Serie TV > Spartacus
Segui la storia  |       
Autore: Feds_95    02/02/2015    1 recensioni
- Conservi ancora quella statuetta?- bisbigliò, per non disturbare Nasir, il quale era caduto in un profondo sonno grazie alle erbe contro il dolore di Lucio.
- La conservo per pregare- risposi, sorridendo e arrossendo appena. Non potevo evitarlo quando si trattava di Agron.
- E speri che rispondano alle tue preghiere?-
- Forse non oggi, nè domani, ma un giorno lo faranno.-
- E tu saresti disposta ad aspettare? Per quanto, un mese, un anno, dieci anni? Aspetteresti pur non sapendo cosa hanno in serbo per te, se la morte, la vita o la schiavitù?- mi domandò, avvicinandosi e alzando la voce.
- Ho atteso tutta la vita che qualcuno mi liberasse dalle grinfie del mio padrone e, quando credevo di non avere più speranze, sei arrivato tu a salvarmi. Perciò si, sono disposta ad aspettare. Tutto il tempo che sarà necessario.-
****
La ribellione di Spartacus e la lotta per la vita degli ormai ex schiavi raccontata dal punto di vista di una giovane schiava greca, Abira, che si ritroverà a combattere i romani pr guadagnarsi la propria libertà, in una lotta sfrenata e all'ultimo sangue con la grande e potente Roma.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Agron, Nasir, Nuovo personaggio, Spartacus, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nella Notte


La villa era governata dal silenzio, come al solito a quell’ora della notte.

La campagna intorno era deserta; i boschetti vicini si stavano sicuramente popolando di animali notturni e i terreni coltivati sonnecchiavano alla luce della luna preparandosi a dare un buon raccolto.

Il canto di una civetta riecheggiò tra i corridoi, ornati con busti di bronzo e illuminati da fiaccole di fuoco appese ai muri, e in tutte le stanze, addormentate e in lutto per la prematura morte della padrona.

Tutte eccetto quella del padrone.

Incurante dei suoi doveri verso la defunta moglie stava riverso sul letto e si muoveva dietro Nasir, che se ne stava carponi cercando di reprimere i gemiti, che invece uscivano dalla bocca del padrone copiosi e rauchi. Il sudore bagnava il suo corpo flaccido e cadente e un rivolo di saliva gli uscì dalle labbra.

Nasir, per il padrone Tiberio, era quello che consideravo di più vicino ad un fratello, dato che eravamo stati cresciuti insieme in quella casa.

Tutti gli altri schiavi erano stati mandati a dormire o a svolgere altre mansioni:  al padrone non piaceva essere disturbato mentre giaceva con i suoi schiavi, in particolare con Nasir. Ma quella notte volle che anch’io assistessi mentre si liberava delle preoccupazioni della giornata sul mio amico, che non poteva opporsi in alcun modo al suo volere.

Io, altrettanto impotente e insignificante, stavo in piedi vicino alla porta della stanza, reggendo fra le mani la veste del padrone, fissando il muro davanti a me, non riuscendo a guardare quella scena che si era sempre ripetuta lontano dal mio sguardo.

<< Preparati Camilla. >> ringhiò il padrone, afferrando ferocemente i capelli neri di Nasir e cominciando a spingere dentro di lui con più violenza << Tra poco tocca a te. >>

Avevo pregato gli Dei di non sentire mai quelle parole uscire dalla sua bocca, anche se avevo potuto leggerle nel suo sguardo ogni qualvolta questo si posava su di me.

Prima la padrona Lucilla, essendo la sua schiava personale, aveva sempre protetto la mia verginità dalle mani avide e lorde di suo marito, conoscendone gli istinti e i desideri, ma ora che ci aveva lasciati nulla gli impediva di possedermi ,ogni volta che voleva.

D’altro canto, io ero solo una schiava. Un semplice essere respirante buono solo per lavorare, lavorare e lavorare fino alla morte, senza idee né voce, che valeva meno dei mille oggetti che abbellivano la casa di Lucio Anneo Druso.

Io non ero niente.

<< Si padrone. >> risposi flebilmente, rassegnata a dover giacere con un uomo viscido e squallido come lui. Arresa all’idea che sarebbe stato lui a prendere quel gioiello che la padrona e Marmorea avevano cercato in tutti i modi di salvaguardare per qualcuno di realmente degno.

Ma io non avevo la forza né i mezzi per oppormi al destino che gli Déi avevano deciso per me, per quanto avessi voluto.

I gemiti e i ringhi del padrone riempirono nuovamente la casa, stavolta seguiti da quelli di Nasir, incapace di reprimerli.

Mi concentrai sulla parete di pietra della stanza e cominciai a contare le foglie disegnatevi sopra.

Prima che il padrone potesse avvicinarsi all’amplesso, che avrebbe sfogato definitivamente con me, dei rumori metallici e duri provenirono dell’atrio, seguiti da grida e urla disperate.

Il padrone si fermò e tese l’orecchio, poi disse << Passami la tunica. Svelta! >> e uscì dal corpo del mio amico, che si rimise i suoi vestiti, ovvero un semplice panno intorno alla vita, fermato da una cinta in cuoio. Essendo lo schiavo carnale del padrone Druso non poteva vestirsi molto.

Dopo la morte della padrona, fui costretta ad abbandonare la veste che lei mi aveva donato, blu per indicare il mio ruolo all’interno della villa, e ad indossarne una da comune schiava, blu e marrone, con uno spacco che lasciava scoperte le cosce e parte della vita. Però ero riuscita a limitare la mia “nudità” con due piccole cinture di cuoio scure, larghe poco più di un dito, che mi davano la sensazione di essere un po’ più coperta. La cosa positiva era che così non si vedevano la cicatrici sulla schiena.

Ed ero tornata ad indossare il collare degli schiavi, che era stato sostituito dal marchio della padrona: una bellissima mezzaluna sulla spalla.

Tesi le braccia tremanti al padrone porgendogli la vestaglia di seta , che indossò di corsa precipitandosi fuori dalla stanza.

Quando scostò le tende intravidi alcune delle guardie che di solito si trovavano dall’altra parte della casa correre verso il cortile, armate con scudi e spade.

Nasir mi affiancò, ancora ansante e sudato.

<< Secondo te cosa sta succedendo? >> domandò.

Sulle nostre braccia si vedeva il marchio del padrone. Le lettere LAD incise indelebilmente sulle nostre pelli: quella di Nasir più scura, tipicamente siriana, e la mia più chiara, indicante le mie origini greche.

<< Non lo so. >> risposi, toccandomi nervosamente i lunghissimi capelli castano scuro che tenevo legati in una treccia laterale, poggiata sul mio seno.

<< Potrebbero essere…loro? >> continuò ringhiando.

Se fossero stati davvero loro, avrebbero ucciso tutti i romani in questa casa e ci avrebbero liberati.

Ma sapevo che Nasir andava fiero della sua posizione e del rispetto e dei privilegi che ne derivavano. Non gli importava che tutti gli altri schiavi lo odiassero e lo chiamassero “puttana” alle sue spalle. Lui ormai aveva accettato la sua vita e il futuro che si stava creando.

<< Non ne ho idea. Ma in ogni caso e chiunque sia mi ha salvata. >> dissi onestamente e lui sapeva benissimo a cosa mi riferivo.

Quando alle grida dei soldati si unirono quelle degli altri schiavi, uscimmo di corsa dalla camera per recarci nell’atrio, da cui proveniva il fracasso più grande e dove vedevamo recarsi gli altri abitanti della casa.

Le guardie cadevano sotto i colpi precisi e potenti degli invasori, che diventavano sempre di più e sempre più feroci.

Erano loro. Erano venuti a liberarci.

Nasir corse verso Chadara, rannicchiata in un angolo con le braccia al petto sporche di sangue. Ai suoi piedi il corpo di Marco, una guardia di cui si era invaghita. Era stato trucidato e la testa giaceva a pochi centimetri dal resto del cadavere.

L’acqua dell’impluvium si tinse di rosso quando un uomo vi spinse una  guardia. Schizzi di sangue macchiavano i visi dei miei compagni e le pareti.

Ai miei piedi in una pozza scarlatta giaceva una spada, con la lama e l’elsa insanguinate.

Senza pensarci due volte la raccolsi da terra con le mani che tremavano visibilmente.

Era la prima volta che tenevo fra le mani un’arma, che non fosse un coltello da cucina. Non avevo intenzione di usarla, ma almeno avrei avuto qualcosa con cui difendermi se fosse stato necessario.

Flavius, una delle guardie più irascibili e feroci, mi vide con la spada insanguinata in mano e fece per avvicinarsi a me con il viso sporco di sangue e la sciabola tratta in mano.

Spaventata corsi verso la stanza del padrone, ma lui, più veloce di me, mi afferrò per i capelli e mi sbatté contro il muro.

Picchiai il viso su una colonna su cui stava un vaso, che cadde e si frantumò. Le schegge mi si conficcarono nella mano e la spada che stringevo fra le dita volò a terra.

<< Lurida puttana >> abbaiò ansimando<< Volevi unirti a quei rinnegati vero? Scappare da questa casa?! >> continuò avvicinandosi sempre di più con aria minacciosa.

Impaurita mi sporsi in avanti per prendere il pezzo più grande di argilla da usare come arma, anche se sapevo che non avrebbe potuto competere con la sua spada.

Il romano capì le mie intenzioni e mi colpì violentemente al viso con un calcio, facendomi ricadere addosso alla parete.

Sentivo il sangue colarmi dal naso e il suo sapore metallico invadermi la bocca.

Ormai ero spacciata. Se mi avesse uccisa, avrebbe potuto dire che erano stati gli altri a farlo oppure che l’avevo aggredito alla spalle e lui si era difeso. In ogni caso non sarebbe importato a nessuno della mia morte e il mio corpo sarebbe stato bruciato, come quello di Marmorea e di tanti altri prima di lei.

<< E’ un peccato però: mi sarebbe piaciuto assaggiare il tuo…bellissimo corpo >> disse impugnando più saldamente l’arma << Pazienza. Ci sono molte schiave in questa casa: una in meno cosa cambierà? >>

Alzò la spada pronto a colpire e con un ghigno malefico fece per abbassarla, ma la sua bocca venne attraversata da un altro gladio, che si ritrasse immediatamente e gli trapassò il petto.

Uno dei suoi denti mi colpì una guancia e un fiume di sangue uscì dalle due ferite.

Con gli occhi spalancati e morti lasciò cadere la sciabola e lo scudo, e si accasciò a terra. Una pozza di sangue si allargò sotto il cadavere di Flavius e, mentre cadeva, da dietro di lui emerse la figura del mio salvatore.

Era un uomo alto e possente, con spalle larghe e braccia muscolose, macchiate di sangue.

Il viso allungato e con un po’ di barba era impreziosito da due bellissimi occhi azzurri, che risaltavano sulla pelle ambrata e sui capelli scuri. Una cicatrice quasi all’altezza del cuore si alzava e si abbassava a ritmo del suo respiro affannoso, così come le collane che indossava.

Sulle spalle aveva un mantello marrone, ai piedi un paio di sandali chiusi e degli schinieri. Il fodero della spada legato in vita su di una cintura di pelle, mentre un'altra striscia di pelle scura gli scendeva diagonalmente lungo il petto. I muscoli delle gambe erano esposti e tesi, pronti a scattare in caso di pericolo. Sul suo braccio destro una B marchiata a fuoco mi fece capire che lui era uno dei gladiatori fuggito dalla casa di Battiato e che seminavano terrore ovunque andassero. Mai avrei immaginato che arrivassero ad assediare le case della Macchia, una zona di terreni molto estesa circondata da montagne e colline.

Io rimasi lì a terra a guardarlo con occhi ammiranti e incantati da tanta bellezza e forza. Incurante del sangue che mi bagnava i sandali e che mi colava dal naso e da una piccola ferita alla testa, continuavo a guardarlo sorpresa, con la bocca semiaperta e il fiato corto.

Finalmente gli Déi avevano risposto alle mie preghiere: avevano mandato qualcuno che mi liberasse dalle grinfie del mio padrone e dalla tirannia della sua casa.

Il mio salvatore spostò lo sguardo dalla sua vittima per posarlo su di me e per un attimo vidi i suoi occhi allargarsi, come di meraviglia o stupore, e la sua espressione sciogliersi, abbandonando la smorfia feroce che aveva assunto mentre colpiva Flavius. Lo vidi abbassare lievemente la spada e raddrizzare la schiena.

Feci per parlare, ma le grida di vittoria degli altri gladiatori mi interruppero e l’attenzione del giovane si rivolse verso l’atrio e un meraviglioso sorriso soddisfatto si dipinse sul suo volto sporco di sangue.

Dopo un paio di secondi si rivolse di nuovo a me e disse: << Forza alzati >> con voce dura e con un velo di allegria.

Cercando di non appoggiare la mano ferita e di non scivolare sul sangue, mi tirai su e con passo svelto lo seguì verso l’atrium.

Il mantello svolazzava dietro di lui e la luce delle torce illuminava il suo viso con un bellissimo bagliore arancione. Ancora non ero riuscita a dire nulla, lo seguivo e basta. Da vicino sembrava ancora più alto e possente.

Nell’atrio c’erano innumerevoli cadaveri immersi in pozze di sangue, quasi tutte guardie romane e un paio di gladiatori, mentre quelli ancora in vita sembravano non aver riportato ferite gravi.

Al passaggio del mio salvatore gli stringevano la mano o davano pacche sulle spalle gridando frasi in una lingua a me sconosciuta;  mi riservarono solo qualche occhiata fugace, per poi concentrarsi sulle mie gambe magre e scoperte.

Ormai c’ero abituata: le guardie mi guardavano sempre quando mi spostavo nella villa, e questo era lo scopo principale del padrone: voleva che ammirassero ciò che lui solo avrebbe potuto avere e che tutti ricordassero la sua supremazia e il suo controllo sulle vite di coloro che abitavano quella dimora.

Io e il mio salvatore, di cui ancora non conoscevo il nome, uscimmo dalla villa e dispersi nel cortile c’erano tutti gli altri gladiatori, gli schiavi che li seguivano e quelli della casa. Tra di loro intravidi anche Chadara e Nasir, fortunatamente illesi.

Di corsa andai da loro e strinsi tra le braccia il mio migliore amico e sorrisi a Chatara, ancora sconvolta per la morte di Marco.

<< Abira! >> gridò Nasir sciogliendo il nostro abbraccio << Sei ferita? Ti fa molto male? Déi…quando ti ho vista correre via inseguita da Flavius ho pensato che ti volesse uccidere, e poi è arrivato anche l’altro, il gladiatore… Déi, non farlo mai più. >> disse visibilmente preoccupato.

<< Nasir stai calmo >> lo rassicurai << Flavius mi ha sbattuta contro il muro e dei frammenti di un vaso mi hanno ferita alla mano, ma…quel gladiatore l’ha ucciso prima che portasse a termine i suoi piani. >>

Voltai lo sguardo verso il gladiatore dagl’occhi azzurri, che aveva affiancato altri due uomini sotto il portico, uno dei quali aveva un serpente argentato sulla corazza che aveva al pezzo, mentre l’altro aveva uno sguardo molto più tagliente e scrutava attento tutti i visi di coloro che aveva davanti.

Quello doveva essere Crisso, l’Indomito Gallo, il campione dell’Arena di Capua. L’avevo visto una volta in uno scontro a cui era stato invitato anche il mio padrone, prima che la padrona si ammalasse. Fu uno spettacolo molto apprezzato dai romani, ma molto meno da noi schiavi, che non riuscivamo a vederli come semplici scontri: ci sembrava di vedere dei nostri fratelli in gabbia, costretti a combattere fino alla morte.

<< Lui mi ha salvato la vita >> sospirai senza distogliere lo sguardo dalla figura sicura e imponente del mio redentore, illuminato dalla pallida luce della luna, mentre guardava dritto davanti a se.

<< Ci uccideranno tutti! >>

<< Che gli Déi ci aiutino >>

<< Abbiate pietà! >>

Le voci spaventate dei miei compagni si ammassarono le une sulle altre, mentre si stringevano tra loro guardandosi intorno spaventati.

<< Calmatevi! >> gridò l’uomo col serpente d’argento, facendo acquietare quel vociare terrorizzato << Non dovete avere alcun timore! Non vogliamo farvi del male: cerchiamo quelli che si definiscono i vostri padroni >> continuò indicando la spada gocciolante il corpo straziato di una guardia ai suoi piedi.

<< Un titolo che per noi non significa niente- proseguì, mentre altri guerrieri si disposero sotto il portico alle sue spalle - e neppure per voi, se è questo che volete. Oggi potete scegliere, noi l’abbiamo già fatto: sottomettervi per sempre alla ferocia dei romani o impugnare la spada e lottare con noi per la libertà! >>

Libertà. La parola proibita degli schiavi. Molte volte l’avevamo sognata e agognata con tutto il nostro cuore e ora questo sconosciuto ce la stava offrendo, ci stava chiedendo di scegliere.

<< Libertà? Ma che dice? >> bisbigliò Belisa a Corella, che si tenevano a braccetto accanto a me.

<< E chi sei tu, per offrire un’alternativa ai miei schiavi? >>

Il padrone emerse dal portico e venne portato nel cortile da due uomini alti il doppio di lui e larghi il triplo che lo tenevano saldamente per le braccia.

Non appena parlò uno dei due gli sferrò un calcio alla gamba che lo fece cadere in ginocchio nella polvere, su cui aveva umiliato molti di noi.

Tutti i gladiatori puntarono i loro occhi sul capo, che aveva osservato il mio padrone con sguardo impassibile e serio. Lui rizzò la schiena con orgoglio e fissando intensamente gli occhi del romano ai suoi piedi esclamò:

<< Io sono Spartacus. >>.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Spartacus / Vai alla pagina dell'autore: Feds_95