“La verità è proprio davanti a te e non riesci a vederla…”
“Quale verità?”
“Tu mi ami”

Sento la sua voce, la sento ancora nella testa, la sento viva dentro di me come sempre negli ultimi cinque anni e forse ancora di più.
Cammino e l’aria umida di Parigi mi bagna i capelli, ho freddo o almeno credo di averne ma non ne sono sicuro, non riesco a sentire con chiarezza ciò che il mio corpo recepirebbe con facilità se solo non fosse annebbiato dall’alcol. 
La bottiglia che tengo in equilibrio in una mano ciondola vicina alle mie gambe e gocce di vino mi imbrattano i pantaloni ad ogni passo.

“Tu mi ami”

Rabbrividisco a quel pensiero, e il mio cuore accelera i suoi battiti, corre all’impazzata davanti a me, verso qualcosa che non riesco a vedere, verso un’ombra avvolta dalla nebbia, verso un ricordo che se ne avessi la forza mi strapperei volentieri dalla mente.
Mi porto la bottiglia alle labbra e bevo a grandi sorsate, che sia salvezza o dannazione ciò che si nasconde nel fondo non ha alcuna importanza purchè metta fine a questo tormento. Il vetro freddo mi sfiora le labbra e il vino scivola giù lungo la mia gola, non riconosco quel sapore famigliare, un altro altrettanto noto mi riempie la bocca…il suo.
Il suo profumo aleggia dentro e fuori di me. Lo sento ovunque, sempre, nella folla, nei boschi e tra le lenzuola di notte. Sento le sue labbra sulle mie, la dolce tortura delle sue dita tra i capelli e la carezza audace della sua lingua sulla mia cicatrice.

“Tu mi ami”

Ripete la sua voce, ed ora vedo i suoi occhi azzurri fissi nei miei,  mi ghermiscono e scavano nel mio animo contaminando anche quel poco di amor proprio che ancora mi resta, stritolando il mio spirito in una morsa di desiderio malato.
La desidero e la odio con tutto me stesso. 
Mi aggrappo alle sue esili braccia, la stringo e sento quasi scricchiolare le sue ossa sotto la pressione delle mie dita.

“No non ti amo” urlo più a me stesso che a lei.

Mi sorride e mi accarezza la guancia con dolcezza, sembra quasi compatirmi mentre osserva l’ombra di me stesso inveire contro di lei.

“Povero Athos” mormora teneramente e le sue labbra si posano ancora sulle mie scaldandomi il cuore.

Ora ho caldo o forse è solo il vino ma non mi importa, la stringo perché non posso farne a meno, la bacio perché se non lo facessi ne morirei. Ma sono già morto, sono morto con lei quando ho decretato la sua condanna e ancora ora nel suo abbraccio mi sento morire. L’uomo che ero non c’è più, l’uomo che sono diventato non è degno nemmeno di chiamarsi uomo.
Mi trascino rimpiangendo tutto ciò che avevo, tutto ciò che ho perso. L’onore è tutto ciò che mi resta, l’orgoglio è tutto ciò che mi sostiene, rinnego ciò che vorrei con tutto il cuore e ciò che ottengo è solo un pallido riflesso di me stesso. Troppo testardo per riprendermela e troppo debole per lasciarla andare.
Lei mi appartiene, io le appartengo, lei ha ragione e io torto…io la amo, come amo il vino e la battaglia, come si ama tutto ciò che è peggiore di noi, e non posso farne a meno.
Che importanza ha sapere ciò che è o ciò che ha fatto quando la linea di confine che separa l’odio dall’amore è così sottile, quando passi da un estremo all’altro senza sapere più nemmeno se quella linea esista veramente.
Sospiro e apro gli occhi  con rassegnazione guardando d’innanzi a me e tutto ciò che trovo è la notte a far compagnia ai miei deliri, lei non c’è ma nell’aria la sento, lontana, che ride vittoriosa per la mia ammissione.
Scaravento la bottiglia contro l’immagine distorta creata dal mio inconscio e ancora torno ad odiarla.
Sempre lei, la donna, la moglie, l’assassina…Milady!