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Autore: VmpAnna    04/02/2015    5 recensioni
Quella strana atmosfera che si è sempre creata tra di noi è stata un pugnale nel mio cuore sin dagli anni della scuola, quando mi portava a fare e rifare sempre la stessa cosa, ogni notte, pensandoti e piangendo per la mia codardia nel voler nascondere i sentimenti che ho provato per te dalla prima volta in cui la tua mano si è allungata verso di me a lavare via il sangue che mi offuscava la vista dopo l’ennesimo pestaggio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Reita, Ruki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tornata di nuovo...questa volta è una REITUKI, un po' diversa da quello che ho pubblicato fino ad ora, ispirata da Shunsetsu no Koro, le immagini sono nate mentre facevo la traduzione, come al solito non metto song-fic perchè in realtà non lo è, semplicemente le parole di Ruki mi evocano delle immagini che ogni tanto prendono forma in qualcosa di vagamente leggibile.
Questa la voglio dedicare a Valeria e Federica nella speranza che possa farvi sognare almeno un po'...
Sempre un enorme GRAZIE al CosciottO che si spippa i miei scleri, i miei viaggi mentali, le mie paranoie e tutte le cose tristi che odia ma che legge perchè mi vuole bene!


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A volte basta un solo attimo per cambiare l’andamento di una normalissima giornata, per spalancare tutte le finestre della memoria come un uragano, per scaraventarti indietro nel tempo come se non fossero trascorse che poche ore da quell’ultima volta.

Se oggi non fossi arrivato tardi in stazione non avrei guardato sconsolato il treno passarmi davanti, e quel treno, allontanandosi, non avrebbe aperto la visuale su di te, immobile sull’altro lato del binario.
I capelli dello stesso color oro, solo leggermente più corti, un giubbino nero a fasciarti il corpo atletico, dei jeans chiari infilati in un paio di anfibi slacciati, le mani affondate nelle tasche e le fessure dei tuoi occhi diventate leggermente più grandi non appena hanno catturato la mia figura.
E io che, trafelato e con i palmi appoggiati alle ginocchia, sono rimasto incredulo e con il cuore che ha iniziato a librarsi nel petto con la stessa velocità delle ali di un colibrì.
E in un attimo, come un nastro che si ravvolge, la mia vita è tornata a tre anni fa, a quell’addio che non ci siamo mai detti, in quel crocevia dove per l’ultima volta ho guardato la tua schiena allontanarsi.
Quando è arrivato il treno che ti avrebbe di nuovo portato via da me, tu sei salito di corsa appoggiando la tua mano affusolata sul vetro della porta rivolta verso il lato dove io continuavo a rimanere pietrificato, il calore della tua pelle creava una sfocatura su quella superficie fredda e io mi sono chiesto che sensazione avrebbe provocato quel tocco sulla mia guancia, ho immaginato quelle dita che percorrevano ogni centimetro della mia pelle lasciando solchi di fuoco al loro passaggio, il tuo respiro infrangersi sulle mie labbra e mischiarsi con il mio, la tua mascolinità farsi strada in me e riempirmi fino a farmi, a farci, esplodere di piacere...
Mentre il treno riprendeva la sua corsa le tue parole silenziose si sono perse lungo quel binario in cui, per un attimo, il tempo non è esistito per due persone qualsiasi in mezzo a tante.

Quella strana atmosfera che si è sempre creata tra di noi è stata un pugnale nel mio cuore sin dagli anni della scuola, quando mi portava a fare e rifare sempre la stessa cosa, ogni notte, pensandoti e piangendo per la mia codardia nel voler nascondere i sentimenti che ho provato per te dalla prima volta in cui la tua mano si è allungata verso di me a lavare via il sangue che mi offuscava la vista dopo l’ennesimo pestaggio.
Allora mi bastava solo trascorrere un po’ di tempo in tua compagnia, poterti guardare ridere mentre ti tenevi lo stomaco, sentire la tua mano che mi arruffava i capelli ogni mattina quando arrivavo davanti al cancello della scuola e tu eri lì ad aspettarmi...

「Ciao nanetto!」

e mi passavi un braccio attorno alle spalle esili.

Godermi le tue innumerevoli espressioni mentre ti accanivi contro il videogiochi e quel tuo vizio di tirare fuori la lingua quando eri concentrato, dividere con te una ciotola gigante di ramen ogni sera prima di tornare  a casa.
E la cosa che più amavo di te, quando ti rifugiavi nell’aula di musica a suonare il basso e io ti spiavo dalla porta socchiusa, il tuo bellissimo viso, come se ogni tassello del mondo fosse tornato al proprio posto, le tue splendide dita che si muovevano veloci sulle corde, il tuo respiro regolare, quel ciuffo ribelle che scendeva sempre a coprirti l’occhio sinistro e che tu puntualmente soffiavi via.

Tutto questo è tornato prepotentemente a schiaffeggiarmi e ora mi trovo qui davanti a questo album impolverato, con la nostalgia di voler sfogliare di nuovo queste pagine e la paura che il desiderio di quei giorni passati, che non posso più rivivere, torni a scavare con forza dentro di me.
Mentre ti penso capisco quanto sia stato triste lasciar trascorrere quegli attimi preziosi credendo che potessero essere infiniti, ma le cose importanti sono effimere e ho sbattuto contro il muro di questa consapevolezza il primo giorno in cui non ho più visto il tuo viso tra i tanti, lungo i corridoi che avevano perso ogni colore.
Soffio via la polvere dalla copertina marrone leggermente sbiadita e il naso mi pizzica un po’, con un sospiro la sollevo e già quella prima pagina mi riempie il cuore di solitudine e sono di nuovo lì.

Era il giorno del diploma, quell’anno Marzo era ancora freddo e i petali di ciliegio che volteggiavano come una nevicata si mescolavano ai fiocchi che cadevano dal cielo, la cerimonia era finita da poco e noi fianco a fianco percorrevamo la strada in salita che ci portava alle nostre rispettive case; tu con il viso affondato nella sciarpa rossa che ti avevo regalato a Natale tremavi leggermente,  il freddo non ti è mai piaciuto, a differenza di me e per questo motivo spesso mi abbracciavi dicendomi che ero il tuo sole personale perché emanavo sempre calore, ma non quel giorno, la distanza tra noi come se un muro invisibile ci separasse.
Sfregavi le tue mani arrossate dal freddo e io avrei voluto tanto prenderle tra le mie per scaldarle appoggiandole sul mio cuore, ma non appena le nostre dita si erano sfiorate io avevo ritratto la mia infilandola nella tasca della giacca sempre troppo grande per il mio corpo esile, i miei sentimenti non ti avrebbero raggiunto nemmeno quella volta.

Mi sono sempre chiesto cosa ci avessi trovato in me, cosa ti avesse spinto a diventarmi amico, in fondo tu eri stato sempre uno dei ragazzi più popolari della scuola, mentre io non ero che un esserino goffo con gli occhiali più grandi del suo stesso viso, un asociale con soprannomi poco lusinghieri che tutti si sentivano autorizzati ad usare come bersaglio della loro rabbia repressa e invece tu hai visto qualcosa di speciale dove nessuno, per primo io stesso, aveva visto altro che niente.

Di nuovo mi salgono le lacrime agli occhi ripensando al tepore che mi avvolgeva ogni volta che espandevi il tuo sorriso luminoso verso di me, non hai mai saputo, e non lo saprai mai, che in realtà il sole tra noi due sei stato sempre tu.

「Ti ho amato dal profondo del mio cuore」.

È questo che non sono riuscito a dirti nemmeno quel giorno, quando ormai la tua figura era svanita ma io sono rimasto a fissare quella strada fino a quando gli occhi hanno iniziato a farmi male, presto, già l’indomani, tutte le cose familiari che mi avevano circondato fino ad allora sarebbero cambiate, ma questo allora non lo avevo capito.

Passo delicatamente il dito sulla polaroid, in piena fioritura il grande albero di ciliegio nel cortile della scuola fa da sfondo a due figure in uniforme scolastica, quella più alta sorridente e con le dita in segno di vittoria, quella più bassa con le spalle ricurve e un’espressione imbarazzata e stretto nel pugno della mano destra il 「secondo bottone」.

Noi due non svaniremo mai.

Ora nel palmo della mano quello stesso bottone, tutto ciò che da allora mi è rimasto di te insieme ad un mazzetto di fotografie.
Lo squillo di un messaggio sul telefono mi riporta al presente.

「Molti addii si trasformano in ricordi, qualcuno in futuro...
Akira」
 
  
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