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Autore: Arianna18    13/02/2015    0 recensioni
Anni dopo il suicidio di Anna Karenina, la figlia, Anja, avrà l'occasione di sapere la verità. I segreti così abilmente mantenuti, le nuove esperienze e un amore incondizionato animeranno la vita della ragazza. Una volta crollate tutte le sue certezze riuscirà a riconquistare la figura paterna, fino a quel momento, quasi completamente assente?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV.


Il treno correva sulle rotaie facendo sobbalzare di tanto in tanto i passeggeri. Anja, rapita dal paesaggio che si presentava ai suoi occhi, non stava più nella pelle: ancora poche ore e avrebbe riabbracciato gli zii e i cugini. Era stata a Mosca solo una volta, ma aveva appena sei anni e i sui ricordi apparivano molto sfocati. Ancora non riusciva credere che il padre le avesse permesso di partire, soprattutto senza il fratello, ma, nonostante tutto, aveva come il presentimento che la sua accondiscendenza derivasse più dalla preoccupazione che da una sincera generosità. Restare lontana da Pietroburgo implicava una probabilità minore di incontrare persone sgradite, ma non aveva importanza.   
La stazione di Mosca era sorprendentemente affollata, Anja aveva il timore di perdersi in mezzo a tutta quella gente, ma, con suo grande sollievo, notò tra la folla un viso familiare e corse verso di lui. Stiva Oblonskij era il classico uomo che riusciva a mettere chiunque a proprio agio senza troppi sforzi; un paio di folti baffi completavano il viso paffuto, dall’incarnato leggermente rossastro con due occhi svegli e luminosi.
“Piccola Anja!” esclamò con un sorriso raggiante appena vide la nipote scendere dalla carrozza del treno. La ragazza, avvolta nella sua pelliccia, corse dallo zio e, nonostante lo ricordasse a malapena, ebbe la sensazione di volergli già un gran bene.
“Ma guardati, sei il ritratto di tua madre!” fece lui commovendosi appena. Anja arrossì come ogni volta che qualcuno le faceva notare l’indiscutibile somiglianza.  
“Grazie per aver accettato di ospitarmi, zio Stiva. Confesso che avevo timore di disturbarvi.” Ammise timidamente.
“Non dirlo neanche per scherzo piccola Anja!” urlò Oblonskij euforico.
“In effetti, quando tuo fratello ci ha fatto visita ci siamo domandati come mai tu non fossi con lui, ma eccoti qui!” concluse sfoggiando una sonora risata e prendendola contemporaneamente sottobraccio. Salirono sulla carrozza e la ragazza sentì di essere esattamente dove doveva essere.


 
Trascorsero alcuni giorni dal suo arrivo, la compagnia degli zii e dei cugini fece dimenticare ad Anja tutte le controversie che aveva avuto fin ora con il padre: la casa di Dolly e Stiva era ormai diventata un rifugio accogliente, rifugio che sarebbe diventato sempre più affollato. Un pomeriggio Oblonskij rientrò dall’ufficio più allegro che mai, la sua risata riecheggiava tra le mura domestiche e nessuno poteva rimanere indifferente. Con un gesto plateale spalancò le porte della sala stringendo tra le mani una lettere tutta stropicciata.
“Dolly! Fai preparare le stanze e di’ al cuoco di allestire un banchetto degno di questo nome!” strillò pieno di entusiasmo raggiungendo la moglie e stringendola in un abbraccio quasi soffocante.
La curiosità era sui volti di tutti, compreso quello di Anja la quale non era ancora avvezza alle particolarità dello zio. Il motivo di tanta contentezza era dovuto all’imminente arrivo di Konstantin Levin e Katerina la sorella di Dolly, i quali da molto tempo non si recavano a Mosca per una visita. A quell’annuncio la sala si riempì di sorrisi e tutti abbandonarono le proprie attività per dedicarsi ai preparativi. Anja era, forse, la più impaziente, amava conoscere persone nuove e ora che ne aveva la possibilità si sentiva davvero fortunata.
Decise di aiutare la zia, nonostante quest’ultima le avesse ripetuto più e più volte che non fosse necessario in quanto ospite anche lei, ed in men che non si dica si ritrovarono a discorrere di Kostantin e Kitty, di quanto fossero delle brave persone e di quanto li avrebbe trovati di ottima compagnia. Anja aveva appreso dalle parole di Dolly che i Levin avevano un figlio della sua età e che questo “brillante azzeccagarbugli”, come l’aveva definito lei, avesse una personalità davvero affascinante. Dentro di sé la ragazza sperava già in una buona amicizia e ciò fece solamente aumentare la sua curiosità.
Le ore prima dell’arrivo degli ospiti passarono ad una velocità impressionante e l’attesa risultava sempre più viva, ma ecco che finalmente si sentì il rumore di una carrozza e di seguito i passi nell’ingresso. Le porte della sala da ricevimento si spalancarono e da lì comparvero due figure dall’aria tranquilla e cordiale. Lui, Kostantin Dimitrievič Levin, era un uomo alto e robusto di costituzione, con i capelli di un color rosso acceso e un temperamento estremamente timido. Katerina, o meglio Kitty, era invece l’esatto opposto del marito: minuta e decisamente aggraziata, aveva nei lineamenti qualcosa di particolarmente piacevole ed inoltre il suo sorriso era senza dubbio affascinante.
Anja, al momento delle presentazioni, si sentì leggermente in soggezione di fronte a quelle due figure così maestose, ma non appena parlarono scoprì, con molto piacere, che non aveva nulla da temere nei loro confronti, come le aveva preannunciato la zia, i Levin erano davvero cortesi e molto socievoli.
Dopo aver sistemato i bagagli degli ospiti si riunirono a tavola e subito l’attenzione si posò su Anja. Kitty la osservava attentamente già da parecchi minuti e non aveva potuto fare a meno di notare una certa somiglianza con la sorella di Stiva. Le controversie che avevano allontanato lei e Anna da giovani suscitavano nel suo animo una certa diffidenza verso la ragazza, eppure Katerina era sicura di sbagliarsi. Anja seduta vicino a lei, rispondeva ad ogni domanda con un po’ d’imbarazzo, in realtà non era abituata ad essere così al centro dell’attenzione, ma l’atmosfera non era minimamente tesa come, invece, accadeva a casa.Quella sera il tempo sembrava essersi fermato.

 

Passarono alcuni giorni dall’arrivo dei Levin, in quella casa era impossibile annoiarsi: in qualsiasi stanza si andasse in qualsiasi momento della giornata, c’era sempre qualcuno. Sembrava che la solitudine fosse proibita. Ad Anja questo non dispiaceva affatto, anzi, trascorrendo la maggior parte del tempo sola a Pietroburgo, non poteva che essere felice di qualsiasi compagnia.
Solamente una volta accadde che in casa fossero rimaste solamente lei la zia e Kitty. Gli uomini erano usciti a pranzo e le cugine erano attese ad un ricevimento nel pomeriggio, perciò le tre donne riunite attorno ad un tavolino di legno discorrevano del più e del meno noncuranti del trascorrere del tempo. Katerina, mentre raccontava della vita tranquilla che conduceva nella campagna russa, rifletteva su quanto suo marito e suo figlio fossero tutto ciò di cui avesse bisogno; aveva uno sguardo così sereno e sincero che Anja sentì un pizzico d’invidia. Desiderava una famiglia tutta sua, magari non subito, magari non alla sua età, ma la voleva. Sentire i racconti di Kitty e vedere la zia insieme a Stiva e a tutti i loro figli era meraviglioso e il sogno di una vita simile dava alla ragazza una smisurata forza d’animo.
Ad un certo punto la sorella di Dolly, con gli occhi che le brillavano per la tenerezza, tirò fuori una fotografia che usava da segnalibro dalla copertina di un libro e la porse ad Anja. Kostantin, Kitty e loro figlio sorridevano di fronte all’obiettivo e alle loro spalle si estendevano i campi immensi; erano così giovani, ma a parte qualche ruga in meno erano le stesse amabili persone che aveva conosciuto. La ragazza osservò a lungo quello scatto cercando di cogliere il maggior numero di dettagli. In men che non si dica si ritrovò a pensare che le sarebbe piaciuto conoscere il giovane Levin il quale, davanti ai suoi occhi, in quell’istante, era nient’altro che un bambino con lo sguardo timido, ma estremamente intelligente. Dovevano avere all’incirca la stessa età, ma Anja non sapeva assolutamente nulla di lui. Kitty, che notò il suo sguardo curioso, si affrettò a rispondere alla muta domanda che le stava ponendo.
“Si chiama Ilya” iniziò richiamando l’attenzione della ragazza. In uno scatto fulmineo Anja alzò la testa dalla foto e osservò la sua interlocutrice con un gran sorriso.
“Ha la tua età sai? Mi dispiace non sia riuscito a venire con noi, ma proprio ieri ci è arrivata una sua lettera dove annunciava che ci avrebbe raggiunti qui a Mosca” Concluse.
Anja non stava nella pelle, un’altra persona da conoscere, un altro viso da ricordare, non c’era nulla di più piacevole.
“Non vedo l’ora di conoscerlo, sento che saremo ottimi amici”
I discorsi e le chiacchiere continuarono indisturbate, ma improvvisamente un pensiero insistente si insinuò nella mente della ragazza senza darle tregua: era da molto che non ci pensava, ma una parola della zia aveva risvegliato i suoi dubbi. Dopotutto si era recata a Mosca anche per scoprire qualcosa di più sul conte Vronskij, tuttavia, appena varcata la soglia di quella casa, aveva scordato ogni cosa. Discorrendo dei vecchi tempi, però, Dolly aveva aperto un discorso riguardo i soldati e le uniformi, così, l’immagine di Vronskij chino sulla tomba, attraversò i pensieri di Anja. Sospirando e cercando di far uscire tutta la tensione che si era creata nel suo animo, si convinse che era meglio parlare ora in quell’atmosfera raccolta.
“So che è una domanda insolita, ma... Zia, Kitty... Voi conoscete il conte Aleksej Vronskij?” A quelle parole calò nella stanza un silenzio quasi assordante. Le due sorelle, nel sentir nominare Vronskij, cedettero di essere tornate indietro nel tempo: ormai erano quasi vent’anni che nessuno pronunciava il suo nome. Anja attendeva una risposta, sul suo volto era disegnata un’espressione fin troppo eloquente che allarmò zia Dolly e scosse Kitty, qualcosa dovevano pur dire. Una bugia sarebbe stata presto smascherata, dopotutto, se Anja aveva iniziato quel discorso, era sicuramente a conoscenza di qualcosa. Così, con una rapida occhiata d’intesa tipica di due sorelle, optarono per una risposta abbastanza soddisfacente da colmare, almeno per il momento, la sua curiosità e, allo stesso tempo, sufficientemente vaga.
“Era un vecchio amico di tua madre” dichiarò Dolly fingendo il migliore dei sorrisi. A quelle parole Kitty si girò perplessa tentando di nascondere uno sguardo anche troppo espressiva.
“Sì, un militare!” aggiunse, ma Anja non era cieca e aveva uno spiccato senso dell’osservazione. Qualcosa non andava nella domanda che aveva posto: prima il padre le mentiva, ora anche la zia e Kitty. Cominciava a sospettare che fossero tutti d’accordo a nasconderle la verità per chissà quale motivo, in fondo cosa ci poteva essere di così temibile in un uomo come Vronskij? Non lo sapeva, l’unica cosa che sapeva era che alla fine sarebbe riuscita a capire.
Tuttavia, proprio quando aveva deciso di essere più specifica, la zia l’aveva liquidata dicendo di dover andare a controllare i lavori nella cucina e subito dopo anche Kitty, con una scusa altrettanto illogica si era allontanata. Cercarle non era opportuno e non sarebbe servito a molto, di sicuro non avrebbe scoperto più di quanto già sapeva, poteva solamente aspettare il momento giusto.
Nel frattempo, nel corridoio al piano superiore, le due sorelle discutevano animatamente come se fosse in ballo un affare di estrema importanza.
“Deve saperlo Dar’ja! Non possiamo tenerle nascosto questo e per due motivi: il primo, il più importante, è suo diritto sapere la verità dei fatti, il secondo, non meno rilevante, lei sicuramente non si arrenderà così facilmente! Quando scoprirà cos’era successo diciotto anni fa, come credi reagirà verso di noi, verso Stiva, verso suo padre? Perché stai certa che lo scoprirà prima o poi, è pur sempre la figlia di Anna!” Kitty aveva nella voce e nello sguardo una particolare esuberanza, voleva correre da Anja dirle tutto e porre fine ai suoi dubbi, ma Dolly no, Dolly aveva riflettuto: non era saggio, per ora, confessare tutto. Non era facile e non lo sarebbe stato né per la ragazza né per nessun altro.
“No Kitty! Non è compito nostro dirglielo, so che non è giusto, ma adesso non dobbiamo fare nulla... nemmeno una parola su questa faccenda, intesi?” Dolly la guardò intensamente con aria di rimprovero, fu talmente irremovibile che la sorella non poté far altro che adeguarsi alle sue disposizioni. Entrambe non erano affatto convinte di ciò che stavano per fare, o meglio, di ciò che stavano per non fare. Anja era giovane e, sia Dolly che Kitty, temevano di rovinare qualcosa nella sua vita. Tuttavia era esattamente così: aspettare era la soluzione migliore.

   
 
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