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Autore: itsanamecode    10/02/2015    0 recensioni
Heaven Sparks. Luke Hemmings. Una città che non dorme mai. Una guerra alla sopravvivenza. Una malattia chiamata amore.
-Se mi perdessi?-
-Ti ritroverei.-
-Se non volessi essere ritrovata?-
-Perché ti ostini a non capire che non puoi vincere.-
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Il tifone, che si sta avvicinando più velocemente del previsto, interesserà tutta la zona di Sidney e dintorni. Molte scuole rimarranno chiuse per tutta la durata del tifone, la durata massima sarà di due settimane sulla zone interna mentre sulla zona costiera avrà una durata di circa tre o quattro giorni. Vi terremo aggiornati sulle vicen…-

Senza pensarci troppo, spense la tv prima che il conduttore potesse finire il discorso, ne aveva abbastanza. Dovevano smettere di fare una tragedia per ogni cosa che succedeva in quella stupida provincia.

Gli dava sui nervi.

Si alzò sbuffando dalla poltrona di finta pelle nera e si diresse a passo svelto in cucina. Allungò la mano verso il telefono e compose velocemente il numero dell’amico.

-Cosa vuoi? Sono le 7:30 amico.- disse l’altro con una voce ancora assonnata.

-Appunto. Ti passo a prendere in macchina o vai a piedi nel bel mezzo del ciclone?- disse l’altro entrando nella camera piena di poster di band punk rock.

-Oh, vienimi a prendere.- disse l’altro facendo cadere la telefonata.

Si infilò velocemente i jeans neri strappati e la solita maglietta rovinata e vecchia di una delle sue band preferite.

Si mordicchiava il labbro inferiore, pensava all’inverno che stava per arrivare. Le vacanze, i famigliari, gli amici, i compiti, il freddo. Tutta la stessa roba. Tutti gli stessi anni. Odiava quella routine.

Uscì, lasciando dietro di se il calore della casa, e una sferzata di vento gelido gli perforò la pelle.

Attraversò il vialetto a passo cadenzato fino ad arrivare sul marciapiede, estrasse le chiavi dell’auto parcheggiata di fronte alla casa, fece scattare la serratura dello sportello e si annidò subito nell’abitacolo, ancora più freddo, della macchina.

Uno sbuffo di aria calda uscì dalla bocca del ragazzo, risaltando agli occhi per il colore più chiaro rispetto all’aria che lo circondava.

Non aveva ancora iniziato a piovere, il cielo era grigio, un grigio chiaro che non minaccia pioggia ma ti mette voglia di rintanarti in casa e di non mettere piede fuori.

In pochi minuti si trovò di fronte alla casa dell’amico, suonò freneticamente il clacson per avvisarlo del suo arrivo. Un ragazzo alto e moro uscì dal portone di legno scuro. Aveva un berretto nero che gli copriva la fronte.

Se incontravi Calum, per strada, senza averlo mai conosciuto, l’avresti scambiato per un asiatico flippato con internet.

Beh, Calum non era né asiatico né flippato di internet.

Era un normale ragazzo che si faceva trasportare da quelli un po’ più ribelli di lui, come Luke.

Erano agli opposti. Uno fuori dagli schemi. L’altro normale. Uno attirava l’attenzione. L’altro il più delle volte passava inosservato.

Però erano ottimi amici. Il più delle volte l’unico che riusciva a far ragionare Luke era Calum. Erano sempre insieme, si completavano, erano una squadra perfetta.

Ma avvolte le squadre si sciolgono.

 

 

 

Quella mattina di alzarsi proprio non ne voleva sapere. Voleva restare nel calore delle coperte ancora un po’ prima di dover mettere piede fuori di casa e soprattutto a scuola.

-Heav. Alzati devi andare a scuola.- la voce della madre le arrivò dal piano inferiore.

Scostò la coperta lasciando che il freddo la investisse come un camion.

Mise i piedi giù dal letto con un piccolo slancio, aveva avuto sempre il letto di sotto, il letto di sopra apparteneva al fratello minore che di solito doveva alzarsi un po’ più tardi rispetto a lei.

Prese un paio di jeans e una canottiera, ma all’ultimo momento prese anche una felpa spessa.

SI chiuse in bagno e si appoggiò per qualche secondo al lavandino mentre si fissava allo specchio. Non pote far altro che distogliere lo sguardo e iniziare a prepararsi. Aveva i lunghi capelli color rame raccolti in una strana chignon che assomigliava di più a una palla, ma odiava ritrovarsi tutti i capelli sul viso.

Ci mise qualche minuto a prepararsi e dopo essersi anche truccata uscì dal bagno. Le cover bianche alte facevano un rumore sordo mentre scendeva le scale di legno e si ritrovava nella cucina. Prese lo zaino i si mise a fissare i minuscoli graffietti sulle lunghe dita.

Non si sorprese, il giorno prima si era arrampicata su un albero per entrare in casa.

Prese lo zaino nero con dentro i pochi libri che le servivano e uscì di casa sbattendo rumorosamente il portone.

Percorse il tratto fino a scuola con le cuffiette nelle orecchie. La musica le risuonava in testa impedendole di pensare e questo l’aiutava.

Si trovò nel grande ingresso pieno di studenti della Norwest Christian.

Il parcheggio era pieno di macchine degli studenti e dei professori. Intorno ad esse c’erano gruppi di amici che scherzavano e preparavano i loro piani per le vacanze che si avvicinavano. Ù

Heaven non si faceva questi problemi. Di solito per le vacanze natalizie partiva sempre per andare dai nonni paterni in America a Nashville.

Si fece largo fino all’entrata della scuola e scivolò attraverso la porta.

Pochi studenti erano già entrati, mancavano circa dieci minuti all’inizio delle lezioni ma lei non aveva niente di meglio da fare.

Si avviò verso la classe, lo zaino nero pendolava dalla spalla mentre con il braccio libero apriva la porta dell’aula.

Era vuota, sembrava una stanza d’ospedale, con i muri bianchi i tavoli di plastica spessa grigi e le sedie di legno come quelle che usavi anche quando avevi dieci anni.

La lavagna nera svettava nel bel mezzo della parete dietro alla cattedra del professore.

Si avvicinò all’ultimo banco sulla destra, che era affiancato a una finestra da cui si poteva vedere la strada.

Si sistemò nel suo angolo, di solito nessuno la veniva a disturbare e poteva restare in quell’angolo da sola.

Chiuse gli occhi e si appoggiò alla finestra, il vetro freddo contro la tempia la faceva rabbrividire.

 

 

-Lo sai che è la prima volta che vado all’ora di geografia?- disse Luke a Calum mentre entrava dentro alla scuola.

-Aspetta, mi stai dicendo che la scuola è iniziata da tre mesi e tu non ti sei mai presentato a una lezione di geografia?- chiese l’altro inarcando le sopracciglia.

-Esatto.- disse sorridente l’altro.

-Beh, sei in ritardo già il “primo giorno” allora.- ridacchiò Calum mentre entrava nell’aula di fisica già piena.

Luke ridacchiò e con un passo veloce si avviò verso l’aula di geografia.

La porta era già chiusa, bussò piano prima di aprirla e fare qualche passo all’interno dell’aula.

Calò il silenzio, gli sguardi erano puntati su di lui, più grande di loro, e che non si era nemmeno mai visto a quell’ora.

-Mi dica.- disse il professore.

-Mmh, io dovrei assistere alla lezione di geografia.- disse Luke colto di sorpresa.

Il professore aggrottò le sopracciglia e diede un’attenta occhiata al registro.

-Pensi, signor Hemmings, l’avevo per fino cancellato dall’elenco.- sorrise furbo il professore mentre segnava la presenza del ragazzo alla sua ora.

-Luke Robert Hemmings, ci conosciamo.- ridacchiò facendo sollevare gli occhiali dalla punta del naso.

-Piacere mio.- disse Luke sorridendo con un angolo della bocca. Infondo questo professore non gli dispiaceva.

-Mi dispiace avvertirla che non potrà stare al primo banco per oggi, si dovrà accontentare dell’ultimo banco.- disse indicando con la penna l’ultimo banco in fondo a destra.

Luke sorrise al professore e raggiunse il banco. Doveva condividerlo con una ragazzina mora, dimostrava si o no quindici anni e non diciassette.

Scostò la sedia poco elegantemente e vi si sedette a peso morto. Il professore ripartì con la lezione e gli occhi degli studenti ritornarono verso la lavagna.

 

 

 

 

Il ragazzo che aveva appena fatto un’entrata così teatrale le si era appena seduto accanto.

Le metteva soggezione, come se fosse costantemente sotto esame.

Lo guardò con la coda dell’occhio attraverso la massa dei capelli color rame.

La stava fissando. Distolse subito lo sguardo per tornare a guardare il professore.

Cercava di far finta di niente, ma la sua insicurezza trapelava fuori ad ogni suo gesto.

-Signorina Sparks, può ripetere che cosa ho appena detto?- chiese l’uomo anziano seduto sull’angolo della cattedra.

-Ha detto che tutte le città che si collocano sulla costa sono soggette a calamità naturali più forti rispetto a quelle interne.- disse a voce bassa quasi in un sussurro.

Sembrava che non stesse seguendo ma stava ascoltando tutto con massima attenzione.

Tanto da non sentire la voce del compagno di banco che le ripeteva per la terza volta la stessa cosa.

Delle dita le schioccarono davanti agl’occhi attirando la sua attenzione, si girò dall’altra parte incontrando gli occhi chiari del compagno di banco. Erano più chiari dei suoi. Quelli del ragazzo tendevano di più al grigio mentre quelli di Heav erano blu.

-Hey, sei connessa al mondo esterno?- gli chiese lui sorridendo e mostrando i denti bianchissimi.

-Si, scusa.- disse lei scuotendo la testa.

-Ti stavo chiedendo- disse guardandola divertito –quale era il tuo nome.-

-Mi chiamo Heaven, ma chiamami come ti pare.- disse lei tornando a fissare il foglio scarabocchiato di appunti.

-Ti chiami Heaven?- chiese.

-Si, lo so è un nome strano.- disse lei appoggiandosi 




   
 
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