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Autore: MartiM_04    09/02/2015    3 recensioni
CS AU/ Dopo essersi trasferita a Boston lasciandosi alle spalle un passato doloroso, e avendo capito che neanche questo sarebbe bastato per dimenticare, Emma ha la certezza che la sua storia sia una delle più complicate da raccontare. Ma nel momento in cui questa si intreccia con quella di qualcun'altro, comincia a pensare che forse ci sia la possibilità di riscriverla. Forse, la possibilità di imparare a vivere di nuovo, si trova qualche piano più in basso.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Le buste pesavano. Era un altro lunedì come gli altri, che portava in sé la leggerezza del weekend appena passato e il peso di una nuova settimana che iniziava. Lavorare non era mai stato tanto frustrante, con il vento che violentemente penetrava dalla finestra del suo ufficio, scombinando tutte le carte sulla scrivania. E le buste pesavano. Dopotutto Boston non era il posto migliore in cui vivere: solo alti grattacieli, clima instabile e un traffico perenne, il quale rumore assordante poteva essere udito persino all’interno del suo condominio. Al terzo piano, dove lei era ferma davanti alla sua porta cercando ad una mano le chiavi.

“Dannazione!” , cercava disperatamente di non cadere, con due buste dell’alimentari sotto casa in equilibrio su un braccio e una mano immersa nella sua capiente borsa. Sul serio, quante tasche aveva quell’ affare? Maledetto il giorno in cui pensò che fosse carina.
Ultimamente sembrava non essere soddisfatta di molte cose, nonostante fosse stata entusiasta due mesi prima, quando si era trasferita lì definitivamente.

Trovate le chiavi (in una delle milioni di tasche), riuscì infine ad aprire la porta, non con meno fatica,  e una volta dentro gettò malamente la borsa sul pavimento, cercando di raggiungere la cucina il più velocemente possibile, per posare le pesanti buste.
“Spero..” riprese fiato, piegando e distendendo il braccio dolorante. “Spero che questa cosa delle verdure valga la pena lo sforzo.” Disse ironicamente, pur sapendo non ci fosse nessuno con lei , ma ci stava facendo l’abitudine. Era qualcosa che la rilassava, a volte. Si voltò in maniera riluttante verso le buste, e cominciò lentamente a svuotarle: verdure di ogni tipo colorarono presto il bancone in granito della sua cucina, e pensò che non le si sarebbe mai potuta presentare un’immagine più triste. Non ne era mai stata un’amante, ne era mai stata una salutista, a dirla tutta: nella frenetica vita che conduceva non c’era spazio per le cose complicate, solo pasti essenziali e veloci (a volte bastava un semplice panino); o inconsistenti, o del tutto non salutari. In più, non amava fare sport. Ultimamente però, aveva cominciato a pensare fosse ora di cercare di mantenersi in salute, dal momento che il suo stile di vita non era affatto d’aiuto, a partire dal cibo. Eppure, non avrebbe potuto scegliere un giorno peggiore per cominciare.
Mentre aspettava che l’acqua bollisse, si lasciò pesantemente cadere su una sedia, riposando la schiena e approfittandone per controllare le e-mail  sul cellulare, o se qualcuno l’avesse cercata nel frattempo. Niente. Solo qualche stupida offerta da siti di shopping online e una e-mail da Glass (Sidney Glass, il grande capo) a proposito di un doppio turno a lavoro previsto per quel mercoledì. Fantastico.

Chiuse gli occhi, sospirando rumorosamente: non avrebbe mai pensato che le cose potessero andare così male quando decise che trasferirsi sarebbe stato il miglior modo per ricominciare: una nuova città, un nuovo posto di lavoro, una nuova casa. Una nuova vita, e sapeva sarebbe stata pronta. Invece, l’illusione di poter tornare a respirare senza quell’angosciante peso nel petto, era durato circa due settimane. Poi, tutto ciò che aveva cercato di lasciarsi alle spalle e cancellare come fosse stato solo un incubo, aveva ricominciato a sentirlo, mentre lentamente invadeva anche quella sua nuova vita. E faceva schifo.
Le era capitato spesso di pensare come sarebbe stato se non avesse mollato tutto:  come si sarebbe trasformata la sua vita se avesse deciso di combattere invece di scappare, se davvero  ciò che era successo avrebbe potuto essere superato con l’aiuto di una mano amica, che lei aveva spudoratamente rifiutato, voltando le spalle. Ah, se lo aveva pensato. Ma ogni volta, la risposta le si presentava chiara, invadendo ogni fibra del suo corpo, non lasciando spazio per nient’altro: sarebbe stato inutile combattere, era una battaglia persa. Non ci sarebbe stata nessuna mano amica, era rimasta sola. Nulla sarebbe mai tornato  come era prima…..  Lui non sarebbe mai più tornato. Senza dubbio, quella era la realtà.

Riaprì gli occhi di scatto, rispondendo velocemente al messaggio di Sidney e posando il cellulare. L’acqua aveva cominciato a bollire da un pezzo, e in base a quello che ricordava, avrebbe già dovuto cominciare a preparare le verdure. Lanciò un occhiata di astio al bancone affollato e si costrinse ad alzarsi dalla sedia e ad avvicinarsi ad esso con la stessa andatura di un condannato che marcia verso il patibolo. Decisamente, avrebbe dovuto trovare un modo per farselo piacere.
Dopo qualche minuto, il silenzio fu colmato dal suono ovattato di una chitarra, probabilmente elettrica, proveniente dall’appartamento accanto (o così credeva),  che sembrava toccare le note di una canzone a lei familiare, che le strapparono un sorriso.

Dio, non era più una ragazzina.

Benché continuasse a ripeterselo, non poté fare a meno di cominciare a canticchiare il testo della stessa canzone a bassa voce, poi sempre più forte ,accompagnandone la musica, sapendo che nessuno poteva sentirla  e lasciandosi trasportare; seguendo il tempo con ogni movimento. Forse, qualcosa della ragazzina era rimasto infondo. E mentre il bancone si faceva sempre meno caotico, man mano che affettava gli ingredienti e li buttava nella pentola sulle note di  “Personal Jesus”, venne interrotta dal cellulare che, forse da un po’, aveva cominciato a squillare fino a zittirsi prima che potesse raggiungerlo in tempo. In compenso, qualche secondo dopo, apparve sulla schermata un nuovo messaggio, e questa volta non aveva nulla a che fare con Glass: sapeva perfettamente chi fosse, avrebbe dovuto prevederlo.

Mi dispiace se ti ho disturbata. E’ il primo lunedì del mese e volevo sapere come stessi, ma se sei impegnata non importa. In ogni caso sappi che ti mando un forte abbraccio e che ti voglio bene, Emma. Ci sentiamo presto?

La musica continuava a risuonare fra le pareti del suo appartamento, ma lei aveva smesso di cantare, limitandosi a fissare lo schermo dove le parole del messaggio si facevano sempre più nitide ai suoi occhi, e rendevano reale qualcosa che spesso giaceva abbandonata fra i suoi pensieri. Era il primo lunedì del mese. Il secondo mese che era lontana da casa. Quel messaggio non era del tutto inaspettato ne tantomeno ingiustificato. Due mesi senza vederla: due mesi durante i quali nessuno si era preoccupata di svegliarla al mattino, facendole trovare pronta sul comodino una tazza di caffè fumante, nessuno si era preoccupato di chiederle se avesse bisogno di un passaggio al lavoro per evitare di prendere la macchina, nessuno si era preoccupato di contattarla ogni volta che usciva di casa per sapere cosa stesse facendo o se avesse bisogno di qualcosa. Nessuno che si preoccupasse del suo ritorno a casa. Per tutto quel tempo, aveva vissuto come mai aveva fatto in trent’anni: come  se  tutti i fili che la legavano al suo passato, e spesso la rendevano una marionetta, fossero stati tagliati; e si era sentita bene; ma nulla poteva eliminare quel senso di nostalgia che ogni tanto si faceva spazio dentro di lei. Se fosse stato possibile dimenticare, cancellare il proprio passato invece era qualcosa di assolutamente impensabile. E se ne era resa conto dal primo momento in cui le era mancato ciò che era prima, e ciò che aveva.
Sapeva che avrebbe dovuto smetterla di fissare lo schermo e richiamare, sentire la sua voce e dargli  la soddisfazione di fargli udire la propria perché no, non era impegnata.
 E invece, rispose proprio come se lo fosse.

Certo, papà. Un bacio anche a voi.

E senza aggiungere altro, senza pensare al rimpianto per non averlo fatto, posò il cellulare e tornò a ciò che stava facendo, sapendo che non l’avrebbero richiamata. Dopotutto, è ciò che lei stessa aveva chiesto.
 
 
 
Spazio Autrice
Ciao! Prima di tutto volevo ringraziarvi per aver scelto di leggere questo capitolo e avergli dedicato del tempo, ho deciso di pubblicarla perché mi è piaciuto particolarmente il come è stata concepita e come si sviluppava nella mia testa, per cui mi farebbe molto piacere sentire l’opinione altrui.
E’ un breve prologo e forse neanche troppo chiaro, lo riconosco. A dire il vero inizialmente non era previsto ma ho voluto inserirlo perché il mio intento era quello di dare l’incipit alla storia attraverso una breve descrizione della situazione del personaggio principale, che ,come avrete capito, è abbastanza complicata: la storia di Emma (passata ma anche futura) è un po’diversa da quella originariamente mostrata nello show, motivo per cui l’ho segnalata come AU, ma spero possa colpirvi come ha colpito me nel momento in cui l’ho scritta. A breve pubblicherò il vero e proprio primo capitolo, e anche nel prossimo, come in questo, Emma è l'unica protagonista, ma vi assicuro che a breve verranno introdotti anche gli altri personaggi/ protagonisti; per quanto riguarda invece il suo passato, ho deciso di procedere per gradi. Detto ciò, spero che il capitolo sia piaciuto come spero vi piacciano i successivi, e colgo l'occasione per ringraziarvi ancora e dirvi che nel caso in cui vogliate lasciare recensioni (di qualsiasi tipo), non potrebbe che farmi piacere: sapere cosa ne pensate è molto importante per me. Un saluto e alla prossima!
Martim_04  
  
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