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Autore: mikimac    28/01/2015    1 recensioni
I segreti sono pericolosi: chi li ha, vive nell'angoscia che possano essere svelati alle persone che non vogliono perdere. Quando vengono rivelati, i segreti possono distruggere tutto, anche l'amicizia più straordinaria che ti sia stata concessa dalla vita.
Post 3x03 "His Last Vow"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Segreti dal passato

Questa è la mia terza esibizione in una fanfiction di Sherlock. In questo caso si tratta di una specie di ripetizione. Ho scritto la prima fanfiction sull’entusiasmo della visione dell’ultima puntata della terza stagione (3x03 “His Last Vow”), elucubrando su cosa potrebbe succedere dopo. La storia che vi apprestate a leggere, tratta lo stesso identico argomento: cosa potrebbe accadere con il rientro dall’esilio di Sherlock?

Naturalmente il racconto, per chi abbia visto tutte e tre le stagioni, non contiene alcuno spoiler, perché io non ho accesso né alle menti degli autori né ai copioni della serie BBC “Sherlock”.

I personaggi non mi appartengono minimamente essendo stati inventati da Sir Arthur Conan Doyle ed utilizzati anche da altri autori ufficiali. Il riferimento principale, per la trattazione dei personaggi di Sir Doyle in questo racconto, è la serie della BBC “Sherlock” scritta da Steven Moffat e Mark Gatiss.

Questo racconto non ha assolutamente scopo di lucro.

Se dovessero esserci riferimenti a idee e/o personaggi che potrebbero essere stati utilizzati in altre fanfiction e, perciò, sembrare un plagio, chiedo preventivamente scusa, ma sarebbe assolutamente involontario.

Grazie a chiunque decida di avventurarsi tra le prossime righe e doppio grazie a chi decida di lasciare un commento, sempre gradito, anche se piccolo piccolo.

La storia è praticamente già tutta scritta ed è divisa in sei parti, quindi ci sarà un aggiornamento a settimana per le prossime cinque settimane.

Non ho rimosso il precedente racconto (“Pure questo è amore”) in quanto, sebbene le due storie prendano avvio dallo stesso momento della fine della 3° stagione, si svolgono in modo completamente diverso.

Se qualcuno avesse letto la precedente versione della mia personalissima “4° stagione” e si volesse fare molto male leggendo anche questa, potrebbe persino dirmi quale delle due versioni preferisce! ;-)

Buona lettura.



L’aereo toccò il suolo inglese e rollò fino a raggiungere l’auto che lo aspettava a bordo pista. Mycroft Holmes aspettò che il fratello minore si affacciasse al portello e scese dall’auto con un gran sorriso stampato sul volto. John e Mary Watson lo raggiunsero ed insieme attesero che il consulente investigativo scendesse la scaletta. Nessuno disse una parola fino a quando Sherlock non arrivò alla macchina del fratello e chiese:

“Che cosa è successo di così terribile da farmi tornare dall’esilio in tutta fretta?”

Mycroft gli rispose con un mezzo sorriso:

“James Moriarty è tornato.”

Sherlock studiò l’espressione del fratello maggiore per tentare di capire se stesse scherzando:

“Non hai abbastanza senso dell’umorismo per inventarti una cosa del genere. – sentenziò infine – Sappiamo entrambi che Moriarty è morto, quindi chi lo sta usando?”

Il sorriso di Mycroft si aprì completamente:

“È per scoprire chi ci sia dietro a questa apparizione di Moriarty che sei stato riportato indietro, fratellino.”

“E quando lo avrà scoperto, sarà rispedito in esilio?” chiese John.

“Se salverà l’Inghilterra, possibilmente senza uccidere nessuno a sangue freddo, la sua condanna sarà revocata e potrà rimanere a Londra ad investigare su tutti i casi che vorrà.” Rispose Mycroft.

Sherlock inarcò la bocca in un piccolo sorriso e guardò dritto negli occhi azzurri di John:

“Visto, John? Il gioco non è finito: il gioco non finisce mai, entrano solo in campo nuovi giocatori.”1

Segreti dal passato

Sherlock e Mycroft fecero il loro ingresso al 221B di Baker Street e si diressero immediatamente nel salotto.

“È ancora tutto qui. – osservò Sherlock fissando il fratello – Non è che ci sia tu, dietro a tutto questo.”

“Certo che non sono stato io! – ribatté quasi offeso Mycroft – Non sono così sentimentale da organizzare una cosa come questa solo per salvarti la vita, fratellino. Inoltre, ora ci saranno indagini approfondite e, se si dovesse scoprire che sono stato io, tu saresti rispedito immediatamente in esilio ed io perderei qualsiasi potere tu pensi che io abbia.”

“Oh. Giusto. – replicò acido Sherlock – Non faresti mai nulla per perdere il tuo sacro potere di governo della regina.”

Il più giovane degli Holmes si avvicinò alla finestra, diede un forte strettone alla tenda per aprirla e guardò in strada. Stavano passando auto e persone indaffarate, tutte prese dai loro problemi ed assolutamente indifferenti verso il resto del mondo. Stava per tornare a riprendere la discussione con il fratello, quando notò un uomo, appoggiato al muro dall’altra parte della strada, che fissava la porta del 221B. L’uomo era alto, atletico e sembrava sul punto di scattare, come una tigre in attesa della preda, ma non poteva vederne il volto, perché era nascosto dalla tesa di un cappellino.

“Hai messo qualcuno dei tuoi uomini a sorvegliare la casa?” chiese a Mycroft.

“No. Non potevo sapere che saremmo tornati qui, quindi non ho fatto mettere sotto controllo casa tua. Ti ricordo che tu dovresti essere su un aereo, diretto in Europa dell’Est ed impegnato in una missione suicida. John, invece, non abita più qui, ma in una bella casa, con la sua bella mogliettina in attesa del loro primo figlioletto. Perché? Hai visto qualcosa di strano?”

“Figlioletta.” Lo corresse Sherlock, ignorando le domande del fratello.

“Come?” chiese Mycroft, spiazzato dalla risposta.

Il giovane Holmes si girò verso il fratello e lo squadrò criticamente:

“Mycroft cominci a preoccuparmi. – disse infine – Stai decisamente diventando molto lento. Forse la dieta ti fa male. Potrebbero essere i chili in più ad agevolare i tuoi processi mentali. Ci hai mai pensato?”

Il maggiore degli Holmes gratificò il fratello minore con un’occhiata minacciosa:

“Faccio ancora in tempo a spedirti in Europa dell’Est.”

Il sorriso di Sherlock si fece decisamente maligno:

“Non lo faresti mai. Non sapresti come risolvere il caso, senza di me. E non puoi permetterti un fallimento.”

Mycroft sbuffò sonoramente. Sherlock riprese a studiare l’uomo dall’altra parte della strada:

“È una bambina. La figlia di John.”

“Buon per John … e Mary. Spero che siano contenti. – ribatté Mycroft con stizza – Potremmo tornare al nostro problema? Ti rammenti di Moriarty, vero?”

“È morto.” Fu la risposta laconica di Sherlock.

“Lo so. – riprese Mycroft – Sono stati i miei uomini a recuperarne il cadavere dal tetto del Bart, dopo il tuo tuffo. Tu hai smantellato la sua organizzazione, girando il mondo per ben due anni!”

Sherlock distolse la sua attenzione dall’uomo per il tempo necessario a fulminare il fratello:

“I tuoi uomini sarebbero ancora ad un decimo del lavoro che ho fatto io in due anni!” esclamò piccato.

In quel momento, un taxi si fermò davanti al 221B e ne scese John.

Sherlock ignorò la risposta di Mycroft, perché notò che l’uomo dall’altra parte della strada si era fatto attento, si era staccato dal muro avvicinandosi alla strada ed aveva iniziato a guardarsi intorno come se volesse attraversarla.

John mise la chiave nella toppa.

L’uomo attraversò la strada.

La signora Hudson stava arrivando carica di sporte della spesa.

John chiuse la porta ed iniziò a salire i gradini che portavano al salotto.

L’uomo avvicinò la signora Hudson e si offrì di portarle la spesa.

La signora Hudson accettò volentieri l’aiuto del giovane aitante e gentile.

John fece il suo ingresso nel salotto e salutò i fratelli Holmes.

L’uomo e la signora Hudson entrarono in casa.

“Ho lasciato Mary a casa. – stava dicendo John, rispondendo al saluto di Mycroft – Era un po’ stanca ed ha preferito andare a riposare.”

Sherlock aveva smesso di guardare dalla finestra e si era concentrato solo sui rumori che provenissero dall’interno della casa.

Qualcuno stava salendo le scale. E non era la signora Hudson.

“Sherlock? – lo chiamò John – Mi hai sentito?”

Per tutta risposta, il più giovane degli Holmes con un balzo si sedette sulla sua poltrona, accavallando le gambe, appoggiando i gomiti ai braccioli e congiungendo le mani sotto il labbro inferiore, come se stesse pregando. Un uomo sui quaranta anni, moro ed abbronzato, con profondi occhi neri ed un berretto in mano, fece il suo ingresso nel salotto, attirando l’attenzione di John e Mycroft.

 Il dottore lo guardò sorpreso e gli fece un grande sorriso:

“Non posso crederci! Tenente Andrew Pendleton!”

L’uomo ricambiò il sorriso in modo sincero:

“Capitano Watson, come sono felice di vederla, signore. Come sta? La ferita è guarita bene?”

“Sto bene, grazie. – rispose John allungando la mano per stringerla al nuovo arrivato – La ferita non mi dà particolari fastidi. Giusto un po’ quando cambia il tempo o quando piove.”

“A Londra, allora, non è un problema. Qui il tempo è stabile e soleggiato in ogni periodo dell’anno.”

I due uomini risero, anche se Pendleton sembrava impacciato:

“Capitano, potremmo parlare in privato?”

Prima che John potesse dire qualcosa, Sherlock intervenne:

“No.”

 

Watson si girò verso il giovane Holmes sbalordito:

“No? Cosa vorrebbe dire no?”

Sherlock alzò un sopracciglio e sbottò in tono pedante:

“John, per favore! Dovresti sapere cosa voglia dire no! Mi sembra che tu conosca l’inglese abbastanza bene.”

Watson strinse gli occhi e le labbra. Decisamente odiava Sherlock, quando faceva così:

“So cosa significhi no. – sibilò irritato – Voglio che tu mi dica perché non posso parlare con il mio amico da solo.”

Sherlock insistette nel suo atteggiamento indisponente:

“Allora perché non chiedi quello che vuoi sapere, invece di domandare cosa voglia dire no?”

Persino Mycroft si girò a guardare il fratello come se fosse impazzito. Il militare passava uno sguardo smarrito da Sherlock a John e viceversa, senza capire cosa stesse accadendo.

“Sherlock …” la voce di Watson era bassa e minacciosa.

Il consulente investigativo non stava guardando il dottore, ma continuava a fissare Pendleton:

“Militare. Appena tornato dall’Afghanistan, dove vi siete conosciuti al tempo del tuo ferimento ...”

“Oh, che brillante deduzione! – lo interruppe John con sarcasmo – L’ho chiamato tenente e lui mi ha chiamato capitano, quindi deve per forza essere un militare. Mi ha chiesto se la ferita mi dia fastidio, per cui dovevamo per forza conoscerci, quando mi hanno sparato. Il fatto che sia appena tornato dall’Afghanistan è una supposizione dovuta al fatto che ci siamo conosciuti quando ero di stanza lì, quindi dai per scontato che la sua unità sia ancora operativa in quella zona. Ed anche l’abbronzatura presente solo in certi parti del corpo aiuta a dedurre che recentemente sia stato in un luogo particolarmente assolato, ma non per motivi di svago. È un espediente vecchio che hai già usato.2

Sherlock spostò lo sguardo dal tenente al dottore. John era abbastanza arrabbiato, mentre Sherlock sembrava sul punto di mettersi a ridere.

“Non sei divertente.” Disse Watson in tono secco.

“Cosa sta succedendo?”

 

La voce di Mary fece sobbalzare i quattro uomini nella stanza: nessuno si era accorto che lei fosse arrivata:

“Cosa sta succedendo?” chiese nuovamente.

“Mary! – John era stupito – Cosa ci fai qui? Dovresti essere a casa a riposare. Questo stress non fa bene alla bambina.”

“Anche suo padre in pericolo non farebbe bene alla bambina.” Ribatté Mary.

“Io non sono in pericolo!” minimizzò John, ma Mary insistette caparbia:

“Moriarty ha già cercato di ucciderti. Perché non dovrebbe provarci ancora? Per favore, John, stai lontano da tutto questo. La bambina ed io abbiamo bisogno di te.”

“James Moriarty è morto, quindi nessuno minaccia la vita di John.” Intervenne asciutto Sherlock.

John finse di non aver sentito l’amico, prese le mani della moglie e le sorrise rassicurante:

“Voglio presentarti una persona. – disse, invece, cambiando completamente discorso – Questo è il tenente Andrew Pendleton. Ti ho parlato di lui, ricordi? È l’uomo che mi ha salvato la vita quando sono stato ferito in Afghanistan. Tenente, questa è mia moglie Mary Morstan.”

Sherlock sembrava disinteressarsi a quello che stava accadendo, ma, in realtà, non stava perdendo un solo movimento di Mary e Pendleton. Si era immediatamente reso conto che la presenza della signora Watson aveva messo ulteriormente a disagio il militare, che si era irrigidito notevolmente, ma anche Mary era leggermente sbiancata e si era innervosita:

“Mi fa piacere conoscere l’uomo che ha salvato la vita di mio marito.” Disse allungando la mano.

Il tenente le strinse la mano, ma il sorriso che le fece era decisamente tirato e per nulla spontaneo:

“Piacere mio, signora Watson.”

Mary si rivolse al marito. C’era una certa urgenza, nella voce, come se avvertisse un pericolo imminente:

“John, per favore, andiamo a casa.”

Il dottore non riusciva a capire cosa ci fosse che non andasse. Sua moglie non si era mai comportata come una donna svenevole e spaventata. Tutt’altro!  E gli sbalzi d’umore dovuti agli ormoni della gravidanza non erano certo una scusa che potesse essere usata da una donna che era stata addestrata dalla CIA. Quindi, cosa c’era che non andava?

“Mary, non vuoi sentire il racconto del ferimento di John ed il coraggioso salvataggio da parte del tenente?”

Sherlock pose la domanda con tono annoiato, ma i suoi occhi di ghiaccio erano fissi sulla donna e ne studiavano ogni minima espressione. Mary sentiva quello sguardo indagatore su di sé, ma lo degnò appena di un’occhiata infastidita:

“Conosco questa storia. E, comunque, per oggi abbiamo già avuto abbastanza emozioni.”

Anche il tenente Pendleton sembrava stranamente ansioso di porre fine alla visita:

“Sarà per un’altra volta. Ora devo proprio andare.”

Watson era leggermente confuso:

“Non aveva bisogno di parlarmi?”

“Mi scusi, capitano. – rispose il militare – Avevo già un altro impegno. Ho scoperto per caso che lei frequenta questa casa. Potremmo scambiarci i numeri di cellulare in modo da poter fissare un appuntamento, molto presto.”

“Oh, certo, va bene. – John prese un biglietto da visita dal portafoglio – Qui ci sono i miei recapiti.”

Pendleton gli allungò un foglietto con scarabocchiato un numero di telefono. I due uomini si strinsero la mano.

“A presto.” Disse Watson.

“A presto, capitano. – rispose il tenente – È stato un piacere conoscervi tutti.”

Andrew Pendleton uscì quasi di corsa. Sherlock si alzò di scatto dalla poltrona, si infilò il cappotto e si precipitò per le scale, senza salutare, prima che qualcuno potesse fermarlo.

Watson passò uno sguardo interdetto dalla moglie a Mycroft sperando in una qualche spiegazione, ma anche loro sembravano piuttosto spiazzati da quello che era accaduto.

“Bhè. – disse allora – Visto che non c’è bisogno di noi, sarà meglio che andiamo a casa.”

Aveva salutato Mycroft e si stava dirigendo alle scale, quando Mary lo chiamò:

“Tesoro, scusa, devo andare in bagno. Vai pure a chiamare un taxi. Io ti raggiungo subito.”

John la studiò un po’, per accertarsi che andasse tutto bene, poi le sorrise e scese le scale.

Mary attese che il marito fosse uscito, quindi si girò verso Holmes e gli sibilò furiosa:

“Tenga suo fratello lontano da me. Gli impedisca di scoprire cosa sia accaduto in Afghanistan o gli rivelerò tutto del nostro patto.”

Uscì dalla stanza e raggiunse il dottore, che aveva trovato un taxi, lasciando Mycroft veramente allibito.

 

Sherlock non aveva perso di vista il militare nemmeno per un secondo. Del resto, l’altro non stava facendo nulla per seminarlo, come se non si fosse accorto di essere seguito. Improvvisamente Pendleton svoltò in una stradina solitaria. Holmes affrettò il passo per non perderlo, ma, appena svoltato l’angolo, si sentì afferrare per il bavero del cappotto e sbattere con la faccia contro il muro. Prima che potesse provare a reagire, Pendleton gli mise un avambraccio all’altezza della nuca, afferrandosi il polso con l’altra mano ed applicando una forza leggera, ma sufficiente a bloccare Holmes, che si trovò con la bocca del tenente che gli sussurrava a pochi millimetri dall’orecchio:

“Dovresti stare attento a chi segui. Ci sono persone pericolose in giro.”

Era complicato parlare in quelle condizioni. A Sherlock uscì una voce roca:

“John Watson. È in pericolo. Vogliamo entrambi proteggerlo.”

Pendleton lasciò andare Sherlock, che si girò lentamente per guardare il militare in faccia. Il tenente fissò gli occhi neri in quelli azzurro chiari di Holmes e lo studiò a lungo:

“Non so se il capitano sia in pericolo, però devo informarlo di una cosa.”

“Cosa?”

Pendleton esitava. Non conosceva quell’uomo, che si era dimostrato indisponente e pedante. Sembrava un damerino annoiato, ma, nel fondo dei suoi occhi, brillava una luce che il militare conosceva molto bene: era il fuoco della battaglia. Si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore e prese una decisione:

“La donna che si fa chiamare Mary Morstan … la moglie del dottore … è il killer che ha sparato al capitano Watson nell’agguato in cui è stato ferito in Afghanistan.”

 

 Note

1 La frase riprende quello che Sherlock dice a  John, quando si stanno salutando all’aeroporto nella 3x03 “His Last Vow”.

2 John si riferisce alla deduzione che Sherlock fa su di lui e sul suo passato da militare proveniente da Afghanistan o Iraq durante il loro primo incontro nella puntata 1x01 “A Study in Pink”.

Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui.

Naturalmente potete lasciare ogni commento che vi sentiate di fare.

A presto!

   
 
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