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Autore: the Doctor Lion    12/02/2015    2 recensioni
Un gioco può essere un dettaglio rivelatore della nostra persona. Un gioco può rivelare le diverse sfaccettature del nostro animo. E talvolta un gioco può rivelarsi l'unico modo per portare alla luce sentimenti custoditi gelosamente.
Dedicata a Ireth Tulcakelume, la quale vorrebbe che il mio lato "puccioso" uscisse più spesso.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo Aiolia, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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《Tu stai sotto e io mi nascondo!》 Fu il suono di quelle parole a rompere la quiete circostante che regnava attorno a lei. Sollevò di poco la palpebra di un occhio solo, ma la richiuse in fretta, abbagliata dai raggi di sole luminescenti che filtravano tra le fronde degli alberi riverdeggianti che la sovrastavano in tutta la loro altezza. Accarezzo' l'erba verde giada con la punta delle dita e si portò le mani dietro la nuca, distendendosi sul prato, com'era solita a fare sempre in quell'ora della giornata, quell'ora in cui le persone andavano a coricarsi poco dopo i pasti, sprofondavano nel mondo dei sogni nei loro letti sicuri ed accoglienti, dalle lenzuola candide ed appena stirate. Aveva appoggiato le piante dei piedi al terreno, sentendosi solleticare dai ciuffi d'erba sotto di lei, e aveva chiuso gli occhi. Ma, come tutte le altre volte da quando era bambina, non era riuscita a chiudere occhio. 《Ehi, che fai, dormi?》 La stessa voce cristallina che l'aveva destata dal suo dormiveglia le solletico' nuovamente le orecchie, impregnata della stessa ilarità e vitalità di poco prima. 《È quello che starei cercando di fare...》, bisbiglio' lei, arricciando il naso senza aprire gli occhi 《E sarebbe meglio se anche tu facessi altrettanto...》 《Che lagna che sei; "bla bla bla dormire bla bla bla... riposare bla bla bla...", ma non sai parlare d'altro?》la scherni' la voce, ora improvvisamente ironica e pungente. 《Domando scusa, signor cavaliere di Leo, se desidero dormire un po'!》 《Dormire, dormire, sempre dormire... c'è la notte per dormire, ma adesso è giorno! Ma non vedi che sole che c'è?》 La ragazza sbuffo', sporgendo il labbro in fuori per spostarsi dagli occhi il ciuffo di capelli scuri che glieli ombreggiava. Si tirò su a sedere sull'erba, abbracciandosi le gambe con le braccia e serrandosi le ginocchia contro il petto. Sollevò il capo e si guardò attorno, cercandolo con lo sguardo. Un sorriso le attraversò il volto in quell'istante: gli piaceva nascondersi, a lui. Lo faceva sempre, lo aveva sempre fatto. Ricordava che era sempre stato così, sin da quando erano bambini. Si rincorrevano tra i prati che circondavano l'arena diroccata, nascondendosi dietro agli alberi e tra i cespugli dai rami aggrovigliati. Giocavano a nascondersi, a fare la conta e a cercarsi, a vicenda. Lui era molto più bravo ed abile di lei, era più veloce, più agile e più scattante. E con più voglia di vincere. Sin da piccolo l'aveva sempre battuta a nascondino, trovava sempre i posti migliori in cui nascondersi, e lì si accucciava, in attesa che lei lasciasse la "tana" e si avventurasse tra i boschi a cercarlo, chiamando a gran voce il suo nome. Aspettava lì, quasi sempre a quattro zampe, nascosto dall'erba, pronto a balzare simile ad un leone che attaccava un'innocente gazzella. E lui balzava, per davvero. Non appena trovava il momento giusto, scattava fuori dal suo nascondiglio e correva. Correva, veloce e sicuro, silenzioso come un predatore notturno, e il tempo pareva fermarsi. Tutto pareva fermarsi quando lui correva. Come in sogno, raggiungeva la meta valicando i prati verdi come se fossero aria, e toccava il legno della vecchia quercia che era oramai diventata la loro "tana". Ed erano sempre loro due. Loro due soli a dilettarsi in questo gioco infantile, loro due e nessun altro. Si bastavano l'un l'altra. Erano cresciuti assieme, passando interminabili nottate distesi sui rami della vecchia quercia a parlare, parlare del loro piccolo mondo segreto, quel mondo inarrivabile ed inaccessibile che apparteneva a loro soltanto, quel mondo che viveva animato dalle loro voci, dalle loro parole. Spesso facevano a gara a chi riusciva ad arrampicarsi più in alto, a chi rusciva a sfidare i propri limiti e a superarli vincendo le proprie paure, ed era puntualmente lui a vincere, agile e scattante com'era. Arrivava rapidamente in cima, sul ramo più alto, e vi si sedeva sopra, spenzolando le lunghe gambe abbronzate e ridendo. Ridendo con quella risata chiara e brillante che le era oramai così nota. Altre volte invece preferivano saltare la scuola per restare assieme sulla quercia. A ridere, a scherzare, a scambiarsi battute sconce e a leggere libri. Lei disegnava e lui leggeva, leggeva ad alta voce, per mostrare i suoi progressi nella lettura. La sua voce era più sicura, più limpida e meno impacciata, e le frasi trascritte sulla carta prendevano vita animate dalla sua voce. E lei ne era felice; gli aveva insegnato lei a leggere. E anche a scrivere. E non si poteva dire che fosse stata un'insegnante clemente: capitava molto spesso infatti che le mani del suo allievo non potessero neppure sollevare la tazza di latte che gustava ogni mattina, poiché le sue dita erano un mosaico di lividi ed abrasioni, inflitti da lei stessa con l'ausilio di una bacchetta ogni qualvolta che lui sbagliava la trascrizione di una lettera. E con il tempo la sua grafia tremolante ed incerta era diventata sempre più fluida e sicura: la punta corvina della sua piuma d'oca correva veloce ed elegante, anche se aveva sempre conservato il tratto sghembo e tremulo che gli era proprio. Ma lui le aveva insegnato a disegnare. Era lui che le aveva guidato la mano sulla sua tela la prima volta che aveva tenuto in mano una matita. Le aveva tenuto dolcemente la mano sulla sua e le aveva mostrato. Le aveva insegnato. Altre volte ancora preferivano rimanere distesi a sonnecchiare sul prato all'ombra della quercia, ad osservare il cielo azzurro e ad indicarsi a vicenda le nuvole con le forme più strane. Lui vedeva perlopiù cibo, e ogni qualvolta che additava una nuvola, il suo stomaco iniziava a brontolare, facendoli scoppiare a ridere entrambi. Parlavano del futuro, di cosa avrebbero fatto negli anni a venire e di come sarebbe stata la loro vita tempo dopo. E, più di una volta, lui aveva provato a strapparle un bacio. Non tanto perché lo desiderasse, ma perché voleva vedere se avrebbe mai avuto il coraggio di baciare il suo migliore amico. La provocava, la sfidava a baciarlo, dicendole che era una fifona e che un piccolo bacino non avrebbe mai ucciso nessuno. Lei non lo aveva mai baciato. Ma non poté mai negare di averci pensato. E, anche allora, mentre lei lo cercava insistentemente tra il fogliame, pensava a quanto le sarebbe piaciuto baciarlo. Ma non lo avrebbe mai ammesso. 《Sei in alto mare!》 declamo' l'allegra voce di lui, proveniente da un punto imprecisato attorno a lei. 《Tu dici?》 La ragazza si guardò attorno rapidamente, ed il suo sguardo si posò sul tronco secolare della vecchia quearcia resa grigiastra dal tempo, dal quale faceva capolino una zazzera Di capelli biondi, ricci ed arruffati. 《Io dico che invece ti ho trovato...》Sorrise e si guardò intorno, lisciandosi le pieghe del vestito, e andò a posare la mano aperta sul legno della quercia, declamando: 《Un due tre per Ria!》 com'era consuetudine. 《Ma non è giusto!》 si lamento' lui, uscendo dal suo nascondiglio dietro al tronco 《Non ho sbagliato nulla questa volta!》 La giovane lo guardò; era cambiato, con gli anni, era cresciuto con armonia, diventando lo splendido giovane uomo che si trovava di fronte ora. Era diventato incredibilmente alto e sinuoso; ella gli sfiorava a malapena la spalla, e sì che era sempre stata più alta di lui, quando erano bambini. Indossava una maglietta a maniche corte bianca, troppo stretta per lui e decisamente troppo corta. I muscoli del petto guizzavano dal tessuto ogni qualvolta che si muoveva e gli scopriva le braccia abbronzate e muscolose, che rilucevano al tocco dei raggi di sole. I segni dei lividi del passato non erano altro che un'ombra sui polpastrelli tenaci. Portava un paio di pantaloncini di jeans scoloriti e lunghi fino a metà coscia, sdruciti e con l'orlo sfilacciato, probabilmente dovuto al paio di forbici da lui usato con scarsa precisione per tagliarli. I pantaloncini gli scoprivano le lunghe gambe abbronzate e muscolose, atletiche e veloci, quelle stesse gambe che l'avevano sempre surclassata in ogni sfida. Calzava un paio di alte scarpe da ginnastica dai colori sbiaditi, dai lacci rovinati e anneriti e con la suola di gomma consumata e oramai troppo vecchia per sopportare un'altra estate. Le portava senza calze, come avevano sempre fatto entrambi. I suoi capelli, di quel gradevole biondo miele che ricordava quello dei chicchi di grano bruniti, erano più lunghi, più ricci ed arruffati che mai, ed erano cresciuti fino ad accarezzargli il collo ambrato in morbidi riccioli. Il suo volto ovale ed abbronzato, dai lineamenti delicati e dolci risplendeva illuminato dai grandi occhi verdi dal fascino felino, i quali brillavano più che mai quel giorno. Ed era bello. Era bello guardarlo, ed era bello lui stesso. In fondo lo era sempre stato per lei, sin da piccolo. Ma quel giorno somigliava ad un sole, talmente era radioso e sorridente; le sue labbra erano distese in un gioviale sorriso canzonatorio e i suoi occhi ridevano, ridevano di quella luce speciale. E fu allora che lei si penti' di non aver mai trovato il coraggio di baciarlo prima. Scese dalla collinetta di foglie secche e si diresse al centro della radura, sfiorandole la spalla senza proferire parola, e si voltò verso di lei. 《Questa volta hai vinto》 commentò, il viso che brillava illuminato dal bagliore del suo sorriso. 《Così pare》 assenti' lei, iniziando a spolverarsi il vestito da eventuali pelucchi inesistenti. Come faceva sempre quando era nervosa. 《Allora sei tu a doverti meritare un premio》 《Un premio...?》 《Già, un premio》 《Sarà la prima ed unica volta che vincerò, in tutti questi anni, che senso avrebbe?》 replicò lei, restando seria. 《Proprio perché sappiamo entrambi che sarà l'unica e sola volta, vorrei che tu te la ricordassi per sempre》 Senza smettere di sorridere, egli le si avvicinò, senza fretta. Con il sorriso sulle labbra. 《E... e come vorresti farmela ricordare...?》 chiese lei, evitando il suo sguardo e il suo sorriso. I suoi occhi la ipnotizzavano. 《Beh, visto che tu non mi hai ancora dato un certo bacio...》 iniziò, sollevandole il volto con il dito indice e guardandola negli occhi 《... vorrà dire che dovrò pensarci io》 E così fece. La baciò, appoggiandole le labbra sulle sue, quasi sfiorandole, nella luce del cuore del giorno. Fu rapido e fugace, fu un bacio rubato. Lei aveva sgranato gli occhi, sorpresa da quel suo gesto improvviso, ma forse non più di tanto, ma lui li aveva socchiusi e aveva agito, seguendo il suo istinto. Com'era sempre stato. Il suo primo bacio. Dopo un istante che a lei parve interminabile, si separarono, lei con le guance in fiamme, e lui con il sorriso ancora stampato sulle labbra. Egli rise, divertito dalla sua espressione interdetta e si allontanò saltellando allegramente. 《E questo cos'era?...》 domandò lei, portandosi le dita sulla bocca nel punto in cui si erano posate le sue labbra. 《Il tuo premio per avermi battuto》 rispose il ragazzo, osservandola mentre si avviava verso la tavola di legno della vecchia altalena legata alla quercia tramite funi intrecciate. Ricordava bene quell'altalena: ricordava gli interminabili pomeriggi trascorsi a spingersi a vicenda su quest'ultima, tra mille risate e altrettante cadute. E comprendeva il bisogno di sentirsi ancora un po' bambini, nonostante fossero ormai entrambi adulti. Si sedette, stringendo le dita attorno alle funi intrecciate, e lo guardò. E lui capi'. Gli bastava uno sguardo per intendersi, le parole erano superflue, per loro. Si mise dietro di lei, e le appoggiò le mani sulle spalle, come aveva sempre fatto. 《Pronta?》 domandò, sorridendole. 《Sì》 《Ricordati di sollevare le gambe》 《Come una volta?》 《Come una volta》 Lei ricambio' il suo sorriso e lui iniziò a spingerla, esercitando pressione sulle dita, e lei sollevò un poco le gambe, tendendole in avanti per andare più veloce. Gli alberi di fronte a lei parevano allontanarsi e riavvicinarsi, simili a macchie di verde indistinte, e il sole filtrava tra i rami abbagliandola. Il vento le frusciava nelle orecchie e tra i capelli, sussurrandole cose, cose di arcana bellezza. E lei rideva. Rideva come una bimba felice mentre lui la spingeva, sempre più velocemente e sempre più in alto. 《Più in fretta, Ria, più in fretta! 》 esclamò lei, la voce spezzata in una risata. 《Lasciati andare!》 le urlò di rimando lui, spingendola più in fretta. 《Non sono più una bambina! Non posso certo lanciarmi!》 《Ti prenderò! Lasciati andare, ti prenderò!》 《Me lo prometti?》 《Te lo prometto!》 《Allora prendimi!》 Le sue dita si staccarono come in sogno dalle funi intrecciate, e si slancio' in avanti, libera e veloce come una piuma, lasciandosi cadere in aria, con la gonna che le si gonfiava e si sollevava roteando, scoprendole le mutandine di pizzo bianco nel balenare dei raggi di sole che filtravano tra le fronde. Tutto le sembrava incredibilmente piccolo e miniaturizzato dall'alto del volo che stava spiccando, un piccolo mondo al di sotto del suo volo. E lui era lì, sotto di lei: i suoi ricci di miele gli danzavano sul collo ambrato e, mentre tendeva le forti braccia verso di lei, la fina maglietta bianca si sollevò fino all'ombelico scoprendogli il corpo perfetto. Le sembrò la visione di un sogno. La gonna di lei si sollevò fino a coprirle la visuale, e si sentì arrossire mentre lanciava un grido di giubilo, desiderosa di lasciarsi cadere tra le sue braccia aperte. Volava. Volava attraverso il bosco, leggera come una piuma, vedendo solo il viso sorridente di lui. E quando il suo volo terminò tra le braccia del giovane, le loro labbra si incontrarono. Per un istante, un istante che sembrò eterno, rimasero uniti, le braccia di lei attorno al suo collo bronzeo e le braccia di lui, forti e scolpite dai duri allenamenti, le cinsero la vita, imprigionandole saldamente ma dolcemente. Le loro labbra calde, ma animate da un brivido di incertezza si incontrarono nella luce soffusa che penetrava fra le foglie smeraldine, si trovarono, abbracciandosi con desiderio, nella danza spensierata di un tenero amore ancora in boccio, un amore ancora acerbo, un amore che, crescendo sarebbe diventato il più bel bocciolo di primavera. Racchiuso nella danza silenziosa ed eterna dei loro cuori.
   
 
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