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Autore: Biecamente    11/02/2015    7 recensioni
« Ah, la Spagna. Tutti vogliono sapere della Spagna. E io dico loro: “Compratevi una cazzo di cartina. Sta là, tra il Portogallo e la Francia” ». Un altro sorso gli rotolò lungo la gola. « Mi sono preso una piccola pausa. Avevo bisogno di riposo, tutto qui ».
Fanfiction ispirata a due eventi realmente accaduti: la /luna di miele/ di John Lennon con Brian Epstein e tutto quello che ne seguì al 21° compleanno di Paul McCartney.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Epstein, John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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           Honeymoon

a fanfiction by Biecamente




 

Come ha detto un mio amico - il primissimo a leggerla sui brutti fogli dov'è stata partorita,
"Mi ha tenuto per le palle con questa malsana voglia di vedere la situazione
evolversi in una rissa seguita da sesso a sangue"


Ringrazio anche workingclassheroine senza la quale non sarebbe mai nato
un desiderio tanto morboso di scrivere qualcosa





 

Fu un John Lennon vagamente alticcio - il sentore di alcol gli riempiva la bocca, pervadeva le parole che cacciava fuori a mo’ di insulto; fu un John Lennon col capello accuratamente pettinato e la giacca dal bavero alzato; fu questo John Lennon a comparire nel riquadro della porta quando Paul si decise ad aprirla.
«John, tu sei —» esordì McCartney, gli occhi stupiti - neanche poi tanto - dalle condizioni in cui s’era presentato Lennon. Era il suo compleanno, era il suo fottutissimo compleanno: l’ultima cosa che voleva era che si trasformasse nello scenario dell’ennesima diatriba di John. E questi si era presentato in assetto da battaglia - la corazza d’alcol, l’espressione ironica a fargli da elmetto. 
«John, cosa diavolo —».
L’indice di Lennon ruzzolò sulle labbra di McCartney, impedendogli di pronunciare null’altro. 
«Ssh principessa. Se non fai la spia, non lo saprà mai nessuno». A quel punto, gli scivolò addosso e le ultime parole, finì per alitargliele all’orecchio. «Sarà il nostro piccolo segreto, Paulie». 
«Piccolo segreto, un paio di palle, John». Si ritrasse con un’espressione disgustata sul volto. «Ora, prendi il tuo bel culetto e lo appiccichi al sedile di un taxi diritto verso casa».
Nel dire ciò gli aveva dato una pacca sul sedere come invito ad andarsene. Era un gesto consueto, del tutto innocente; era una cosa che solevano fare l’uno e l’altro, un segno d’esortazione che malcelava quanto poco fossero capaci di stare vicini senza mettersi le mani addosso. Ma per quanto la voce di Paul conservasse la solita leggerezza, quel gesto tradì la sua preoccupazione. Magari fosse stato solo John ubriaco, magari il suo unico problema fosse l’incapacità del collega di stare lontano dall’alcol e dai guai.
Paul lo guardava e non riusciva a vedere il solito John Lennon. Più lo guardava più vedeva la Spagna. Era ridicolo Paul McCartney - e sapeva di esserlo; eppure non riusciva a dissuadersi dai pettegolezzi che continuava a sentire in giro. Come avrebbe potuto? lo circondavano. Erano nella band, nella sala di registrazione, stampati a caratteri in neretto sui giornali e tutti gridavano la stessa indubbia verità. John Lennon e Brian Epstein ci avevano dato dentro in Spagna.
Mancava solo la conferma di John. E Paul non era certo di volerla sentire.
Lennon si voltò, il sorriso beffardo faceva capolino dalla spalla - il bavero della giacca ripiegato sotto la mascella.
«Paul» esalò con quel tono roco del gorgoglio dell’alcol. «Paul, e quando ti dò il mio regalo?».
«Di certo non ora». Lo scherzo era scomparso dalla sua faccia, così come la sua mano - seguita a ruota dall’altra - era salita sulla sua spalla. «Ora vattene».
Lo stava letteralmente spingendo fuori dalla porta, quando il tintinnio di ghiaccio in uno dei suoi bicchieri di cristallo lo fermò.
«Oh, eccoti Paul! Ci stavamo chiedendo che fine avesse fatto il festeggiato» fece la sagoma di Brian Epstein - il vetro del bicchiere ammiccò nella penombra.
«Il mio duo preferito che litiga. Devo pensare qualcosa di così brutto?» ghignò un’altra sagoma che andava a delinearsi, un ghigno familiare quanto era socievole il volto che l’ospitava. 
La piega del sorriso sul volto di John si fece sempre più sardonica pian piano che si rendeva conto dell’identità dei due uomini. Guardava l’uno e l’altro con gli occhi lucidi d’alcol e il sorriso gli si faceva sempre più ampio; con un braccio scostò Paul - un passo - e si avvicinò ai due - due passi, gli occhiali con un solo movimento scomparsi nella tasca della giacca.
«Bob! Da quanto tempo». Pacca sulla spalla, in un mezz’abbraccio fraterno.
«Brian, è sempre un piacere». Cenno del capo, quasi un occhiolino. 
«Principessa, a più tardi». Torsione del busto, sorriso malizioso. «Ricordati che sono in debito di un regalo».


Il whiskey ambrato ondeggiava nel bicchiere, il ghiaccio vi navigava - ogni cubetto che si scontrava con l’altro. John lo studiava con lo sguardo vitreo e la palpebra cascante. Ingollò un altro sorso dimezzando il liquido.
«Allora, John, raccontami un po’». Una mano callosa gli calò sulla spalla seguita da un sorriso sornione.
«Mmh?».
«La Spagna. Parlami della Spagna» aggiunse questo, sprofondando nella poltroncina accanto a lui.
Una, due, tre poltroncine; anch’esse immerse nell’ambra del whiskey. Da una di queste - ora lo vedeva - spuntava il sorriso sornione di Bob Wooler. Come potesse distinguere quel sorriso nella faccia cascante di Wooler, non lo sapeva. Sapeva, anzi, che tutta la stanza era immersa nel bicchiere: quegli che gli erano parsi cubetti di ghiaccio erano le poltrone che andavano alla deriva galleggiando sulla superficie alcolica del whiskey. 
«Ah, la Spagna. Tutti vogliono sapere della Spagna. E io dico loro: “Compratevi una cazzo di cartina. Sta là, tra il Portogallo e la Francia”». Un altro sorso gli rotolò lungo la gola. «Mi sono preso una piccola pausa. Avevo bisogno di riposo, tutto qui». 
«Sì, ma con Brian—?». 
«E’ stata la mia prima esperienza con qualcuno che sapevo essere omosessuale. Me l’ha detto. Sedevamo a questi café e Brian guardava alcuni ragazzi e io gli chiedevo “Ti piace quello? Ti piace questo?”1. Ecco».
«Dài, Johnny, non prendermi per il culo. Raccontami della vostra luna di miele in Spagna».
Finora John aveva parlato digrignando i denti, masticando le parole e soppesandole mentre la mano che stringeva il bicchiere vi si serrava sempre più convulsamente. Bobby era più cosciente di lui: di certo avrebbe capito dove fosse il limite da non superare. Cosciente, forse lo era, ma non altrettanto intelligente. Fatto sta, che non arrivò mai a pronunciare la parola Spagna. Difficilmente avrebbe potuto con le nocche di John Lennon tra i denti.
«Cosa hai detto, stronzo?». Un altro cazzotto sottolineò la sua domanda. Un cazzotto diritto allo stomaco.
«Cosa ti sei permesso di dire?». Un terzo, anche questo allo stomaco.
«Mi hai preso per un frocio? Coglione, rispondi!» ormai urlava - le domande gli ruzzolavano assieme alla saliva fuori dalle labbra. Quattro, cinque, sei… otto pugni tra la mascella e lo sterno.
Bob Wooler si limitava a tossire e recuperare il fiato tra un cazzotto e l’altro. Ma John continuava imperterrito a tempestarlo di domande, poco gli importava che sarebbero cadute nel vuoto con le altre. Gli sarebbe anche importato, se avesse potuto vedere qualcosa: era cieco: lo sguardo appannato dall’alcol e stretto da una furia omicida.


A Paul McCartney pareva che stesse andando tutto bene. Il mobilio di sua zia occupava ancora il proprio posto, i vasi non avevano ancora trovato la via per un mondo migliore e la musica riusciva ancora a coprire il chiacchiericcio che si dimostrava piuttosto cauto per gli standard delle loro feste. Strano a dirsi: stava andando tutto bene.
Era stato ridicolo a preoccuparsi così tanto, addirittura da rinunciare a bere. Era il suo fottuto compleanno, si sarebbe meritato almeno un goccetto di birra invece nelle sue vene scorreva unicamente il tè. Sei una donnicciola, McCartney. E sorseggiava l’ennesima tazza di tè. Un lungo sorso e la tazza andò a sfracellarsi contro il pavimento in un’esplosione di porcellana bianca.
«Paul! Paul! » gridava esagitata sua zia correndogli incontro - lacrime incastonate nell’angolo dell’occhio. «Paul, lo sta ammazzando! Paul!».
Non ebbe bisogno di chiedere chi stesse ammazzando chi. C’entrava sicuramente John; John era sempre il carnefice. Non si era sbagliato: lo trovò in salotto, Bob Wooler era rotolato dalla poltrona dov’era seduto e se ne stava rannicchiato in posizione fetale - il sangue gli zampillava dalla bocca. John urlava e lo calciava neanche avesse tra i piedi un pallone. Ogni volta che il suo piede affondava nello stomaco di Wooler, al suono carnoso del colpo contro le carni tumefatte si aggiungeva lo scricchiolio delle ossa.
«John Lennon» Paul sibilò tra i denti. Non lo toccò. Non alzò il tono della voce.
L’ultimo calcio di John rimase sospeso. Fu un volto devastato dall’ira quello che si voltò a guardarlo. Non era John Lennon - Paul non l’avrebbe mai riconosciuto come tale: era la maschera dell’odio: narici dilatate, occhi arrossati e luccicanti, sopracciglia corrugate ad unirsi sopra la gobba del naso.
«Questo bastardo si è permesso—».
«Zitto. Sta’ zitto, John! Ti avevo detto di non fare casini. Ti avevo detto di andartene a casa».
«Paul. Mi ha insultato. Dimmi cosa avrei dovuto fare! Ha insinuato che—».
«Non mi interessano le tue scuse, John. Non mi sono mai interessate» diceva McCartney scostandolo per piegarsi a controllare i danni arrecati al povero Bob Wooler.
John allargava le braccia - la maschera si accartocciava sul suo volto facendo trasparire le lacrime. «Paul. Lui mi ha chiamato—».
«John, sta’ zitto. E renditi utile. Chiama Brian». Immaginare John e Brian nuovamente soli - come in Spagna, immaginare Epstein consolare l’altro, immaginarli abbracciati… Oh cristo, se era troppo! Ingoiò la gelosia, l’ansia, il pianto nervoso che affiorava assieme all’immagine di John e Brian; strinse i pugni affondando le sue corte unghie nei palmi. Dolore. Quello faceva bene.
Sentiva ancora John frignante alle sue spalle - impettito e stralunato come solo lui sapeva essere. 

«John, cazzo! va’ a cercare—» il tuo amore spagnolo, quello che ti ha sbattuto come una puttana, il tuo Brian-puccipucci. Ingoiò anche quelle parole. «John—». Si voltò un secondo e incrociò il suo sguardo. Gli parve quasi lucido tra le lacrime - più di quanto fosse normalmente.
Avrebbe pianto. Paul McCartney aveva il pianto in gola e continuava a mandarlo giù, come se bastasse. Avrebbe pianto come una dodicenne e avrebbe abbracciato John. Avrebbe poggiato la fronte nell’incavo del suo collo e gli avrebbe sussurrato all’orecchio che andava tutto bene. Ma c’era altra gente. Gente disposta a parlare come e di più avevano fatto per la storia della vacanza in Spagna.
E John annuì e scomparve. A lui rimase solo il malridotto Bob Wooler e decine di occhi curiosi.


Brian risolse la situazione. Brian Epstein era il migliore nel risolvere le situazioni. Di nome faceva Manager e di cognome Risolvo i casini di Lennon. Si mosse su due fronti: portò il povero Wooler in ospedale e intimò agli altri invitati di non aprire bocca sull’accaduto. Parafrasando: pagò l’uno e gli altri. E vissero tutti felici e contenti.


Paul McCartney aveva mandato a letto sua zia. Per quanto zia Jin fosse ancora nel vigore dei suoi sessant’anni, quella giornata aveva sfiancato anche lei. Chi avrebbe mai immaginato che una festa di compleanno avrebbe potuto trasformarsi in tale violenza? Paul poteva immaginarlo; Paul l’aveva immaginato da quando aveva visto lo stato in cui s’era presentato John. Lo stesso Paul che ora puliva il parquet della zia macchiato irreparabilmente di sangue.
«Paul». Era un fievolissimo suono che giungeva dall’angolo più remoto del tinello. «Paul, mi dispiace così tanto».
«Startene lì con le mani in tasca a rimuginare, ti farai proprio perdonare» fece McCartney che gli rivolgeva la nuca, ma non gli era difficile immaginarlo. Ormai lo conosceva meglio di sé stesso.
John non rispose. Era troppo orgoglioso per rispondere - o per fare qualsiasi altra cosa. Probabilmente se ne sarebbe rimasto altre due ore appoggiato al piano di lavoro della cucina con gli occhiali scivolati lungo il profilo del naso, giusto per aspettare che l’altro finisse di pulire; poi se ne sarebbe andato. Una mano dalle dita lunghe e snelle gli accarezzò la schiena.
«Scusa, principessa. Non volevo rovinare il tuo bel parquet». Parole dolci sussurrategli all’orecchio.
«Coglione».
E seguì una lunga pausa, un silenzio spettrale pieno dello strofinio dello straccio contro il pavimento. Finché Paul non aggiunse: «Non me ne fotte un cazzo di ciò che hai fatto in Spagna con Brian. Ho deciso che non mi interessa. Se vuoi dirmelo, dimmelo—».
«Oh, Paulie fa la vittima! Oh, Paulie, in realtà, vuole solo scartare il suo regalo di compleanno» diceva John canzonandolo e sporgendosi sempre più verso l’altro minando al suo equilibrio. «Paulie fa il capriccioso perché non vuole aspettare fino a mezzanotte per aprire il suo regalo. Dico bene?». E con le ultime due parole l’aveva spinto praticamente contro il parquet. Si era spalmato sopra McCartney e gli sorrideva languido.
«John Lennon sei un emerito coglione». Paul non sorrideva, sebbene una certa ironia si scorgeva all’angolo dei suoi grandi occhi.
«Eccome!» diceva John e gli baciava la punta del naso. «John Lennon, il coglione dei Beatles».












Note.
1 Ho ritenuto opportuno sottolinearlo perché bisogna sempre citare le fonti - penso (?). Tratto da questo discorso:

 

It was my first experience with a homosexual that I was conscious was homosexual. He had admitted it to me. We had this holiday together because Cyn was pregnant, and I went to Spain and there were lots of funny stories. We used to sit in a cafe in Torremolinos looking at all the boys and I'd say, 'Do you like that one, do you like this one?' I was rather enjoying the experience, thinking like a writer all the time: I am experiencing this, you know. And while he was out on the tiles one night, or lying asleep with a hangover one afternoon, I remember playing him the song Bad To Me. That was a commissioned song, done for Billy J Kramer, who was another of Brian's singers.

[John Lennon —All We Are Saying, David Sheff]


Per il resto, la battuta della cartina geografica è mia - sebbene mi accorga di quanto sia in linea con John Lennon. E ovviamente tutto il discorso dell'honeymoon è stato un po' riadattato. Perché non esistono fonti certe e quindi la storia è in mio potere! Mi fermo qui, altrimenti sclero.

E' la mia prima ff in questo fandom, ma avevo bisogno di pubblicare qualcosa. Per loro e per me che sto impazzendo dietro a questa mia recente ossessione.

 

[Aggiornamento del 12 febbraio]
Oggi, questa fic ha ricevuto addirittura una recensione a fumetti. E mi sembrava ingiusto non condividerla con i futuri lettori.

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