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Autore: forever young    28/01/2015    2 recensioni
Doveva correre più rapida.
Ancora più veloce, anche se ormai l’aria iniziava a mancarle e i polmoni e ogni altra parte del suo corpo iniziava a dolerle. Anche se le orecchie le bruciavano come se fossero avvolte dalle fiamme e il sangue le sgorgava sul volto e lungo il collo e il suo odore ferroso le faceva venire la nausea.
Doveva essere più rapida se non voleva che gli Orsi cattivi la riprendessero e le facessero ancora più male.
Inciampò in qualcosa –una radice, forse? - e cadde a terra sbucciandosi le mani e battendo la testolina contro un masso. Per un momento il dolore fu accecante e alcune lacrime le sfuggirono tra le ciglia, solcando le gote pallide. Cercò di rimettersi in piedi –gli Orsi, c’erano gli Orsi nella foresta, doveva scappare dagli Orsi- ma era tanto, troppo stanca e aveva perso molto sangue e cadde nuovamente dopo pochi passi.
E poi fu tutto nero.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

 

 

 

 

 

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Doveva correre più rapida.

Ancora più veloce, anche se ormai l’aria iniziava a mancarle e i polmoni e ogni altra parte del suo corpo iniziava a dolerle. Anche se le orecchie le bruciavano come se fossero avvolte dalle fiamme e il sangue le sgorgava sul volto e lungo il collo e il suo odore ferroso le faceva venire la nausea.

Doveva essere più rapida se non voleva che gli Orsi cattivi la riprendessero e le facessero ancora più male.

Inciampò in qualcosa –una radice, forse? - e cadde a terra sbucciandosi le mani e battendo la testolina contro un masso. Per un momento il dolore fu accecante e alcune lacrime le sfuggirono tra le ciglia, solcando le gote pallide. Cercò di rimettersi in piedi –gli Orsi, c’erano gli Orsi nella foresta, doveva scappare dagli Orsi- ma era tanto, troppo stanca e aveva perso molto sangue e cadde nuovamente dopo pochi passi.

E poi fu tutto nero.

 

 

Bruinen aprì gli occhi di scatto con un gemito, quasi strozzandosi con la stessa aria che respirava. Si artigliò la gola, boccheggiando, e cercò di inghiottire più aria possibile e di regolarizzare il respiro. Sentì il cuore che le batteva in modo quasi doloroso e per un momento ebbe paura che le sarebbe schizzato fuori del petto.  Quando le sembrò che il peggio fosse passato raccolse con le dita rigide e tremanti la borraccia d’acqua tenuta nella bisaccia vicino al sacco a pelo e si versò il liquido nelle mani, sciacquandosi il viso. Il liquido, reso freddo dall’aria pungente, la aiutò a svegliarsi del tutto e a cancellare dalla mente i rimasugli dell’incubo appena compiuto.

Per un attimo si diede della sciocca. Non riusciva a credere che dopo cinque anni continuava a tormentarsi con le stesse immagini, nonostante facesse di tutto per estinguerle dalla sua memoria.

Non hai più tredici anni, si disse, smettila di tremare e avere paura. Gli Orsi non ti possono prendere.

Si passò le dita tra le ciocche dei suoi capelli color miele, resi umidi dal sudore, e se li scostò da davanti agli occhi, che fino a quel momento erano appannati dalle lacrime.

Si diede nuovamente della stupida per essersi spaventata in tal modo da un incubo dannatamente vecchio come quello.

Con un sospiro sgusciò fuori dalla tenda da campo dentro cui aveva dormito quella notte e si stiracchiò per risvegliare le membra intorpidite. Il vento fresco che soffiava ad Avanchnzel le pizzicava le guance, colorandole di una leggera sfumatura rosata la pelle solitamente castana dei Bosmer.

Una nuova folata di vento la spinse a stringersi tra le braccia, sfregandosi con i palmi delle mani per riscaldarsi. Alzò gli occhi verso le alti torri della vecchia città nanica e le ammirò in silenzio. Era incredibile come quelle rovine fossero sopravvissute nonostante tutto dopo tutti gli anni, i secoli, che erano passati da quando gli antichi costruttori Dwemer si erano estinti. Lei non aveva mai provato ad entrarci, di solito si accampava fuori dalle mura quando non c’erano già gruppi di banditi, ma aveva sentito da vari avventurieri, che si erano spinti nelle rovine alla ricerca di tesori, che le antiche città erano rimaste esattamente uguali a come dovevano essere appena edificate. E poi circolavano voci, da parte degli stessi avventurieri che avevano avuto la fortuna di uscirne vivi e di poterlo raccontare, che alcuni ingranaggi e congegni nanici continuavano a funzionare, per non parlare degli automi che a quanto pareva continuavano a sorvegliare le stanze erette dagli antichi padroni e ad uccidere chiunque osasse entrarvi.

Adorava ascoltare le storie di avventura che si narravano nelle taverne, anche se a volte si trattavano di leggende e non di fatti realmente accaduti, e a volte fantasticava di prendervene parte. Ma non si azzardava a farlo realmente, non era una guerriera, non sapeva come combattere e difendersi e l’unica arma di cui era riuscita ad entrare in possesso era un vecchio pugnale arrugginito che aveva trovato frugando tra gli oggetti di un bandito morto da qualche giorno e lasciato a marcire sul ciglio della strada.

Senza contare che aveva una dannatissima paura ad entrare in città e villaggi popolate da persone vive e sicuramente se la sarebbe fatta addosso anche solo ad attraversare la soglia di una delle antiche rovine.

Era una maledetta codarda. Lo era sempre stata.

Strinse le mani a pugni e affondò le unghie, corte e mangiucchiate, nelle palmi in preda a un sordo furore. Certe volte si detestava con tutta se stessa a causa della paura che la tormentava per qualunque cosa che la circondava e che le impediva di godersi la sua vita e di fidarsi degli altri.

Tutta colpa degli Orsi, gli odiava. E odiava se stessa per il terrore che dopo tutti quegli anni –cinque anni, sono passati cinque anni maledizione, cinque anni-  la torturava.

Un rumore di passi dietro di lei la fece sussultare e la spinse ad afferrare l’elsa del pugnale che teneva sempre legato al suo fianco. Non sapeva né combattere né difendersi e la lama arrugginita era probabilmente inutile, ma il solo sentirne la solidità nelle dita la faceva sentire più forte e coraggiosa.

Sono gli Orsi, pensò per un attimo, incoerentemente, e una nuova ondata di odio le bruciò nelle vene e fece per estrarre l’arma e avventarsi contro il nemico.

Ma il tutto durò solo per qualche secondo e la voce famigliare che la raggiunse dissipò il rancore che provava.

<< Va tutto bene, sorella? Ahkari chiede se hai bisogno di comprare della merce, prima che la Carovana riparta >> le disse Zaynabi, la Khajit dal pelo scuro che apparteneva alla Carovana a cui si era unita per quella notte.

Si diede mentalmente della stupida per essersi allarmata senza motivo ed essersi persa tanto nelle sue elucubrazioni da essersi dimenticata di essere in compagnia di qualcuno. 

Tutta colpa degli Orsi, si disse distrattamente muovendo qualche passo verso le tende che formavano l’accampamento.

Ahkari era seduta a gambe incrociate sulla soglia della propria tenda, gli occhi felini da Khajit che saettavano attorno alla ricerca di clienti. I suoi compagni, Dro’marash e Kharjo, erano intenti a preparare la colazione, rimestando qualcosa nella solita pentola di rame, e a spaccare la legna; Zaynabi la superò e iniziò a smantellare la tenda da campo in cui Bruinen aveva dormito quella notte. Lei si avvicinò ad Ahkari, che come sempre era abbigliata con delle vesti sfarzose e con diversi gioielli, a dimostrare la ricchezza accumulata in tutti quei anni in cui aveva girovagato per Skyrim. 

<< Salve, Ahkari. Ti ringrazio per avermi permesso di dormire assieme a voi questa notte >> le disse Bruinen sorridendo timidamente.

<< Finché hai dei septim, puoi avere tutto ciò che desideri >> rispose quella, guardandola dal basso in alto e senza prendersi il disturbo di alzarsi.

La Bosmer si mordicchiò un labbro, annuendo leggermente. Ovviamente sapeva che i mercanti Khajit, ma infondo quelli di tutte le razze, facevano poco o niente senza ricevere qualcosa in cambio, soprattutto denaro, ma avevano iniziato a convincersi che dopo tutte le volte in cui aveva commerciato o dormito con loro, ci fosse qualcosa in più tra loro oltre un banale scambio di soldi e servizi. Un po’ d’affetto, magari.

Dannatamente stupido da parte sua, lo sapeva bene, ma dopo cinque anni in cui le uniche persone con cui era entrata in contatto e aveva parlato seriamente per più di una manciata di secondi, erano proprio i Khajit. Conosceva benissimo tutte e tre le Carovane principali, quella di Ahkari, che si spostava sempre tra Riften e Dawnstar; quella di Ri’saad, che si aggirava tra Whiterun e Markarth e infine quella di Ma’dran che commerciava tra Windhelm e Solitude, quindi, conoscendo altrettanto bene anche i percorsi che eseguivano, la domanda che fece fu altrettanto stupida.

<< Dove siete diretti adesso? >> chiese Bruinen, anche se sapeva esattamente qual era la risposta.

<< Riften, sorella >>

L’Elfa annuì nuovamente, riflettendo. Era stata poche volte a Riften e per poco tempo, ma da quello che aveva visto e saputo su quella città non le piaceva affatto. Era un posto pieno di corruzione, dove la Gilda dei Ladri e la Famiglia Rovo Nero facevano da padroni, raggirando e manipolando lo Jarl. Senza contare che lo stesso Jarl e la sua famiglia parteggiavano per il famigerato Ulfric Manto della Tempesta e i suoi ideali.

E tutti sapevano quanto Ulfric e i suoi sostenitori odiassero gli elfi.

Un brivido la percorse e immediatamente il suo istinto –o forse era la sua paura? -  le disse che era meglio se stava lontana da quella città, il più possibile. La sua mente però si ribellò e le ricordò che ormai aveva quasi finito sia i soldi che il cibo e che quindi le conveniva andare nella città più vicina a fare il pieno; ed era Riften la città più vicina a quel momento.

L’altra sua unica scelta, al momento, era Windhelm. Più lontana di Riften, ma più vicina di Whiterun.

Rabbrividì di orrore al solo pensiero di mettere piede, o anche solo avvicinarsi più del necessario, al campo base dei Manto della Tempesta, la città comandata da Ulfric.

Probabilmente non sarebbe mai uscita viva da lì.

A malincuore si risolse a proseguire verso Riften, a meno che non volesse morire di fame e stenti per i boschi.

Puoi sempre rubare qualcosa dalle fattorie, tentò in un ultimo disperato tentativo la sua paura ma lei la mise brutalmente a tacere, rammentandosi che comunque le poche patate o zucche che fosse riuscita a razziare non le sarebbero durate a lungo. E poi le serviva del denaro.

<< Ahkari… ti dispiace se mi unisco alla tua Carovana fino a quando non raggiungiamo Riften? Non ho septim con cui pagarti ma posso fare qualsiasi cosa che mi chiederai, per ripagare il debito. Cucinare, smantellare l’accampamento… anche tagliare la legna, se necessario! >> di sicuro Bruinen non era abbastanza forte nemmeno per sollevare un’accetta, figurarsi spaccare ciocchi di legno, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non rimanere da sola e fare tutta la strada che rimaneva fino a Riften senza un posto sicuro dove dormire e qualcuno che le guardava le spalle.

Ahkari la guardò in silenzio per alcuni minuti, pensando a quanto le era stato proposto, e per qualche istante Bruinen temette che avrebbe rifiutato. Ma poi la Khajit annuì leggermente.

<< Va bene sorella, Ahkari ti permette di proseguire con la sua Carovana. Ma dovrai conciare la pelliccia degli animali che Kharjo caccerà, per sdebitarti. Puoi farlo? >>

Bruinen assentì, felice. Non aveva mai conciato una pelliccia ma imparava in fretta ed era sicura che sarebbe stata in grado di farlo dopo che le avessero spiegato come si faceva.

 

Ci misero due giorni per raggiungere Riften da Avanchnzel, il primo giorno avevano trovato diverse difficoltà: prima si erano imbattuti nel fiume che sfociava nel lago sul quale si affacciava Riften e avevano trascorso un paio d’ore a costeggiare il corso d’acqua per individuare il ponte per poter passare sull’altra sponda, poi la notte li aveva sorpresi nei pressi di Dente di Faldar, forte occupato dai banditi, e quindi erano stati costretti a ritornare verso le rive del fiume e accamparsi lì. All’inizio Ahkari si era chiesta se potessero riuscire a combattere i banditi per prendere il controllo del forte, ma dopo una ricognizione Kharjo e Dro’marash erano tornati scuotendo il capo e annunciando che i malviventi erano decisamente troppi per loro, anche se si fossero avvicinati furtivamente.

Il giorno dopo, verso mezzogiorno, arrivarono finalmente nei pressi delle stalle di Riften.

Bruinen aiutò i Khajiti ad allestire un nuovo campo, anche se ormai non era più un suo compito, ma sapeva di star solo perdendo tempo.

Prese un respiro profondo e cercò di racimolare il misero coraggio che aveva, ormai sapeva di non poter rimandare oltre e si avvicinò all' entrata.

Abbassò il capo intimidita sotto lo sguardo delle due guardie appostate lì che la squadrarono come se fosse spazzatura o l'ennesima barbona dall' aria, comunque, innocua.

Entrare in città dopo tanto tempo e ritrovarsi così tante persone 'vive' attorno fu abbastanza strano e soffocante per lei che non ne era più abituata. O forse era meglio dire che non lo era mai stata.

Cercava di tenersi sempre a distanza e non le fu affatto difficile rendersi invisibile. Nessuno era interessato minimamente a lei e di questo ne era grata.

Girovagò per tutto il giorno nei pressi del mercato osservando, con aria spesso affamata, la mercanzia e desiderando di trovarsi la pancia piena di quelle prelibatezze.

All' improvviso un commerciante distratto fece cadere un pezzo di pane che andò a finire in un acquitrino e Bruinen ne seguì avidamente il percorso.

Quanto avrebbe voluto raccoglierlo, ignorando che fosse ormai sporco. Non era schizzinosa.

Scivolò come un'ombra accanto alla bancarella tenendo d' occhio il mercante, ma egli era impegnato a discutere con una vecchia signora che si lamentava dei prezzi aumentati.

L' elfa si abbassò lentamente fingendo di aggiustarsi la scarpa logora e quando fece per tirarsi su nascose lesta la pagnotta nella sua saccoccia e si allontanò in un attimo.

Si fermò davanti a delle scale che portavano giù fino a quello che forse doveva essere uno scolo diretto alle fogne, a giudicare dal cattivo odore che ne saliva, ma lei non ci fece caso.

Si sedette sui gradini, pulì con un gesto il pane e ne tirò un morso, acquetando i suoi languori.

Intanto si mise ad osservare la gente che passeggiava per le strade.

Alcuni erano ben vestiti: i benestanti.

Altri indossavano solo stracci: i poveri, come lei.

Ma anche a quest' ultimi lei si sentiva estranea.

Lei, pur sapendo di essere un Elfo dei Boschi, non sentiva comunque di appartenere a nessuna razza.

C'erano i Nord, gli Imperiali, le grandi lucertole, i gatti sui due piedi, gli Orchi dall' aspetto grottesco, gli Elfi Alti e Scuri ed infine i Bretoni.

E poi c'era lei. Bruinen.

Che non aveva niente e nessuno.

Avvolte si sentiva sola, altre volte la solitudine era la sua unica amica.

Osservò invidiosa le persone immaginandosi di essere come loro.

Immaginò di essere l'Argoniano abile nel produrre gioielli.

Immaginò di essere quella donna segnata dall'età che sorrideva a tutti ed era padrona di un vecchio carretto che vendeva della verdura e si chiese cosa la faceva diventare tanto allegra.

Immaginò di essere persino quel vecchio barbone che se ne stava per terra con gli occhi semichiusi a chiedere l'elemosina accanto ad una bottiglia mezza vuota d'idromele.

Lei immaginava com'era vivere le vite altrui, nelle glorie e nelle miserie.

Ne era affascinata tanto quanto si sentiva vuota.

Aveva passato l'intera giornata persa nei suoi ridicoli pensieri e si accorse che stava tramontando solo quando vide i commercianti lasciare le loro postazioni e andarsene nelle loro case con la promessa di un pasto caldo ed un morbido giaciglio.

La giovane elfa si maledì e si alzò.

E adesso come avrebbe fatto? Aveva previsto di procurarsi qualche moneta per comperarsi magari una zuppa e qualche scorta per il suo vagabondaggio.

Ma non aveva che racimolato solo un pezzo di pane che aveva già ingurgitato.

Si guardò attorno. C'era solo poca gente ancora in giro per le strade.

Erano rare le volte in cui aveva necessitato di borseggiare qualcuno, anche se con un discreto successo, ma era troppo codarda per farlo.

E se l'avessero scoperta? Persino l'idea di finire in gattabuia le allettava, ma il pensiero che potesse finire nelle mani degli Orsi le procurava una serie di brividi lungo la schiena, ma se li scrollò via. Non era il momento di sragionare.

Diede un'occhiata al barbone ormai assopito e alle sue misere monete. Di sicuro sarebbe stata una preda facile ma non se la sentiva di privargli di quel poco avere.

Poco distante da lui c'era una bella donna che indossava un'armatura pesante e che conversava con un uomo ben vestito.

Le sarebbe bastato passare di lì come un'ombra e sfilarle quell' invitante sacchettino, ma la sola vista dello spadone sulla schiena di lei fece desistere Bruinen dal solo provarci ad avvicinarsi.

Sospirò e lasciò perdere.

Fu allora che lo vide. Un uomo che aveva superato la cinquantina che si apprestava a riempire un barile con del pesce avanzato dalla vendita giornaliera.

Sorrise. Lui sarebbe stato perfetto.

Aspettò che si allontanasse di qualche metro e appena lo vide sparire in un vicolo si mise a seguirlo.

Per un paio di volte la sua preda incrociò qualcuno a cui rivolse un sorriso ed un saluto. E subito lei si faceva piccola piccola per non farsi vedere.

Alla fine arrivò davanti a quella che doveva essere la sua abitazione. Estrasse le chiavi e la ragazza le sentì girare nella toppa.

In quel momento gli cadde un pacchetto.

All' inizio aspettò che egli rincasasse per poi appropriarsi dell'oggetto, ma poi ci ripensò e lesta si avvicinò alle spalle dell'uomo.

<< Mi s-scusi, signore? >> fece balbettante l’elfa facendo sobbalzare dallo spavento l'altro, che non si aspettava la presenza di Bruinen dietro di lui.

<< Si? Posso esseri utile? >> fece egli squadrandola con aria gentile ed educata.

<< Q-questo è suo... >> disse porgendogli il pacchettino dalla forma triangolare, distogliendo lo sguardo a disagio.

All'inizio parve confuso poi i suoi occhi si illuminarono.

<< Oh, che sbadato che sono. Se mi fossi presentato senza questo mia moglie mi avrebbe scuoiato di sicuro. >> ridacchiò allegro.

Bruinen trasalì e lui se ne accorse.

<< Guarda che scherzo, eh... >> precisò divertito e continuò. << Ti ringrazio, bella fanciulla. >> Poi portò una mano alla cintola ed estrasse una monetina che ficcò nella mano di Bruinen. << Ecco a te. Comprati pure una nocciola candita, te la sei meritata. >>

Ella balbettò un grazie e fece per andarsene.

<< Aspetta! >>

L'esclamazione alle sue spalle la bloccò di colpo. Che se ne fosse accorto? Pensò nel panico cercando di ricordarsi dove si trovava l'uscita più vicina.

<< Non sei di queste parti, vero? >>

La domanda la prese in contropiede ma la fece sospirare di sollievo e gli rispose di no.

<< Beh, cara, spero tu sia solo di passaggio. Questo posto non fa per te, ci sono persone poco raccomandabili e sarebbe un vero peccato se tu ne incontrassi qualcuno. >> le spiegò preoccupato.

<< M-me ne vado d-domani. >> lo disse talmente piano che si stupì se l'avesse sentita.

Ma non ascoltò ciò che le rispose perché si allontanò di fretta col cuore che batteva frenetico.

Dopo che fu sicura di essere da sola, si appoggiò contro il muro di una casa e sorrise alle stelle tirando fuori il sacchetto delle monete di Bolli.

<< Hai guadagnato un bel gruzzolo, eh? O meglio dire rubato. >>

Una voce bassa e cavernosa sbucata dal nulla la fece trasalire.

La sua antica paura le fece immaginare che quella voce appartenesse a un Orso. Sentì le gambe molli, che avrebbero ceduto da un momento all'altro e gli angoli degli occhi divennero lucidi.

Un grido acuto si fece strada nella sua gola, ma proprio mentre stava per aprir bocca una mano lesta saettò nel buio della strada e gliela tappò.

Il sacchetto gonfio di monete, che fino a quel momento stava stringendo convulsamente, cadde con un tonfo facendo sparpagliare decine di cerchietti dorati che tintinnarono ovunque.

<< Sei proprio in un bel guaio... ragazza! >>

 

 

  
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