•Dragonfly•


Stava correndo da circa tre ore. 

L'azzurro cielo primaverile stava sfumando nei toni rosati ed intensi del crepuscolo mentre Kagami non riusciva a frenare minimamente le proprie gambe. La brezza serale gli sferzava il corpo accaldato, madido di sudore, fuori controllo. Ormai non riusciva più a percepire il movimento delle braccia, che si alternavano automaticamente nella corsa, così come gli sembrava che le gambe fossero diventate leggerissime. 
Non sentiva stanchezza, anzi, scoppiava di energia, talmente tanta da non sapere come contenerla. 

Era veloce.

Il paesaggio accanto a lui mutava senza sosta. Inizialmente si trovava in centro città, poco dopo aveva sorpassato l'ultima stazione della metropolitana ed infine si ritrovava a costeggiare una lunga distesa verde. 
A tratti, nella corsa, gli era parso possibile persino spiccare un balzo e librarsi in cielo, come una libellula. 

La visuale davanti a sé era completamente libera dai capelli che di tanto in tanto solevano ricadergli fastidiosamente sugli occhi, ora gettati indietro dal vento. Il mondo sembrava tingersi dei colori più accesi che avesse mai visto. 

Kagami correva con una luce intensa negli occhi. 
Gli angoli della bocca erano volti all'insù e le labbra si erano aperte per sfoggiare un sorriso a trentadue denti quale non sapeva neppure essere capace di fare. 
Eppure sembrava che nulla gli fosse mai venuto tanto naturale quanto sorridere in quel modo. Sentiva gli zigomi dolergli per lo sforzo, ma al tempo stesso non era in grado di rilassare minimamente i muscoli facciali. 

Se possibile, avrebbe desiderato continuare a correre eternamente.

Era felice. 

Sarebbe riuscito a fare qualsiasi cosa: avrebbe passato tutti gli esami, avrebbe sconfitto la Generazione dei Miracoli, sarebbe diventato il miglior giocatore di basket del Giappone e poi il migliore di tutto il mondo. 

Tutto questo insieme a Kuroko.

Non aveva mai lontanamente immaginato che la pronuncia di due lettere potesse suscitare tante emozioni. Mai prima di allora. 

Aveva detto "sì". 
A Kagami bastava per sentire di poter toccare il cielo con un dito.