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Autore: Ortensia_    12/02/2015    2 recensioni
Trovò ridicola e terribilmente crudele l'idea che non vi fosse frase più azzeccata di quella.
Kougami Centric | Implied KouMaki | AU!XXI secolo, dove Kougami e Makishima sono due ragazzi normali | Avvertimento OOC perché sono una persona prudente e non avendo mai scritto nulla su questo fandom ho deciso di mettere le mani avanti |
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shinya Kogami, Shogo Makishima
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Addio





Shinya aveva avuto l'impressione che la fibbia ruvida e rigida fosse sul punto di lacerare il tessuto spesso della giacca, tesa com'era a causa del peso del borsone; credeva che presto sarebbe entrata a contatto con la spalla nuda e avrebbe cominciato a corrodere e dilaniare la pelle. Non che gli importasse, in verità.
Aveva deciso di ignorare l'indolenzimento che affliggeva il suo braccio destro e aveva passato almeno un quarto d'ora a fissare i binari vuoti, ‒ lo scintillio quasi impercettibile dell'acciaio sfiorato dalle luci artificiali della stazione ‒, inspirando ed esalando il fumo della sigaretta in continuazione, come se seguitare ad assaporare il tabacco e a protendere appena le labbra per permettere all'aria della sera di rinfrescargli la bocca fosse divenuto un movimento necessario, al pari del costante alzarsi e riabbassarsi del diaframma.
Aveva sentito il treno cigolare e sbuffare alle sue spalle, ma si era voltato solamente dopo aver ridotto la propria sigaretta in un mozzicone così minuscolo che una sola folata di vento avrebbe potuto sgretolarlo e tramutarlo in microscopiche briciole di cenere.
Aveva gettato il mozzicone sul binario vuoto e, per un solo istante, l'aveva visto brillare nel buio come un tizzone ardente, poi spegnersi, squagliarsi in volute di fumo quasi più nero della notte stessa. Aveva rafforzato la presa sulla lunga fibbia del borsone – trattenendo il respiro quando aveva avvertito un formicolio fastidioso attraversargli il braccio, pizzicargli la pelle dal gomito fino al polso – ed era salito sul treno, in cerca del proprio scompartimento.


Ora Shinya si apprestava a tornare a casa con un grande peso sul cuore.
Aveva riempito il borsone con alcuni vestiti, vi aveva sistemato il cellulare, il caricabatterie, due pacchetti di sigarette, un libro e forse anche qualcos'altro che, in quel momento, non riusciva a ricordare. Aveva lasciato Kanagawa convinto che avrebbe trascorso almeno un paio di giorni a Tokyo con Shougo, come erano soliti fare da qualche tempo, ma una volta arrivato non aveva messo piede fuori dalla stazione.
Gli eventi si erano susseguiti e sovrapposti confusamente, consumati troppo velocemente.
Aveva seguito il movimento lento delle labbra di Shougo desiderando soltanto di poterle baciare per metterlo a tacere, ma all'improvviso si era sentito come se tutta la sua vita si fosse ridotta in piccoli coriandoli di carta spazzati via dal vento e un'arrendevole apatia si era fatta strada dentro di lui, permettendogli di mantenere la mente lucida.
Shougo lo aveva costretto ad un viaggio lungo quasi un'ora e mezza soltanto per comunicargli che si apprestava a lasciare Tokyo e a trasferirsi negli Stati Uniti, a Cambridge, dove avrebbe frequentato l'Harvard University, e lui era arrabbiato. Terribilmente arrabbiato.
Shinya sfiatò sommessamente e chiuse gli occhi soltanto per un istante, riaprendoli quando, una volta immersa la mano nella tasca della giacca, riuscì ad aprire il pacchetto delle sigarette con un rapido movimento delle dita: doveva fumare, perché l'arrendevole apatia era scemata da un bel po', prima sostituita dalla nervosa impazienza che lo aveva fatto fremere in attesa di un treno che lo riportasse a casa, ora dal rimorso di essere in viaggio verso Kanagawa e di starsi lasciando Tokyo alle spalle con un pugno di mosche fra le mani.
Shinya si sentì osservato, quindi rivolse un'occhiata repentina all'anziana signora che, seduta al suo fianco, lo stava effettivamente osservando in cagnesco, e si ricordò che sul treno non era permesso fumare.
Abbandonata l'idea di reprimere la rabbia con la nicotina, Shinya guardò fuori dal finestrino.
Le luci lontane della città si mescolarono e si fusero col riflesso scuro dei suoi occhi, i bagliori pulsanti si sovrapposero alle pupille e poi si spensero all'improvviso: il treno stava transitando in una zona boscosa, sbuffava e barcollava nel buio della notte e Shinya ascoltava le ruote stridere e cigolare contro i binari, in un rumore sommesso e costante.
Le luci ricomparvero all'improvviso, – giallognole e bluastre, piccole e grandi –, scivolarono dai suoi occhi come lacrime iridescenti e imperlarono il riflesso diafano del suo viso come gocce di sudore. Le vedeva accendersi e spegnersi in continuazione, i rami fitti degli alberi parevano sciami neri e disordinati dietro i quali si intravedevano appena le ombre fumose della capitale.
Shinya inspirò profondamente e chiuse gli occhi per qualche istante: la contemplazione di quelle lontane luci pulsanti nel buio cominciava a stufarlo.
Diede un'occhiata all'orologio e, vedendo che alla stazione di Kanagawa mancava ancora una mezz'ora buona, spalancò il borsone ed estrasse il libro.
Quando Shinya diede un'occhiata alla copertina, restò per qualche istante con la schiena inarcata in avanti e il capo chino, serrò le labbra e le premette così forte da tramutare le screpolature causate dal freddo pungente della sera in una fitta trama di tagli sottili: era così di fretta che aveva preso un libro al posto di un altro, un libro che, per altro, non apparteneva a lui.
Shinya, al contrario di Shougo, preferiva gli autori americani a quelli inglesi, e di certo non si sarebbe mai messo a leggere un'opera tetra ed eccessivamente melliflua come Romeo e Giulietta soltanto perché si trattava di un capolavoro letterario – come riteneva Shougo, per l'appunto –.
Shinya si arrese all'idea che, almeno per il momento, quel libro sarebbe rimasto nelle sue mani, quindi lasciò aderire il busto alla morbidezza dello schienale e lo sfogliò.
Shougo si soffermava a lungo sulle pagine che contenevano delle citazioni che lo affascinavano particolarmente, quindi Shinya cercò le più sgualcite – anche se definirle in quel modo era esagerato, visto il rispetto assoluto che l'altro nutriva nei confronti di alcuni grandi scrittori del passato –.
Per colmare la noia avrebbe cominciato a leggere Romeo e Giulietta? Probabilmente non lo avrebbe fatto per interesse nei confronti dell'opera, forse era soltanto un modo inconsapevole per rendere meno brusco l'addio pronunciato da Shougo.
Trovò una pagina che al tocco pareva quasi più sottile e irregolare delle altre, come se fosse stata letta e riletta mille volte.
Atto secondo, scena seconda:

«Salutarsi è una pena così dolce, che ti direi addio fino a domani.»



Trovò ridicola e terribilmente crudele l'idea che non vi fosse frase più azzeccata di quella.




L'angolino psicotico dell'autrice latente:

Non temete, penso che questa sarà la prima e l'ultima shot su Psycho-Pass di tutta la mia vita. Prima di cominciarla ero consapevole di non aver compreso del tutto il carattere dei personaggi, tuttavia ho comunque voluto provare perché volevo scrivere qualcosa su questo fandom già da qualche mese.
Ho scelto un contesto AU per non complicarmi la vita e ho preferito inserire l'avvertimento OOC perché, anche se la shot in sé non mi dispiace, so benissimo che ci sono buone probabilità che io non abbia gestito al meglio Kougami.
All'inizio doveva esserci anche Makishima, ma la sua caratterizzazione mi terrorizza ancora di più di quella di Kougami, quindi ho voluto risparmiare gli occhi dei poveri lettori (?).
Alla parte del viaggio in treno tengo particolarmente perché ogni volta che sono di ritorno da qualche fiera del fumetto mi ritrovo ad osservare le luci che si vedono da fuori, quando è buio, ed era da almeno un anno e mezzo che volevo trovare l'occasione di descriverlo (anche se ovviamente ho bisogno di ampliare e migliorare l'esposizione).
Niente da dire, molto probabilmente non mi vedrete mai più su questa sezione -scappa a gambe levate-
   
 
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