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Autore: fede_snowfire    10/02/2015    3 recensioni
Molly non sarebbe mai stata sfacciata, neanche velatamente sfrontata. Solo qualche sguardo rubato, dato di sfuggita, mentre credeva che lui non stesse guardando. Sherlock Holmes però, guardava sempre.
Non conosceva la bellezza, si rifiutava di comprenderla, eppure, in un modo che era incomprensibile anche a lui, sapeva che Molly Hooper era bella.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Do you wonder why I want her? This girl who stands so quiet and grave at the mouth of hell. This girl who is all quietness and sanity and innocence."
Jane Eyre, Charlotte Bronte

 
Gli occhi bassi e socchiusi di chi ha dimenticato cosa significa essere belli.
Lui, d’altronde, non l’aveva mai saputo.
La bellezza è un concetto che la società ci impone, una mera illusione, formata su modelli che nascono nel nostro cervello da quando siamo bambini, non conta nulla per me, avrebbe detto.
Eppure, agli sguardi di chi si soffermava troppo a lungo e troppo sfacciatamente sul suo profilo, sulla pelle chiara, sugli zigomi pronunciati e la linea perfetta delle mani da musicista, anche lui non riusciva a rinunciare.
Molly però non l’aveva mai fatto.
Molly non sarebbe mai stata sfacciata, neanche velatamente sfrontata. Solo qualche sguardo rubato, dato di sfuggita, mentre credeva che lui non stesse guardando. Sherlock Holmes però, guardava sempre.
Non conosceva la bellezza, si rifiutava di comprenderla, eppure, in un modo che era incomprensibile anche a lui, sapeva che Molly Hooper era bella.
La bellezza dell’inconsapevole, del fiore che non ha ancora visto la luce del sole, del primo e ultimo volo della farfalla, del primo bacio dato da ragazzi.
Ogni tanto, John Watson glielo faceva notare. Quella ragazza muore per te, diceva. Lui scuoteva la testa, lanciava all’amico un verso indistinto e tornava al suo lavoro.
Lavoro, lavoro, lavoro, sempre lavoro, solo lavoro. Era un peccato mortale e una fortuna sfacciata che la dolce Molly Hooper ne facesse parte.
Era lavoro anche quando la baciò la prima volta, in laboratorio, quando lei non sapeva cosa dire prima e non seppe cosa dire poi, quando lui disse solo consideralo un esperimento.
La seconda volta non hanno ancora capito cosa fosse. La seconda volta fu lei a baciarlo, fu Sherlock a rimanere in silenzio. Dopo una vita di deduzioni, ricerche, spiegazioni troppo lunghe e troppo complicate per il resto del mondo, toni di voce troppo alti, troppa noia per restare in silenzio, il rumore dei colpi sulla parete, il rumore delle voce nella sua testa. Una vita di rumore non gradito, non richiesto, mai capito, una vita così e poi Molly Hooper. Molly Hooper e i suoi silenzi.
Quella sera, la sera dopo il secondo bacio e della prima volta di tutta una vita in cui Sherlock Holmes aveva perso le parole, quella sera toccò a John fare le sue deduzioni.
“Se non ti conoscessi direi che sembri un’adolescente alla prima cotta.”
“Ma tu mi conosci.”
“Infatti.”
Il Dottore sorrise, porse a Sherlock una tazza di tè e si sedette sulla sua amata poltrona, con lo sguardo divertito puntato sul volto del detective, che, poteva quasi giurarlo, era arrossito.
“Non dirmi che ti serviva un altro bacio per quell’esperimento. Anche la scienza ha un limite e probabilmente anche la pazienza di quella povera ragazza.”
“No.”
“No cosa?”
“No non ne parlerò con te.”
“Come vuoi, ma credo che questa volta sia diverso.”
“Credi male.”
“Se lo dici tu.”
Sherlock Holmes non disse altro. Si sedette con le ginocchia al petto a fissare il vuoto, assente, lontano anni luce da quella stanza e da John.
La mattina dopo Mrs Hudson lo trovo ancora così, con il cappotto ancora addosso. Non si era mosso di un centimetro. Troppo a cui pensare, una sola mente non bastava. Nel suo palazzo mentale, non trovava la stanza giusta da aprire.
La sera del terzo bacio, la stessa in cui si era ritrovato a pensare che i capelli di Molly avevano un profumo piacevole, che le sue mani erano morbide, che quando sorrideva (raramente)(avrebbe voluto farla sorridere più spesso) piccole fossette si formavano agli angoli della bocca, decise di provare un’altra tattica.
Restò steso sul pavimento per ore. Con gli occhi verso il soffitto.
John dovette scavalcarlo più volte per arrivare in cucina. Ogni volta rideva di lui. Di Sherlock Holmes, il grande consulente investigativo (l’unico al mondo), incapace di gestire l’amore.
Non dormiva da due giorni quando la invitò a cena, quando lei non capì, quando per ripetere l’invito gli costò buttare all’aria anni di allenamento in “non chiedere mai nulla”. Gli sembrava che tutta la faccenda stesse buttando all’aria un bel po’ di cose, ma preferiva non pensarci.
Non parlarono molto, come loro solito, qualche osservazione intelligente di lui, dedurre che la cameriera soffriva di emicrania e aveva tre gatti, dedurre che la coppia al tavolo di fianco al loro era una coppia di amanti, dedurre che Molly Hooper era felice, felice da star male, felice da urlare fermate il tempo, fermatelo ora, fermatelo qui, non voglio vivere altro che non sia questo tempo, questi occhi, questi respiri, questa indecisione. Non voglio vivere all’infuori degli attimi che vivo con lui.
Le convenzioni sociali non erano il punto forte di Sherlock Holmes, questo lo sappiamo.
Molly non si aspettava nulla, aveva imparato da tempo che era meglio così. A fine serata, Sherlock le diede un bacio sulla fronte, a fine serata Sherlock era più bello del solito, più loquace del solito, più incredibile del solito. A fine serata aveva smesso di parlare del suo lavoro e aveva cominciato a parlare di lei.
Perché? Perché Molly non lo faceva mai. Altruista, intensa, senza pretese. Semplice, lineare, a tratti ingenua. Molly era tutto ciò che lui non sarebbe mai stato, voleva sapere tutto sul suo mondo. Tutto sulla faccia opposta della sua stessa medaglia.
“Perché ti piaccio?” chiese.
“Come potresti non piacermi?”
“Non è una risposta.”
“Tu piaci a tutti.”
“Non piaccio a nessuno”
“Si invece, solo che non te ne accorgi.”
“Le persone mi detestano.”
“Le persone sono stupide, allora.”
“Lo so.”
Finì così quel primo appuntamento, iniziarono allo stesso modo tutti gli altri. Con una domanda senza risposta, con una risposta nascosta nell’intensità con cui Sherlock la poneva, con intenzioni rimaste solo tali, baci dati senza essere richiesti, l’affermazione dell’altrui stupidità, poi l’attesa.
Un altro giorno. Un altro esperimento. La stessa Molly Hopper, un altro tipo di silenzio, la bellezza di chi non ne ha bisogno, la confusione di chi non può capire.
Sherlock Holmes, consulente investigative, l’unico al mondo, fece le sue prime deduzioni sull’amore: le sbagliò tutte.
Non era mai stato così confuso, non era mai stato così bello.
   
 
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