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Autore: mattmary15    31/01/2015    1 recensioni
Il sangue sulle mani colava a sporcare i polsini dell’uniforme. Il battito del suo cuore, accelerato e assordante, lo faceva respirare a fatica. Gli occhi sbarrati e fissati sul corpo esanime della donna. Uno squarcio profondo l’aveva aperta dalla clavicola destra al fianco sinistro.
“Mei”, sussurrò senza avere il coraggio di guardare il cadavere.
Prese un respiro più profondo e abbassò il capo. Mei aveva gli occhi blu ancora aperti. Il viso contratto in una smorfia di paura e dolore. Desiderava con tutto il suo cuore passarle una mano sul viso. Forse per chiuderle gli occhi, forse per darle quella carezza di cui l’aveva sempre privata.
Il contatto fisico tra un celebrante e un alfiere è proibito se non è finalizzato alla battaglia. Strinse in un pugno una ciocca dei suoi capelli ramati e fissò lo sguardo sulla profonda ferita che l’aveva quasi spezzata in due. Voleva imprimersi nella mente quel dolore. Voleva fare in modo di ricordare per sempre cosa significa far parte dell’Elité.
“Siamo solo carne da macello, Mei. Non esistiamo come individui. Siamo armi da combattimento. Possiamo morire o vivere per ricominciare a combattere”.
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Tokyo, Maggio 2515

Non c’era verso di fare andare le cose per il verso giusto.
Per quanto Maki provasse, Kei sembrava chiuso in se stesso e senza alcuna volontà di darle una chance. Questo suo atteggiamento le dava talmente sui nervi che, in un paio di circostanze, aveva persino sfogato la sua frustrazione su Akito durante gli allenamenti comuni.
Shogi le aveva detto che doveva avere pazienza in quanto la morte di Mei era ancora tropo recente perché il suo CPF si riprendesse completamente, eppure Kei era tornato al suo livello di sempre. Solo con lei si comportava in modo talmente indolente da rendere praticamente insufficienti le loro prestazioni in battaglia. Maki aprì la finestra della grande veranda dello Skytree e respirò a pieni polmoni.
“Forse la morte di Mei non lo ha lasciato indifferente come dice,” sussurrò a se stessa “forse dovrei informarmi su com’era questa Mei!”
A Maki non piaceva rivangare il passato. Né quello delle altre persone, né il suo. Probabilmente perché il suo passato faceva schifo. Strinse il maniglione della porta finestra e si fermò senza rientrare. I suoi capelli rossi le finirono sugli occhi e si ritrovò a pensare che probabilmente non aveva il diritto di tormentare Kei Sato. Non lei che era nell’Elité per scontare i suoi crimini. Non lei che aveva il sangue di suo padre sulle mani. Rientrò nel lungo corridoio e raggiunse la stanza di AI. Non appena varcò la soglia della camera del computer centrale, AI la salutò.
“Benvenuta celebrante Hosoda. Cosa posso fare per te?”
“Ho bisogno del file di Mei Hinata, AI.”
“E’ materiale classificato, celebrante Hosoda”, rispose la fredda voce robotica frustrando le aspettative della ragazza.
“Ne ho bisogno per esigenze, diciamo, tattiche. Devo studiare il modo di migliorare l’approccio con il mio alfiere.”
“Impossibile. Per questo genere di documentazione, occorre un’autorizzazione di livello alfa.” Maki si strinse nelle spalle e si voltò per uscire. La voce di AI la trattenne.
“Ho controllato tutti i dati di Hinata Mei. C’è un file non classificato. L’ho scaricato sul tuo pad, celebrante Hosoda.”
Maki attivò il suo pad da polso e visualizzò il file di cui le aveva appena parlato AI. Hinata si era diplomata con il massimo dei voti all’Accademia ed era entrata nella squadra rossa dell’Elité. Il suo legame con Sato era quello con il coefficiente di sincronia più alto. Avevano abbattuto diversi Golem defcon cinque e sempre grazie ad una sorta di sviluppo della mistycal weapon durante il combattimento. Da quello che diceva il rapporto, più Kei affrontava pericoli maggiori, più la forza psichica di Mei cresceva.
Maki ripensò alla spiegazione del funzionamento delle mistycal weapon. Il celebrante indossava metà dell’arma, la weapon in grado di canalizzare la forza psichica del celebrante nella seconda metà dell’arma, la mystical. Attivato il legame, l’alfiere usava la forza psichica del celebrante per dare energia alla mystical.
Più il legame si intensificava, maggiore era la forza a disposizione dell’alfiere nella mystical. Ovviamente il celebrante risultava facilmente esposto ad attacchi diretti di un eventuale avversario dovendo isolarsi dal resto del terreno di scontro per mantenere la concentrazione necessaria a tenere in essere il legame. L’alfiere inoltre, dovendo canalizzare la forza della mistycal sul nemico, doveva usare la maggior parte delle sue energie per combattere. Hinata era morta proprio per questo. Il nemico si era avventato direttamente su di lei e quella ragazza, piuttosto che spezzare il legame per proteggere se stessa, aveva preferito mantenere il legame fino all’ultimo per tenere al sicuro Kei.
Che tipo di sentimento li legava? Maki si chiese se Hinata non amasse quel ragazzo scontroso se era arrivata al punto di morire per lui.
E Kei amava Mei? Per questo era così insofferente all’idea di sostituirla? Spense il pad e lasciò la stanza. Raggiunse la palestra poiché sapeva che l’avrebbe trovato lì.
Come poteva fargli capire che non voleva prendere il posto di Hinata ma solo quello di celebrante della squadra rossa? Lei voleva solo combattere. Ne aveva bisogno, proprio come diceva Akito. Lei era un animale da arena. Se non poteva battersi, non esisteva.
Kei era al bilanciere come suo solito.
“Sato, eccoti qua”, disse con il suo solito tono aggressivo. Lui non rispose e continuò a sollevare i suoi pesi disteso sulla panca e abbassando e alzando le braccia con un ritmo regolare “ho bisogno di parlare con te.”
“Io no”, rispose lui senza guardarla.
“Non essere insolente! Sono stufa di fare figuracce durante gli allenamenti!”
“Trovati un altro compagno, allora!”
“Non posso. La mistycal rossa è tua!”
“Allora convinci Yoshiki ad assegnarla ad un altro alfiere. L’Accademia pullula di giovani volenterosi come te.”
“No. Io voglio te!” Gridò Maki stringendo i pugni. Il bilanciere cadde per terra e lei si ritrovò ad un palmo dal naso dagli occhi fiammeggianti di Kei.
“Ti ho già detto che non faccio coppia con te. Se insisti farai solo altre figure di merda.”
“Perché? Sono in grado di dare energia alla mystical come qualunque altra celebrante. La differenza è che, con me, potresti toccare un livello di sincronia che non hai mai sperimentato! Neppure con la tua Mei!”
Uno schiaffo la raggiunse in pieno viso ma lei rimase in piedi a fronteggiare la sua collera.
“Sparisci”, disse lui incapace di controllare la sua rabbia.
“Io non sono ancora morta. Sparirò come tutti gli altri rifiuti umani dell’Elité quando non servirò più” gli sputò in faccia Maki. A quelle parole, Kei sentì la collera scemare. La guardò dritta negli occhi e capì che non stava scherzando. Quella mocciosa sapeva che era così. Erano davvero macchine da guerra da usare fino a che non si fossero rotte. Dopo sarebbero divenuti rifiuti. Le afferrò un polso e glielo sollevò.
“Schiaffeggiami”, disse chiudendo i suoi occhi blu. Maki lo guardò con aria interrogativa “Se devi fare coppia con me, devi essere in grado di farmi del male. Dovrai giurarmi che non anteporrai mai la mia vita alla tua.” Maki sgranò gli occhi. Possibile che avesse sbagliato a giudicarlo insensibile e indolente e che quel ragazzo volesse semplicemente proteggerla? Kei sorrise malignamente immaginando i pensieri della ragazza. “Non farti strane idee. Non si tratta di nulla di sentimentale. Credo fermamente che verrai uccisa durante la nostra prima vera missione. Tuttavia, se devo sopportare una celebrante, meglio che sia una che ha il fegato di guardarmi in faccia. Sappi che non ti parerò quel bel culetto che ti ritrovi. Se fai schifo o mi dai problemi in battaglia, sono cazzi tuoi.” Maki annuì e si liberò dalla presa di Kei. Lui continuò a fissarla e lei, di rimando, gli restituì il ceffone di prima. Kei si toccò la guancia arrossata.
“Ben fatto, stronzetta.”
“Non osare più chiamarmi così!” gridò lei. Kei raggiunse il suo asciugamano, lo prese e guadagnò l’uscita della palestra.
“A domani, stronzetta!” Maki urlò ma, quando la porta elettronica si chiuse, sorrise. Ancora un po’ e sarebbe tornata a calpestare l’arena.
Alcuni giorni dopo fu fissata una prova speciale. Seijuro Yoshiki si presentò personalmente a Skytree per supervisionare l’uso delle mystical weapon nella versione 2.0 messa a punto dopo la morte di Hinata. Prima di allora non era mai accaduto che uno degli ESP traditori che ora combattevano contro l’Elité attaccassero con più di un Golem. Eppure Hinata era morta per questo. Qualcuno l’aveva attaccata mentre il suo alfiere combatteva a propria volta un Golem. Il super computer AI aveva raccolto tutte le informazioni a disposizione dell’Elité sull’accaduto e aveva implementato le armi con una nuova funzione. Con il nuovo sistema operativo, il celebrante poteva usare la weapon per attivare una sorta di scudo elementale. Fu Ryu, che era sempre il più attento di tutti ad aprire il valzer di domande.
“Uno scudo elementale? In pratica trasformerete i celebranti in una nuova generazione di guerrieri ESP”, disse sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando di sottecchi Yui Takahata che rimaneva sempre in disparte durante quelle riunioni.
“Non è esatto”, disse una voce alle spalle di Yoshiki. L’uomo, che vestiva un camice bianco, si palesò e Ryu credette di avere un’allucinazione. Davanti a loro se nestava con una cartellina dati in mano il dottor Masamune Miyazaki. Ufficialmente il professor Miyazaki era morto durante l’Esplosione. Si trattava di uno degli scienziati che aveva dato alla luce la tecnologia dei Golem. Poiché lavorava alle dirette dipendenze dell’imperatore, Miyazaki era sempre stato indipendente dal resto dell’esercito e si raccontava che i terroristi che avevano dato luogo all’Esplosione volessero principalmente porre fine alla sua vita ed impadronirsi di alcuni suoi studi. “Il mio nome è Miyazaky Masamune. Da oggi seguirò io i vostri cicli di allenamento fisico e psichico. La dottoressa Izumi mi farà da assistente. La conoscete tutti, non è così?”
La donna dai capelli ramati e occhi verdi, anch’ella in camice bianco, che gli si affiancò, fece un occhiolino e sorrise.
“Li ho seguiti tutti io fino ad oggi, professore. Mi auguro che trovi il lavoro svolto soddisfacente.”
“Se non si tratta di trasformarci in ESP, di cosa si tratta allora?” intervenne Shogi che ciondolava i piedi seduto su uno sgabello.
“Dottoressa Izumi, proceda”, disse il professore e Ise Izumi ordinò ad AI di aprire la custodia delle mstycal weapon. Una nuvola di vapore si sprigionò nell’aria non appena il sigillo fu aperto e la parte superiore della custodia si sollevò.
Sul parte superiore della custodia stavano fissate le mystical, in quella inferiore le weapon. La prima da destra era una specie di cilindro metallico striato di nero lungo venti centimetri e con un diametro di quattro.  Era la mistycal della squadra nera chiamata ‘Amon’. Nella parte inferiore della valigia, in linea con Amon, c’era la weapon corrispondente, Kunzis, avente la forma di bracciale da avambraccio su cui era inciso una sorta di microchip nero.
Affianco ad Amon faceva bella mostra di sé la mystical della squadra bianca, chiamata Rashaverak, avente la forma del riser di un arco. In corrispondenza stava un guanto completamente bianco definito Jadeis.
Seguiva la mystical della squadra verde, Barbatos, un sorta falcetto di metallo striato di verde. La sua weapon era un collare di colore verde detto Zoisis. Infine, sul lato opposto della custodia, stava un’elsa di spada di metallo rosso. Era chiamata Astharot. In corrispondenza una cintura sottile rossa e argento: Nefrit.
I ragazzi le guardarono come fossero pietre preziose e ognuno di loro rimase nella trepidante attesa di poterle impugnare. Miyazaki parlò.
“Abbiamo implementato le armi. Nefrit è stata riparata”, disse e Kei strinse un pugno pensando che lo squarcio che aveva aperto il delicato corpo di Mei aveva tranciato di netto anche Nefrit “ora potete usarle di nuovo. Dobbiamo capire i limiti della nostra tecnologia per evitare che tragedie come quella del mese scorso si ripetano”, concluse guardando Sato. Yoshiki fece un passo avanti.
“Bene, formeremo le coppie. Takahata, a te Jadeis. Kawari, prendi Rashaverak; Rintaro, Dezaki, a voi Barbato e Zoisis; Sato e Hosoda, mi raccomando con Astharot e Nefrit; Konai, a te Amon mentre per Kunzis stavolta useremo Namura. Matsumoto, tu farai da riserva.”
Il ragazzo, abituato a rimanere nelle seconde linee, si sedette su uno sgabello e osservò i suoi compagni che si preparavano.
Kei afferrò Astharot e sentì qualcosa tirare dentro. Usare quell’arma di nuovo significava rinnegare la sua decisione di sparire insieme a Mei, di rinunciare, di cadere con lei nell’oblio. La stava tradendo? Guardò i suoi vecchi compagni. Kawari aiutava Takahata a regolare Jadeis. Sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione, probabilmente perché Yui era il tipo di persona che, per quanto sembri evanescente, sa sempre fare la cosa giusta. Shogi litigava con quella strana ragazza che era la sua celebrante. I suoi occhi però sembravano sereni. Si voltò e fissò il suo sguardo su Jin. Sembrava l’unico sofferente. Se ne dispiacque. Aveva sempre pensato che Jin fosse fuori posto nell’esercito. Yoshiki gli si avvicinò per controllare il suo CPF così glielo chiese.
“Se c’è già una celebrante per la squadra nera, perché tenete qui Matsumto?”
“Non sono affari tuoi. Pensa a non far saltare in aria Hosoda. Non abbiamo celebranti rossi altrettanto dotati al momento.”
“Al momento. Può darsi che se i Golem sventrino anche lei, ne spunti fuori uno migliore!”
“Non sarai esentato dai tuoi doveri neppure se ti rendi disgustoso, lo sai vero? 345/350. Sei leggermente sotto il tuo limite.”
“Basterà. E’ solo una fottuta esercitazione”, concluse Kei raggiungendo Hosoda. La ragazza dissimulava il nervosismo ridendo a squarciagola.
“Sato, li distruggeremo, non è vero?”
“E’ solo un’esercitazione. Chi vorresti distruggere?”
“Akito! Quel maledetto. Giurami che li batteremo oggi!”
“Tu pensa a non farti male con quella cosa”, le disse indicando la cintura. Lei la toccò orgogliosa e lo guardò con uno sguardo di sfida. Sato prosegui, “Tu concentrati e basta. Al resto penso io, stronzetta.” La voce di Miyazaki li richiamò.
“Raggiungete i posti che AI vi trasmetterà via radio. Non ci sono minacce Golem al momento ma state comunque in guardia. Un’ultima cosa. Abbiamo dotato le weapon dello scudo elementale. Fuoco per Nefrit, aria per Jadeis, fulmine per Kunzis e acqua per Zoisis. Non usateli se non è necessario. Sappiate che i danni subiti dallo scudo si scaricano sull’alfiere. Al momento non siamo stati in grado di impedire il vicendevole scambio di energia tra le weapon e le mystical.”
Gli otto ragazzi si guardarono e uscirono dalla sala di AI pronti a ricevere le rispettive istruzioni.

Osaka, aprile 2512

Kei ricadde sulla sedia gettando l’asciugamano bagnato di sudore in terra.
“Maledizione”, sussurrò digrignando i denti “è impossibile.”
Era stato davvero convinto di potercela fare questa volta. Diventare l’alfiere. Essere ammesso alla sala delle mistycal weapon e impugnare Astharot. Aprì il palmo della mano destra e immaginò come potesse essere maneggiare un oggetto simile.
Guardò la cornice elettronica sulla sua scrivania e l’afferrò. L’accese e lasciò che le immagini scorressero davanti ai suoi occhi. Prima quella di una bimbetta bionda che si stringeva a due ragazzini, poi quella che lo ritraeva insieme ad un ragazzo un po’ più alto di lui dai capelli biondo chiaro che sorrideva. Nella memory card di quella cornice c’erano tutti i suoi ricordi più cari. La spense e il vetro gli rimandò l’immagine del suo viso stanco. La posò malamente sulla scrivania e la sua mano indugiò sul cestino dei dolcetti di Nanase.
Aveva fallito. Di nuovo. Era quella la sua condanna per aver tradito il suo migliore amico? Per aver fatto in modo che fosse il suo nome e non quello di Nanase a comparire sul monumento enorme di marmo bianco e platino elevato a memoria delle vittime dell’Esplosione? Chiuse gli occhi.
“Mi tormenterai per sempre, vero Kazuki?” disse un attimo prima che bussassero alla sua porta. Probabilmente era Shogi che voleva sapere l’esito del suo esame. Si rifiutò di aprire. Bussarono di nuovo. In preda alla stizza del momento, raggiunse la porta e l’aprì di scatto pronto a sputare veleno sul suo amico.
Fuori però, nella sua fiammeggiante divisa rossa, c’era Mei. Kei sbatté gli occhi un paio di volte per capire se potesse realmente essere lei.
“Mei, cosa ci fai qui?”
“Posso entrare?”
“Sì, certo”, disse lui spostandosi e lasciandola passare “hai bisogno di qualcosa?” Mei scosse il capo.
“Sono venuta per dirti che il fallimento di oggi non è colpa tua.”
Le parole di Mei lo colsero di sorpresa. In effetti Mei, appartenendo alla squadra rossa, aveva potuto assistere alla prova di Kei e si era fatta un’idea precisa dell’accaduto. La ragazza proseguì.
“Hai fatto tutto ciò che dovevi. La celebrante che ti hanno assegnato non ha fatto che ostacolarti. Avresti dovuto dirlo al capitano che ha supervisionato la prova. Io l’ho percepito chiaramente.” Kei rise.
“Mei, se l’hai percepito tu, credi che non l’abbia registrato AI?”
“E allora? AI è solo un computer”, fece la ragazza raggiungendo la finestra e guardando fuori.
“AI decide se la prova deve essere considerata come superata o meno. Il suo parere, Mei, è l’unico che conta. Devo diventare più forte. Conta solo questo.”
Mei si voltò e gli prese una mano. La sollevò e la girò posando il suo pollice sul polso dove le vene più grandi passavano appena sotto pelle.
“Cosa ti scorre nelle vene, Kei?” chiese lei guardandolo negli occhi.
“Credi che sia un insensibile?”
“Dimmi solo cosa ti scorre, fisicamente, nelle vene.” Kei sollevò lo sguardo al cielo in un gesto d’impazienza.
“Sangue.”
“Non circuiti, giusto? Non sei una macchina. Non puoi battere AI al suo gioco ma AI non può battere noi al nostro. Siamo esseri umani, non mostri. Il sangue che ci scorre dentro, quello che forse un giorno perderemo in battaglia, ci rappresenta, ci fa umani. Io non voglio diventare come gli ESP che si sono ribellati ad AI e hanno distrutto il nostro mondo, spezzato ciò che eravamo. Non voglio vivere nel terrore delle sirene che suonano, di quei lampi rossi che oscurano il cielo. Io vorrei essere d’aiuto. Forse tu non avrai più bisogno di me un giorno, ma hai bisogno di me ora. Lascia che sia io la tua celebrante la prossima volta. Io so cosa ti scorre nelle vene, so chi sei. E non ho paura di te.” Kei lasciò che lei tacesse poi, chiudendo gli occhi, parlò.
“Io non sono in grado di fidarmi di nessuno.”
“Non è vero”, disse Mei guardando il cestino di dolcetti sulla scrivania “tu ti fidi di lei. Dato che è mia cugina, non potresti darmi almeno il beneficio del dubbio?”
“Perché?”
“Perché sono simpatica?” scherzò lei.
“Perché lo fai?” disse in tono grave lui.
“Nanase è una sorella per me. Lei non ha nessuno. Ora che Kazuki è morto, non serve più alla sua famiglia. L’hanno generata col solo scopo di darla in moglie ad un membro della famiglia imperiale. Tu l’hai salvata. Non voglio che te ne penta per il resto della tua vita. E poi c’è qualcosa in lei che non va. Io voglio proteggerla. Non riuscirei a farlo da sola ma posso farlo con te.”
“Non mi sono mai pentito di avere scelto Se-chan. Non hai nulla da temere. Ho intenzione di proteggerla comunque. E lei non sarebbe felice se ti accadesse qualcosa.”
“La mia posizione nella famiglia Hinata mi impone di far parte dell’Elité comunque. Tanto vale allearmi con il migliore, non credi?” Kei sorrise e le tese una mano.
“Sia ben inteso che non credo a nessuna delle cose in cui credi tu. Cambierei il mio sangue con mille circuiti se servisse a diventare l’alfiere rosso.” Mei la strinse e sorrise.
“E tu perché lo fai, Kei?”
“Perché io sono un Oni*. E ho fatto un giuramento. Non ti serve sapere altro.”
“Non posso prendere un dolcetto, vero?” Chiese lei con ironia.
“Non pensarci neppure!” fece Kei ridendo.
“Allora vado. Ci vediamo domani, ok?”
Mei lasciò la stanza senza aspettare neppure la risposta del ragazzo. Quando la porta si chiuse, Kei tornò alla finestra.
“Non ho mai pensato di creare un’alleanza con qualcuno in questo posto. Non credo neppure che sia una buona idea. Mei sembra convinta e su una cosa ha ragione. Nanase non ha più nessuno.”
Si girò di nuovo a guardare il cestino e sentì l’esigenza di uscire a prendere aria. Caricò il lettore digitale di musica e infilò gli auricolari. Tirò il cappuccio della tuta rossa sulla testa e scese nel parco. Non aveva intenzione di correre. Era stremato. Camminò per una buona ventina di minuti addentrandosi nel bosco intorno al lago artificiale dell’Accademia. Il rumore di alcuni rami spezzati lo attirò vicino ad una siepe di rose. Un cucciolo di pastore tedesco tentava di divincolarsi dai rovi e guaiva. Kei si sfilò gli auricolari e si chinò ad aiutarlo. Mentre lo tirava fuori dal roseto, alcune spine gli punsero il dorso di una mano. In quel momento due studenti del terzo anno della squadra nera, uscirono dal folto del bosco. Uno di loro indicò il cane.
“Ehi! Quel cane è nostro. Consegnacelo!” esclamò un tizio alto e biondo. Kei sentì il cucciolo tremare tra le sue braccia.
“Sicuro che è vostro?” chiese Kei con il tono seccato che di solito riservava alle persone che non gli piacevano.
“Dacci quel cane!” s’intromise l’altro ragazzo che invece era bruno e più basso del primo.
“Altrimenti?” fece Kei posando il cane a terra.
“Avrai un mucchio di guai”, gli rispose il bruno.
Kei li osservò con attenzione. Sembravano sicuri di sé. Non poteva conoscere il loro CPF ma erano nella squadra nera e ciò significava che non doveva sottovalutarli. Kei aveva imparato, nel primo anno all’Accademia, che AI sceglieva le squadre cui assegnare gli studenti in base ad alcune caratteristiche fisiche e psicologiche. Accadeva così che i ragazzi particolarmente introversi e sensibili finissero nella squadra bianca così come quelli più espansivi e socievoli fossero attribuiti a quella verde. Nella nera si ritrovavano quelli più aggressivi e spregiudicati. Kei doveva fare quindi molta attenzione a provocare due ragazzi come quelli. Fu il cane a distrarli nel momento in cui prese a correre verso l’interno del bosco. Il ragazzo alto e biondo si lanciò al suo inseguimento mentre quello bruno bloccò Kei.
“Lascia perdere quel cane!” urlò quest’ultimo.
“E tu lascia perdere me”, disse Kei preparandosi a fare a pugni. L’urlo li fece voltare entrambi. Kei sentì una paura che non provava da quell’orribile giorno. Vide tutto nero e l’immagine di quella mano tesa versa di lui come l’ultima disperata richiesta d’aiuto che lui non è in grado di afferrare. Si precipitò nella direzione da cui era provenuta la voce e la vide.  Seduta in terra come fosse stata urtata da qualcuno con il cucciolo di pastore tedesco stretto al seno. Il ragazzo biondo la teneva per un polso. Lei nella sua uniforme blu cercava di divincolarsi. Kei si fiondò sul ragazzo vestito di nero e lo colpì con un pugno in pieno viso. Il biondo tentò di reagire e fu prontamente aiutato dal suo compagno che afferrò Kei per le spalle e lo tenne fermo affinché l’altro potesse colpirlo ripetutamente. Nel vedere Kei coperto di sangue, la ragazza gridò ancora.
“Basta!” fece lasciando andare il cucciolo “Basta, ho detto!”
Come fossero due androidi privati di energia, i due membri della squadra nera si bloccarono e la guardarono.
“Basta, vi prego. Lasciatelo andare.” I ragazzi del terzo anno mollarono la presa su Kei che ricadde in ginocchio.
“Non è più divertente, andiamocene”, disse il biondo a quello più basso e tutti e due si allontanarono sparendo nel fitto del bosco.
“Kei, stai bene?”
“Che diavolo ci facevi qui da sola, Se-chan”, disse Kei passandosi il dorso della mano sul labbro inferiore spaccato e guardando finalmente Nanase negli occhi.
“Correvo, come te.”
“A quest’ora?”
“Avevo bisogno di stare un po’ sola.”
“Ti sei fatta male?”  Nanase rise mentre lui  e lui la guardò con un’espressione perplessa “Perché ridi?”
“Perché sei coperto di lividi e chiedi a me se mi sono fatta male. No, io non mi sono fatta male. Tu sì, invece.”
Kei si guardò la mano sporca di sangue e sorrise a propria volta. Nanase gli tamponò le ferite con l’asciugamano che portava sempre intorno al collo durante le sessioni di allenamento.
“Tu perché ridi?”
“Perché, a quanto pare, nelle mie vene c’è sangue.”
“Testone! Che altro dovrebbe esserci?”
“Circuiti magari! O veleno.”
Nell’udire quelle parole che erano state dette con un tono ironico e allegro, Nanase cercò con la mano il cucciolo che si era nascosto tutto il tempo dietro di lei e lo tirò a sé.
“Non mi piace quando parli così,” disse guardando l’animale che faceva le fusa. Kei tornò serio.
“Era solo una battuta. Non dovresti prendermi troppo sul serio.”
“E’ solo che vorrei che tu fossi un po’ più felice, Kei” fece come se fosse una cosa di vitale importanza per lei. Kei comprese il suo stato d’animo.
“Lo sarei se tu non facessi sempre il possibile per finire nei guai. Ammetto però di non sapere come hai fatto a convincere quei tizi a lasciarmi andare.” Nanase sorrise ma la sua espressione mantenne un non so che di triste.
“La preside Izumi dice che ho la capacità di entrare in sintonia con le persone. E’ per questo che mi ritrovo questa addosso”, disse indicando la felpa blu.
Kei fu attraversato da un brivido. Gli tornò alla mente una sera d’estate di qualche anno prima. Lui e Kazuki passeggiavano nel giardino zen del palazzo imperiale e parlavano del fatto che Nanase fosse cresciuta. Che sembrava improvvisamente una donna. Kei lo prese in giro dicendogli che non aveva il minimo senso del pudore. Nanase era cresciuta con loro, come poteva guardarla con occhi diversi da quelli di un fratello? Kazuki aveva risposto dicendogli che era felice di apprendere che lui non aveva altri occhi che quelli del fratello per guardare la loro amica. Gli aveva confessato che, quando si trovava con lei, si sentiva come portato a darle sempre ragione e a provare un sentimento di tranquillità e pace. Kazuki gli disse che si sentiva come se Nanase gli avesse gettato addosso un incantesimo.
Poteva averlo fatto anche con lui? Poteva averlo convinto in qualche modo a tirare lei fuori dalle macerie invece che il suo migliore amico?
Come ogni volta in cui cercava di ricordare cosa era accaduto il giorno dell’Esplosione, nella sua mente si riformò solo l’immagine della mano di Kazuki tesa versa di lui e delle macerie che la ricoprivano.
Scacciò quel ricordo e tornò a guardare la ragazza al suo fianco. Ora sembrava davvero triste.
“Il blu è sempre stato il tuo colore. E io non sarei così ansioso, al tuo posto, di vestire una di queste uniformi. Prenditi il tuo tempo. Magari sarai la prima studentessa a scegliere la sua squadra. Ci hai mai pensato? Seriamente, dico, a quale ruolo saresti più adatta? Non credo che ti piacerebbe combattere, Nanase. Se proprio dovessi farlo, come lo faresti? Combattere nell’Elité non significa solo proteggere gli altri ma anche uccidere.”
“Non sarò mai in grado di uccidere, Kei.”
A quelle parole dette con assoluta determinazione, Kei scattò in piedi e il cucciolo guaì.
“Questo non è il tuo posto, allora! Vattene. Il prima possibile.” La reazione di Nanase colpì Kei peggio dei pugni dei ragazzi della squadra nera.
“Credi che, se avessi potuto, non lo avrei fatto? Credi che io sia felice di essere qui? L’unico motivo che mi rende sopportabile questa vita è sapere che ci siete tu, Mei, Shogi, Jin e Ryu. Le uniche persone che mi abbiano voluto bene per ciò che sono. E poi, spiegami, dove potrei andare una volta lasciato questo posto?”
“Qualunque posto, per te, sarebbe meglio di questo!” urlò Kei puntando il viso contro il suo.
“Non esiste alcun altro posto!” gridò Nanase, a propria volta, con gli occhi pieni di lacrime “Mio padre mi ha ceduta all’Elité! Se lascio l’Accademia, sarò accusata di diserzione e messa in prigione.”
Le parole le erano uscite d’un fiato e Kei non poté fare altro che vederla piangere senza emettere un solo singhiozzo chiedendosi se Mei gli avesse parlato quello stesso pomeriggio conoscendo la verità. Fece un passo verso di lei ma Nanase si portò le mani al petto e si strinse nelle spalle. Lui esitò, poi, guardando il cucciolo di pastore tedesco e non lei, la tirò a sé e la strinse. Non un abbraccio vero e proprio, più che altro le fece da sostegno come a volerle fare intendere che non era sola. Nanase gli si abbandonò contro e strinse la stoffa dell’uniforme rossa.
Rimasero così per qualche minuto, fino a che lei non consumò le lacrime. Senza dire una sola parola.
Il sole cominciò pigramente a calare e l’aria prese a rinfrescare. Nanase si staccò da Kei tenendo il viso basso. Strinse i pugni e trovò il coraggio di parlare.
“Ti prego di non dire a nessuno quello che ti ho detto oggi. Mei si è sempre preoccupata per me. Da quando eravamo bambine è stata più di una sorella maggiore. Lei non conosce la verità ma credo abbia capito che non sono entrata nell’Accademia per mia libera scelta. Non voglio che si preoccupi più del normale. Come al solito parlare con te mi ha aiutata a chiarirmi le idee. Devo aspettare e avere pazienza”, concluse lei sforzandosi di sorridere.
“Non dimenticare che c’è sempre qualcuno che ti guarda le spalle. Non sei sola. Ora hai anche quel cucciolo, no?” Nanase guardò il pastore tedesco fare le fusa. Era adorabile.
“Guarda che è tuo!” disse la ragazza “Non pensare di poterlo affibbiare alla sottoscritta!”
“Non se ne parla proprio. Mai avuto intenzione di prendermi cura di una cosa come quella!” rispose Kei incrociando le braccia e scuotendo la testa. Nanase trovava adorabile anche lui.
“Ma io non posso badare a lui. Ho più corsi di te da seguire!”
“E io che ci posso fare? Per di più quella cosa è femmina!” Nanase sollevò il cucciolo e si accorse che Kei aveva ragione. Esultò.
“Che ne dici se la teniamo a turno? Quando tu hai lezione, la tengo io e viceversa. Sono sicura che anche Mei ci darà una mano e pure Shoji. Va bene?” Il modo in cui Nanase sorrise, convinse Kei.
“A condizione che il  mio turno sia il meno lungo possibile!”
“Andata!” trillò Nanase.
“Andata. Vieni qui, Bara**, da brava!” fece Kei inginocchiandosi e facendosi avvicinare dalla cagnolina.
“Bara?” chiese Nanase.
“Sì, l’ho travata nel roseto là in fondo. Si chiamerà Bara!”
“Mi piace. Dai Bara, vieni dalla tua padroncina!”
Kei la guardò giocare con la nuova arrivata e dimenticò, per qualche ora, la tensione di quella giornata.


Note dell'autrice:
* Oni significa demone. Prevalentemente nella tradizione giapponese gli Oni sono demoni protettori;
** Bara significa rosa.
AI : spiegazioni irrilevani. Il pubblico di questa fanfiction dispone certamente di queste nozioni.
Autrice: vuoi smetterla di intrometterti? Guarda che stacco la corrente!
Voce inquietante: credi che basti così poco per disattivare AI? Ahahahahahah!
Autrice: tu vuoi stare zitta? chi ti ha fatta entrare?
Voce inquietante: io sono nel pacchetto, prendere o lasciare.
Autrice: AI attiva il sistema di difesa per favore!!!
AI : non necessario.
Autrice: questo vorrei deciderlo io!
AI : impossibile. Ogni funzione organizzativa di Skytree compete a me.
Autrice: Aiutooooo!
Bara: Bau!
Autrice: Bara, grazie al cielo, almeno tu ci sei!
Bara: Bau, bau, bau.
Autrice: ok, ho capito, anche stavolta devo vedermela da sola! Un ringraziamento a tutti coloro che leggono, recensiscono e mettono la storia tra le seguite o preferite. Siete tutti adorabili!
Vi aspetto nel prossimo capitolo sperando che questo vi abbia dato qualche cenno in più su cosa sono le mistycal weapon. E finalmente , nel prossimo capitolo, arrivano i cattivi e si combatte!
 

  
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