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Autore: purplebowties    08/02/2015    0 recensioni
Una raccolta di one-shot sulla vita matrimoniale di Chuck e Blair.
[1] Purple Reign: Chuck avrebbe amato la sua sorpresa; Blair ne era assolutamente convinta.
[2] Entirely: Trattenne il fiato, ripensando al quando aveva visto quell’oggetto per la prima volta ed aveva riscoperto Blair nel suo fascino unico, in tutte le sue sfumature scure.
[3] Safety: Il senso di colpa che le pesava sul petto era molto più forte della sua solita inflessibile avversione ad ammettere di avere torto.
[4] All The Small Things: Le mancavano tutte quelle piccole cose che di solito faceva per dimostragli devozione.
[5] Triumph: Non voleva che qualcuno la guardasse come la stava guardando lui in quel momento, incapace di distogliere gli occhi dalla sua bellezza.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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“E’ incredibile che tu sia nascosto lì dentro già da dieci minuti, Chuck.” Blair alzò gli occhi al cielo e proseguì ad applicare il rossetto color rubino sulle labbra, fissando il suo riflesso nello specchio della toletta.

Chuck non rispose; Blair sentì, per la terza volta da quando era entrato nella sua cabina armadio, il rumore di un cassetto che veniva chiuso, un altro aperto ed, infine, suo marito sospirare pesantemente – quel verso insoddisfatto che faceva ogni volta che era impaziente ed, in questo caso, il segno che la ricerca della “cravatta giusta per questo completo” non stava procedendo bene.

Si lasciò sfuggire una risatina, figurandosi l’espressione certamente infastidita che Chuck doveva aver assunto. “Ci stai mettendo una vita, Bass,” disse in un tono sarcastico, alzando la voce per essere sicura che lui riuscisse a sentirla chiaramente. “Impieghi meno tempo a chiudere un affare che a scegliere una cravatta.”

L’unica risposta che ottenne fu un altro sospiro, questa volta più lungo, immediatamente seguito da un borbottio indistinto. Sapendo che Chuck si stava probabilmente lamentando del fatto che lei gli stesse mettendo fretta (la sollecitazione a sbrigarsi nel prepararsi era certamente irritante per qualcuno così vanitoso), Blair scosse la testa rassegnata e lanciò un ultimo sguardo critico al suo riflesso, facendo schioccare le labbra prima di posare il rossetto e riporlo insieme agli altri.

Si voltò ed un sorriso le illuminò il viso, mentre faceva correre gli occhi tutt’intorno alla stanza. La camera da letto patronale era decisamente il punto della casa che preferiva. Era meravigliosa; nonostante fosse elegantemente arredata e regale nel suo stile, le donava comunque un piacevole senso di calore. Era esattamente quella la sensazione che voleva che Chuck sperimentasse, era arrivata a capire durante il tempo passato a cercare il posto ideale dove vivere e cominciare a costruire il loro futuro, quella sicurezza data dalla consapevolezza che c’era finalmente un luogo che potesse davvero chiamare casa.

Avevano trovato e comprato la townhouse dopo sei mesi di accurata ricerca e Chuck, consapevole di quanto lei fosse entusiasta all’idea di creare l’ambiente perfetto per loro, le aveva dato carta bianca sui lavori di ristrutturazione, affermando di essere più che felice di lasciare che lei lo sorprendesse.

E Blair ci era riuscita. Aveva impiegato così tanta energia e dedizione nel rendere ogni angolo della residenza accogliente ed intimo - qualcosa di molto diverso dalle suite d’albergo dove lui aveva sempre vissuto - , ed il sorriso largo, genuino, apparso sul volto di Chuck quando infine aveva visto la casa ultimata  per la prima volta, tre settimane prima, le aveva dato la conferma che tutti i suoi sforzi erano stati ripagati: era lei la sua casa. Avrebbe conservato per sempre il ricordo della pura felicità che gli aveva letto negli occhi, comprendendone la rarità e sapendo di esserne l’origine.

Il sorriso di Blair si fece più ampio quando vide Chuck uscire dalla sua cabina armadio portando con sé due cravatte, una per mano. Lo guardò fermarsi al centro della stanza, di fronte al letto, con un’espressione indecisa, intensamente concentrato nel considerare entrambe le opzioni. Dopo un po’ gli angoli delle labbra di Chuck si curvarono in un sorrisetto autocompiaciuto, rivelando che i suoi dubbi erano scomparsi per lasciare posto ad una scelta definitiva. Posò delicatamente la cravatta più scura sul piumino, attento a non spiegazzare il tessuto, e poi lasciò l’altra sulla panchina ai piedi del letto, dove sapeva che Ivan l’avrebbe trovata e rimessa al suo posto.   

“Ed eccolo, in fine,  il Grande Chuck Bass che prende questa decisione incredibilmente difficile,” Blair lo prese in giro, prima di volarsi di nuovo verso lo specchio per indossare gli orecchini.

Dal riflesso lo vide puntare lo sguardo su di lei e arcuare le sopracciglia in una posa lievemente offesa, cosa che la fece sogghignare, non sorpresa ma comunque divertita dall’innegabile suscettibilità di suo marito.

“La perfezione richiede tempo e cura,” dichiarò lui in modo drammatico mentre le si avvicinava lentamente, appuntando sui polsini della camicia color crema i gemelli che aveva selezionato. “Non sapevo che ti infastidisse avere un marito che si presenta così bene.”  

Quando la raggiunse Chuck si abbassò per darle un bacio sul fianco del collo, appena sotto l’orecchio. Blair chiuse gli occhi; obbedendo al suo movimento, piegò la testa dall’altro lato, percependo le labbra di lui premute contro la sua pelle inarcarsi in un ghigno soddisfatto.  Il modo in cui lui inalò un respiro lungo e profondo, sicuramente felice di bearsi dell’aroma del suo profumo, la fece ridere leggermente.

“Certamente non mi da fastidio,” disse Blair dopo qualche secondo, interrompendo con riluttanza quel contatto per spingere indietro la sedia ed alzarsi.

Chuck si spostò per la lasciarla passare. Il suo sguardo silenzioso restò fisso su Blair mentre lei gli veniva incontro, in attesa – chiaramente si aspettava un complimento a quel punto. Quando lei gli fu abbastanza vicino, colse l’occasione per farle passare un braccio intorno alla vita, mentre gli occhi risalivano attenti lungo la sua figura.

“Sono molto felice di avere un marito tanto vanitoso quanto affascinante,” lo lusingò Blair.

In un ovvio segno di soddisfazione, il ghigno sul volto di Chuck si fece più tagliente ed obliquo e lei non poté fare a meno di sorridere delle luce compiaciuta apparsa immediatamente nel suo sguardo.

Blair cominciò a far scorrere lentamente le mani sul petto di lui. “Quello che mi infastidisce è arrivare tardi al nostro brunch con Lily,” gli disse, allacciando con cura i primi bottoni della sua camicia, che lui aveva lasciato aperti in attesa di indossare la cravatta. “E’ maleducazione.”

Mentre le dita si spostavano verso il colletto ed iniziavano a lisciarne il tessuto, Blair alzò lo sguardo su di lui e gli lanciò un’occhiata risoluta, alla quale Chuck rispose alzando gli occhi al cielo e sbuffando, la stessa cosa che aveva 
ripetutamente fatto  durante le ultime due ore, da quando lo aveva svegliato – e non senza difficoltà.

Era Domenica e Blair sapeva che per Chuck la Domenica mattina ideale era da passare a letto, possibilmente con lei, a fare assolutamente nulla se non concedersi alla pigrizia (e spesso al sesso, ovviamente) ed era esattamente così che avevano trascorso quasi ogni Domenica mattina degli otto mesi passati dal loro matrimonio. Occasionalmente, però, Chuck si lasciava convincere da Lily ad accettare l’invito ad un brunch. Dal momento che sarebbe partita per una vacanza con William due giorni dopo, la donna aveva insistito perché partecipassero, il che spiegava perché fossero già in piedi e vestiti alle dieci del mattino – e la sfacciata lentezza di Chuck era una prova lampante di quanto quella circostanza non lo entusiasmasse.

Chuck sciolse la presa intorno alla vita di Blair; la lasciò andare e, nolente, si fece strada verso il letto king size.

“A Lily non importerà di un po’ di ritardo,” asserì con tono indolente, abbassandosi per prendere la cravatta che aveva adagiato sul materasso. Si avvicinò allo specchio a figura intera dall’altro lato della stanza e vi si sistemò davanti. “Devo parlare di qualcosa che la renderà sicuramente abbastanza felice da farle dimenticare qualsiasi presunto atto di scortesia.”

Quell’affermazione fece aggrottare le sopracciglia di Blair con interrogativo interesse. “Qualcosa che riguarda la Bass Industries?” gli chiese e la curiosità conferì alle sue parole un suono lievemente acuto. Di qualunque cosa si trattasse, pensò, doveva avere a che fare con gli affari, perché non aveva idea di cosa lui stesse parlando – il che era quantomeno strano. Non riusciva a farsi venire in mente altro di cui Chuck avrebbe potuto discutere con la sua matrigna prima che con lei.

“Non esattamente,” disse lui, con la voce che si abbassava mentre si concentrava sul suo riflesso, facendo scorrere la cravatta slacciata sotto il colletto della camicia finché entrambi i capi del tessuto non ebbero raggiunto precisamente l’altezza che desiderava. “Ho semplicemente preso una decisione con cui so che concorderà.”

Sedendosi sul letto, Blair si accigliò. “Una decisione?” 

“Sì,” replicò lui distrattamente, assorbito dalla sua figura nello specchio mentre le dita esperte si muovevano agili sulla seta. Completamente inconsapevole delle tracce di impazienza improvvisamente apparse sul viso di sua moglie, Chuck proseguì ad allacciare un perfetto nodo Windsor, prendendosi tutto il tempo necessario per farlo con estrema cura e non affrettandosi a darle una risposta meno vaga.

Si girò a guardarla solo quando la sentì schiarirsi la gola in modo alquanto infastidito.

“E da quando prendi delle decisioni senza coinvolgermi?”

La nota irritata nella voce di Blair gli suggerì che sarebbe stato saggio non cedere all’impulso di ridere di fronte alla sua espressione innegabilmente piccata ed a quel suo incontenibile bisogno di sapere sempre tutto. Finì di sistemarsi la cravatta, stringendola con un ultimo rapido movimento, e poi si diresse di nuovo verso il letto.

“Volevo essere sicuro di non avere più dubbi prima di parlartene,” le disse, sedendosi affianco a lei. Blair gli riservò uno sguardo diffidente quando lui le poggiò una mano sul ginocchio e, con l'indice, cominciò a seguire una linea immaginaria lungo la coscia . “Ed ora che lo so, stavo semplicemente aspettando il momento giusto per dirtelo,” le baciò la spalla, che era coperta solo parzialmente dal vestito senza maniche che indossava. “Avevo pensato di farlo sta sera, a cena,” alzò lo sguardo, incontrando i suoi occhi ancora pieni di sospetto. Con un sorriso le sistemò un boccolo ribelle dietro l’orecchio. “Ma suppongo che non mi lascerai tenerti sulle spine così tanto, o sbaglio?”

Chuck era molto fiero di qualunque cosa dovesse dirle, realizzò Blair, osservando le sue sopracciglia curvarsi con soddisfazione. Non solo la voluta lentezza che lui aveva usato nel pronunciare le parole, attento ad accompagnarle con delle pause teatrali, ma anche la sua espressione inequivocabilmente gongolante, fecero crescere la sua curiosità e prosciugarono anche l’ultima goccia di pazienza che le era rimasta.

“Ovviamente no,” alzò gli occhi al cielo. “Dimmelo, Chuck,” ordinò. “Adesso.”

Sotto a quello sguardo inquisitore, il ghigno divertito che aveva immediatamente increspato le labbra di Chuck all’approccio imperativo di sua moglie – la voce di lei aveva assunto quelle note dispotiche ed autoritarie che non mancavano mai di affascinarlo – si addolcì e si trasformò in un piccolo sorriso. Fece un respiro profondo e le prese la mano. “Ho riflettuto molto sulla nostra sicurezza da quando ci siamo trasferiti,” disse, cominciando a carezzarle il dorso della mano con il pollice. “E sono giunto alla conclusione che abbiamo bisogno di un adeguato servizio di sicurezza.”

Blair, confusa, corrugò la fronte. “Ma la casa ha già il miglior sistema di sicurezza che siamo riusciti a trovare.”

Lui scosse la testa. “Lo so, Blair; non sto parlando della casa,” fece una pausa e portò lo sguardo su di lei. “Parlo di sicurezza personale.”

Lei spalancò gli occhi. “Intendi dire che vuoi assumere delle guardie del corpo?”

“Esattamente.” Chuck annuì e la sua faccia si fece seria. “Per me ed anche per te,” aggiunse subito dopo. Abbassò gli occhi per un momento, usando la mano libera per raggiungere il braccio di Blair e cominciare ad accarezzarlo, muovendo le dita in piccolo cerchi. Quando alzò nuovamente lo sguardo, la sua espressione lo sorprese. Gli occhi di Blair erano stretti in un cipiglio perplesso e Chuck si sentì completamente inconsapevole delle ragioni che lo motivavano, dal momento che si era aspettato da lei una reazione entusiasta. Sua moglie, invece, lo fissava in silenzio. 

Chuck sospirò. “Stando all’Empire avevamo la sicurezza dell’hotel e, per quanto non fosse minimamente sufficiente
, almeno era qualcosa. Ora che non viviamo più lì siamo del tutto senza protezione,” proseguì, sperando che spiegare le sue motivazioni avrebbe cambiato il modo in cui lei lo stava ancora guardando con un’espressione sicuramente non elettrizzata. “Non è sicuro, Blair.”

Lei chiuse brevemente gli occhi, stringendo le labbra. “Quindi, fammi capire,” si allontanò da lui, liberando la mano dalla sua presa. “Tu hai stabilito che io debba avere delle guardie del corpo e non hai pensato che avrei dovuto essere perlomeno coinvolta nella decisione?” si alzò e, sistemandosi di fronte a lui, incrociò le braccia sotto al seno. Lo guardò male, chiaramente indignata. “Non pensi che la mia opinione circa l’argomento valga tanto quanto la tua?”

Pienamente stupito dalla sua domanda e dall’accusa che essa implicava (che lui non considerasse il suo giudizio equamente valido), Chuck sbattette gli occhi. “Ma certo,” ribatté, incapace di nascondere un pizzico di offesa nel tono. “Ma non si tratta di opinioni, Blair. E’ qualcosa che va fatto, che ti piaccia o meno.”  

Esitò. L’espressione arrabbiata con cui lei lo stava ancora fissando era completamente incomprensibile per Chuck ed il fatto che non riuscisse a dare un significato al modo in cui lei si stava comportando lo faceva sentire nervoso. Non era abituato a non capirla. Inspirò pesantemente e scostò gli occhi da lei per fissarli sul pavimento. “Onestamente, dopo tutto quello che abbiamo passato, credevo che saresti stata contenta di questa scelta.”

Pensando alla loro ancora troppo recente – e anche non così recente – storia, aveva sinceramente  supposto che non solo lei avrebbe approvato la sua decisione, ma che si sarebbe anche sentita sollevata, considerando quanto si preoccupava ogni qual volta che lui era fuori città per lavoro.
 
Non più tardi di due giorni prima, tornando da Los Angeles, il jet era atterrato con un paio d’ore di ritardo e lei era arrivata al punto di chiamarlo più di dieci volte, ogni telefonata riempita con più ansia rispetto alla precedente;  quando Chuck era infine arrivato a casa da una Blair troppo agitata, si era scoperto incapace di calmarla propriamente, realizzando che le parole rassicuranti che gli uscivano dalla bocca erano, di fatti, solo parole.

Non poteva davvero prometterle che non era in pericolo, semplicemente perché non poteva esserne sicuro. Lei aveva tutto il diritto di avere paura, le sue preoccupazioni non erano irrazionali, avevano un fondamento; lui stesso non si sentiva mai sicuro ed in più il pensiero che qualcosa sarebbe potuto accadere a Blair a causa sua non mancava mai di perseguitarlo e farlo sentire impotente oltre che in colpa. 

Anche se stava considerando l’idea già da un po’, la paura negli occhi di lei lo aveva finalmente convinto che assumere delle guardie del corpo era semplicemente la cosa più logica da fare.

“Beh, non lo sono!” sbottò Blair, riscuotendolo dai suoi pensieri. Gli lanciò un’occhiata ostile prima di girarsi, mostrandogli la schiena. “Non lascerò che tu mi imponga nulla, Charles,” pronunciò il suo nome per intero con voce più alta ed acuta. “E sicuramente non mi farò seguire dai tuoi gorilla.”

“Blair, sei irragionevole.” Anche se non poteva guardarla in faccia, sapeva che la sua affermazione l’aveva fatta infuriare ancora di più, perché vide distintamente le sue spalle iniziare ad alzarsi ed abbassarsi più veloci, seguendo l’accelerare del respiro. “Devi capire che nella mia posizione è irresponsabile non adottare queste misure. Essendo mia moglie, sei esposta tanto quanto me.”

Lei si voltò di scatto e lo gelò con lo sguardo. “La tua posizione? Ma ti senti quando parli?” si lasciò sfuggire una risata sarcastica. “Il tuo ego non conosce davvero limiti.”

Ancora seduto sul letto, Chuck si irrigidì e inspirò, cercando di non perdere la pazienza di fronte a quelle parole deliberatamente offensive. “Sì, Blair, la mia posizione,” soffiò, la voce che si faceva più tagliente mentre sentiva la collera salire. “E se non ti stessi comportando come una bambina capiresti che cosa intendo e che questo non ha nulla a che fare con il mio ego,” chiuse gli occhi per un secondo e poi li aprì di nuovo, per rivolgerle uno sguardo fermo. “E’ deciso; non cambierò idea.” 

“E nemmeno io!” Blair gridò, facendo qualche passo verso di lui. “Puoi fare quello che vuoi, assumi un esercito privato per te stesso se pensi che sia necessario, ma non ti azzardare a pensare di potermi controllare.”

Quella frase lo colpì come un pugno e Chuck serrò la mano  in un  moto di rabbia. “Controllarti?” le chiese quasi in un sussurro e, nonostante avesse provato a mantenere un tono freddo, la parola venne fuori piena di risentimento. Si alzò e la raggiunse. “Pensi che sia questa la ragione per cui lo sto facendo?”

Blair non rispose subito; Chuck vide le sue labbra tremare sotto il suo sguardo, come se stesse facendo fatica a sostenerlo. Deglutì, ma tenne gli occhi fissi su di lui.

“Assolutamente,” rispose testardamente dopo qualche secondo. “Non mi sorprende, d’altronde è tua abitudine far seguire le persone,” arcuò le sopracciglia, assumendo una posa provocatoria. “Ed avere dossier su di loro.“

“Ma non sua mia moglie.” Il pensiero che Blair potesse davvero credere che lui la stava mettendo sullo stesso piano di tutte le persone che non rispettava e di cui non si fidava lo ferì profondamente. Fece un passo indietro, sentendo il bisogno fisico di creare della distanza tra di loro. “Dovresti sapere che non ti mancherei mai di rispetto in questo modo e anche solo il fatto che quest’idea ti sia venuta in mente è francamente offensivo.”

“Davvero non lo faresti?” replicò lei ostinata. “Stai già prendendo delle decisioni che riguardano la mia vita, dopo tutto.”

Chuck le lanciò un’ultima occhiata oltraggiata e poi abbassò gli occhi, scuotendo la testa leggermente. Rifiutandosi di guardarla, camminò verso il clothes valet 1, dove la giacca del completo era ancora appesa; la afferrò e la indossò. Il rumore dei tacchi di Blair lo avvisò che lei gli si era avvicinata ed ora gli stava dietro.  Inspirò profondamente per calmarsi e riacquistare la compostezza prima di girarsi a guardarla.

“Non è vero,” affermò freddamente. “Sto solo cercando di essere una persona responsabile, ma se questa è veramente l’opinione che hai su di me, allora non ho intenzione di stare qui a litigare con te, Blair.” Si abbottonò il completo ed alzò lo sguardo su di lei. “Ne discuteremo ancora quando deciderai di non essere così immatura.”

Notando le lacrime rabbiose che avevano riempito gli occhi di Blair, Chuck guardò verso il basso; nonostante fosse infuriato, per quanto offeso e ferito si sentisse per il modo in cui lei lo aveva mal giudicato, non riusciva comunque a vederla piangere. Si voltò e si fece strada verso la porta. 

Blair lo seguì. “Dove credi di andare?” gridò, prendendolo per un braccio e tirando, per costringerlo a girarsi di nuovo verso di lei.  

“In ufficio,” rispose lui, sempre senza guardarla negli occhi. La voce gli si era fatta più bassa e in qualche modo rigida, distaccata. “Non verrò al brunch, puoi andare da sola. Per favore,” si passò una mano tra i capelli, tenendo gli occhi fissi a terra, “chiedi scusa a Lily per la mia assenza e dille che la chiamerò domani. Ci vediamo dopo.”

Chuck ruotò su se stesso ed attraversò la porta, sentendo lo sguardo fisso di Blair addosso mentre lasciava la stanza.


“Onestamente, Blair,” disse Serena gesticolando, il roteare delle lunghe mani che accompagnava il confuso sguardo accigliato che aveva dipinto in viso,“non riesco a capire perché tu sia così arrabbiata." Prese un macaroon al pistacchio dal vassoio su cui i pasticcini erano serviti e lo addentò con gusto. “Voglio dire, capisco che non sopporti il fatto che lui non abbia chiesto la tua opinione ma, per quanto non mi piccia ammetterlo, credo che abbia ragione.”  

Blair alzò gli occhi al cielo. “Non ha ragione,” dichiarò cocciutamente, lanciando un’occhiata ostinata alla sua migliore amica. “E’ solo paranoico, c’è differenza.”

Erano accoccolate sul divano, nel salotto dell’attico di Blair (Serena si era recentemente trasferita di nuovo lì, stanca di vivere con sua madre – e con suo padre, dal momento che lui e Lily erano tornati a convivere – ma ancora non pronta ad accasarsi con Dan), dove erano andate dopo aver lasciato l’appartamento dei Van Der Woodsen.

Il brunch era stato assolutamente frustrante per Blair, che aveva passato l’intero tempo cercando di mantenere una facciata impeccabile, facendo del suo meglio per non mostrare alcun segno della rabbia della quale non era riuscita a liberarsi.

Quando era arrivata e Lily l’aveva interrogata circa l’assenza di Chuck, lamentandosi perché non aveva avuto modo di vederlo prima di partire per il suo viaggio con William, Blair aveva fatto davvero fatica ad accompagnare le parole con un sorriso luminoso.

“Gli dispiace moltissimo,” le aveva detto, sforzandosi nel mantenere la voce calma ed armoniosa. “E successo qualcosa di urgente ed è dovuto andare in ufficio, ma ha chiesto di dirti che ti chiamerà domani. Sono sicura che ti inviterà a pranzo e avrete tutto il tempo di stare un po’ insieme prima che tu parta.”

Dal momento che conosceva sua suocera da quando era bambina e sapeva quanto fosse acuta, Blair aveva capito che la donna non si era affatto bevuta quella scusa e lo sguardo scettico che le aveva riservato lo aveva reso ben chiaro. Tuttavia, educatamente, Lily aveva semplicemente sorriso e fatto un commento circa come “Charles” non dovesse “stressarsi così tanto”.

Il tono pieno di cura con cui la donna aveva pronunciato quelle parole aveva reso Blair ancora più nervosa; Chuck non l’aveva ancora chiamata per scusarsi per il modo in cui l’aveva lasciata nel mezzo di una discussione – dopo averla chiamata infantile ed immatura – ed ascoltare qualcuno parlare di lui in un modo così amorevole l’aveva fatta pensare di nuovo a quanto lo odiasse per essere tale stronzo passivo-aggressivo.

In ogni caso, capendo che Lily le stava dando una via d’uscita, Blair aveva mantenuto sul volto un sorriso ampio. “Non dovrebbe, è vero,” aveva convenuto, usando la sua voce più dolce. “In verità sto considerando di proporgli un weekend rilassante da qualche parte. Dov’è che andate tu e William? Ho dimenticato.”

Dopo sessanta interminabili minuti, che Lily aveva passato a parlare nel dettaglio della vacanza che aveva organizzato, Serena, che aveva occhieggiato Blair sospettosamente per tutto il tempo, sicuramente notando il suo atteggiamento rigido e fasullo, le si era avvicinata e le aveva suggerito di andare via.

“Possiamo fermarci a prendere dei macaroons da Ladurée e poi andare da me,” le aveva offerto. “Ci divertiremo e così potrai anche dirmi perché tu e Chuck state litigando.”

Blair aveva deciso di essere troppo infuriata per negare e, per nulla vogliosa di tornare a casa, aveva accettato l’invito.


Sfortunatamente, dopo aver speso due ore a lamentarsi di suo marito con una Serena molto perplessa, Blair si era arresa al fatto che la sua migliore amica semplicemente non afferrasse la serietà della situazione, dal momento che si rifiutava di vedere quanto torto avesse Chuck ed, invece, quante ragioni per essere adirata aveva lei.

“Io non penso che sia paranoico,” la contradette infatti Serena. “E nemmeno tu,” puntò il dito indice verso Blair, che aveva curvato le sopracciglia in un’espressione incredula. “Sei sempre così ansiosa quando è via,” spiegò Serena, gesticolando per dare più credibilità alla sua opinione. “Quando è stato che sei completamente andata fuori di testa solo perché il suo volo era in ritardo?” chiese. “La settimana scorsa?”

Blair sbattette gli occhi e la sua bocca, per la sorpresa, prese la forma di un piccolo cerchio. “E’ stato due giorni fa,” chiuse gli occhi e scosse leggermente il capo. “E non centra nulla, S!” alzò una mano e la mosse in un gesto rapido, come se stesse cercando di scacciare via le parole di Serena, così da poterle ignorare. “E anche se avesse ipoteticamente ragione circa l’aver bisogno di guardie del corpo,” pronunciando la parola ‘ragione’ la sua voce assunse una vena canzonatoria, “non aveva comunque alcun diritto di impormi le stesse misure.”

“Se lui ne ha bisogno, per quanto limitante possa essere, allora ne hai bisogno anche tu,” la bionda commentò, mentre Blair si affrettava ad afferrare un macaroon, facendo del suo meglio per far finta di non ascoltare. “E’ logico, B.”

Blair alzò lo sguardo dal vassoio d’argento e la guardò male. “Serena,” articolò le lettere in modo tagliente, con fare chiaramente rimproverante. “Ha detto ‘Che ti piaccia o meno ’, come se io non avessi voce in capitolo.”  Ricordando le sue parole, percepì l’irritazione imporporale nuovamente le gote e sfogò l’ira addentando aggressivamente il pasticcino verde che teneva in mano. “E’ inaccettabile.”

“E io sono d’accordo con te,” Serena si affrettò a dire, attenta a non aggravare l’umore già pericoloso della sua migliore amica. “Il suo approccio è stato sbagliato e doveva sicuramente coinvolgerti nella decisione, ma non cambia il fatto che ha ragione.”

Blair borbottò facendo un verso irrisorio ed alzò gli occhi al cielo, mentre procedeva a prendere un altro macaroon.

Serena sospirò. “Ascolta, sono anni che mia madre lo prega di assumere dei bodyguard, ma si è sempre rifiutato.”  A quella rivelazione gli occhi di Blair si concentrarono immediatamente sulla sua migliore amica; la fissò con un’espressione confusa e curiosa allo stesso tempo, silenziosamente chiedendole di proseguire. “Sai,” Serena abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore, qualcosa che Blair sapeva che faceva ogni volta che voleva dire qualcosa ma non sapeva come. “Si è davvero spaventata dopo Praga.”

Blair trattenne il respiro; non appena Serena alzò di nuovo gli occhi su di lei, guardandola con preoccupazione, Blair li abbassò, sentendo un brivido lungo la schiena. La sua migliore amica aveva appena tirato fuori una delle molte cose a cui Blair si era sforzata di non pensare dal momento in cui Chuck le aveva comunicato le sue intenzioni, perché pensarci l’avrebbe obbligata ad ammettere che lui avesse veramente ragione.   

Scosse la testa vigorosamente per cacciare via quei pensieri dalla mente e sospirò a sua volta. “Può anche avere ragione, Serena, ma rimane uno stronzo,” proseguì, riportando gli occhi sulla bionda. “Mi ha mollata lì! Mi ha chiamato infantile ed immatura e poi se ne è andato, come se non gli importasse,” si sfogò ed un’ondata di sdegno rese la sua voce tremolante ed acuta. “Non mostra nemmeno la rabbia, diventa apatico e rigido e si rifiuta di parlarmi!”

Era forse la cosa che odiava di più di lui, decise di nuovo in quel momento: il modo in cui diveniva freddo e distante quando litigavano. Mentre l’ira tendeva a farla urlare e muovere freneticamente, la reazione tipica di Chuck consisteva nel costruire muri invisibili e smettere di parlare, il che di solito finiva per farla infuriare ancora di più.

Lo conosceva abbastanza bene da capire che in realtà gli importava e che era generalmente arrabbiato quanto lei, ma la sua apparente indifferenza – e la sua capacità di mantenere un tale distacco e controllo – era frustrante e, per Blair, provocatoria.

Serena si corrucciò. “Non mi sembra da lui,” ribatté, piegando la testa di lato e fissando Blair con un’espressione incerta. “Può essere permaloso e scontroso, ma non se ne andrebbe nel mezzo di una discussione senza un motivo.”

Blair arricciò le labbra. “Oh, fidati,” affermò, scostando lo sguardo. “E’ esattamente da lui.” Prese un cuscino e se lo sistemò sulle gambe, cominciando a tamburellare le dita sul tessuto.

“Blair,” Serena cercò di riacquistare la sua attenzione, osservandola scettica. “C’è qualcosa che non mi hai detto?”
 
Blair non rispose; cominciò a guardarsi intorno, concentrando gli occhi su qualsiasi cosa che non fosse la sua migliore amica. Sentì Serena sbuffare e, nonostante si stesse rifiutando di incontrare il suo sguardo, che era ancora fastidiosamente fissato su di lei, sapeva che la bionda aveva assunto la posa infastidita che usava ogni qual volta che cominciava ad innervosirsi per l’atteggiamento di Blair.

“Blair,” Serena la chiamò di nuovo. “Avanti, dimmelo.”

Blair soffiò irosamente. “E va bene!” sbottò esasperata. “Potrei averlo accusato di cercare di controllarmi,” mormorò. “E prendere decisioni circa la mia vita.”

“Blair!” Serena esclamò, spalancando gli occhi. La fissò  con plateale sorpresa ed un briciolo di accusa nello sguardo.

“Cosa?” ribatté
 Blair. “Ero arrabbiata, Serena,” si giustificò poi, abbassando gli occhi. “Non stavo ragionando.” Inspirò profondamente e poi si fece silenziosa, continuando a torturare il cuscino che aveva ancora tra le braccia.

“So che probabilmente non mi ascolterai,” disse Serena dopo un po’, con calma. Blair alzò subito lo sguardo, lanciandole un’occhiata dubbiosa. “Ma dovresti chiedergli scusa.”

“Non farò nulla del genere!” Blair rispose immediatamente, mentre un cipiglio offeso compariva sul suo viso. “E’ lui a doversi scusare.”

Incrociò le braccia ostinatamente. L’idea di mettere da parte l’orgoglio e chiedere scusa per prima andava contro tutto quello che si era promessa che non avrebbe fatto quando lo aveva visto uscire dalla porta e lasciarla lì, in piedi nel mezzo della loro camera da letto; si era detta che non lo avrebbe perdonato così facilmente per i suoi modi così fastidiosamente irrispettosi e prepotenti.

Ma lei era stata irrispettosa a sua volta. Ripensando alle accuse che gli aveva rivolto, ora che Chuck non era lì e che era passata qualche ora da quando gliele aveva sputate in faccia, in quello che era stato un ovvio – e, purtroppo, capiva ora, ben riuscito – tentativo di ferirlo quanto lui l’aveva offesa, suonavano assolutamente ridicole.

Si era pentita di averle pronunciate immediatamente, nel momento in cui le parole le erano uscite dalla bocca, ma era stata così sopraffatta dalla rabbia che non era stata in grado di fermarsi dal colpirlo dove sapeva che lui era vulnerabile. Anche se Chuck poteva essere una persona decisamente intimidatoria e non si faceva scrupoli ad usare ogni mezzo per assicurarsi di avere tutto – e tutti – sotto controllo, i rapporti con le persone che amava erano strettamente basati sulla fiducia; era un uomo eccezionalmente leale e rispettoso con quel ristretto gruppo di persone e Blair sapeva che il suo affermare che lui l’aveva trattata come trattava il resto del mondo doveva averlo insultato profondamente.

Serena scosse la testa. “A me sembra che entrambi abbiate detto e fatto cose sbagliate.”

L’espressione arrabbiata di Blair si addolcì in un broncio triste. Lo odiava; lo odiava perché era un’idiota arrogante, estremamente permaloso e testardo – così abituato a comandare ed essere dominante che a volte dimenticava di non usare quei modi con lei – ma, ancora di più, lo odiava perché non riusciva a tollerare il pensiero di averlo fatto soffrire per qualcosa che aveva detto sconsideratamente, con il solo proposito di farlo sentire in difetto. Il senso di colpa che le pesava sul petto era molto più forte della sua solita inflessibile avversione ad ammettere di avere torto.

“Non mi piace quando dici cose sagge, S,” disse con un sospiro. “Fa strano; è contro l’ordine natural delle cose.”


 


Quando Blair attraversò la porta d’ingresso della townhouse era già tardo pomeriggio. Aveva impiegato ore per  raggiungere finalmente casa, un tempo che aveva speso rimuginando sulla loro discussione e facendo tutto quello a cui era riuscita a pensare per posticipare il momento in cui sarebbe dovuta tornare, consapevole che lui la stava sicuramente aspettando ed in qualche modo preoccupata di affrontarlo, di guardarlo negli occhi ed incontrare un lampo di risentimento nel suo sguardo scuro.  

Trattenne il respiro quando la fragranza di Chuck raggiunse le sue narici, dandole la conferma che lui era effettivamente lì. Era abituato ad indossare così tanta colonia che lasciava sempre una scia di profumo dietro di se; ogni volta che arrivava prima di lei, Blair capiva sempre che era a casa dal modo in cui l’ingresso odorava di Fahrenheit 2, una prova inconfutabile del suo passaggio.

Percepì una breve sensazione di sollievo scaldarle il petto al pensiero che lui le era vicino, in casa loro, e un piccolo sorriso inconsapevole le piegò gli angoli della bocca. Sentì l’improvviso bisogno di vederlo, di parlargli e di fare in modo che capisse che lei non intendeva nulla di quanto gli aveva detto durante la litigata ed il corpo la guidò naturalmente verso le scale. Salì e si fermò sull’ultimo gradino, che la separava dal salotto.

Blair lo trovò lì, seduto sul divano con la schiena rivolta verso le scale, e, nonostante non potesse vederla, capì che era comunque diventato consapevole della sua presenza quando lo sentì sospirare profondamente e notò la sua mano che si muoveva appena sul bracciolo del sofà dove l’aveva appoggiata, in una reazione fisica al suo arrivo, come se avesse voluto alzarsi ad accoglierla, ma si fosse imposto di non farlo.

Chuck non si voltò per lasciare che gli occhi incontrassero la sua figura e Blair esitò, arricciando nervosamente le dita intorno al corrimano. In qualche modo, anche se poteva solo a vedere le spalle e la nuca di lui, riusciva comunque a riconoscere la sua postura rigida e a distinguere il suono quasi inaudibile dei suoi polpastrelli che tamburellavano sul bicchiere di cristallo che aveva sicuramente in mano.

“Sei tornata,” Blair si rese conto che aveva chiuso gli occhi solo quando le palpebre le si sollevarono di scatto, in risposta alla sua voce bassa e profonda. “Ti stavo aspettando,” si fermò ed il silenzio la obbligò a fare l’ultimo gradino e dirigersi verso di lui “Non mi hai chiamato.”

Qualcosa nel suo tono era sorprendentemente diverso da come lei aveva immaginato che sarebbe stato a quel punto. Non suonava rabbioso o mostrava freddezza. Era invece piatto; c’era una nota malinconica nel suono delle sue parole e nel modo in cui le aveva pronunciate lentamente, come se stesse facendo fatica a parlare. Blair fece il giro del divano e si sistemò di fronte a lui, fissandolo, mentre gli occhi si focalizzavano sui dettagli della sua espressione, sul cruccio profondamente pensoso che gli scuriva il volto e sul modo in cui le sue labbra mancavano del loro innato, inconsapevole mezzo sorriso furbo in cui erano solitamente curvate.

Lo sguardo di Chuck restò fermo sul liquido ambrato che riempiva il bicchiere strizzato nella sua mano per un secondo in più, prima di portarlo alle labbra e fare un piccolo sorso; quel gesto in qualche modo automatico gli consentì di mantenere il suo intento di non guardarla.

Blair sospirò. “Sapevo che ti avrei trovato a casa,” disse. “E sapevo che non avresti risposto.”

Era una risposta conciliante, che lei aveva pronunciato con voce volutamente mite e colpevole, ma sapeva che lui aveva comunque definitivamente percepito nel suo tono le trace della frustrazione che provava all’idea di scusarsi.

Notò che le labbra di Chuck si arricciarono leggermente, come se stesse cercando di trattenere un sorrisetto appena accennato, probabilmente sorto dall’incontrollabile – anche attraverso la sua chiara amarezza – soddisfazione che doveva aver provato dopo quella frase, consapevole di quale rara circostanza fosse il vederla tradire il suo orgoglio. 

“Hai ragione,” infine alzò lo sguardo su di lei e Blair sorrise flebilmente, incapace di trattenersi dal sentire un pizzico di soddisfazione data dalla consapevolezza che lo conosceva così bene da essere in grado di predire sempre il suo comportamento. “Non avrei risposto.”

Comunque, mentre gli occhi di Chuck si fissavano su di lei con maggiore insistenza, non poté fare altro che abbassare lo sguardo.

“Chuck —”

“Le cose che hai detto  su di me, sul cercare di controllarti,” la interruppe immediatamente, obbligandola ad rialzare gli occhi su di lui. Portò la mano libera sulla mascella serrata e la strofinò nervosamente. “Le pensi veramente?” le chiese. “Ti faccio davvero sentire così, Blair?”

Anche se aveva iniziato a parlare con un’inflessione deliberatamente brusca, ad un certo punto tra le domande quella spigolosità era scemata in un tono basso ed instabile, che aveva lasciato intuire un fondo di paura quando aveva pronunciato il suo nome.  

Blair percepì le lacrime pungerle negli occhi e chiuse le palpebre brevemente per ricacciarle indietro; il pensiero di averlo ferito le strinse di nuovo il cuore. “No,” disse immediatamente, sedendosi di fianco a lui. “No, non mi fai sentire così.” Scivolò lentamente sui cuscini del divano per avvicinarsi e gli prese il polso, intrappolandolo con le dita ed accarezzandolo lievemente con l’indice. “Mi fai sentire rispettata e libera, tutti i giorni.”

Blair sentì il braccio di Chuck irrigidirsi sotto il suo tocco. “Ma sembravi sicura di quello di cui mi hai accusato.” Inspirò profondamente e mosse la mano, liberandola dalla sua presa con la scusa di bere un altro po’ di scotch. Inghiottendo il liquore, abbassò lo sguardo.

Il modo in cui si era messo subito sulla difensiva, rifiutando il contatto fisico e negando le sue parole, le fece capire che era spaventato. Blair sapeva che le cose che aveva detto lo avevano fatto dubitare della sua capacità di renderla felice, di essere un buon marito, ed era anche consapevole di quanto quel pensiero lo intimorisse. Era tipico di Chuck; dal momento in cui la paura era un sentimento inaccettabile per lui, la reprimeva e diventava invece scontroso.

“Davvero non lo penso,” gli assicurò e  raggiunse di nuovo la sua mano delicatamente. “So che non cercheresti mai di controllarmi. Non sei quel tipo di uomo, non con me.”

Nonostante avesse tenuto gli occhi fissi a terra, le sue parole lo convinsero a smettere di lottare contro il suo tocco e lasciò che lei prendesse il bicchiere che stava ancora reggendo. Blair lo afferrò e lo posò sul tavolino basso di fronte al divano prima di riportare nuovamente la mano sulla sua ed intrecciare le loro dita .

“Ho perso la pazienza, Chuck,” cercò di spiegarsi. “Sai che non sopporto quando le cose mi colgono di sorpresa. Non avevi mai menzionato di voler assumere delle guardie del corpo e mi sono sentita esclusa.”  

Lui restò immobile per qualche secondo e poi si mosse sul sofà, girandosi verso di lei ed eliminando quel poco di distanza che aveva messo tra di loro. “Non era mia intenzione escluderti,” disse, alzando nuovamente lo sguardo su di lei. La voce suonava leggermente più calma e Blair si sentì sollevata nell’incontrare il suo sguardo e di trovare una luce più morbida nel suo buio. “L’unico motivo per cui non te ne ho parlato prima è che volevo sinceramente sorprenderti. So quando ti preoccupi, sempre, e ho pensato che questo ti avrebbe fatto sentire meglio.”

“Lo so,” Blair annuì ed un piccolo sorriso prese forma sulle sue labbra. “Ma è qualcosa di cui
 avremmo dovuto discutere insieme. E’ una decisione che ha effetto su entrambe le nostre vite.”

Chuck sospirò. “E’ vero, ma non penso che si possa discutere, Blair,” disse con calma ma non con meno fermezza di quando le aveva detto la stessa cosa quella mattina. Alzò la mano libera dal bracciolo e la portò sulla spalla di Blair; la strinse con forza, in un gesto protettivo. “Ho paura che non sia una scelta, ma una necessità,” la guardò direttamente negli occhi. “Riesci a capire perché?”

Qualcosa nel suo tono, una nota tremante dietro l’inflessibilità che aveva accompagnato le sue parole, le disse che stava facendo fatica ad affrontare quell’argomento. Blair, comunque, non aveva bisogno che lui spiegasse a cosa si riferiva; capiva perfettamente.

Nel profondo, per essere onesta con se stessa, Blair sapeva che lui era stato razionale e ragionevole per tutto il tempo, ma era stata così arrabbiata con lui per averla esclusa da una decisione che li riguardava entrambi che si era sforzata di tenere lontano dalla mente tutti i ricordi delle occasioni in cui aveva rischiato di perderlo per sempre durante gli anni, sia come conseguenza della mancanza di amore per se stesso con cui lui aveva combattuto per tanto tempo, sia a causa di tutte le persone che avevano cercato di fargli del male – e di farne a lei, usando il loro rapporto ed il loro amore come mezzo per minacciarlo.

I più recenti – che erano anche probabilmente i più spaventosi e dolorosi – la terrorizzavano ancora e sapeva che concordare sul fatto che avevano effettivamente bisogno di un sistema di sicurezza personale avrebbe implicato ammettere che qualcosa di così pericoloso sarebbe potuto succedere di nuovo e che lei non aveva nessun potere su quell’eventualità. Per quanto fosse irrazionale, Blair sentiva che fare in modo che Chuck fosse al sicuro era una sua responsabilità ed accettare che non era abbastanza, che non poteva proteggerlo da tutto, dai rischi che occupare una tale posizione di potere implicava, non era un’idea tollerabile per lei.

“Sì, ci riesco,” gli rispose debolmente. “E’ solo che odio quanto impotente mi fa sentire.” Ammetterlo ad alta voce alleggerì il peso che aveva sul petto, mentre si concedeva di essere onesta con lui circa quale fosse il suo vero problema con la sua decisione. 

Chuck, in risposta, annuì lievemente. “Mi sento allo stesso modo,” le confessò, abbassando lo sguardo per un attimo prima di riportarlo su di lei. “Ci siamo fatti prendere dalla rabbia prima e non sono riuscito a spiegarmi, quindi lascia che ti chiarisca cosa intendo.”

Inspirò e Blair lo vide faticare per trovare le parole, qualcosa che non mancava mai di farla sorridere teneramente, dal momento che sapeva come lui preferiva non dover dire nulla ed affidarsi invece alla sua sempre profonda conoscenza dei suoi pensieri e delle sue emozioni.

“Non riesco più a sopportare il pensiero che qualcosa potrebbe succederti perché mi comporto in modo irresponsabile non considerando i rischi e non garantendoci la sicurezza al massimo delle mie possibilità. Sono tuo marito, devo proteggerti.” Inalò un altro respiro profondo. “E devo proteggere me stesso,” aggiunse, abbassando il tono di voce come se fosse in qualche modo meno sicuro delle sue parole. “Sono stato sconsiderato per così tanto tempo, Blair, perché semplicemente non mi interessava affatto della mia vita,” la sua voce si spezzò in una risata amara e lui fece una pausa, scuotendo la testa.

Gli occhi di Blair si abbassarono inconsapevolmente; li adagio sul basso ventre di Chuck, lì dove sapeva che c’era una cicatrice, e le spalle le tremarono incontrollabilmente, sentendo gli occhi inumidirsi nuovamente di lacrime.

Percependo la sua paura, Chuck le strinse la mano con più forza;  spostò l’altra dalla spalla di Blair e la portò sotto il mento di lei, sollevandolo delicatamente per farle alzare gli occhi su di lui. “Ma non sono più quella persona,” dichiarò in modo definitivo, parlando di nuovo con confidenza e determinazione. Con il pollice le carezzo la guancia. “Sto costruendo una vita con te, voglio avere una famiglia con te, non posso proprio permettermi di essere incosciente.”

Sotto il suo sguardo fisso, che era rimasto immobile su di lei per tutto il tempo, Blair si sentì, se possibile, esposta e tranquilla allo stesso tempo. La possibilità di perderlo, resa chiara dai frammenti di passato che quella giornata aveva riportato in superficie, la faceva sentire fragile, così come il tocco delle sue mani le dava un forte senso di stabilità e protezione. 

Prese qualche secondo di silenzio per guardarlo, studiando la sua espressione tanto seria quanto sicura; una fiammata di orgoglio fece spuntare un sorriso spontaneo sul suo volto e lui sorrise di rimando, uno di quei sorrisi tipici di Chuck che lei amava, piccolo e quasi impercettibile.

“Hai ragione,” gli prese la mano che era ancora poggiata sotto il suo mento ed insinuò le dita tra le sue. “Mi dispiace di essere stata così difficile.”

Chuck le lasciò andare l’altra mano e le cinse le spalle con un braccio, spingendola verso di sè così che lei potesse accoccolarsi al suo fianco e posare la testa sul suo petto.

“Non fa nulla,” Blair alzò lo sguardo su di lui in tempo per vedere un sorrisetto soddisfatto fare la sua comparsa sulle labbra di Chuck. “Anche io non sono stato troppo gentile,” le disse comunque, accarezzandole gentilmente la spalla con le dita che si muovevano su e giù sulla pelle. “Avrei dovuto provare a darti una spiegazione migliore invece di essere così imperativo.” “

Blair si accigliò subito. “Mi hai anche chiamata infantile,” gli ricordò, accusa ed ilarità che si mischiavano nella sua voce. “Ed immatura.”  

Chuck rise piano, ricevendo uno schiaffetto giocoso sul petto come risposta.  

“Non ridere, Bass,” gli intimò Blair, nel suo tono dispotico. “Puoi anche aver avuto ragione, ma verrai comunque punito per quello.”

Lui le lanciò un’occhiata impudica e lasciva. “Non vedo l’ora di venire torturato.”

Le proteste di Blair – “Sei un tale pervertito, Chuck!” – vennero messe a tacere da un bacio profondo, con cui lui mise definitivamente fine alla loro discussione.

Il giorno dopo, come prima cosa, condussero insieme dei colloqui per selezionare dei bodyguard e, una volta che si fu abituata al sistema, Blair scoprì che non la infastidiva poi molto. “Aggiunge una certa aura di importanza alla mia immagine, non è vero?” disse orgogliosamente a Serena durante un brunch un mese dopo, prima di volarsi verso suo marito, seduto vicino a lei, per rivolgerli un sorriso ampio.

Lui era al sicuro, pensò. Lo erano entrambi.

 


Note:
[1] E’ un oggetto d’arredamento, un appendiabiti apposito per i completi da uomo.
[2] Colonia maschile di Dior. Nell’epsiodio 6X06 (mi pare) viene detto che è questo il profumo che Chuck usa.
[3] La fanfiction è stata scritta prima in inglese (da me) e poi tradotta. Qui l’originale.
   
 
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