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Autore: Hem    04/02/2015    0 recensioni
"Si passa una mano sui capelli, butta giù un altro sorso di birra e salta sul palco con la sigaretta tra le dita a suonare per un sorriso d’occhi con un piede che batte a ritmo del Jazz"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Le scarpe lucide, i pantaloni neri, la camicia bianca con le maniche arrotolate sui gomiti, il ghigno cattivo, gli occhi scuri, i capelli troppo lunghi che la brillantina non riusciva mai a domare che ricadevano sulla fronte ogni volta che rideva di quel suono caldo prima che una mano callosa li rimettesse a posto. La barba di qualche giorno, la sigaretta tra le dita, la birra appena appoggiata sul bancone, il piede che toccava terra dall’alto dello sgabello che batteva il tempo con la musica veloce, assurda, violenta, da guerra, feroce, urlante del violoncello che stava sul palco. Parlava con James di come era andata la giornata, del lavoro alle demolizioni, dei tagli nelle mani, dell’alcol che non ti volevano far trovare e che era sempre e ovunque gran quantità. Parlava delle ballerine con le gonne corte e gli occhi grandi.
“James balla con noi!”
Uno sguardo veloce tra i due: il sacrificio meno doloroso della giornata, un ghigno cattivo, un altro tiro di sigaretta.
Fu in quel momento che la vide entrare nel fumoso pub della terza strada. Non si vedeva bene, non si sentivano neanche i propri pensieri perché quel violoncello te li cancellava via dannazione con quel ritmo, quel ritmo maledetto e il piede batteva, batteva il jazz. Dove aveva imparato a suonare quel benedetto ragazzo?
Non si vedeva bene ma lui non le aveva staccato gli occhi di dosso. Rieccoti sul mio palco sorriso smagliante. Sembrava spaesata tra tutta quella gente, abbassava lo sguardo ogni tanto come se tutti stessero fissando lei ma poi credo si accorse della musica: alzò lo sguardo che era vibrante e completamente ipnotizzato dalle corde distrutte dell’archetto di quel pazzo sul palco.
Un sorriso cattivo, e un piede che batteva il jazz.
Finì la sigaretta e lasciò a metà la birra sul bancone. Si sentiva impossessato dal fumo, dal ritmo, da lei di cui non sapeva nemmeno il nome. Sorriso smagliante. Impossessato dal desiderio di stupirla e di sapere che nome la accompagnasse ovunque, se amava il cioccolato, in che modo allungava le gambe la domenica sera davanti al camino e che piega prendeva la sua schiena quando si stiracchiava il lunedì mattina alla luce gialla di un giorno tropo caldo.
Allungò una mano a chiedere la sua, come fosse stato un ricco e vecchio gentiluomo che offre un ballo alla ragazzetta dalle guance rosse e gli occhi lucidi. Oh che immagine irreale. Sei subdolo amico mio. Un sorriso cattivo, due occhi sgranati.
“Tu? Che…che ci fai qui?”
E un sorriso smagliante. Di nuovo. Buon dio. Che lui poteva vedere come non aveva mai fatto e come nemmeno ora sapeva di star facendo, tutto ciò che vi stava dietro.
“Le offro un ballo bambina”
“Non so ballare”
“Nemmeno io”
Abbassa gli occhi di nuovo, spaventata dal mondo, da lui, da quel fumoso locale e da quella musica del diavolo che però le scorre nelle vene con un branco di cavalli al galoppo e la vita sboccia nel bel mezzo di una distesa salina e lei alza gli occhi e gli afferra la mano e ti prego mio dio fa che non gli pesti i piedi.
Ma è peggio molto peggio di quello che lei si aspettasse perché lui non la fa volteggiare ma le stringe la mano destra appoggiata alla sua spalla e con la sinistra le scende senza ritegno, ragazzotto maleducato di periferia, fino in fondo alla schiena fermandosi solo appena prima che la cosa sia considerata disdicevole e la stringe più vicino del dovuto e la sua guancia sfiora la sua quel tanto che le basta per sentirlo respirare.
Si sente in gabbia come sempre. Vorrebbe fuggire, tirarsi indietro, vorrebbe che lui si allontanasse che non pretendesse nulla da lei se non guardarla da lontano mentre con quelle mani e quel respiro chiede già fin troppo. Vorrebbe staccarsi ma la vita le galoppa in corpo e sa che se se ne andasse adesso la musica smetterebbe di suonare all’istante. Maledetto maleducato, egocentrico, sbruffone. Maledetto tu e la tua barba e i tuoi occhi scuri e le tue mani callose e il tuo ghigno cattivo.
Sono completamente fuori ritmo. Quel pazzo criminale ha quasi disfatto del tutto l’archetto con quel ritmo furioso e mentre tutti intorno si muovono, urlano la guerra e il sangue e il disastro, il disastro della notte, loro oscillano piano, sulle stesse due mattonelle da qualche minuto ormai. Oscillano la pace con il caos tutt’intorno, che più forte di quel ruggito di violoncello c’è solo il rumore del suo pollice scuro e calloso sul dorso bianco della mano del sorriso smagliante che si stringe a lui di più anche se non vuole e che non riesce a sentire, vedere, ascoltare nient’altro che quella carezza.
Applausi e grida, inchini esagerati e fiori strappati dai giardini pubblici lanciati ovunque.
Fa un passo indietro, si osservano.
“Adesso devo andare. Scusa”
Si gira e se ne va.
“Ehi dove ti eri cacciato amico? Quel tizio del continente è un genio amico!”
James gli passa una birra fresca, avvicina la sua al vetro verde tra le mani dell’amico, un rumore sordo e gole dissetate.
Non l’ha inseguita, non è il momento giusto, ma la sta ancora guardando. Parlotta con un’amica, si salutano, prende lo scialle leggero che aveva lasciato sulla poltrona di pelle. Alza lo sguardo in quel momento: un ghigno cattivo si inchina e fa il segno di togliersi un cappello immaginario dalla testa. Un sorriso accennato raggiunge le labbra rosse torturate dagli incisivi di lei. Ma più grande è quello degli occhi, che lui scopre nuovo quella sera. Si gira e se ne va per la seconda volta.
“Matt! E’ il tuo turno!”
Si passa una mano sui capelli, butta giù un altro sorso di birra e salta sul palco con la sigaretta tra le dita a suonare per un sorriso d’occhi con un piede che batte a ritmo del Jazz.
  
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