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Autore: Jo_March_95    30/01/2015    2 recensioni
You've got sucker's luck
Have you given up
Does it feel like a trial?
Does it trouble your mind like you trouble mine
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[Mandy Milkovich- Kenyatta]
/Lasciare una bambina in casa Milkovich sa tanto di abuso/ ma tu tra quelle mura sei diventata di cristallo.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mandy Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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<< FUCK YOU >>
<< FUCK /YOU/ ASSHOLE >>


Ritornano sempre. E’ questo il problema. Non riesci proprio a separarli.
Quanti discorsi con le meningi strette e un senso di nausea profonda, quante promesse tra lacrime di amara convinzione.
Non si scappa dal Southside.
Alzati la mattina, guardati allo specchio fingendo negli occhi una luce nuova, dai un significato profondo alla sfumatura giallastra della carnagione, alla curva secca delle anche, all’addome piatto e dolorante. Vedi poesia negli occhi annacquati dal sonno?
Volteggia un paio di volte in quella tua maglietta aderente, guarda quei talloni callosi come non si staccano mai da terra.
Se vuoi uno sputo di cielo non guardare il alto, non guardarti dentro. Chiudi gli occhi.
Ispira.
Butta fuori.
Non male queste polveri sottili. Ti passano attraverso che quasi neanche te le godi, neppure te ne accorgi mentre consumano materia celebrale e tessuto polmonare.
Lo specchio non è il nemico, restituisce un’immagine asettica, imparziale, non può contagiare con quella sua freddezza spietata. Ad avere un vocabolario più ricco leggeresti terzine di versi in rima tra un centimetro e l’altro di pelle riflessa e restituita alla cornea, ma non fa per te quel vaneggiare borghese da libro di seconda mano.
Un sorriso amaro è l’unico accessorio di cui una donna in bilico sulla linea della povertà ha bisogno. Non ti salverà dalla presa violenta di tuo padre, non ti salverà dal disprezzo di chi ha avuto la fortuna di nascere con la cravatta attaccata direttamente al culo, non ti salverà dall’essere sbattuta sul cassonetto della 66 con l’impronta di mani estranee fusa sulle natiche viola dal freddo, non ti salverà, non ti salverà, non ti salverà.
Ma il fronte maschilista del femminismo ti dice di indossare un sorriso e tu lo sfoggi da copione, quel taglio amaro all’altezza del risentimento.
Passa un po’ di trucco sugli imprevisti portati dall’alba, restituisci una piega quasi umana a quelle ciglia che sfidano la gravità. Perfetto, ora che ti tipo di coprente vorresti mai usare per l’incubo nel quale ritorni la sera?
Quel tuo non meritarti l’amore che ti ha portata ad attaccarti in maniera teneramente morbosa a qualsiasi sua contraria rappresentazione.

La mano pesante di Kenyatta lascia il buongiorno sul labbro tagliato in due, se ci passi le dita sa un po’ di casa. Quel dolce odore di Terry che torna e ti fa atterrare di reni sul tappeto, il sapore piacevole del metallo sulla lingua e la fragranza mai fuori moda dell’alcol al punto di saturazione.
Non che il povero agnellino indifeso non sappia cosa sia, il perpetuarsi della violenza.
Il fronte emotivo del femminismo sostiene che tu sia una povera vittima, ma questa definizione prude troppo per indossarla a mo’ di armatura. Sono urla unidirezionali con più bersagli, chiama pure il fuoco amico, ci ha pensato la vita a corromperlo e dissuaderlo da quell’uso.
Magari è l’apparenza, che inganna tutti, no? Prova a spiegargliela tu, la meritocrazia nel Southside.

Lui è alto, imponente. Potrebbe spezzarti il collo con una pressione perfettamente raggiungibile da quelle lunghe dita forzute, una di quelle volte in cui ti blocca al muro impedendoti qualsiasi accesso all’aria.
L’apnea non è la parte peggiore, la parte peggiore è cascare in ginocchio e affrettarsi al contrattacco, la parte peggiore è essere la cagna maniaca, la pazza demente, il problema senza soluzione che Lip si è lasciato alle spalle.
Volevi essere una leva, no? Allora qual è il tuo problema con l’essere calpestata?
Nessuna condizione assoluta ti obbliga ad afferrare il coltello, ad avvicinarti a lui imprecando e sbavando come un cazzo di animale.
Quella luce nuova nei tuoi occhi ora non puoi vederla, peccato perché la scintilla di follia ti stupirebbe. Non sei neppure troppo giallina, tanto gracile, così ossuta.
Sei solo nervi, solo voce, solo caos.
E’ sempre una lotta impari, ti sussurra il dépliant contro la violenza. E’ un meccanismo psicologico che ti impedisce di uscire dal cerchio, sono lettere cubitali stampate sul pieghevole che reggi tra le dita. A nessuno importa realmente come sia, ma è fondamentale che appaia come un tipico caso da risolvere attraverso sedute di conversazioni sul nulla e un intervento di amore divino.
Non è l’inferno quello in cui vivi, l’inferno sarebbe caldo, lì fa sempre troppo freddo. Sbattono le scapole dal freddo, sbattono i denti dal gelo che vi avvolge.

Ma non va sempre tutto male, ci sono baci, ci sono carezze. Reprimi un conato di vomito, reprimi quel reflusso gastrico che accarezza la trachea, reprimi quel movimento sfuggente della pupilla che identifica la porta, reprimi la voglia di restare immobile per sempre.
Le gambe distese per tutta la lunghezza del letto, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Quanto spazio occupi, a chi chiederesti di prestartene dell’altro?

E’ tutto così bello, farsi tanto male e stare ancora insieme. Non puoi staccartelo di dosso, lui non può andare via. E’ questo il vostro posto.
Suo padre era un militare, per questo la violenza ha un valore affettivo. Se ti prende a sberle è perché vuole educarti, se ogni tanto scappa un calcio allora sei reticente, se afferra un piatto e lo lancia a terra senza raccogliere i cocci per sgozzarti, indubbiamente è amore.
Amore per come lo conosci tu, amore per quel po’ che puoi meritare.
Non va sempre tutto storto, a volte urlate solo perché non c’è scelta, l’alternativa sarebbe stare bene, l’alternativa sarebbe soccombere sotto il peso di tutto ciò che si potrebbe avere solo a livello potenziale.
Sua madre è morta di overdose, volteggia attorno alla tua, stesa al sole a far prendere aria alle foglie.
Una grida "copriti il viso", l'altra risponde di mirare alle gambe.
Se la mamma non fosse un vegetale, se il suo ricordo non fosse appannato di clorifilla, se Terry non l'avesse stesa e non avesse pianto così tanto succhiandone le dita pallide delle mani inermi, se Iggy avesse conservato qualche neurone in più dall'infanzia, se Mickey non avesse trovato un posto tutto suo nel mondo.. Kenyatta sarebbe contingente, non una necessità.

Alzati la mattina senza strofinare gli occhi, che tanto sono già abbastanza gonfi e impastati. Scrolla le spalle per dissimulare il brivido che corre per la spina dorsale fino all'epistrofeo. Chiudi gli occhi, non guardare il cielo.
Il fronte agguerrito del femminismo suggerisce di riprendere con la forza ciò che ti appartiene, e tu le unghie le hai già incrostrate.
Il calore del volante ruvido tra le dita, l'hai stretto forte per non sbandare all'impatto. Karen sull'asfalto, incorniciata da molliccio tessuto celebrale, tu chiusa tra due sportelli a leccarti dalle labbra il sapore della soddisfazione.
Quanto è durato? Uno sputo sarebbe stato meno viscido delle parole di Lip, i lividi di Kenyatta pulsano meno delle tue tempie al ricodo di come sia bastato poco a scaricarti per strada.
"Lasciare una bambina in casa Milkovich sa tanto di abuso", ma tu tra quelle mura sei diventata di cristallo.
Il sapore di Lip sulla lingua e l'odore di Terry sul collo.
A Kenyatta fa un po' schifo quello scambio di materia, a stento trattiene il disgusto, ma basta passare alle mani e tutto torna a posto.
Le meriti quelle occhiaie nerre, le unghie scheggiate sono poetiche al punto giusto, per una ragazza di periferia non sei niente male.
Mantieni bassi gli standard.

Quello che sfugge alla razionalità è quanto adatta sia, tutta questa situazione. Arricciare le narici, svuotare lo stomaco nel cesso, coprire i lividi con bende acetate.. è tutto perfetto al punto da farti venire le lacrime agli occhi. Passeresti la notte a piangere su quanto vada tutto bene, resteresti rannicchiata solo per tenerti stretto il momento perfetto.
Le orecchie bollenti e la gola che brucia, il petto si espande sempre meno. Kenyatta steso accanto a te, anche questa è una comodità.
Chi potrebbe bilanciare il male, se non ci fosse lui?
A volte soppesi la sua mano tra le tue e sorridi al pensiero di quanto sia possente. Quando si abbatte sulle labbra e la rabbia incrina il costato.. quella è l'occasione di sentirti al tuo posto. La grazia del non avere limiti. L'assoluzione nel farsi guidare dall'eco di un pensiero fisso.
Se lui si allontanasse anche solo per una giornata, resteresti senza aria.
Quale veleno potrebbe mai annerirti l'anima, quale assurdo sostituto dovresti mai cercare?

Ti commuove pensare a come tutto vada per il verso giusto, il lavello ancora pieno di vetri rotti e cinque punti di sutura nell'interno coscia.
Puoi quasi guardare il cielo, con quegli occhi neri non vedresti nulla in ogni caso.
  
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