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Autore: AndersonL    02/02/2015    1 recensioni
Shori Haruno ha 20 anni, ha appena cominciato l'università e conduce una vita normalissima, ama le arti (soprattutto la musica) e non riesce a trattenere le lacrime di fronte a un quadro o ascoltando una bella canzone; come se dalla potenza di quell'opera ne traesse un'enorme quantità di energia spirituale.
Una sera la sua quotidianità viene sconvolta: mentre si sta esibendo per un concorso canoro dell'ateneo sviene e, al suo risveglio, trova l'aula magna completamente devastata e vuota; sono presenti solo lei e il suo professore di Storia del Pensiero Politico Contemporaneo (per il quale lei ha un debole), quest'ultimo in evidente stato di choc.
Da quel momento, oltre a sviluppare un forte legame con il suo prof, capirà di non essere una ragazza normale, e anzi dovrà affrontare situazioni molto più grandi di lei. E la musica sarà la sua arma più potente.
Genere: Drammatico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
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C'era un'arietta frizzante, il cielo era terso e si sentiva un allegro vociare per via Cambridge; sembrava che, per Shori, un altro giorno di università fosse cominciato per il verso giusto. Lei scese dall'autobus, inspirò una grande quantità d'aria e tirò un sospiro quasi di sollievo, sorridendo al cielo con gli occhi color ambra ricolmi di gioia.
Shori Ayumi Haruno era una ragazza semplice, senza troppi grilli per la testa. Aveva un fisichetto robusto ma slanciato, un bel visetto tondo, la forma dei suoi occhi era a metà fra la forma canonica di quelli giapponesi e quelli occidentali, labbra piccole e graziose, il naso alla francese, la spalla marchiata a vita da un tatuaggio (un triangolo nero con un pentagramma grigio drappeggiato attorno) che le copriva una strana cicatrice triangolare che aveva fin dalla nascita, e le orecchie sempre coperte da un paio di cuffie.
Da buona amante del vintage andava in giro sempre vestita con camicie a quadri, o con maglie di gruppi rock che andavano forte in quegli anni; ma mai con i pantaloni a zampa d'elefante, li odiava a morte. I suoi capelli erano castani, mossi e tagliati scalati secondo la moda degli Eighties (corti sopra, scalato progressivo e, sotto, a coda di topo). La sua peculiarità era l'enorme capacità di adattarsi a qualsiasi condizione, cosa che le facilitava il fatto di essersi separata dalla sua famiglia per trasferirsi all'altro capo del mondo. E anche per quello che la stava attendendo.
Lei aveva 20 anni, si era trasferita da Tokyo a Roma per studiare Filosofia -in Giappone non c'è molto spazio per le materie teoretiche come questa- a Tor Vergata; quando l'aveva vista sul sito internet non le sembrava male come posticino in cui prendere la tanto agognata laurea; quindi, zaino in spalla! Arrivata a Roma, trovò un lavoretto come barista e un alloggio nella residenza universitaria. E ora eccola lì, con il suo libretto in mano lindo e pinto, pronto per essere riempito di 30 e lode.

Tirò fuori dalla sua agendina il foglio orari, dandogli una rapida occhiata: a quell'ora avrebbe dovuto avere Storia del Pensiero Politico Contemporaneo, nella sala t30. Si diresse verso la sala indicata, lanciando rapide occhiate all'ambiente circostante: gli edifici apparivano austeri e spartani, di un travertino bianco normalissimo, ma dentro si respirava un'atmosfera tranquilla e, a suo modo, gioviale; i colori che dominavano il tutto erano il verde menta e il bianco, in alcuni punti erano state messe anche delle bellissime vetrate. In giro si sentiva il concitato viavai di studenti e professori, che gironzolavano senza requie per i locali.
L'aula dove si teneva la lezione era composta di lunghi tavoli che fungevano da banco unico per una lunga fila di sedie. Shori notò che la lavagna dietro la cattedra era pentagrammata, c'era persino un pianoforte appoggiato al muro e alcuni leggii sparsi qui e là. Poggiò la sua borsa sul primo banco e si mise seduta, attendendo che le sue prime due ore di lezione della giornata cominciassero. Lei adorava quella materia: era interessata a scoprire il processo storico del pensiero politico, ed era una fervente ammiratrice delle opere di Jean-Jacques Rousseau; ma quello che più adorava era chi teneva quelle lezioni: il professor Giovanni Dessì. 
Era un tipetto niente male, dal fisico slanciato e mingherlino (sembrava quasi tisico, a tratti); a occhio e croce dimostrava 35-40 anni. Aveva una faccia simpatica e gioviale, con due occhi sgranati da cucciolo sperduto e un mezzo sorriso sempre stampato in faccia. Un curriculum di tutto rispetto da ricercatore universitario completava il quadro.
Entrò in aula di corsa, augurando il buongiorno agli studenti, e posò la sua solita pila di libri sulla cattedra; diede qualche informazione di carattere tecnico alle matricole per quel che riguardava i piani di studio e le iscrizioni (la burocrazia universitaria se la batte con quella statale, per quanto riguarda la macchinosità e i tempi di attesa...) e poi cominciò a spiegare Thomas Hobbes.
Dopo le prime tre frasi, Shori perse la concentrazione; anche se questo accadde per qualche millisecondo il tempo sembrava dilatarsi, così che quegli attimi sembrassero interi quarti d'ora. Non era colpa del fatto di non capire l'italiano (sua mamma era italiana), o della testa che era partita per la tangente, pensando a tutt'altra cosa... "Tutta colpa della sua stramaledettissima voce..." pensava Shori, e non aveva nemmeno tutti i torti: il Dessì aveva una voce ipnotica. Era all'incirca di un'ottava più alta della classica voce maschia stentorea, e nonostante ciò riusciva a non risultare mai irritante; quelle rare volte in cui scoppiava in una sonora risata si fermava il mondo, tanto era squillante e coinvolgente. Aveva anche un leggero difetto di pronuncia, ma ciò era solo una caratteristica che contribuiva a rendere la voce del professore unica nel suo genere.
La ragazza sollevò lo sguardo dal quaderno, rimanendo accecata da uno sprazzo di sole che illuminava il suo banco, e lo rivolse al suo prof; la gestualità accentuata e il bagliore nei suoi occhi tradivano quanto il giovane insegnante amasse profondamente quella materia, e lei non poté fare altro che guardarlo incantata, ricordando i concetti che stava esponendo. Per un attimo, le iridi castane di lui incrociarono quelle ambra di lei; Shori stranamente si sentì a disagio, non aveva nemmeno i capelli abbastanza lunghi per coprirsi gli occhi, i quali per gli altri erano come un libro aperto, da essi trasparivano tutte le emozioni che stava provando, quindi si sentiva come messa a nudo. Il professore dal canto suo vide che la ragazza aveva dei leggeri moti di nervosismo, così le rivolse un mezzo sorriso e distolse lo sguardo. Lei deglutì nervosamente e abbassò gli occhi sul suo quaderno, prendendo appunti.

«Bene, ragazzi, 10 minuti di pausa fra un'ora e l'altra!» come il professore fece quest'annuncio, l'aula si svuotò: alcuni dei frequentanti andarono fuori a fumare, altri andarono a prendere un caffè al bar, altri ne approfittarono per prendere un po' d'aria; nella stanza rimasero solo Shori, il prof e un ragazzo con le cuffie alle orecchie.
Lei si guardò velocemente attorno. "Uff, che nervosismo... Oh beh, non c'è nulla di male se canto un po' per rilassarmi, se lo faccio a bassa voce il prof non mi sentirà!" pensò lei e, con la voce più bassa che poteva, cominciò a cantare "Bonfire Heart" di James Blunt.
«Days like these lead to, nights like this lead to love like ours. You light the spark in my bonfire heart!»
Inconsapevolmente alzò il tono di voce, portandolo da "bisbiglio impercettibile" a "cantata con gli amici". Lei continuò a cantare indisturbata scribacchiando frasi in hiragana sui margini, completamente ignara del fatto che il professore la stesse osservando con uno sguardo a metà fra il perplesso e il divertito. Lui era sinceramente sorpreso: nessuno mostrava mai tanta spontaneità in quell'ambiente austero, tanto meno una matricola. E poi stava cantando con una voce tanto chiara e limpida, era un vero piacere per i timpani ascoltarla. In più le smorfie e i sorrisi della giovane ragazza mostravano che cantava per puro piacere personale, non per farsi notare; a giudicare aveva una passione per la musica a dir poco endemica. Alla fine della fiera, James Blunt nemmeno gli dispiaceva.
«People like us, we don't need that much. Just someone that starts, starts the spark in our bonfire hearts!»
Alla fine Shori tirò un sospiro di sollievo, si era liberata di quella tensione che l'ambiente universitario -freddo e austero- le creava. Sorrise e tirò su lo sguardo, incontrando quello del professore, che la stava fissando da minuti interi ormai con un sorriso gioviale.
«WAH!» Shori trasalì.
«Ehi, si rilassi» disse il professore, allertato da quella reazione. «Non stava facendo nulla di male!»
Lei si ricompose in un attimo, e con un filo di voce disse: «Ho alzato troppo la voce... Spero di non averla disturbata...»
Il professore rise sonoramente. «Disturbarmi, scherza? Una canzone non disturba nessuno, in pausa, e James Blunt non è nemmeno tanto male!» Si avvicinò dove era seduta Shori. «E, in confidenza, lei ha una bellissima voce.»
Shori arrossì, abbassando lo sguardo. «Oh beh... Grazie mille, prof...»
Lui sorrise. «Come si chiama, signorina?»
La ragazza chinò la testa in segno di saluto. «Haruno, Shori Ayumi Haruno, prof.»
«Giapponese, quindi! Non le creano problemi le lezioni in italiano?»
«Oh, no no! Mia madre è italiana, sono bilingue e con doppia cittadinanza!»
«Perfetto, allora! Si trova bene qui a Roma?»
«Alla grande, grazie!»
Il professore, sorridendo, le poggiò un foglietto sul quaderno, che diceva: "Grande concorso canoro dell'Università di Tor Vergata! Fino a 5 canzoni per partecipante! Iscrizioni aperte fino al 20 ottobre, esibizione finale il 25 dello stesso mese nell'Aula Magna della facoltà di Economia e Commercio. Per le prove verrà messa a disposizione l'aula t12 della facoltà di Lettere e Filosofia. Primo premio: un buono Amazon da 150 euro. Accorrete numerosi!".
«Perché non prova a partecipare? Ha tutte le carte in regola per vincere!»
Shori lesse velocemente il foglietto e rimase di sasso: il professor Giovanni Dessì, l'insegnante più figo della facoltà di Lettere, colui che raccoglieva rispetto e birre offerte ovunque, la stava spronando a farsi sentire da mezzo Ateneo. Era sorpresa, ma la cosa le piaceva da matti. E poi un buono Amazon da 150 euro non è mica cosa da tutti i giorni! Già pregustava tutti i vinili che si sarebbe comprata con il primo premio.
«Oh! ...Beh, perché no, sembra fico! Arigatou, professore, gentile da parte sua!»
Il Dessì sorrise, e tornò alla cattedra, dove non la mollò un secondo con lo sguardo. Durante la seconda parte della lezione, gli scambi di sguardi si fecero sempre più frequenti; in quella ragazza ci vedeva qualcosa di particolare. Qualcosa che non si vedeva tutti i giorni, di addirittura anomalo. Le sue iridi color ambra avevano una luce così particolare che a Giovanni venne da pensare che la signorina Haruno non fosse addirittura umana. Bollò quei pensieri come assurdi e senza senso e continuò la lezione, senza perdere di vista la ragazza nemmeno per un secondo.
Alla fine della lezione, tutti gli studenti salutarono il professore, passandogli davanti.
«Arrivederci, prof!»
Giovanni posò la mano sulla spalla di Shori, e le parlò in un tono quasi supplichevole, molto inusuale per essere quello di un docente universitario.
«Si faccia valere, signorina! Il suo è un dono, non lo lasci morire.»
Lei rimase interdetta: in Giappone nessun insegnante parlava in quel modo ai propri studenti, anzi già è tanto se non li saccagnano di botte quando sbagliano... Forse in Italia adottavano sistemi diversi, lei si ripromise di parlarne con la madre in chat la sera stessa. Rispose al professore con un rapido cenno di assenso e si dileguò fra la folla.
Il professore si diresse verso il parcheggio, pronto per tornare a casa. Ma come gli era venuto in mente di parlare in quel modo a quella ragazza? Era una matricola, oltretutto, doveva imparare che i professori non devono dare confidenza ai propri studenti! Ma ormai la frittata era fatta. Comunque la signorina Haruno non sembrava una di quelle tipiche civettuole con la segatura al posto del cervello, anzi: era giapponese, abituata a un tipo di educazione molto rigida e quadrata; di certo avrebbe capito che quello era solo un flash. Poi quel modo di cantare, così spontaneo e accorato... Lui tirò su la mano sinistra e si guardò la fede, con aria vagamente nostalgica. Quella ragazza le ricordava in modo tremendo la sua povera consorte, morta qualche anno prima di infarto. Ricacciò indietro le lacrime e montò sulla macchina, dirigendosi verso casa.

La sera stessa, Shori aprì il suo portatile e si colelgò su Skype; la madre era già online da qualche minuto.
Lydia Ferrario-Haruno era quella che si poteva definire la classica "donna in carriera": sempre vestita in tailleur, faceva avanti e indietro per i corridoi dell'ambasciata Italiana in Giappone con la sua ventiquattr'ore sempre in mano; nonostante ciò non fece mai mancare l'affetto a Shori e ai suoi fratelli maggiori. Era una gran bella donna, con i capelli castani chiari, gli occhi azzurri e un'incarnato dorato. Aveva una forte personalità, che le consentì di arrivare in alto con le sue sole forze nell'ambito lavorativo. Shori la adorava, era l'ideale di donna che voleva essere.
Sullo schermo del portatile apparve la scritta [Mamma - Videochiamata in arrivo], Shori cliccò sulla cornettina verde.
«Tesoro!!!» Lydia aveva addosso il suo solito tailleur pantalone nero e i capelli legati insieme a chignon; a giudicare, doveva essere appena tornata dal lavoro. Sembrava sinceramente impaziente di sentire sua figlia.
«Mamma! Come è andata oggi all'ambasciata?»
«Un macello; sai che abbiamo aperto delle trattative commerciali per l'export di generi alimentari tipici in Italia?»
«Figata! E come fate con le normative europee? Sono molto severe sull'importazione di cibi esteri!»
«Eh, appunto per quello è un macello! Stiamo vagliando tutte le aziende agricole e le industrie migliori del Giappone per farle inserire negli elenchi! Ovviamente c'è sempre qualcuno che cerca di infilarsi in maniere.. poco legali..» Lydia fece il gesto della mazzetta.
«Chiaro, chiaro... E voi come gli rispondete?»
Lydia alzò il dito medio, e disse con voce enfatica: «Gli indichiamo la strada per l'ufficio mazzette, divisione di Fan-Koo-Loo!»
Shori rise di gusto a quella battuta; ecco da chi aveva ereditato il suo humour surreale.
«Piuttosto, come va all'università?»
«Beh, bene dai...» Shori ripensò a quanto era successo nelle prime due ore. «Ma senti una cosa... I docenti universitari italiani sono soliti rivolgere confidenze agli studenti?»
«Beh, sono di sicuro più malleabili di quelli qui in Giappone, sai no il metodo Montessori e cose così... Ma perchè, qualcuno ti ha fatto delle avances, ti hanno infastidita?» Lydia tirò fuori un tagliacarte a forma di katana, ridendo. «Gli hai detto cosa succede alle loro pallette se ti torcono un capello?»
«Ahahah! No, mamma, nessuna avance, nessun fastidio! Solo che forse non sono abituata...»
«Oh beh,» la mamma rimise a posto il tagliacarte. «allora è un altro paio di maniche, raccontami tutto!»
E lei seguitò a raccontarle del professor Dessì, dello scambio di sguardi, della canzone e del concorso canoro. Quando arrivarono a questo punto, Lydia mostrò dei lievi segni di preoccupazione, come se sarebbe dovuto accadere qualcosa da un momento all'altro.
«E questo è quanto, ma... Mamma, ti vedo tesa, sicura di stare bene?»
Lydia trasalì.
«EH! Sì, tranquilla... Piuttosto ti ricordi che da bambina ti avevo sempre detto di non cantare troppo accorata? Cioè cantare sì, ma... Non metterci troppo del tuo, ecco.»
Shori si soffermò un attimo a pensare. Effettivamente la mamma non le aveva mai negato la possibilità di cantare, era stata affiancata a uno dei migliori coach vocali del Giappone sin dalla più tenera età. Ricordava in particolare che l'insegnante le diceva di non mettere mai troppa enfasi nella voce. Crescendo, però, si rese conto che quel tipo di insegnamento le aveva "standardizzato" la voce, togliendole ogni traccia di sentimento e animo. Lei memorizzò le parole della mamma, ma si ripromise di fare completamente l'opposto durante le prove.
«Sì, mamma. Mi ripetete le stesse cose da almeno vent'anni, ahahah!»
Lydia si tranquillizzò. «Brava la mia ragazza! Dai, ti lascio andare a dormire, ci sentiamo domani!»
«Ok mamma! Salutami i vecchi della famiglia!» disse la ragazza, riferendosi al padre e ai fratelli maggiori.
«Senza meno! Buonanotte, tesoro!»
«Buonanotte!» [Mamma - Videochiamata terminata - 00:35:15]
Shori guardò lo schermo del portatile con un vago senso di nostalgia. Si era trasferita sei mesi prima dell'inizio dell'anno accademico, era piena di amici che le volevano bene, ma senza la sua famiglia si sentiva sola come un cane. Sospirando, si alzò dalla scrivania, attaccò il foglietto del concorso canoro sulla sua bacheca e andò a dormire.

Nel frattempo, un gruppo di dieci persone si era riunito all'interno di una chiesa sconsacrata nel centro di Roma.
«Allora, quanto ci vuole?» disse una voce di ragazza impaziente. «Dobbiamo aspettare altri vent'anni per caso?»
«Porta pazienza, lo sai che i genitori hanno represso la sua vera natura.»
«Ma io mi domando e dico,» disse una voce cavernosa. «perchè reprimere una natura tanto meravigliosa e potente come la sua?»
«Incomprensione, solo questo. Non hanno compreso le sue vere potenzialità.»
«Oh beh, vorrà dire che aspetteremo ancora.» disse una voce da baritono. «Una cosa è certa: ora sappiamo chi è il sesto Organico, e non lo molleremo un solo istante.»

   
  
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