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Autore: LittleWillow_    04/02/2015    4 recensioni
Di sette volte in cui Paul lasciò un messaggio in segreteria a John intimandogli di chiamarlo appena poteva e di una in cui promise che sarebbe stato lui a chiamarlo.
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"Ma infondo lo sai: Le scelte si fanno in mezzo secondo e si scontano per il resto della vita. E sarà quella la tua crudele punizione: Continuare a vivere la tua vita senza smettere di pensare a come sarebbe potuta essere al fianco di John."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ottobre, 1970.
E' la prima volta che lo chiami da quando sei rimasto solo. Non sai nemmeno se è per rabbia, per disperazione o solamente per il fatto che è passato troppo tempo da quando hai sentito la sua voce pronunciare il tuo nome. Temi quest'ultima ipotesi, la odi perché sai che in questo momento - e non solo - l'unica cosa che sarebbe capace di fare è ferirti. E' come un fuoco, John e tu sei come una falena. Con una sottile differenza: sei consapevole del rischio di bruciarti, ma il tuo fottuto masochismo ti impone di continuare ad avvicinarti. Così, alzi la cornetta del telefono.
Tre squilli.
Non risponde.
Decidi di lasciare un messaggio in segreteria.
"Buongiorno, John." 
Ti imponi di restare tranquillo ma poi ti cade l'occhio sul giornale, quello in cui c'è la sua intervista dove dice che non ti perdonerà mai per come hai trattato Yoko e non ci riesci. 
"Ci pensi mai a come hai mandato tutto a puttane? Voglio saperlo John. Quando è stato che hai deciso che noi.." 
Ti fermi un attimo, per prendere fiato.
"Quando hai deciso che io non ti bastavo più? Ho il diritto di saperlo... Cazzo, John, come hai potuto? Come hai potuto fare questo a George, a Ringo, a me? Come hai potuto abbandonarci? In quale fottuto posto l'hai trovato il coraggio per abbandonarmi? Abbandonare me! Avrei dovuto voltarti le spalle milioni di anni fa."
Ti sei impegnato questa volta, Paul.
Quando sentirà quel messaggio forse gli farà un quarto male di quello che lui sarebbe capace di fare a te. Ti compiace quel pensiero. Ma è solo un attimo, prima che quel mormorio ti sfugga dalle labbra.
"Richiamami, appena puoi"


Novembre, 1971.
Non riesci a darti pace. Le note di "How do you sleep?" risuonano in casa tua e l'unica cosa a cui riesci a pensare è a quella frase della tua canzone. Era solo una frecciatina, nulla di veramente serio, solo uno scherzo. Ma è risaputo: non si scherza con il fuoco. Soprattutto se sei una fottuta falena. Perché il soffiare del vento può cambiare direzione e il fuoco seguire il vento.
Così, componi il numero sul telefono per l'ennesimo messaggio in segreteria.
"Ci credevo, sai. In noi. Credevo che saremmo riusciti a tornare a suonare insieme. Saremmo tornati a litigare furiosamente per il verso di una canzone. Io ti avrei mandato al diavolo e ti avrei detto che non ti avrei mai più voluto vedere, e poi ci saremmo trovati di nuovo a quel tavolo, per trovare un accordo come due uomini e senza fare i bambini. Avrei voluto invecchiare così. A quel tavolo, con te." 
Stai diventando sentimentale e noioso, Paul.
Dovresti imparare da lui quell'impenetrabile indifferenza.
"E' stato Ringo a farmi avere la notizia, sai? Dannazione, non ci volevo credere. Non mi avresti fatto questo, non ti saresti prestato a quella merda, cazzo!  Mi chiedo se sia mai esistito un "noi" e se anche fosse adesso non c'è più. Ci siamo solo io e tu. Un tu che non voglio riconoscere e che non ci tengo a conoscere." 
Hai le lacrime agli occhi, e sei felice del fatto che non possa vederti così afflitto in quel momento e compiacersi del fatto di avere vinto. Hai saputo che sua moglie ha partecipato alla stesura di quella canzone e ti chiedi perché abbia permesso a qualcuno di tenervi lontani. Una domanda fastidiosa ti striscia lungo la schiena fino ad insidiarsi nella tua testa "Che cos'ha lei che tu non hai?".
Ti ha sempre detto che nessuno lo ha mai amato nel modo in cui lo ami tu e tu vuoi illuderti ancora che sia vero. Anche mentre quelle note beffarde risuonano nel salotto di casa tua. 
"Richiamami, appena puoi" 

6 luglio, 1972 
Oggi non sei arrabbiato. Stai guardando svogliatamente la televisione, qualsiasi canale parla dell'anniversario del primo incontro di due ragazzi, si chiamano Lennon e McCartney e sembra abbiano rivoluzionato la musica. Ci metti un po' a comprendere che stanno parlando di voi perché infondo ha ragione George: quando vedi te stesso alla televisione, non pensi che si tratta di te. Te ne rendi conto solo quando i ricordi di quel giorno tornano prepotenti nella tua mente e ti stupisci perché di quel giorno dopo più di dieci anni ricordi ogni particolare; dal sorriso un po' alticcio ma genuino e ricco di sincera curiosità di John e il modo in cui ancora prima di sapere come ti chiamavi ti aveva abbracciato, al sole più alto del solito - per essere a Liverpool -.
Ti chiedi se anche lui sta pensando le stesse cose che stai pensando tu, e se proprio come te sta ridendo al pensiero di quanto giovani eravate. Sai perfettamente che se anche lo stesse facendo non sarebbe capace di prendere il telefono e di chiamarti, perché lui è John, è troppo orgoglioso e preferirebbe morire che ammettere di aver bisogno di qualcuno, perfino se quel qualcuno sei tu.
Ma tu sei Paul, così forte e duro non sei mai stato e alzi semplicemente la cornetta del telefono. Lascerai un messaggio in segreteria, però. Hai quasi paura che se ti rispondesse, potreste cominciare a litigare e rovinare la perfezione di quella giornata.
"Ciao, John. Spero che tu stia bene." 
Non è vero, non lo speri.
Speri che in questo stia soffrendo come un dannato la tua assenza.
Ma tu questo a lui non lo diresti mai.
Nemmeno sotto tortura.
"Sai che giorno è oggi? Beh, io sì. Ricordo di aver riso come un matto mentre cantavi il testo di "Be Bop A Lula", senza ricordarti una fottuta parola. Intorno a me, c'era chi mi guardava esterrefatto. Lì per lì non ho capito perché. Credo di aver pensato che fossero troppo scandalizzati da te e non tollerassero il fatto che prendessi così alla leggera la situazione. Ma poi ho capito. Non eri tu, ero io. Mi avevi fatto ridere. Nessuno ne era stato più capace dalla morte di mia madre e arrivavi tu, un perfetto sconosciuto, a farmi ridere! E' per questo che ti ringrazio, John, a dispetto di tutto il male che siamo stati capaci di farci. Grazie per avermi fatto capire che ero ancora capace di ridere, avevo solo dimenticato di saperlo fare. E tu me l'hai ricordato." 
Una pausa.
Hai parlato di impeto, ti sei mostrato vulnerabile. Sai bene che con lui è un rischio, ma per una volta - forse è per il sole, splendente come quello di anni fa o forse per quella data magica - sembra non importarti.
Osi ancora.
"Richiamami appena puoi" 

15 aprile, 1974
Non è passato tanto tempo dall'ultima volta che hai visto John. Appena quindici giorni. Ricordi l'imbarazzo nel rivederlo faccia a faccia dopo tante battaglie portate avanti senza mai guardarsi negli occhi, senza mai la possibilità di confrontarsi o ancora più semplicemente di ascoltarsi e ricordi ancora nitidamente la paura di trovarlo cambiato. E' per questo che hai aspettato così tanto, e hai avuto paura quando John, invece di abbracciarti ti ha stretto la mano, come se invece che amici, amanti  o qualsiasi altra cosa foste solo due soci di affari. Rifiuti di credere di essere morto un po' e di continuare a morire un po', al ricordo di quel gesto così formale.
Ma è qualcos'altro a logorarti ancora di più. Rimpianto. Hai avuto l'occasione di suonare ancora con John e hai lasciato che ti sfuggisse semplicemente fra le dita. Era stanco, ti ha detto. Ed è stato in quel momento, in quella maledetta frazione di secondo che ti sei accorto che nulla era cambiato. Un attimo, una sua parola, ed eri disposto a mettere le tue esigenze da parte, solo per soddisfare le sue.
C'è stato solo un momento in cui ti sei concesso di lasciarti andare, quando vi stavate salutando. Hai visto il tailleur di Linda sparire dietro la porta ed eri deciso a congedare John con la stessa freddezza con cui lui aveva salutato te, ma ancora una volta hai fallito.
Ti sei ritrovato a sfiorargli le labbra con le tue senza nessuna razionalità, e a stringerlo fra le tue braccia per tutte quelle volte che eri stato troppo vigliacco per farlo. E dopo lui ti ha guardato esterefatto, con quell'ombra impenetrabile negli occhi. Poi aveva mormorato qualcosa su Linda, Linda che ti stava aspettando sotto.
L'ennesimo rifiuto che brucia come olio bollente sulla tua pelle già ustionata.
Tiri su la cornetta del telefono, non sai cosa dire, ma ti aiuta il sapere che sarà la segreteria a risponderti.
"Ciao, John. Credevo di essere stato un vigliacco, ma la verità è che siamo stati vigliacchi. Ti ho visto, ho visto quel bagliore nei tuoi occhi. Era paura, non è vero? E' stato un attimo, ma hai avuto paura, non mentire. Hai pensato a quello che eravamo e a quello che avremmo potuto essere e hai avuto paura perché per quella fottuta frazione di secondo saresti stato disposto a rinunciare a tutto per partire per chissà dove. Insieme a me. Ti sei permesso per un secondo di pensare come John di Liverpool e non come quell'icona a cui ti hanno ridotto, e la cosa ti ha turbato. L'immagine che ti hanno cucito addosso non ha tentennato nemmeno per un secondo, non si sarebbe mai smossa di un centimetro, ma tu sì. Ma non preoccuparti: non è tutta colpa tua. Quando mi hai chiesto di pensarti di tanto in tanto, avrei voluto chiederti di fare lo stesso e non ne sono stato capace. Quando mi hai detto di essere troppo stanco per andare a cantare, avrei voluto tirarti giù io stesso dal divano e sono stato fermo." 
Non è tutto.
Ci sono le tue scuse, per non essere stato capace di aiutare te stesso e di aiutare lui ad essere felici.
Ma per qualche misteriosa ragione, ti muoiono sulle labbra.
Aggiungi solo altre tre parole:
"Richiamami, appena puoi." 

9 ottobre 1975. 
Non ti aveva colpito granché lì per lì il sapere Yoko in gestazione, ma poi ti è tornato alla mente John. John, così fragile, confuso e terrorizzato dalla parola "padre". 
John che una volta ti aveva perfino chiesto, con gli occhi grandi e pieni di paura, come potesse essere un buon padre se non sapeva nemmeno cosa significasse esserlo.  
John e quel suo trattare sgarbatamente Julian e soffrire immensamente il secondo dopo per averlo fatto, temendo l'idea che suo figlio potesse provare qualcosa di lontanamente simile a quello che lui stesso aveva provato. 
Provi a immaginartelo proprio il giorno del suo compleanno, in qualche ospedale dall'altra parte dell'Oceano, spaurito e pieno di dubbi ed è un'immagine che ti scioglie il cuore e che ti fa prendere in mano il telefono ancora prima che tu razionalmente l'abbia deciso.
"Ciao, John.  Una nascita è sempre qualcosa di..."
No, non ti perderai in quelle parole di circostanze, sai bene che se tu non stessi parlando con una segreteria telefonica al sentire quella frase ti manderebbe a quel paese.
Non è quello che ha bisogno di sentirsi dire. Addolcisci la voce, sai quanto quel tema sia delicato.
"Non sei responsabile degli errori che hanno fatto i tuoi genitori. Ma John, tu non sei un errore. Non è questo che hanno sbagliato. Trattarti come se tu lo fossi, come se tu fossi qualcosa da cancellare lo è stato. Ma tu non lo farai con tuo figlio."
Immagini quella vocina fastidiosa che a volte - spesso - si insidia nella sua testa chiederti "Come fai ad esserne sicuro?" 
"Lo so e basta e lo sai anche tu. Sei solo troppo spaventato per rendertene conto. Quindi buon compleanno e buona vita a quell'esserino."
Sorridi.
Ti sono sempre piaciuti i bambini e per qualche oscura ragione, i bambini di John ti piacciono ancora di più. Sono parti di lui, e tu ami tutte le parti di lui.
Prima di tirare giù il telefono, mormori altre tre parole:
"Richiamami, appena puoi." 

9 dicembre 1980
E' solo una giornata come un'altra, lo sai. Devi star ridendo istericamente, mentre cerchi di convincertene perché l'aria di Linda è preoccupata. Le ribadisci che non c'è nulla di cui preoccuparsi, dannazione! E' successo anche a te. Ha sicuramente fatto la stessa cosa, qualche giornalista ha montato qualche filmino su come siano cambiati da un anno all'altro i suoi denti oppure si è semplicemente verificata una sparatoria fra gang vicino a casa sua, e qualche incompetente ha scritto che è rimasto coinvolto solo per vendere copie. 
Deve essere così, ti scagli contro Linda quando cerca di consolarti, perché non è successo un cazzo. E' tutto nella norma, tutto come prima.
Tu adesso chiamerai John e lui stesso vi dirà che sta bene, che è tutto okay. Eviti lo sguardo compassionevole di Linda quando cominci a comporre il numero. Ti innervosisce e basta.
Ancora una volta, è la segreteria telefonica a risponderti.
E' tutto regolare, ma questa volta le lacrime sono anche sul tuo viso e non ti spieghi perché.
Non sai spiegarti perché.
O forse non vuoi spiegarti perché.
Spiegartelo vorrebbe dire crederci, ammettere che è successo.
"Ciao, John. Qui sono tutti matti. Dicono che sei morto! Morto, tu! Sembra di essere finiti in un' altra versione di quella leggenda del cazzo. E' importante che tu smentisca e prenda provvedimenti verso chi diffonde tali informazioni. Come osano diffondere una falsità simile? Voglio vederli rovinati, dannazione! Voglio vedere le loro espressioni quando verranno a sapere che stai bene e gli farai il culo per quello che stanno dicendo e diffondendo." 
E' quando la televisione continua a ripetere di un killer, a parlare di omicidio, di sangue, di morte e continua ad associarli a John, al tuo John, che non resisti più.
La televisione è per terra prima che tu lo decida e James è scappato in camera sua, terrorizzato, ma di questo non ti rendi conto.
Continui a parlare al telefono.
"Non aspetto nient'altro che il momento in cui salterai fuori quasi a volerci chiedere se davvero credevamo di esserci liberati di te e se fosse così semplice. Fallo subito o ti uccido io, Lennon, con mie mani! Richiamami, appena puoi."
Ma quando tiri giù, ti accasci per terra, scorrendo  la schiena lungo il muro.
E aspetti una telefonata.
Una telefonata, un "Paul, sto bene" che non arriva mai e che non arriverà mai.
E sai bene che ti alzerai, che andrai da James, lo rassicurerai, e prima o poi tornerai alla vita, ma sai anche che una parte di te resterà sempre lì, contro quel muro.
In perenne e inesorabile attesa di qualcosa -un gesto, un segno, una telefonata, qualsiasi cosa migliore di quel silenzio assordante e definitivo - che non arriverà mai.


9 ottobre 1993
Ti è capitato di prendere in mano una foto dei Beatles, oggi. Hai visto Ringo, George, te stesso e hai pensato a quanto siate invecchiati. E poi hai visto John, ghiacciato nei suoi quaranta anni. Hai continuato a chiamarlo ogni giorno da quel 8 dicembre. Parlare con la segreteria telefonica, ti aiuta a credere che nulla sia cambiato e ad impiegare il tempo fino a quando lui non deciderà di uscire fuori e smentire tutti. Hai già deciso che lo strozzerai per averti fatto patire così tanto. Prendi il telefono in mano, componendo un numero, il suo.
"Ciao, John. Buon compleanno, ovunque tu sia. Spero che tu stia bene, spero di vederti presto. Certo che se non avevi intenzione di vedermi, non c'era bisogno di montare tutta questa scena, cazzo." 
Non ti vuole vedere. Persino pensare questo ti appare più facile di accettare quello che è successo. In certi momenti lo odi, perché è solo colpa sua, lui non vuole vederti, dipende tutto da lui. E' più facile credere che sia ancora colpa sua che ponderare lontanamente l'ipotesi che qualcuno l'abbia strappato a te per sempre.
"Ci siamo esibiti ancora altre volte, sai . Io, George e Ringo. Ne hanno parlato i giornali, per settimane. Dicono che siamo stati eccezionali, che abbiamo infiammato la platea ed il mondo. Parlano nuovamente di beatlemania e di altre stronzate. Mi hanno detto che è stata una vera e propria Reunion dei Beatles e mi sono messo a ridere. Se quella era una Reunion dei Beatles, tu dov'eri, John? E se tu non c'eri, come cazzo osano anche solo parlare di una fottuta reunion dei Beatles?" 
Sei stanco.
Tutto ciò che chiedono i tuoi occhi, la tua voce, tutto è tregua.
Dovresti concedertene un po', prima anche quell'ultimo briciolo di sanità mentale che ti è rimasto ti abbandoni.
"Succederà mai? Tornerai mai per una Reunion dei Beatles? Anzi, no, sai che ti dico?" 
E' una peculiarità curiosa degli esseri umani e quindi anche tua, questa. Trovano il coraggio di fare ciò che desiderano solo quando ormai non fa più alcuna differenza.
"Al diavolo i Beatles, non ho più vent'anni. Ciò che voglio sapere è se tornerai mai per me. Se ne valgo la pena. E voglio che tu sappia che qualsiasi lacrima, qualsiasi discussione, qualsiasi cosa ne è sempre valsa la pena. E che rifarei tutto dall'inizio per permetterci di scrivere una pagina finale diversa da questa." 
Ma non puoi.
Vorresti avere la metà dei poteri che ti attribuivano gli infermi, appena fuori dai concerti.
Ma infondo lo sai: le scelte si fanno in mezzo secondo e si scontano per il resto della vita. E sarà quella la tua crudele punizione: continuare a vivere la tua vita senza smettere di pensare a come sarebbe potuta essere al fianco di John.
Appoggi la testa sul cuscino, prima di tirare giù sempre quella frase:
"Richiamami, appena puoi" 

28 ottobre 2003
A volte nella vita hai bisogno di toccare il fondo per capire di esserne in grado di risalirne. Dopo aver perso John - cerchi disperatamente un modo per definirlo, ma desisti ben presto perché sai che qualsiasi definizione sarebbe vacua -, George e Linda, ti sei chiesto per anni per cosa valesse la pena continuare a soffrire. E poi arriva la risposta. Un raggio di sole. E il raggio di sole porta il nome di Beatrice.
Sei diventato padre ed ogni volta  è un'emozione. 
Sei diventato padre e vorresti condividere quell'emozione con chi dalla paternità era terrorizzato.
Così prendi il telefono. Componi quel numero pur sapendo che ormai, dopo più di vent'anni non esiste più neanche la segreteria.
"Ciao, John. Sono diventato padre, sai. Di nuovo. Si chiama Beatrice. E' un bel nome, non trovi? Io penso di sì. Mi piacerebbe fartela conoscere, sai, un giorno, prima o poi. Ho deciso che le racconterò una storia. Quando diventerà grande. E' la storia di due ragazzi. Uno dei due ha i capelli chiari, un naso grande che detesta, gli occhi piccoli e malinconici. Ha amato così tanto da piccolo e il suo amore è stato rifiutato così tante volte che un giorno, piccolissimo, ha promesso che non avrebbe amato mai più. I suoi genitori non lo avevano amato così si era convinto che nessuno avrebbe mai potuto farlo. L'altro è diverso, totalmente diverso. Ha gli occhi grandi, nocciola, le guance paffute, il viso da bambino. Ama. Ha una famiglia. Ha una madre e un padre che lo amano, ma un giorno si ritrova solo con un padre distrutto. Ma ama ancora e vuole continuare ad amare. Ma ha paura, perché suo padre amava sua madre, ma sua madre l'ha lasciato e piange in continuazione. Quel ragazzo non vuole ridursi così. Sono sicuro che quando racconterò questa storia a mia figlia mi chiederà cosa c'entrino due personalità così diverse l'una con l'altra, e le accarezzerò la testa, le dirò che ha ragione ma che due personalità così diverse se si incontrano non possono far altro che essere invincibili. E poi sorriderà e mi chiederà di andare avanti. E io le dirò che forse per destino, queste due persone si sono incontrate. Si sono conosciuti e sono diventati così uniti da non riuscire più a capire dove finisse l'uno e dove iniziasse l'altro, vincendo insieme tutte le paure e le promesse di non amare più. Ma come tutte le più belle cose, doveva esserci qualche complicazione. I due ragazzi hanno cominciato a litigare prima di rado, poi sempre con più assiduità fino a quando si sono dimenticati di quanto invincibili fossero assieme e hanno preferito continuare da soli, prendere ognuno la loro strada. Si sono persi. Ma poi si sono ritrovati." 
Ti fermi. Le lacrime ti scorrono sul viso. Manca solo il finale. 
Vuoi rendere quella storia una favola.
Vuoi darle un lietofine.
Il lietofine che tu e John non potrete mai avere.
Il lietofine che almeno in quella favola vi meritate.
"E quando si sono ritrovati, hanno continuato a litigare ogni giorno e ogni notte, ma nessuno dei due avrebbe mai trovato il coraggio di abbandonare di nuovo l'altro. Sarebbero rimasti così, sospesi fra un "Al diavolo" e "Ti amo" per sempre. E' una bella storia, non è vero, John? Sai, avrebbe potuto essere la nostra. Avremmo potuto renderla nostra. Se solo..." 
E' inutile piangere sul latte versato ed è un gioco pericoloso quello di perdersi a pensare a distanza di anni cosa avresti potuto fare per impedire l'inevitabile.
E poi, tua figlia ha bisogno di te.
"La vita a volte ha altri piani. Devo andare." 
Sorridi e fai per riattaccare.
Ma poi ti ricordi di qualcosa.
"Ti richiamo, John, appena posso"

Note dell'autrice. 
Liberamente ispirata a due frasi della Marinella nazionale, quella di Faber. "E come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno come le rose" e " Lui che non ti volle creder morta bussò mille anni ancora alla tua porta". Sono nervosissima perché è primo tentativo sulla McLennon. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Ringrazio tutti anticipatamente.


Un bacio.
D.
  
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