Distanze
Pericolose.
Capitolo
I.
9
agosto, 1969.
"Stasera ti porto a cena
fuori."
Un ragazzo, sulla ventina e
passa, si avvicina ad una ragazza, seduta, che
intanto gli da le spalle.
"Ah sì?" chiede
lei, senza degnarlo di uno sguardo, troppo presa
nel cercare la cipria in un borsellino piccolo e nero, con dei pois
bianchi.
"..sì." risponde
lui, mentre con una mano cerca quella della
sua ragazza. La trova e cerca di accarezzarla. Lei
la ferma dal
cercare i trucchi nel borsellino, ma la lascia immobile. Per non far
sembrare
il suo gesto troppo freddo, si gira verso di lui e gli offre un sorriso
calmo,
pacato.
"D'accordo." continua la
ragazza, alzandosi e lasciando un bacio
veloce sulla guancia del ragazzo, che a giudicare da come sia vestito,
sembra
essere un militare. Un soldato.
Lei va in bagno, accende la
luce e chiude la porta.
"Vado a mettere in moto la
macchina, eh." le fa lui, con un tono
abbastanza sostenuto per essere sicuro che lei lo sentisse.
"Sì!" risponde
lei, accendendo un'ulteriore luce, questa però
sovrasta lo specchio. Sorride a sé stessa. Non
perché sia felice, ma per
controllare come stia.
Prende un pettine in mano e
inizia a passarlo tra i suoi lunghi capelli
neri. Una volta sistemati, lo lascia, e se li tira indietro con una
fascia
bianca, lasciandoli però sporgere un po' anche sulla fronte.
Si da un'ultima
sistemata al vestito giallo pastello, e alla fascia bianca che aveva
sistemato
sulla vita. Sorride un'ultima volta e si gira verso una mensola. Prende
con
dolcezza una boccetta di profumo, e se lo spruzza sul collo e sui polsi.
Fatto, era pronta.
Era bellissima.
Esce dalla stanza, prende la
pochette bianca, lucida, e s'incammina verso
la porta d'ingresso. Prima di apparire sulla porta, sente che il
ragazzo suona
il clacson della macchina.
"Celeste!
E andiamo!" sbraita lui.
Lei, infastidita, fa
sbattere la porta dietro di sé e lo raggiunge a grandi
passi. Entra in macchina e sbatte lo sportello.
"Non c'è bisogno
di sbraitare come un pazzo, Luca."
gli dice infastidita, fulminandolo con lo sguardo.
"Va bene, hai ragione.
Scusa." dice lui, poco convinto. Partono.
"Andiamo al Ruban
Rouge?" chiede lui, lanciandole
un'occhiata.
"Ma andiamo dove ti pare."
risponde lei, secca, guardando fuori
dal finestrino.
"Dai, Cel.."
fa lui, appoggiandole una mano sulla
gamba per accarezzarla.
"Che vuoi?" gli chiede lei,
scostando la gamba, senza guardarlo.
"Mi dispiace." fa lui, poco
convinto però.
"Sì, ok."
continua lei.
Silenzio.
Parcheggiano e scendono
dalla macchina. Luca fa per aprire lo sportello a
Celeste, che però non lo aspetta e se lo apre da sola,
scendendo dalla
macchina. Lui cerca di scortarla, ma lei non glielo lascia fare.
Celeste è fatta
così. È una dura, una che non si lascia far
mettere i piedi
in testa da nessuno. E Dio, quant'è bella. Ha dei lunghi
capelli neri che le
scendono lungo la schiena. È alta e ha la corporatura
robusta. Ha un viso molto
dolce, il che potrebbe sembrare un controsenso, visto il suo carattere
"da
dura". Gli occhi sono la prima cosa che una persona nota, di Celeste.
Certo, dopo i lunghi capelli. Ha degli occhi grandi ed espressivi.
"Tavolo 8, signori." dice un
cameriere. Erano arrivati dentro al
ristorante e lei quasi quasi nemmeno se n'era accorta. Lei e Luca si
siedono.
Lui prende in mano il menù e lo sfoglia.
"Cosa vuoi ordinare?" le
chiede.
"Non ho fame." risponde lei,
secca.
Luca sospira, scocciato.
"Dio, Cel!
Vuoi smetterla di fare sempre la bambina? Ti
comporti sempre così. Ogni volta che ti chiedo di..." il
ragazzo inizia a
parlare, ma la ragazza nemmeno lo sta ascoltando. In quel momento sta
guardando
sul palco tutte le luci che lo illuminano. Conta i riflettori, e guarda
tutte
le diverse luci, rimanendone abbagliata. In tutti i sensi. Dio, quanto
avrebbe
voluto avere con sé la sua macchina fotografica, ora.
Un uomo appare sul palco.
È un uomo sulla
cinquantina. Indossa uno smoking con tanto di papillon. Ha
un cartellino in una mano e il microfono in un'altra. Dietro di lui,
un'asta
argentata con attaccato un microfono grande dello stesso colore,
destano
interesse negli spettatori.
"Ed ora, signore e
signori.." inizia a dire l'uomo in smoking.
Celeste lo guarda, inclinando il capo. È incuriosita.
"...la classe. L'eleganza.
Ladies and gentlemen, accogliete tutti..
Diana!" dice lui, indicando il microfono che fino a prima era rimasto
vuoto.
Lui si scosta mentre parte
un rullo di tamburi. L'unica figura che ora c'è
sul palco è quella di una ragazza, anche lei sulla ventina
come Celeste.
Ha i capelli lunghi e color
rame, che fanno un contrasto perfetto con la
sua pelle bianca come la neve. Ha un fisico minuto, è
piccolina, e se non fosse
per i tacchi che sta portando, questo fatto si noterebbe di
più.
Ha un vestito aderente,
rosso, molto audace. E la sua voce... era calda e
sensuale.
"Money
is the anthem of success, so before we go out, what's
your address?" canta la ragazza,
guardando uno per uno i suoi
spettatori, con aria quasi da sfida.
Aveva visto di sfuggita
tutti gli spettatori ed era arrivata al tavolo
numero 8. Quello di Celeste e Luca. Vede
prima lui, nonostante si
trovi alla sua destra, e poi lei. Rimane impercettibilmente sorpresa
alla vista
di quella ragazza, lì. Sembrava così... fuori
posto. Avrebbe voluto
portarla via. O almeno, togliere quell'espressione imbronciata dal suo
volto. Ad
un certo punto, Diana canta, e sembra quasi voler chiamare il nome di
Celeste.
Nome che ancora non conosce, non avendola mai vista prima.
"Summer's
in the air, baby, Heaven's in your eyes. I'm your
national anthem."
canta ancora, guardandola, mentre lei
gira dapprima solo lo sguardo verso il palco, per poi girare anche
tutto il
corpo.
"Forse non è
stata una cattiva idea venire qui." pensa di sfuggita Celeste,
senza neanche
rendersene conto.
Gli occhi verde scuro della
cantante accarezzano dolcemente quelli marroni
della ragazza, seduta al tavolo. Per tutto il resto della canzone, quel
contatto non si è mai spezzato. Diana ha scrutato Celeste, e
Celeste ha
scrutato Diana. Come se si fossero volute studiare. Come se intanto
stessero
parlando. Come se ci fosse qualcosa.
Diana canta, e forse intende
davvero ciò che sta cantando. Vorrebbe essere, per
quella ragazza. Esistere.
Più e
più volte si trova a fissarle le labbra, e quella vista
stava
suscitando qualcosa in lei. Qualcosa? Come
può essere? Beh,
per il momento ancora non se l'è chiesto. È
troppo impegnata a fissare la straniera
coi lunghi capelli neri.
Da quando Celeste ha messo
gli occhi su Diana, non è più riuscita a
staccarli. La guardava, guardava come i suoi capelli, fermati davanti e
cotonati leggermente di sopra, le cadessero in modo perfetto sulle
spalle.
Pensava a come avrebbe vissuto volentieri
quel rosso e quel
bianco. A quant'era bella, a quant'era... strano quello che stava
provando. Ma
ehi, ora non aveva tempo di pensarci.
"La cantante sta guardando
ancora me."
"Red,
white, blue's in the sky. Summer's in the air, baby, Heaven's
in your eyes. I'm your national anthem.", canta un'ultima volta Diana,
chiudendo
gli occhi mentre pronunciava 'Summer's in the air,
baby, Heaven's in your
eyes', per poi riaprirli sorridendo ad 'I'm
your national anthem',
ritrovando subito quelli di Celeste, lì, ad aspettarli.
Quando Diana ha chiuso gli
occhi, Celeste ne è rimasta delusa. Come se gli
unici due fari che illuminano davvero quel palco si fossero spenti. Ma
poi si
sono riaperti, e quelli si sono riaccesi, ancora più
splendenti di prima.
Sorride anche lei, quasi come se non ne possa fare a meno.
Diana la guarda, e quasi le
manca il fiato.
La canzone finisce, Diana
esce di scena.
Celeste rimane delusa.
"Come è
già finito? Così? Perché? È
tutto sbagliato, lei deve
cantare ancora." pensa. Ma poi si gira, lentamente,
amareggiata, e
vede Luca, il suo ragazzo. Oh
giusto, era venuta qui con
lui.
Non gli aveva rivolto la
parola da quando era iniziata la canzone, se non
da prima, ma ora sente il bisogno di dovergli dire qualcosa. Qualcosa
che sente
possa scoppiargli dentro.
"Dobbiamo ritornare qui."
gli dice. Luca alza lo sguardo.
"..sì.?" chiede
lui.
"Sì. Domani." fa
lei, decisa.
"Ehi ehi, c..come domani?"
continua lui, quasi ridendo.
"Sì, mi hai
sentito." dice lei convinta. Non era dolce. Non
glielo stava nemmeno chiedendo. Lo stava informando
di una cosa che
avrebbero fatto.
In quel momento un suono di
tacchi si avvicina al tavolo numero 8.
Tacco dodici, rosse. Aperte
davanti. Qualche brillantino qua e là.
Gli occhi di Celeste
percorrono tutto il corpo della figura. Gambe bianche
che si vedono fino all'orlo rosso di
un vestito rosso ormai familiare
alla ragazza. Uno scollo fine che va da spalla a
spalla e altri
brillantini rossi che percorrono
l'orlo del collo. Una chioma
color rame che scende da un viso morbido, quasi innocente, se tolto da
tutto
quel contesto.
"Piacere."
dice quella figura. "Sono Diana Barbèra.",
continua, porgendo la mano alla ragazza, che subito gliela stringe.
Diana non può
fare a meno di notare le unghie finemente curate della
ragazza, adornate da una passata di brillantini color argento, solo
lungo il
bordo però.
"Celeste. Celeste
Salomé."
Sorridono.
A Diana già
piaceva il nome di Celeste. Italiano, come lei, ma con quella
'C' all'inglese. E il cognome francese.
Sapeva solo
questo di lei, ma già le piaceva. Quello e.. il suo profumo.
"Io sono Luca." fa una voce
maschile dietro di lei.
"Piacere." risponde lei,
sforzando un sorriso per cortesia, più
che per altro.
"Canti qui tutte le
sere, Diana?" chiede subito
Celeste, interrompendo quell'insignificante conversazione che si stava
creando
tra la cantante e Luca. A Celeste piace quando Diana da attenzioni solo
a lei.
Ed ora vuole di nuovo quelle attenzioni. Un brivido percorre la schiena
di
Diana, già le piaceva sentir pronunciare il suo nome da
Celeste.
"Sì, Celeste."
le risponde lei, sorridendo.
"Allora ci vediamo domani
sera." continua Celeste, sorridendo. Ma
non era un sorriso... innocente.
Magari voleva farle capire qualcosa.
Qualcosa che non aveva capito ancora neanche lei.
"D'accordo." risponde la
cantante. "Vi faccio riservare un
tavolo allora." continua, senza smettere di sorriderle.
"Sarebbe magnifico." fa
l'altra, cercando di contenere
l'entusiasmo.
Una voce chiama Diana da
sotto il palco.
"Mi dispiace, devo andare."
fa lei, abbassando un attimo lo
sguardo.
"Ci vediamo domani sera
allora, eh?" chiede un'ulteriore conferma
Celeste.
"Certo." risponde Diana,
sorridendo. "A domani." dice,
andando via.
Nessuna delle due sapeva
cosa ci fosse appena stato. Ma qualcosa
c'era stata.
"Ehi, Celeste!" Diana si ferma, prima di
essere arrivata troppo lontana dal loro tavolo.
"Qual è la tua canzone preferita?" chiede poi, girandosi per
guardarla. Celeste ne resta felicemente sorpresa.
"...mi piace Elvis." fa lei,
sorridendo. Diana annuisce,
chiudendo gli occhi.
"Ed Elvis sia.", pensa la cantante,
allontanandosi.
A
tutti coloro che hanno letto t&s: ELVIS NON
SARÀ. (forse.) (no
no non sarà.)
Dedico
tutto questo alla mia Celeste.
Mi
dispiace se forse questo primo capitolo non è stato scritto
molto bene,
ma diciamolo, avevo fretta di pubblicarlo solo per scrivere una cosa:
Amore, lo
dedico a te perché io e te siamo Celeste e Diana. E
perché ti
amo. E perché mi dispiace per quest'ultima storia, ok? Mi
interessa solo che tu
sappia che sei tutto per me.
A
tutti gli altri, spero vi sia piaciuto! E nulla, spero mi seguirete
anche
nei prossimi capitoli.
D.