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Autore: CupOfEternitea    28/01/2015    2 recensioni
“Tempo da lupi, stanotte”. Sansa si immobilizzò all’istante, non appena quella voce graffiante si sovrappose al rumore del temporale. Ora lo sentiva, inconfondibile e familiare: odore di vino e di ferro. O forse di sangue. L’odore è il medesimo. Lo aveva imparato sulla propria pelle: il sangue che sgorgava dai suoi graffi aveva lo stesso odore del duro guanto di ferro di Meryn Trant. “Ma tu sei un uccelletto. Che ci facevi sul davanzale? Non è la notte adatta per volare.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Non aveva mai amato cavalcare, ma montare Straniero si era rivelata addirittura un’esperienza spaventosa. Era un animale più alto di tutti quelli da lei montati in precedenza, forte e nervoso, e per di più non sembrava gradire la sua presenza in sella, come dimostravano i suoi moti di ribellione prontamente sedati dal suo padrone.
Seduta davanti al Mastino, a cavalcioni, era impossibile impedire all’abito di sollevarsi scompostamente. Avvertiva la pioggia, ormai divenuta leggera, battere come tanti aghi sulle sue gambe nude e il vento frustare la sua pelle gelida. Ogni suo tentativo di sporgersi e coprirsi era stato vanificato dal braccio del suo compagno di viaggio che, puntuale, la attirava rudemente contro il suo petto.
«Vuoi stare ferma? Come se questa povera bestia non avesse già abbastanza grane».
«Ho freddo», si giustificò lei, a disagio. Aveva già avuto modo di montare in sella con l’uomo. Anche quel giorno lui l’aveva salvata e l’aveva portata al sicuro, ma sul docile cavallo che Sansa montava in occasione della rivolta del pane. Ricordava di essersi stretta alla sua ampia schiena, terrorizzata e sconvolta, il viso affondato contro di lui e gli occhi chiusi per non vedere quanto la gente disperata potesse essere feroce e ingiusta. La stessa ferocia che aborriva le aveva salvato la vita, non lo dimenticava.
Il temporale sembrava giungere al termine, ma la notte era fredda e il suo mantello era ormai fradicio. Continuava a tremare contro il petto del Mastino, l’unica fonte di calore su cui potesse ancora contare, sebbene fosse bagnato quanto lei.
L’uomo sbuffò. Era già accaduto in precedenza, durante il viaggio, quando Sansa aveva lamentato i primi segni della stanchezza. Non mi fermo finché non sono abbastanza lontano da quella merdosa città, aveva risposto, e con uno sbuffo aveva convinto Sansa a soffocare le proteste e le lamentele, finché lui non avesse deciso altrimenti. Avevano, quindi, continuato a cavalcare e cavalcare, finché, sfinita, non si era addormentata in sella, adagiata contro di lui. Ma ora non era solo la stanchezza a creare problemi: il freddo iniziava a essere intollerabile e rendeva più sensibili le sue membra affaticate dalla lunga marcia. Da quante ore non sgranchiva le gambe? Non riusciva più a sentire nulla, dal bacino in giù, ad eccezione del tocco acuminato della pioggia.
Neanche stavolta ottenne risposta. Sospirò appena, chinando il capo per posare lo sguardo sulle redini trattenute in quelle mani enormi. Una sola di quelle mani avrebbe potuto ucciderla in pochi istanti, rifletté.
Fu allora che lui sembrò ringhiare sommessamente, incitando Straniero con un colpo di speroni.
«Non sarà un guadagno se ti consegno malata. Non sembri molto resistente», bofonchiò, coperto dai rumori della pioggia e della foresta, ma Sansa lo udì lo stesso. Avrebbe voluto rispondergli per le rime, ricordargli che aveva resistito a ben più di una cavalcata sotto la pioggia, che era sopravvissuta a Joffrey Baratheon, ma non sarebbe stato cortese; il cavallo, d’altronde, aveva deviato dalla traiettoria diritta e monotona che aveva mantenuto fino a quel momento, inerpicandosi su una china adombrata dalla fitta vegetazione. L’animale sembrava non mostrare segni di fatica e stanchezza, nonostante il peso che gli gravava sul dorso massiccio, mentre si dirigeva verso una rientranza nella parete rocciosa che incombeva su di loro, costeggiando il boschetto che erano intenti ad attraversare. Non aveva idea di dove si trovassero, ma era più che certa che Clegane avesse ceduto alla sua tacita richiesta e avesse deciso di fare una pausa. Probabilmente era stanco anche lui, si disse, ma era troppo felice di quella deviazione per guastarsi l’umore con considerazioni negative. Era stato molto gentile a concederle quel riposo, e lei sarebbe stata altrettanto gentile con lui, nonostante le continue scortesie.
Fu lui a smontare per primo, per tenere fermo il destriero nero quasi impossibile da distinguere nelle ombre notturne.
Sansa provò a sollevare una delle gambe, ma queste non volevano saperne di collaborare. Con un borbottio incomprensibile, fu lui a tirarla giù di sella e a depositarla distrattamente sul suolo, distrattamente, ma con la strana rude delicatezza che era sempre stato solito riservarle. Lei non resistette che pochi istanti, crollando immediatamente sulle gambe, rossa di vergogna.
«Vedi di non romperti».
«Forse, se avessimo fatto una pausa prima…», provò lei, non con la gentilezza che si era imposta di dimostrargli.
«La stiamo facendo adesso. Fattela bastare». Ma neanche lui era gentile, quanto bastava a dissipare ogni senso di colpa che tentasse di affacciarsi alla coscienza di Sansa.
Si massaggiò le gambe, il fagotto ancora stretto al petto, dedicandogli appena un’occhiata sfuggente per essere certa che stesse legando Straniero al ramo di un albero poco lontano e che non la stesse lasciando lì, da sola. Si diede della stupida: perché mai avrebbe dovuto farlo, dopo essersi preso tanto disturbo per liberarla dalla sua prigionia? Eppure ogni volta che lo sentiva allontanarsi veniva sopraffatta dalla paura di vederlo sparire nuovamente. Era quello, che le avevano fatto ad Approdo del Re? Ricordava distintamente che un tempo era esistita una Sansa sorridente e spensierata, una Sansa che poteva permettersi di avere paura delle fiabe tetre della vecchia Nan perché consapevole che nulla avrebbe potuto farle realmente del male, tra le mura di Grande Inverno. Tutto, allora, era semplice e tutto poteva tramutarsi in qualcosa di meraviglioso e romantico, con un pizzico di fantasia. Ora, quella fantasia riusciva a generare solo scenari di abbandono e sofferenza.
Con un po’ di fatica, andò a rifugiarsi nella rientranza. Lì il terreno era asciutto e le pareti rocciose offrivano riparo dal vento che le aveva gelato le ossa. Si strinse nel mantello, nello sciocco tentativo di scaldarsi.
«Quello servirà a poco, bagnato com’è». La voce roca del Mastino la raggiunse nello stesso istante in cui lui rientrava nel suo campo visivo.
«Se accendessimo un fuoco, potrei asciugarmi».
«Bene. Accendine uno, allora».
Sansa restò immobile a fissarlo, le labbra dischiuse dalla sorpresa e il fagotto stretto tra le braccia come se avesse avuto paura che qualcuno nell’ombra potesse portarglielo via.
Non aveva idea di come accendere un fuoco. A Grande Inverno aveva sempre avuto attorno qualcuno che provvedesse ai suoi bisogni; ad Approdo del Re, questa sua condizione non era mutata. Nonostante la prigionia, la Regina le aveva fornito servette che potessero soddisfare tutte le sue necessità, anche se dava ordine che venissero cambiate ogni mese, per evitare che potessero legare troppo con lei.
Stava già per protestare, quando si ricordò della paura che il fuoco doveva incutere nel Mastino. Era a causa di questo terrore che era fuggito dalla battaglia, durante l’assedio di Stannis Baratheon. Non aveva avuto paura di offrirle la libertà, ma doveva temere davvero ciò che lei, al momento, desiderava tanto ardentemente.
Per questo motivo, senza dire una parola, affidò il loro bagaglio alla sua sorveglianza e si incamminò in direzione della boscaglia, alla ricerca di legna da ardere.
La notte schiariva appena, mentre le nubi lentamente si aprivano per far trapelare un po’ di luce stellare, quando Sansa fu di ritorno.
Teneva la gonna tesa, usandola come cestino, ma fu lesta a farla ricadere appena giunta a pochi passi da Clegane, in modo da nascondere alla sua vista le gambe nude. Una moltitudine di legnetti si riversò sul terreno. Sansa si inginocchiò, la fronte aggrottata per la concentrazione, mentre radunava il risultato della sua spedizione e ne ricavava un mucchietto compatto.
Sandor Clegane la osservava in silenzio, la schiena appoggiata contro la roccia e le braccia conserte, tanto immobile da sembrare addormentato. Di tanto in tanto, sembrava distorcere le sue labbra in una smorfia impossibile da decifrare. Avrebbe potuto essere un digrignare di denti, quanto avrebbe potuto essere una risata silenziosa. Allungò una mano per appropriarsi di uno dei rametti rotolati lontano da lei, mentre Sansa provava a strofinare due rami uno contro l’altro per generare calore. Se non altro, il movimento riusciva ad attenuare la sensazione di gelo. L’uomo portò il rametto al naso e lo annusò, quindi lo spezzò a metà, ma le parti non si separarono nettamente come previsto.
«Davvero pensi che questa roba possa prendere fuoco?»
Sansa si bloccò immediatamente, indecisa se chiedergli spiegazioni  o inveire contro di lui. Lei, per lo meno, stava tentando. Che diritto aveva di deriderla per qualcosa che era suo diritto non conoscere, lui che non ci stava neanche provando?
Il Mastino sospirò e si tirò in piedi. «Ci vuole legna secca», disse laconicamente, spolverandosi la polvere di dosso. Senza aggiungere un’altra parola, la superò senza degnarla di un’occhiata. In pochi istanti, la sua sagoma imponente venne assorbita dalle tenebre.


N.d.A.
Ehm... Ci ho messo un po' a proseguire e il capitolo è anche più breve dei precedenti, ma tra le feste e gli impegni diventa difficile trovare momenti per concentrarsi (soprattutto quando si vive in una casa affollata e rumorosa che complotta contro ogni tentativo di raccoglimento -.-).
Speriamo di non aver perso il filo del discorso e di aver mantenuto la stessa atmosfera dei capitoli precedenti.
Un ringraziamento a Erja e Nevaeh610 che hanno recensito l'ultimo capitolo e anche a chi ha letto e non ha avuto la possibilità di farlo. I vostri commenti mi hanno fatto davvero piacere e mi hanno anche stimolata a sistemare il capitolo che avevo iniziato a scrivere (sì, ho bisogno di qualcuno che mi punzecchi con un bastoncino appuntito per costringermi a concentrarmi).
Insomma, scusate per l'attesa e speriamo che vi piaccia!
  
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