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Autore: ErikaDanielle    01/02/2015    2 recensioni
- Lui ti ha amato Bilbo Baggins. Era un testardo, e uno sciocco quando si trattava di queste cose. Ma ti ha amato, probabilmente più di quanto abbia mai amato qualcuno nella sua vita.
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Post Battaglia delle Cinque Armate
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dauoalogn
 
You taught me the courage of stars before you left
How light carries on endlessly even after death.
-Saturn, Sleeping At Last
 
 
La prima volta che Bilbo Baggins l’aveva visto, bello, impassibile, possente, davanti alla porta di casa sua, aveva per un istante pensato di star sognando. Sbucato com’era, senza preavviso, dalla notte scura, sembrava tale e quale a uno di quei re tragici e solenni che popolavano le fiabe che sua madre era solita narrargli prima di mandarlo a letto.
Poi Thorin era entrato, con il suo incedere regale e solenne, e aveva probabilmente riso di lui, della sua semplicità, del suo imbarazzo. E Bilbo si era sentito così piccolo, così giovane ed ingenuo di fronte al principe dei nani. Il ruolo che Gandalf voleva a tutti i costi affidargli era apparso semplicemente troppo grande, troppo importante per essere svolto da un hobbit qualunque come lui. Eppure, quando Thorin aveva iniziato a cantare, quando aveva intonato quella melodia remota e struggente che sapeva di leggenda, magia e antichi eroi, di colpo le sue paure avevano vacillato. Per la prima volta dopo molti anni qualcosa si era smosso nel cuore di Bilbo Baggins. E lo hobbit aveva desiderato di vedere le montagne ghiacciate, di solcare boschi selvaggi e assaporare l’acqua indomita delle cascate. L’impulso di lasciare la Contea, di partire con quella bizzarra compagnia, senza voltarsi indietro, l’aveva travolto con tanta violenza che Bilbo aveva dovuto aggrapparsi alla testata del letto per impedirsi di irrompere nella sala da pranzo e accettare la proposta dei nani.
Si era lasciato scivolare lentamente fra le coperte e le note nostalgiche della voce di Thorin l’avevano afferrato e trasportato in un mondo di sogni ed eroi.
 

Era stato però molto più avanti, e dopo aver affrontato diversi imprevisti ,che lo hobbit aveva intravisto forse per la prima volta con chiarezza chi fosse il capo della loro compagnia. Erano appena arrivati a Gran Burrone, e per quanto ci provasse Bilbo non riusciva a smettere di voltarsi, esterrefatto, di fronte all’eterea bellezza che sembrava circondare ogni cosa in quel luogo. Gli edifici slanciati e aggraziati, la musica, i saloni… era come se tutto fosse uscito dalle favole che aveva amato fin da bambino.
Il principe dei nani, al contrario, non sembrava apprezzare molto la raffinata dimora degli elfi.  Solo poco prima aveva scambiato parole astiose con Gandalf, accusandolo di aver pianificato fin dall’inizio di portarli alla casa di Erlond, ed era uscito dalla sala sibilando una serie di improperi incomprensibili per lo hobbit.
Bilbo sapeva quello che c’era da sapere sull’antipatia che da sempre regnava fra le due razze, e si era ripromesso di starsene buono insieme agli altri, di non dare a Thorin occasione di biasimarlo più di quanto il nano non facesse già. Quando però il sole era tramontato e gli elfi avevano cominciato  a intonare i loro canti dolci e remoti non era più riuscito a trattenersi, e facendo attenzione che i nani non se ne accorgessero, era sgattaiolato via, le gambe che tremavano dall’eccitazione.
Aveva attraversato ponticelli sottili sospesi su acque cristalline, e osservato volte di cupole iridescenti intrecciate con fili di luce lunare. Quando infine i suoi occhi avevano scorto l’immensa distesa dei giardini fioriti, bianchi sotto il cielo stellato,  i suoi piedi si erano arrestati e il suo cuore si era riempito di gioia. Il vento estivo soffiava piano, sussurrando melodie  fra le crisalidi dei fiori sbocciati. Ogni cosa era avvolta in un’atmosfera da sogno. Per un attimo Bilbo aveva perso la cognizione del tempo, e lo spazio attorno a lui era come scomparso.
Quando si era riscosso dal torpore aveva voltato la testa con l’intenzione di tornare dai suoi compagni, ma qualcosa lo aveva fatto sobbalzare. Thorin Scudodiquercia si era come materializzato alle sue spalle, senza emettere un suono o un fruscio, quasi  ci fosse sempre stato.
L’aveva forse seguito di nascosto? E come aveva potuto non accorgersene?
- Cosa stai facendo, Mastro Scassinatore?
Bilbo si era mosso su se stesso in preda all’agitazione e dopo un attimo di incertezza aveva tirato un sorriso imbarazzato.
- Guardo il paesaggio… Suppongo.
- Guardi cosa?
Di fronte all’incredulità del nano lo hobbit aveva ridacchiato nervosamente e aveva scosso le spalle. C’era qualcosa nell’espressione di Thorin, qualcosa di così diverso dalla sua solita postura, che nemmeno l’oscurità della sera riusciva a nascondere.
- Il paesaggio. Voi nani non lo fate mai? Fermarsi a guardare ciò che vi circonda?
Per un attimo aveva pensato che Thorin l’avrebbe deriso o compatito. Infondo cosa diavolo poteva importarne ad un principe di un paesaggio?
Ma il nano era rimasto impassibile, il profilo del suo volto scavato nella notte.
- Noi viviamo dentro le montagne. La nostra ricchezza sta nella pietra che ci ha generato, nelle gemme che ricaviamo da essa. Perché dovremmo preoccuparci di guardare i fiori e le stelle?
Bilbo l’aveva osservato con la coda dell’occhio e per la prima volta gli era sembrato di scorgere una stanchezza, un peso infinito gravare sotto gli occhi del principe dei nani. Ed era stato come se lo vedesse allora per la prima volta. Nitido contro la notte, ritagliato fra le stelle lucenti. E aveva desiderato con tutto se stesso di poter allievare almeno una parte di quel fardello insostenibile.
- Non c’è mai un motivo per cui contemplare qualcosa – aveva esclamato con vigore, corrucciando la fronte, e come per dimostrarlo aveva spostato lo sguardo verso i monti e i boschi scuri che circondavano Gran Burrone. Le stelle splendevano in cielo con l’intensità di carboni ardenti. – E tuttavia quando guardo le meraviglie della natura e la luce lontana delle stelle mi sembra di essere meno solo. Come se sapessi di essere parte di qualcosa, di un disegno più grande di me. E questo è un pensiero che calma, non trovi?
Bilbo si era voltato, aspettandosi di vedere il nano annuire e contemplare le stelle come lui aveva fatto. Ma il principe dei nani non guardava affatto il paesaggio notturno, il suo sguardo era fisso su di lui, e per un istante lo hobbit aveva pensato di scorgere una scintilla di serenità brillare negli occhi chiari di Thorin.
 
 
Erano passati giorni, forse settimane da quando la Battaglia delle Cinque Armate aveva avuto termine. Bilbo ne aveva perso il conto ormai, intrappolato com’era fra gli incubi che lo tormentavano durante la notte e il dolore che provava alla luce del giorno. Si sentiva svuotato e stanco, incapace anche solo di piangere. Come se la morte del principe dei nani avesse risucchiato via anche quel poco che rimaneva della sua anima.
A lungo aveva vagato per il campo di battaglia, cosparso di cadaveri di ogni razza, fra le infermerie affollate e le vie distrutte della città di Dale. Alla fine era stato Balin a trovarlo, il buon vecchio Balin, forse l’unico della compagnia che era riuscito a rimanere se stesso dopo tutto quello che era successo.
L’aveva aiutato ad alzarsi, e sorreggendolo in silenzio l’aveva guidato lungo la strada che conduceva ad Erebor, tra il via vai di gente che entrava ed usciva dalla Montagna.
Per Bilbo era stato come fare un viaggio improvviso nel mondo dei ricordi. Ovunque tendesse lo sguardo c’erano memorie che lo attendevano, volti, grida, risate. L’aria di Erebor sembrava contenere troppe cose, troppo passato perché lui riuscisse a sopportarlo.
Alla fine, però, non aveva rivisto la sala del tesoro, né le fornaci ardenti. Balin l’aveva discretamente accompagnato in una piccola stanza, arredata con il minimo indispensabile. Su un basso tavolo di pietra levigata erano stati appoggiati dei vestiti puliti. Lo hobbit li aveva fissati per diversi istanti prima di decidersi a parlare.
- Balin?
Il vecchio nano aveva sospirato.
- È meglio se ti cambi, ragazzo mio, il funerale inizierà a breve e non abbiamo molto tempo a disposizione.
Bilbo aveva sbattuto le ciglia confuso.
- Funerale? – le parole gli uscivano in qualche modo distorte, come se il dolore avesse portato via anche quelle.
Ma invece che rispondergli Balin si era limitato a sollevare una camicia pulita e porgergliela con delicatezza.
- Avanti, ti do una mano a vestirti.
Lo hobbit era rimasto immobile per diversi minuti prima di togliere la giaccia sgualcita. Aveva sfilato meccanicamente i bottoni della camicia, ma prima che potesse levare anche quella aveva avvertito un singhiozzo strozzato alle sue spalle e si era voltato. Balin lo fissava impietrito, con un’espressione indecifrabile in volto.
- Mithril –mormorava fra sé e sé, come se stesse recitando una preghiera. – Avrei dovuto capirlo…
Seguendo gli occhi del nano Bilbo aveva dato un’occhiata alla cotta di maglia che indossava e che Thorin gli aveva donato. Anche lì, nella penombra della stanza, riluceva di un biancore accecante. Come la luce di una stella solitaria. Era incredibile come la battaglia, il sudore e il sangue non avessero per nulla alterato la sua lucentezza. – Sembra un oggetto molto prezioso. Non si è nemmeno sporcata.
Balin aveva annuito lentamente, come se stesse cercando di ricordare qualcosa.
- Quello non è semplice mithril, né una semplice armatura. Pensavo fosse andata persa molto tempo fa, ma i Re Sotto la Montagna devono averla costudita gelosamente insieme all’Archengemma. Si narra che fosse la cotta di maglia di Durin in persona…
Per quanto il vecchio nano cercasse di nasconderlo lo hobbit aveva creduto di vedere una lacrima scivolare lungo la sua folta barba. Doveva essere stata dura anche per lui affrontare tutto quello che era accaduto. Infondo conosceva i membri della compagnia da molto più tempo di lui.
- Ma come è giunta nelle mani di Thorin? – aveva chiesto.
- Ah, si tratta di una vecchia leggenda dei nani, nulla più. Durin la donò a sua moglie, e sua moglie all’ultimo dei loro figli, e così via. Mithril passò di mano in mano, perché chiunque la possedesse potesse donarla alla persona che amava. Thorin l’aveva ricevuta da sua madre molto tempo fa, ma l’aveva poi perduta quando Smaug ci attaccò…
Bilbo aveva fissato esterrefatto gli intrecci perfetti e scintillanti che costituivano la maglia. Di colpo qualcosa si era smosso nel profondo del suo cuore, qualcosa che credeva di aver perso per sempre dopo la morte di Thorin.
- Lui ti ha amato Bilbo Baggins. Era un testardo, e uno sciocco quando si trattava di queste cose. Ma ti ha amato, probabilmente più di quanto abbia mai amato qualcuno nella sua vita.
E finalmente Bilbo aveva pianto tutte le lacrime che gli oscuravano il cuore.
 

Erebor era una cascata di luce. Fra le volte di pietra, negli anfratti di roccia fino ai saloni deserti, dovunque si tendesse lo sguardo le lanterne bruciavano silenziose. Una miriade di lucciole sciamava in circolo sopra le loro teste.
Le tre bare erano state poste infondo al salone principale, sopraelevate in modo che tutti potessero vederle, e intagliate in un marmo tanto chiaro da sembrare diamante.
Per quelle che erano apparse ore i nani avevano suonato ballate antiche come la roccia, intonato litanie in lingue sconosciute, e Dain aveva pregato Mahal che il principe e i suoi nipoti potessero raggiungere senza difficoltà le sale del loro creatore. Fra le mani dei defunti erano state messe le loro armi e Thranduil in persona aveva posto l’Archengemma sul petto di Thorin Scudodiquercia.
Bilbo, in cuor suo, non vedeva l’ora che fosse tutto finito. Desiderava riposare, addormentarsi e risvegliarsi nel suo comodo letto nella Contea. Come se niente fosse successo. E tuttavia quando il suo momento era infine giunto lo hobbit aveva sentito le gambe tremare. Non riusciva a credere che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe scorto il volto del principe dei nani, che avrebbe sfiorato le sue mani fredde, i suoi capelli scuri. Per un folle istante aveva pensato di infilare  l’anello magico al dito e fuggire via. Infondo sarebbe stato così facile… Ma prima che potesse fare qualunque cosa la mano di Gandalf si era appoggiata sulla sua spalla e Bilbo aveva letto negli occhi dello stregone una tacita comprensione, come se l’istar sapesse già tutto, comprendesse già tutto, senza bisogno che lui dicesse niente. E all’improvviso aveva sentito una nuova forza riempirgli lo spirito. E aveva capito che l’avrebbe fatto. Che doveva farlo.
Mettendo un piede davanti all’altro lentamente per non rischiare di inciampare, aveva risalito la scalinata di marmo, oltre la folla mormorante di nani, su, sopra la melodia solenne dei corni e dei flauti, per arrivare a Thorin. Le sue paure, il suo dolore, la nostalgia che gli divorava il cuore, ogni cosa era andata al suo posto quando aveva scrutato dentro la bara bianca. Il viso di Thorin era pallido e severo, ma sulle sue labbra serrate alleggiava una pace che raramente Bilbo aveva scorto nel nano. I suoi capelli neri erano pettinati all’indietro, intrecciati di gemme, e sul suo petto riposavano la spada Orcrist e l’Archengemma. Anche così, disteso sul letto di pietra, pallido come la morte, c’era qualcosa di regale, di leggendario nel suo volto.
Delicatamente Bilbo aveva preso una delle mani che teneva l’elsa della spada fra le sue e vi aveva deposto la piccola ghianda all’interno. Thorin gli aveva detto di tornare a casa, di piantarla e guardarla crescere, ma in qualche modo Bilbo sentiva che non c’era posto migliore di quello. Che la sua vera casa sarebbe per sempre stata a fianco a Thorin, dovunque egli fosse.
E chi lo sapeva? Forse un giorno la quercia sarebbe spuntata lo stesso. Avrebbe sfidato la roccia e l’oscurità di Erebor per guardare il cielo.
Infondo quella era solo una piccola ghianda, e lui un piccolo hobbit. Non certo materiale da leggenda. Fuori, fra le rocce della Montagna, il sole splendeva, il vento narrava fiabe agli alberi di Bosco Atro, il Mare brillava a perdita d’occhio verso Ovest.
 
Io dico che la tomba che sui morti si chiude
Apre il firmamento
E che quando quaggiù consideriamo la fine
Non è che l’inizio.
-Victor Hugo

 
NOTE AUTRICE

Una piccola one-shot senza impegno, ma che per me è davvero importante.
Il titolo viene dalla canzone omonima dei Sigur Ròs, un gruppo musicale islandese davvero incredibile.
Per quanto riguarda la leggenda sulla cotta di maglia di Bilbo, sì, l'ho inventata di sana pianta, chiedo venia a Tolkien  ^-^"
Ringrazio di cuore chiunque passerà a leggere <3
ErikaDanielle


 
  
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