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Autore: fren    08/02/2015    3 recensioni
Anche se me ne vado, non smetterò di amarti, perché ormai questo amore mi è entrato nella carne e nel sangue, si è cementificato alle mie ossa. Ti amo con ogni fibra del mio essere. Ti amo e non ho saputo dirtelo, e per questo merito le tue parole.
Me ne andrò mentre dormi, dunque. Per lasciarti libera e condannare me stesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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fic
So che può sembrare vagamente autocelebrativo scrivere qualcosa tratto da un mio scritto. Tuttavia, mi è stato fatto notare che in nella mia precedente fic, The Borderline, si sentiva, talvolta, la mancanza del pov di Gourry. Così, eccolo qua. Questa breve shot è tratta dal capitolo 'Le ombre del cuore', in cui Gourry, credendo Lina innamorata di un altro uomo, decide di lasciarla e tornare a fare il mercenario con un vecchio compagno d'arme. La dedico a tutte le persone che hanno letto e amato The Borderline^^



Last time we talked, the night that I walked
Burns like an iron in the back of my mind
I must've been high to say you and I
Weren't meant to be and just wastin' my time
Oh, why did I ever doubt you?
You know I would die here without you
(Life after you, Daughtry)


La sto perdendo. Cerco di non pensarci, ma la mia mente torna sempre su queste parole, è come uno di quei motivetti che ti entrano in testa e non riesci più a scacciarli dalle labbra. La sto perdendo, la sto perdendo, la sto…
L’ho già persa, in realtà. Ma anche questo non è del tutto esatto, perché lei non è mai stata mia, non come avrei voluto, come avrei desiderato.
La sala è gremita, il mantello che mi hanno costretto a indossare insopportabilmente caldo. Non sono un tipo da mantello, io. Né da balli eleganti. Guardo la gente che mi passa accanto volteggiando, chi ridendo, chi chiacchierando ad alta voce. Le donne sono colorate e variopinte, hanno abiti scollati e acconciature elaborate. Mi stropiccio gli occhi tra pollice e indice.
La verità è che sono stanco, sono a pezzi. Gli ultimi giorni sono stati terribili: gli incidenti in cui Lina è rimasta coinvolta, le nostre liti, i musi lunghi. Non sembravamo più noi. Non siamo più noi, qualcosa si è spezzato, da qualche parte, e fa così male da togliere il fiato. La decisione che ho preso potrebbe sembrare affrettata, dettata dai motivi sbagliati. Ma sono solo illusioni, perché naturalmente è la cosa giusta da fare: devo lasciarla libera. Libera di crescere, di essere se stessa. Libera di innamorarsi, di qualcuno che non sono io.
Solo uno stupido avrebbe potuto pensare che la nostra vita insieme sarebbe potuta durare in eterno. Uno stupido come il sottoscritto, evidentemente. Lina me lo dice sempre, in fondo, che ho la gelatina al posto del cervello. Inizio a sospettare che sia vero. Qualcuno più sveglio di me si sarebbe accorto da un pezzo che la ragazza che per anni mi sono ostinato a voler vedere come un’eterna bambina, di infantile non ha proprio niente. Se non, forse, quei grandi occhi dalle ciglia lunghe. Quegli occhi li porterò ovunque andrò, ne sono certo. Ma qua, con lei, non posso restare, questo è deciso. È troppo difficile, fa troppo male. Starle accanto vedendola innamorarsi di un altro uomo…
Credevo che, per lei, avrei sopportato ogni dolore. Ma questo no. È troppo persino per me.
Così domani partirò, lasciandomi alle spalle tutto ciò per cui ho vissuto in questi anni. Lasciandomi alle spalle lei.
Osservo il mio riflesso nelle grandi vetrate della sala. L’immagine che la notte mi restituisce è pallida e sfocata, dai contorni indefiniti. Sto già iniziando a svanire come la bruma del mattino, prima che sorga il sole. Senza di lei mi sento incorporeo, uno spettro evanescente. Non l’ho ancora lasciata e già la sua assenza sta disperdendo ogni parte di me, come se Lina fosse ciò che tiene insieme i miei pezzi: gli arti attaccati al busto, il cuore e le ossa, la carne e il sangue. Privarmi della sua dirompente presenza sarà come dissolversi nell’aria e nell’acqua, non resterà più niente di me, dopo lei.
All’improvviso, nel riflesso buio che ho davanti, si fa strada una chiazza di rosso. Riconoscerei quei capelli ovunque, hanno il colore delle fiamme, divampano come fuoco attorno al suo viso che invece è bianco e liscio come porcellana. Dei, datemi la forza di voltarmi e guardarla, sapendo che è l’ultima sera che passo al suo fianco. Sapendo che, dopo stasera, non ci sarà più la sua risata a risuonarmi nelle orecchie come campanelli d’argento.
Eppure, quando mi volto, scopro che non è sola. E, anche se è bellissima, con quell’abito si seta lucida, che le lascia scoperta la schiena, e quelle stelle scintillanti nei capelli, ciò che cattura il mio sguardo è la sua mano stretta in quella di Nayden.
Si tengono per mano.
Deglutisco qualcosa di amaro, ed è come se all’improvviso tutta l’aria della stanza non bastasse a riempire i miei polmoni. Mi sento soffocare e devo distogliere lo sguardo da lei, da lui, dalle loro dita intrecciate insieme.
Joy aveva ragione. Sono uno stupido, ho voluto illudermi che non sarebbe mai cresciuta e che, se un giorno l’avesse fatto, sarebbe comunque rimasta la mia Lina. Mia. Questa parola si abbatte su di me con tutta l’amarezza che si porta dietro.
Non è mai stata tua, razza di ingenuo.
I suoi occhi incrociano i miei. Sembra a disagio. La vedo sollevare una mano e agitarla nella mia direzione ma non ho alcuna voglia di parlare con lei. La sola idea di starle vicino, stasera, mi fa desiderare di essere già in viaggio, il più lontano possibile lei e da tutto ciò che la circonda. Rivolgo solo una breve occhiata a Nayden, prima di distogliere lo sguardo.
È affascinante, intelligente, un uomo di mondo. Un mago esperto.
Devo farmi da parte, non c’è nient’altro che io possa fare. Quando si ama qualcuno, come io amo lei, l’egoismo va messo a tacere. E anche se vorrei esserlo, egoista, capisco da solo che è un comportamento abbietto e meschino. Lina non se lo merita.
Per un solo, breve, istante considero l’idea di confessarle i miei sentimenti. Mettermi a nudo, rivelarle ciò che, in quattro anni, non ho mai avuto il coraggio di dirle.
Ti amo, Lina, le direi. Ti amo di quell’amore buono che mi fa alzare alla mattina con il sorriso, perché so che ci sarai tu a riempire la mia giornata. Ti amo perché hai reso la mia vita migliore, perché senza di te il futuro aveva smesso di esistere e il passato era solo qualcosa di buio e confuso che mi portavo attaccato addosso senza sapere cosa fosse. Ti amo perché hai rimesso insieme i miei pezzi, hai ridato un giusto ordine alle cose. Ti amo perché sei diventata una ragione, e quando un uomo trova la sua, è un uomo completo. Sì, è così, tu mi rendi completo, anche se non ricambi il mio affetto, non nel modo che vorrei. Perciò è tempo che vada, perché l’amore non si ottiene con la prepotenza, né con la costanza. L’amore succede e basta. E ora è tempo, per te, di amare.
Mi allontano tra la folla, il mantello che ondeggia a ogni passo, la spada che sbatte contro al mio fianco.
Joy mi raggiunge dopo qualche minuto. Anche lui è stato tirato a lucido per questo ballo. Ha un’aria diversa, vagamente aristocratica. Ho sempre avuto l’impressione che in lui ci fosse più nobiltà di quella che normalmente dimostra, come se volesse costantemente dare prova di essere diverso da ciò che è: più arrogante, più strafottente, più cinico. Mi ricorda qualcuno che conosco molto bene. Forse è per questo che voglio bene a entrambi. Mostrano solo il peggio per celare il meglio che c’è in loro, innalzano barriere, si difendono con la prepotenza. Si lasciano guardare, guardare davvero, solo quando hanno imparato a fidarsi e solo da chi trova il tempo e la pazienza di scavare ogni strato.
Il mio amico di un tempo solleva il bicchiere verso di me, mostrandomelo. Una ciliegia candita galleggia dentro a un liquido di un rosso cupo.
«Vino alle ciliegie» esclama, rigirandosi il calice tra le dita. «Ma la cosa sconvolgente, è che le ciliegie ci sono davvero! I ricconi non smetteranno mai di sorprendermi» conclude, scuotendo la testa.
«Che senso avrebbe fare un vino alle ciliegie, senza le ciliegie?» domando, sovrappensiero.
«Giusto. Dimenticavo le tue nobili radici, Gabriev. Tu sei uno di quelli che non si sorprende di queste cose, perché ci è abituato» borbotta, prima di rendersi conto che non lo sto più ascoltando, che la mia attenzione è rivolta ad altro. Allunga il collo, per capire dove è diretto il mio sguardo, e vede quello che sto vedendo anch’io. Lina e Nayden, al centro della sala. Lui le sta sussurrando qualcosa all’orecchio e lei è arrossita fino alla radice dei capelli e ha quell’aria imbarazzata che solo i complimenti le provocano. La troverei adorabile, se non fosse che il mio cuore si sta sbriciolando.
«Sono una bella coppia, tutto sommato» dice il mio amico, trangugiando ciò che ha nel bicchiere. «Spero che mio fratello abbia un po’ di riguardo per lei e non la abbandoni dopo una notte di sesso bollente, come fa di solito. Anche se Lina non mi sembra il tipo che si fa mettere i piedi in testa da un uomo. Saranno scintille, tra di loro.»
All’improvviso, è come se tutto il sangue che ho in circolo fosse defluito lontano da me, colando via. Non oso abbassare lo sguardo per il timore di vederlo luccicare sul pavimento. Sono morto e non lo so.
Sono morto e questo è l’inferno.
«A… a che ora partiamo, domani?» sussurro, con un filo di voce.
Joy fa spallucce.
«Il prima possibile. Voglio rimettermi in cammino, sono già stufo di tutti questi nobili. Principi, principesse, conti e duchi. Puah. Gentaglia della peggior specie. Che gli dei mi scampino dal triste destino che è capitato a questa gente» dice, mascherando con il disprezzo l’invidia che prova per le loro vite apparentemente perfette. Mi guarda stringendo gli occhi. «Le hai detto addio? A Lina, intendo.»
«Non sa che partiamo domani.»
«Ah. E non pensi di informarla? Te la batti nella notte come un ladro?»
«Forse nemmeno le importa.»
Joy mi osserva per un lungo istante. Mi chiedo se sappia, se sia così evidente a tutti, tranne che a lei, che la amo più di qualsiasi altra cosa abbia amato nella vita.
«Hai ragione» dice infine il mio amico. «Forse non le importa. È così presa da Nayden che potrebbe anche non accorgersene, che te ne sei andato.»
Le sue parole hanno la forza di un sasso scagliato in uno stagno. Un tonfo enorme, e cerchi che vanno espandendosi come un’eco di dolore.
«Quel vino alle ciliegie» dico all’improvviso. «Dove l’hai preso?»

Non so quanto tempo è passato; quando Zel mi sfiora la spalla con la mano potrebbero anche essere trascorsi secoli.
«Gourry, dovresti venire con me» dice, abbassando la voce, nel brusio della sala.
«Che succede, Zel?»
«Si tratta di Lina. Credo che…»
«Lina? Sta bene?» L’istinto di protezione che ho sempre avuto nei suoi confronti ha la meglio su qualsiasi razionalità. Quando qualcuno mi dice ‘si tratta di Lina’, penso sempre al peggio. Di norma, con Lina, si è portati a temere sempre il peggio, in effetti.
«Nulla di grave» mi rassicura Zel. «Quanto allo stare bene, beh… poprio bene, non direi.»
Riesco a dare un senso alle sue parole solo quando la raggiungiamo. È seduta per terra, le gambe abbandonate mollemente e la testa ciondoloni sul petto. All’inizio penso che si senta male, poi, quando vedo il bicchiere di vino che Zel le ha saggiamente sottratto, capisco che il problema è un altro.
Mi chiedo dove sia Nayden, e se sia lui il motivo per cui Lina si è attaccata alla bottiglia. Se le premesse sono queste, forse sto facendo un grosso errore a lasciarla per permetterle di stare con lui.
«Lina, ma che diavolo ti sei bevuta per ridurti così?» le domando, piegandomi al suo fianco, mentre lei aggrotta le sopracciglia. Sembra parecchio confusa, e decisamente ubriaca.
«Vino, credo» balbetta, sbattendo le palpebre. «Parecchio vino» sussurra, prima di affondare il volto tra i palmi aperti. Non ci giurerei, ma mi pare che abbia gli occhi lucidi di lacrime. E la conosco abbastanza bene da sapere che non è una da sbronza triste. Se è vicina a piangere significa che la situazione è seria. Lina non piange finché non ha il cuore a pezzi.
Io e Zel ci scambiamo un’occhiata eloquente.
«Credo sia meglio se la porto a dormire. Ha proprio esagerato stasera.»
Zel annuisce e, con la consueta praticità, apre una piccola porta nascosta, da cui possiamo lasciare il ricevimento senza essere notati.
La sollevo da terra, facendole passare un braccio sotto le ginocchia e un altro dietro la schiena, ed è come sollevare un uccellino: non pesa niente. Eppure, questa ragazza esile e apparentemente fragile, mi ha dimostrato più di una volta di essere in grado di piegare il mondo.
Questo dovrò ricordarlo, in futuro: le apparenze ingannano. Quando mi sono offerto di accompagnarla fino ad Atlas city, all’inizio del nostro viaggio, per difenderla dai briganti, ero davvero convinto che ne avesse bisogno. Che avesse bisogno di me. Ma lei non ha mai avuto bisogno di me, le mie sono solo scuse patetiche.
Avanzo nel corridoio buio tenendola tra le braccia. La pelle della sua schiena è liscia e tiepida, riesco ad avvertire ogni vertebra sotto la punta delle dita.
«Lina, Lina… quante volte ti ho detto che i bambini non devono bere?» sussurro, perché è più forte di me. Anche se fra qualche ora non sarò altro che un ricordo per lei, mi viene spontaneo prendermi dolcemente gioco di lei.
«Ti prego, Gourry… non potrei sopportare una paternale, in questo stato.»
«D’accordo, niente predica. Anche se… lo sai che non reggi più di due bicchieri.»
Lei appoggia la fronte sotto al mio mento. Profuma di borotalco, come i bambini. I suoi capelli, invece, emanano un lieve sentore di camomilla.
Dei, è difficile, dannatamente difficile lasciarla andare.
«Mi conosci così bene…» sospira, e il suo fiato caldo è un brivido sulla mia pelle. All’improvviso la sento abbandonarsi completamente contro di me. Non l’ho mai sentita così vicina e sono felice che, almeno prima di dirle addio, possa godere di questo breve contatto.
«Sì, è così» mento.
Sì, Lina: mento. Mi piace vantarmi di conoscerti meglio di chiunque, ma è una bugia perché tu, dopo tutti questi anni, continui a restare un mistero per me. Sei l’enigma della mia vita, un segreto che non oso rivelare, un nodo impossibile da sciogliere.
Una volta raggiunta la sua stanza la adagio sul letto con delicatezza. Lei sprofonda tra i cuscini, l’aria intontita, lo sguardo vacuo. Mi piego su di lei, scostandole alcuni ciuffi di capelli che le sono scivolati sul volto. Una stellina d’argento penzola malinconicamente accanto alla sua guancia.
«Perché non mi hai detto che partirai domani?» mi domanda lei, con voce impastata, dopo qualche istante.
Mi irrigidisco. E così, alla fine, l’ha scoperto. Mi chiedo come io possa aver pensato che non sarebbe venuta a saperlo, prima di domani. Tenerle nascosto qualcosa è praticamente impossibile.
«Non volevo rovinarti la serata» rispondo, con un sospiro. Lei chiude gli occhi, deglutendo.
«Domani non venire a salutarmi. Starò dormendo, credo.»
Certo, vorrei risponderle. Non ti disturberò. Me ne andrò in silenzio, mentre dormi. Cosa abbiamo da dirci, in fondo? Quello che potevamo fare, l’abbiamo fatto. Quello che potevamo essere, lo siamo stati.
Abbiamo viaggiato, combattuto, gioito e sofferto insieme. E io ti ho amata, in silenzio, ogni giorno che ho passato al tuo fianco. Ogni minuto, ogni secondo. Ti ho amata in un modo che all’inizio mi ha sorpreso, e turbato, ma poi è diventato parte di me, di ciò che sono. Anche se me ne vado, non smetterò di amarti, perché ormai questo amore mi è entrato nella carne e nel sangue, si è cementificato alle mie ossa. Ti amo con ogni fibra del mio essere. Ti amo e non ho saputo dirtelo, e per questo merito le tue parole.
Me ne andrò mentre dormi, dunque. Per lasciarti libera e condannare me stesso.
Provo a dire qualcosa, ma le parole muoiono sulle mie labbra. Lina volta il viso dall’altra parte, e capisco che è questo il momento che ho sempre temuto da quando la conosco.
Il momento in cui mi alzo e, senza più scuse, esco dalla sua vita.
«Forse un giorno le nostre strade si incroceranno ancora» mormora lei. La sua voce è roca, mi chiedo se stia piangendo, e per chi siano quelle lacrime. Potrebbero anche essere per me, in fondo sono stato un buon amico.
«Lo spero.»
È tutto quello che riesco a dire. Di più non posso fare. Se dirò una sola parola in più, ne morirò probabilmente.  
Eppure, mentre mi sto sollevando, è la mano di Lina quella che si tende mollemente verso di te, aggrappandosi al mio braccio.
«Gourry… resta.»
«Cosa?»
«Resta qui» sussurra lei, e sputare fuori ogni parola le costa una fatica immane. «Non voglio stare sola.»
Se per un attimo ho pensato, ho sperato…
Ma non voglio illudermi ancora. Straparla, è ubriaca. Aspetterò che si addormenti e me ne andrò.
«Va bene» concedo. «resterò qua con te. Adesso dormi» dico, prendendo la sua mano tra la mia e sedendole accanto.
E resto a guardarla fino a quando il torpore rende pesanti le sue palpebre, sprofondandola in un sonno profondo. E resto qua, nonostante tutto, anche parecchi minuti dopo che si è addormentata.
Devo alzarmi, e andarmene. Devo farlo prima che diventi troppo difficile, prima che diventi insopportabile. Ma è già insopportabile e mi chiedo quando impieghi, un cuore, prima di morire esalando l’ultimo battito.
E mentre penso a tutto questo, senza accorgermene, sprofondo a mia volta nel sonno.
A svegliarmi, dopo quelli che mi sembrano secoli, sono un paio di labbra premute contro le mie. Un bacio tanto dolce e delicato che mi chiedo se non lo stia, forse, solo sognando.
  
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