di lui e quanto lui, al contrario, sapesse così poco di me. Il calore che avevo appena provato, che stravolgeva tutta me stessa, cominciò a raggelarsi. Stavo tornando l’ Azzurra di sempre: sola, fredda, lontana.
- “ Capisco” – A quelle parole, che mi pesavano quanto un macigno sulla schiena, notai qualcosa di diverso su quel volto che credevo di conoscere. Un’espressione mai vista prima. Delusione, forse? Inarcò leggermente le sopracciglia e si tracciarono delle piccole rughe sulla sua fronte. A quella distanza ravvicinata notai che aveva una carnagione chiarissima, quasi pallida, o forse ero io che stavo male e non capivo più nulla. Troppe emozione affrontate a stomaco vuoto, per lo più.
Guardai nuovamente fuori, cercai di costringermi a non studiare quel volto, a non analizzarlo come mio solito. Mentre io combattevo contro me stessa e la mia voglia di disegnare quel viso, quell’espressione nuova, sentii un lieve sospiro, proprio da lui. Quel petto si alzò lievemente, come se fosse una piuma a cui avevo appena soffiato, per poi lasciarsi andare. Lasciarsi andare… Qualcosa di impossibile per me. Cosa dovevo lasciar andare? Chi? Quale parte di me doveva essere lasciata andare? Non ci capivo più nulla e continuavo a guardare delle nuvole inesistenti, un cielo pallido. Lui, senza dire nulla, si alzò e si diresse verso il suo banco e, proprio mentre stava per sedersi, suonò la prima campanella. Un rumore così fastidioso che distrusse tutto quello che era appena successo. In quella classe io e lui eravamo due poli opposti e non potevo di certo avvicinarmi a lui o avrei rovinato l’ “Alex” della gente. Lo guardai un’ ultima volta, prima di lasciar andare quella voce, quelle rughe, quegli occhi che fissavano me. Sì, lasciar andare. Dovevo far questo. La professoressa entrò in aula di corsa. Probabilmente si era appena svegliata e, come me, non aveva neanche avuto il tempo di svegliarsi totalmente, di concedersi un misero caffè alla macchinetta vicino il bar della scuola. Pian piano gli altri entrarono e ognuno prese il suo posto. Nessun buon giorno, nessun saluto a me. Abbassai lo sguardo, tolsi le cuffie e spensi il lettore musicale dal cellulare.
‘Buona giornata anche a te, Azzura. Respira e vai avanti.’
La seconda campanella suonò e, ormai, il sogno era finito. La vita quotidiana sarebbe ripresa velocemente. Prima ora: Latino. La Ponte cominciò a fare l’appello. Uno ad uno, tutti gli studenti risposero:
-“ Bucco”-
-“ Qua”-
-“ Canaro”-
-“ Presente”-
-“ Conti”- Il mio turno.
-“ Presente” – risposi alzando anche la mano, come mio solito.
-“ Donadini” -
-“ Grasso”-
-“ Martinelli”- A quel nome i miei occhi viaggiarono subito verso Alex, automaticamente .
-“ Presente” – Continuavo a fissarlo e, quando la Ponte riprese l’appello, lui si voltò e i nostri sguardi si incrociarono.
Distolsi subito lo sguardo, sperando che non si fosse accorto che lo stavo fissando, sperando che nessuno si fosse accorto che ci eravamo scambiati uno sguardo. Il suo carico di allegria e stupore insieme. Il mio carico di non so cosa.
Ma bisognava lasciar andare. Sì, lasciar andare. Meglio così.
 
  
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