Sinceramente, non avrei mai
creduto di scrivere qualcos'altro su Elena e Genzo, ma il First Aid Kit
Challenge mi ha fatto partorire quest'idea, per cui ringrazio Mnemosyne per
avermi dato la possibilità di rovistare ancora un po' tra i miei ricordi di
gioventù^^
Dedicata, come sempre, alle ragazze della "Panchina", e con un
ringraziamento speciale a Saretta e Silen che me l'hanno betata.
Una piccola
avvertenza per chi non avesse letto la ff da cui ho tratto questo spin off: non
è necessario leggerla tutta (non costringo nessuno, per carità^^), anche se i
fatti qui narrati sono correlati agli ultimi due capitoli, ma credo che per
capire meglio "Estate italiana", ed in particolare il rapporto tra i due
protagonisti, sia il caso di dare un occhio almeno al primo capitolo de "Il
primo bacio".
Non chiedo, né pretendo, recensioni, il mio è giusto un
consiglio tanto per farvi afferrare meglio il senso di questa ff ^^
Grazie e,
spero, buona lettura!
eos75
"Cocco! Cocco bello!"
Un paio di lunghe gambe
abbronzate apparve al limite del suo campo visivo, mentre due o tre grosse gocce
d’acqua sciabordarono fuori dai secchi e s’infransero sulla sabbia dorata,
creando spesse macchie color del caffè, perfettamente circolari.
Genzo non
fece caso all’ombra che lo sfiorò, né al giovane che continuava imperterrito il
suo giro tra i bagni ripetendo, con voce limpida e allegra, la sua cantilena.
Sdraiato prono sul telo steso sotto l’ombrellone, soffiò via con una smorfia di
disappunto i granelli sottili che un refolo di vento birichino aveva portati
sulle pagine del libro che teneva aperto sotto il naso, quindi, con un sospiro
annoiato riappoggiò il mento sulla mano chiusa a pugno, nella quale stringeva la
penna, e allungò l’altro braccio, andando a tamburellare distrattamente sulla
superficie liscia del suo amico sferico.
Il pomeriggio era caldo ma non afoso
e il sole splendeva rovente in un cielo d’un azzurro intenso. Lo sguardo scuro
abbandonò il testo, leggiucchiato svogliatamente per una manciata di minuti, e
vagò a sondare lo spazio infinito che si stendeva sopra la sua testa. Le ciglia
corvine si serrarono impercettibilmente mentre il ragazzino tentava di mettere
meglio a fuoco il messaggio pubblicitario vergato in rosso fuoco che sventolava
veloce dietro ad un aeroplanino perso in quell’azzurro immenso.
Un altro
sbuffo sfuggì dalle labbra e, per la centesima volta in meno di mezz’ora, il
giovane portiere perlustrò il mare piatto preso d’assalto da una nutrita schiera
di bagnanti. Lontana, ma non poi così tanto, una barchetta candida avanzava
spedita e dai suoi altoparlanti strillava l’annuncio di una gita alla scoperta
delle meraviglie dei dintorni.
"Le quattro e mezza…" calcolò, basandosi
sull’orario in cui sapeva transitare la barca ogni giorno. Scandagliò
accuratamente la piccola folla colorata che si stava godendo la frescura
dell’acqua, cercando una figura in particolare. La penna cominciò a dondolare
nervosamente fra le dita, fino a che non venne quasi lanciata tra le pagine a
mo’ di segnalibro ed un sorriso soddisfatto andò ad illuminargli il viso.
Fu
in piedi in meno di un secondo, nonostante la stretta fasciatura che gli
bloccava la caviglia destra, afferrò il fedele cappellino rosso e uno uguale ma
bianco, e con un calcio preciso fece schizzare la sfera che, docile, gli finì in
mano.
"Laura! Elena sta uscendo! Vado a fare quattro passi!" annunciò alla
tata camminando all’indietro e, al contempo, sistemandosi la visiera sugli
occhi.
La donna emerse dalla sua lettura e lanciò uno sguardo prima in
direzione della battigia, poi verso il ragazzino, che nel frattempo s’era
allontanato "Non camminare troppo, Genzo! Ricorda che non devi affaticare la
gamba! E cerca di non bagnare la fasciatura, per favore! E dì a Elena…" L’ultima
raccomandazione fu interrotta dallo sventolare allegro del berretto bianco nella
mano del giapponesino "Di mettersi il cappello!" terminò questi, voltandosi e
camminando svelto verso le docce aperte.
"Era bella l’acqua?"
"Uhm uhm…"
fu la risposta della ragazzina che si stava passando le mani sul viso sotto il
getto freddo.
Genzo la squadrò un secondo, cominciando a palleggiare adagio,
e non appena si fu allontanata dalla doccia, si alzò la sfera e con un colpo di
testa ben calibrato gliela passò con un pallonetto preciso.
Elena, che stava
strizzando i capelli, fu lesta ad afferrare la palla "Ma accidenti! Mi sono
appena lavata! Come sei dispettoso, alle volte, fratellino!" e rinviò con stizza
al mittente il pallone che le aveva imbrattato di sabbia le mani. Il portiere
stoppò di petto, rispondendo con un sogghigno soddisfatto, ma si pentì quasi
subito dello scherzo poiché la ragazza, dopo essersi sciacquata, si voltò
schizzandolo in viso con l’acqua gelata.
"Ehi, è fredda!" si lamentò
ridacchiando.
"Così impari!" fu la risposta, accompagnata da una
linguaccia.
"Sei tu quella che mi ha abbandonato per un’ora! Mi stavo solo
vendicando della noia!" Genzo aveva ricominciato a palleggiare, passando lo
sguardo offeso dalla sfera al viso dell’amica, che scoppiò a ridere e fece per
rubargli palla.
"Ma smettila che tanto non ci riesci!" la rintuzzò,
dribblandola senza difficoltà.
"E tu piantala di giocare qui o Luigi ti fa la
pelle!" un cenno del capo in direzione del bagnino e il pallone si fermò
istantaneamente tra le mani del ragazzo, che lanciò un’occhiata alle sue spalle
da sotto il berretto.
La ragazza sogghignò, finendo di strizzare la lunga
chioma fradicia "Dai, andiamo. Lungo la battigia non ti potrà dire niente! Ma
sta’ attento…" "A non bagnare la fasciatura!" terminò lui, cantilenando e
alzando gli occhi al cielo.
Una risata cristallina riecheggiò nell’aria e un
bacio schioccante arrivò dritto sulla guancia del portiere, che non riuscì a
scansarlo e lo ricevette con una smorfia di quasi disgusto.
"Oh, piantala
fratellino! E poi, non vorrai mica arrivare tutto rotto in Germania, no?" Elena
s’era allontanata subito, un sorriso birichino sulle labbra mentre strattonava
l’amico verso l’acqua "E cammina! Non eri tu quello stufo di star
fermo?!"
Genzo sospirò rassegnato e sorrise a sua volta da sotto la tela
rossa, lasciandosi trascinare per qualche passo prima di liberarsi e rimettere
il pallone a terra.
"Io non ho nessuna intenzione di arrivare infortunato ad
Amburgo, ma tu vedi di non arrivare con un’insolazione a stasera!" e le porse il
cappellino bianco che ancora aveva in mano e che venne afferrato con una smorfia
"Uhm… Ho la testa bagnata, non posso prendermi l’insolazione!" Lo scatto
immediato verso l’alto di un sopracciglio la fece fermare e sospirare stizzita
"Mi sembri Laura…" provò a ribellarsi.
"Sorellina…"
"Ok, ok! Però solo
dopo che mi si saranno asciugati i capelli, va bene?"
Vide Genzo scrollare le
spalle ed abbassare la visiera con un dito, e colse un: "Sei sempre la solita
testona…" appena sussurrato. Gli lasciò qualche metro di vantaggio e quindi si
mise a seguirlo a passo svelto, arrivando presto al suo fianco. Le onde placide
arrivavano appena a lambirle i piedi, che lasciavano piccole impronte sulla
sabbia bagnata, mentre il suo fratellino calciava l’amico pallone qualche metro
più in su, là dove la sua fasciatura era al sicuro dall’acqua.
"Manca poco,
eh?" gli chiese quando l’ebbe raggiunto
"Già…" non l’aveva guardata, lo
sguardo scuro era puntato sulla sfera che arrancava sulla sabbia, e se ne
accorse "Quando sarai in Germania ci potremo vedere più spesso! Non solo per le
vacanze estive! Natale, Pasqua…"
"E Capodanno!" sogghignò il ragazzino,
scrollando il capo trattenendo una risata "Ehi, sorellina! Ti ricordo che mi
dovrò allenare! E, comunque, Amburgo non è proprio qui dietro
l’angolo…"
"Vero ma…" Genzo la sentì interrompersi e si voltò a guardarla:
s’era chinata ed aveva raccolto qualcosa sulla sabbia bagnata, sciacquando
quindi nell’onda che le aveva raggiunto i piedi "… Amburgo non è a un giorno di
aereo da Milano! Vuoi mettere col Giappone?" chiese sorridendo mentre portava
all’altezza degli occhi il suo bottino: una conchiglietta arancione, perfetta e
senza ammaccature ma fornita di un buchetto nella sommità. Fece il gesto come di
guardarlo attraverso quel forellino, quindi gli sorrise facendo l’occhiolino ed
infilò la conchiglia nel berretto che aveva in mano.
Genzo sospirò,
tentennando nuovamente il capo e ridacchiando: adorava la sua "sorellina",
sempre solare, sempre pronta a vedere il lato migliore delle cose. Non che lui
fosse un pessimista, anzi! Ma Elena riusciva ogni volta a trovare il modo di
alleviare le preoccupazioni. O almeno le sue…
"E poi…" la vocetta squillante
lo riportò alla realtà, e vide l’amica nuovamente china sulla battigia "… se tu
non potrai scendere, io potrò salire, no? Magari riuscirò finalmente a vederti
giocare una partita vera!" Nel frattempo, il ragazzo aveva ripreso a palleggiare
con un’aria vagamente seria in viso "Ci vorrà del tempo per quello…" sussurrò a
mezza voce con tono amaro, al che la ragazza lo superò, sbarrandogli la strada,
le mani ai fianchi ed un cipiglio quasi severo "Verrò a vederti e sarai in
porta, non in panchina! E non prenderai neanche un gol!"
Un sorriso aperto,
genuino, gli illuminò il viso nell’avvertire l’affetto sincero nelle parole
dell’amica "Sì, molto probabilmente sì… Ma temo che mi toccherà prenderne un bel
po’ prima di poter tornare a stare fisso in porta!"
Gli occhioni castani si
spalancarono stupiti e un’ombra ne velò la superficie limpida. Genzo scrollò il
capo, si chinò e raccolse una conchiglia, mostrandola con una strizzatina
d’occhio alla ragazza, che allungò il cappello.
"Giocare in Germania non è
esattamente come giocare in Giappone, sorellina." disse, facendo scivolare il
bottino nella stoffa bianca, "Il livello è molto più alto di quello a cui sono
abituato. Tatsuo me l’ha ripetuto almeno… mmm… mille volte negli ultimi tre
giorni?" Ridacchiò palleggiando agile, superando di qualche passo l'amica e
dandole la schiena, per poi voltarsi sempre giocando "E comunque le sconfitte
sono da mettere in conto, soprattutto nel mio ruolo. L'importante è non farsi
abbattere e andare avanti per migliorarsi." Bloccò la palla sotto il piede
fasciato ed incrociò le braccia al petto con un gesto risoluto. Un sopraciglio
castano salì adagio verso l'alto mentre una ruga solcava la fronte abbronzata
della ragazzina, che si avvicinò di un passo al giovane portiere fino ad
arrivare col viso a pochi centimetri da quello di lui, che la sovrastava di una
spanna abbondante "No scusa, ripeti! Tu?! Mi vieni a dire che i gol vanno messi
in conto! Altro che cappellino, quello con l'insolazione sei tu!" lo afferrò per
un braccio, tentando inutilmente di trascinarlo via, mentre Genzo rideva di
gusto "Ma smettila dai! Ma che insolazione!" rise puntando i piedi e
trattenendola senza quasi sforzo "E' solo che dopo il campionato di quest'anno
l'ho imparata..." La presa venne mollata mentre un'occhiata indagatrice
squadrava il ragazzo da capo a piedi "Ne ha fatti di danni il nanerottolo, eh?"
Una risatina e la sfera ricominciò a rotolare sulla spiaggia, calciata dal
suo padrone. Il "nanerottolo" aveva fatto danni, ma soprattutto l'aveva
involontariamente obbligato a mettersi in discussione. Aveva capito che essere
il miglior portiere giapponese a livello giovanile non gli bastava più, che il
suo sogno era ben oltre...
"Se non fosse stato per Tsubasa non credo avrei
deciso di andare in Germania. Se non mi avesse segnato quel gol non mi sarei mai
più dato una sveglia... Ad Amburgo non sarà una passeggiata, ma ora ho capito
che dopo un gol l'importante è rialzarsi e andare avanti."
"Ecco, questo è il
mio fratellino!" sentì esclamare alle sue spalle e si girò, un ghigno ironico
appena accennato e un lampo divertito nello sguardo scuro "Per un attimo mi
avevi davvero spaventata, sai? Il "portiere imbattibile" che all'improvviso dice
di essere pronto a prendere un gol! M'è preso un colpo!"
"Ehi! Palla!" un
lampo colorato sfrecciò sopra le loro teste e il richiamo catalizzò la loro
attenzione. L'istinto del portiere si risvegliò all'istante: un piccolo salto
alla sua destra, il braccio che s'allungava e la palla multicolore arrestò il
suo inesorabile volo verso l'acqua tra le mani del giapponesino, che la rinviò
al mittente con precisione ma...
"Oh, no, accidenti!" concentrato com'era sul
pallone, Genzo non s'era accorto di essere atterrato un buon metro più indietro,
al limite del bagnasciuga e un'onda birichina, un po' più lunga delle altre,
l'aveva raggiunto, sommergendolo fino alle caviglie ed inzuppando così la
fasciatura. Fece un paio di passi, riportandosi all'asciutto e scambiando
un'occhiata sconsolata con l'amica, mentre constatavano l'entità del danno: la
garza intorno al piede era totalmente zuppa e così pure la parte che avvolgeva
il polpaccio fin quasi al ginocchio. In più la sabbia asciutta si stava
attaccando tutt'intorno, rendendo la situazione ancor peggiore.
"E chi la
sente adesso Laura?" mugugnò stizzito, raccogliendo il suo pallone da terra e
facendo dietrofront in direzione dell'ombrellone.
Tornarono indietro in
silenzio, Genzo con la sfera sotto ad un braccio e la visiera calata sugli occhi
a nascondere il disappunto, Elena che restava a tratti indietro a raccogliere
conchiglie e lo raggiungeva poi con qualche passo di corsa nell'acqua
bassa.
Salutarono Luigi, seduto a controllare i bagnanti dalla prua di un
pattino rosso, oltrepassarono le docce e in quell'istante il portiere si sentì
tirare per un braccio "Aspetta!" Si voltò, perplesso, un sopracciglio sollevato
e gli occhi che si spalancarono ancor di più quando si sentì strattonare con
fermezza fuori dal campo visivo della tata, che era ancora evidentemente immersa
nelle sue parole crociate e non li aveva notati.
"Se Laura ti vede così fa la
predica a tutti e due! Libero, su al bar, ha la cassetta del pronto soccorso;
gli chiediamo della garza e ti rifaccio la fasciatura!"
Il ragazzo non ebbe
il tempo di replicare poiché l'amica l'aveva afferrato saldamente per una mano e
lo stava letteralmente trascinando verso l'ingresso del bagno.
Libero li
guardò con aria sospettosa e non mancò di impartire una breve ramanzina al
campioncino, recitata però con un sorriso furbo da congiurante mentre da un
armadietto bianco su cui spiccava una croce rossa mezza scrostata apparivano due
bende, forbici e nastro.
La luce del sole aveva assunto un caldo tono dorato
e inondava il bar ormai semideserto. I due ragazzi presero una sedia da un
tavolo in un angolo e in pochi istanti la vecchia fasciatura, ridotta ad un
ammasso sabbioso, venne disfatta. Genzo massaggiò d'istinto l'arto ormai libero
dalla garza, togliendo i granelli che s'erano infiltrati tra le bende.
"Fa
male?" l'espressione seria della sua amica lo fece sorridere. Si strinse nelle
spalle, scrollando la testa "No, non più. Neppure prima quando ho saltato. Va
meglio." Sorrise di nuovo e allungò una mano per prendere una benda, ma una
manina abbronzata fu più veloce di lui "Eh no, fratellino! Ci penso io! Tu come
pensi di fare a fasciarti per bene da solo?!"
Rimase silenzioso a guardare
la sua adorata sorellina armeggiare con garze e forbici, osservò il sole
riflettersi sulla massa castana dei capelli ormai asciutti e quindi cercò con lo
sguardo il cappellino bianco. Lo trovò abbandonato sul tavolino accanto, sporco
di sabbia e pieno di conchigliette. Ridacchiò considerando che bel caratterino
avesse la sua "dolce" sorellina. Dolce sì, ma anche piuttosto testarda, si
disse. "E’ l’unica, oltre ai miei e a Tatsuo, che riesce a darmi degli ordini. O
piuttosto, a tiranneggiarmi…" Se i suoi compagni l’avessero visto, pensò.
Un’immagine fugace di Ishizaki Ryo gli si parò nella mente e per un istante
sbiancò all’idea. Poi lo sguardo ricadde sulla testolina dai riflessi ramati,
china sulla sua gamba ferita ma quasi ormai guarita, ed ogni sciocca
preoccupazione sfumò. Lei poteva tiranneggiarlo. Solo lei. Lo faceva da quando
erano nati e, in fondo, non era poi tanto male…
"Fatto!" un’espressione
estremamente compiaciuta si dipinse sul visetto abbronzato "Ora sei pronto per
andare in Germania!"
"Direi che ora siete pronti per andare a casa!" La voce
di Laura giunse chiara ed inaspettata e li fece sobbalzare. La donna, cappellone
di paglia in testa e borsone da mare pure in paglia agganciato al braccio, li
osservava dalla porta a vetri del bar con aria accigliata.
L'aria
fresca della sera entrava dalla finestra spalancata sul giardino, portando il
profumo del gelsomino in fiore.
La televisione era stata spenta da poco, i
"grandi" erano andati a guastarsi l'ultimo bicchiere sulla terrazza che guardava
il paese, mentre loro due erano rimasti sul divano. In verità, Genzo era rimasto
per non svegliare la sua dolce sorellina che, come al solito, era crollata a
neanche metà partita. Non che gli dispiacesse, tutt'altro; la giornata era stata
lunga, la passeggiata sulla spiaggia l'aveva affaticato più di quel che gli
piacesse ammettere e la lavata di capo era stata più pesante del previsto.
Si abbandonò contro lo schienale del sofà, chiudendo gli occhi ed
accomodando meglio il braccio attorno alle spalle di Elena. Disturbata, la
ragazzina si stiracchiò, svegliandosi e guardandolo da sotto in su. Genzo
ridacchiò e le fece più spazio "Ma non eri tu quella che voleva venire a vedermi
giocare in Germania, sorellina?" Stuzzicò, scuotendo la testa nel vederla
sbadigliare sguaiatamente, ma un buffetto lo centrò sulla collottola e lo
ricambiò con un'occhiataccia "Quando ci sarai tu in televisione, seguirò tutta
la partita senza addormentarmi! Ma così non è che mi interessino poi
tanto..."
Il frinire delle cicale in lontananza riempì per un istante la sala
immersa nell'oscurità.
"Non ci credo." Replicò a bassa voce il portiere,
negli occhi quello sguardo penetrante solitamente celato dal fedele
cappellino.
Elena si rigirò nella sua stretta come un gattino arrabbiato,
puntellandosi con le braccia sui cuscini fino a portare il viso a pochi
centimetri da quello del ragazzo, che poté sentirne il fiato sulla pelle. Gli
occhioni dorati erano stretti a fessura e brillavano nella poca luce lunare che
penetrava dalla finestra "Un giorno, Wakabayashi Genzo, tu giocherai in
Bundesliga, in che squadra non lo so e non me lo chiedere, che tanto i nomi non
li conosco. Ma comunque: tu giocherai in Bundesliga e io ti vedrò
in televisione! E non mi addormenterò! Capito?!"
La luna era tramontata, le
cicale s'erano zittite ed il chiacchiericcio sommesso dei genitori e dei loro
ospiti era solo un brusio lontano.
Elena s'era riaddormentata, la testa sul
suo torace ed un braccio comodamente intrecciato al suo, il respiro leggero e
regolare del sonno profondo.
Quelle parole, quelle assolute certezze...
Credeva in lui, nelle sue capacità ed aveva delle aspettative che, si rese
conto, mai avrebbe voluto deludere. Perché deluderla sarebbe equivalso a farle
del male, e non lo avrebbe sopportato.
Avvertì sulle sue spalle di ragazzino
dodicenne il peso di decisioni e responsabilità che per un istante gli parvero
troppo grandi e troppo grevi.
Quante persone avevano puntato su di
lui...
Tastuo, suo padre, sua madre, i suoi fratelli, i suoi amici...
Un
movimento lo costrinse a riaprire gli occhi; Elena gli s'era addossata un po' di
più e gli aveva stretto tra le sue il braccio che la cingeva. Sorrideva beata e,
mentre l'osservava, emise un sospiro quasi soddisfatto che gli strappò un
sorriso.
Appoggiò la fronte alla testolina castana e chiuse le palpebre,
aspirando il profumo di pesca e di mare intrappolato nella morbida massa di
capelli della ragazza "Un giorno mi vedrai giocare in televisione, sorellina. In
Bundesliga. Te lo prometto."