9 persons – 9 hours – 9 doors
-Capitolo
1-
Buio.
Era la sola cosa che vedeva dietro le
sue palpebre abbassate.
Chissà che ore erano? Avrebbe voluto
aprire gli occhi, guardarsi attorno e imprecare al pensiero di essersi alzato
troppo presto in un giorno festivo.
Ma che giorno era?
Si sforzava di mettere a punto il
quadro della situazione ma niente, non riusciva proprio a ricordare nemmeno che
giorno fosse e nemmeno cosa avesse fatto la sera prima.
Improvvisamente un rumore sordo lo
risvegliò completamente, gli occhi si aprirono di scatto per la sorpresa come
delle molle.
Aveva appena messo a fuoco la visuale
attorno a se, solamente per rendersi conto che non aveva la minima idea di dove
si trovasse.
Spaventato si mosse velocemente,
tanto da non vedere il tubo contro il quale urtò la testa e mentre si girava,
cercando un appiglio o qualcosa di simile ruzzolò a terra come un sacco di
patate.
Ancora confuso e sotto shock, la sua
mente cercava di mettere ordine in quello che stava accadendo e allo stesso
tempo di sedare il dolore per la caduta e la botta in testa.
« Che male … Porca miseria! Ma che
diavolo … ?! »
Tenendosi una mano sulla testa si
guardò attorno ancora completamente stordito, in quel momento la sua vista fu
attirata dal letto dal quale era caduto. Era un letto a castello, a tre piani
per giunta, e lui doveva essere caduto dal piano più alto.
“Mi fa male il piede, la schiena, il
sedere … Insomma sono da rottamare!”
Pensò irritato mentre si passava una
mano sulla fronte.
Poteva chiaramente sentire il
formarsi di un bozzo sotto le dita nel punto in cui aveva sbattuto e forse,
pensò, era la causa dello stordimento che aveva seguito la caduta ma decise di
scartare quell’opzione poiché non gli sembrava plausibile poiché ora che lo
notava tutta la stanza stava tremando.
“Un terremoto? No, non è possibile,
il tremore è troppo ravvicinato per essere un terremoto!”
Dimentico del dolore cercò di
rimettersi in piedi.
Una mano su uno dei letti più bassi
faceva pressione, aiutandolo a riguadagnare l’equilibrio anche grazie alla
struttura del letto e con sguardo ancora confuso, ignorando le lamentele del
suo corpo, cominciò a guardarsi attorno.
Non c’era granché nella stanza.
I letti a castello a tre piani erano
due, uno dalla parte destra e uno da quella sinistra. Vicino a una parete c’era
un lavello con un sopra una cornice e uno specchio piuttosto sporco. Un piccolo
armadio a muro, uno specchio verticale, coperto da un telo e una stufetta
portatile che sembrava non venisse utilizzata da decenni.
“Ma dove diavolo sono?!”
I suoi pensieri cominciavano a essere
più coerenti e lucidi, i minuti passavano ma non riusciva a venire a capo della
situazione e più si guardava attorno meno capiva.
Il tremore, però, com’era cominciato
cessò.
Un silenzio innaturale cadde nella
stanza e poteva udire chiaramente il rumore del metallo che cigolava come se
fosse compresso da qualcosa. Deglutì il vuoto, immaginando possibili scenari
nella sua mente, ma non trovando risposta decise di guardare la stanza con
maggiore attenzione.
Come prima, non notò niente di strano
a parte la porta.
Era abbastanza grande, di metallo
inoltre, ma quello che colpiva di più l’attenzione era il gigantesco numero
cinque scritto (sperava) con vernice rossa.
« Chissà poi che cavolo vuol dire … »
borbottò a voce alta mentre si avvicinava alla porta.
L’intera situazione era assurda, al
limite del paradossale, per cui afferrò con cautela la maniglia della porta e
la mosse in verticale per cercare di aprirla ma non successe nulla. Tirare o
spingere era uguale: la porta non si muoveva.
Spostò lo sguardo sulla parete
accanto a la prima cosa che notò fu uno stranissimo apparecchio, molto simile a
quelli che si usano per leggere le tessere magnetiche. Non era un tipo geniale,
ma non serviva un intelletto superiore per capire che era quello strano
dispositivo a tenere la porta chiusa. Stava per colpire la porta con una serie
di pugni, quando si fermò.
Sul braccio sinistro c’era un
braccialetto strano come non ne aveva mai visti. Ricordava dei vecchi orologi,
quelli che si compravano con pochi spiccioli e si rompevano il giorno seguente,
ma questo era davvero strano. Non aveva un quadrante vero e proprio, solo
quattro pulsanti ai lati che non si muovevano, sul display digitale compariva
solamente un numero: il cinque, lo stesso della porta.
Girò il polso, cercando l’aggancio
per levarlo, ma quando lo fece si accorse con sommo dispiacere che non c’era
niente del genere.
« Che razza di scherzo è mai questo …
?! »
Arrabbiato, stanco e irritato da
quella situazione cominciò a fare alcuni tentativi per levarsi quello strano
oggetto dal braccio.
“Dove sono?! Dove diavolo mi trovo e
perché?! Maledizione perché?!”
Si sforzava di ricordare, di pensare
a qualcosa, ma niente gli veniva in mente sino a quando la sua attenzione non venne
catturata dalla finestra, smise di torturarsi il polso ora arrossato e si
diresse verso di essa. Era rotonda, vecchio stile, pensò, sembrava essere la
stessa delle navi da crociera.
“Mi ricorda quella della serie televisiva Love Boat … ! … Aspetta un momento!
Vuoi dire che … Sono su una nave?!”
Quella consapevolezza gli diede modo
di guardare con maggiore cura l’ambiente che aveva intorno a se, dandosi dello
stupido mentalmente per non averlo capito prima – era così ovvio.
Al di là del finestrino non c’era
niente. Solamente oscurità, una impenetrabile massa oscura e in quel momento,
senza preavviso, il vetro cominciò a scheggiarsi.
Come una ragnatela, la macchia si
diffuse per tutta la struttura e imprecando mentalmente, ancora una volta, si
fece più indietro verso la porta che provò nuovamente ad aprire senza successo.
Un secondo e il vetro s’infranse cominciando a far entrare acqua al suo
interno.
« Volete scherzare?! »
Ormai era completamente a mollo con i
piedi mentre la cabina cominciava a riempirsi d’acqua.
« Ehi! C’è qualcuno là fuori?! Fatemi
uscire! Fatemi uscire! Dannazione!! Rispondetemi! »
Niente, nessuna risposta.
L’acqua stava cominciando a salire
velocemente e lui non poteva restare lì. Doveva aprire la porta e uscire da
quella stanza il più in fretta possibile se non voleva morire.
Si guardò attorno e puntò sullo
specchio verticale, per cominciare, scostandolo trovò una chiave rossa molto
piccola attaccata con dello scotch adesivo sopra la superficie riflettente. Non
pensò molto, la prese subito e per un momento vide la propria immagine riflessa
nello specchio.
Era uno schifo.
Lunghi capelli scuri completamente
sparpagliati e una pessima cera del viso. Era pallido, esausto e quasi gli
venne da ridere da quello che vedeva riflesso; non era da lui.
“Inuyasha … Ti sei ridotto proprio
male … “
Non fece in tempo a pensarlo che
qualcosa si fece spazio nella sua mente, un ricordo sopito di quello che era
accaduto il giorno prima, o forse prima ancora – a questo punto poteva essere
successa qualsiasi cosa.
Ricordava di essere appena rientrato
dal lavoro a casa. Un appartamento piccolo, un monolocale semplice e funzionale
per il suo stile di vita.
Accese le luci si accorse che
qualcosa non andava: la finestra della stanza era aperta riempiendola di aria
fredda. L’aveva forse dimenticata aperta? Possibile, il resto della stanza era
esattamente come l’aveva lasciato. Niente era stato spostato, tutto era nel suo
disordine personale.
Stanco, desideroso solo di riposare,
era andato verso la finestra per chiuderla e fu proprio allora che lo vide,
attraverso il riflesso del vetro c’era un uomo coperto da un pesante cappotto e
una maschera anti – gas sul viso.
Si era girato, pronto ad alzare la
voce e a reagire ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un gemito
soffocato. Quando aveva cercato di muoversi si accorse che le sue gambe non
reggevano più il peso del corpo, cadde così a terra come un burattino a cui i
fili erano stati tagliati. Era stato ingenuo a non accorgersi prima della
bomboletta a terra che rilasciava uno strano gas nell’aria, un gas che
annebbiava completamente i sensi e che, pensandoci ora, forse era proprio la
causa del suo disorientamento.
Non ricordava nient’altro, soltanto
una voce alterata meccanicamente che diceva: “consideralo un privilegio. Sei stato scelto. Stai per partecipare a un
gioco, il Nonary Game. E’ un gioco … Nel quale la tua vita sarà la posta più
alta”.
Diede un pugno al vetro, non troppo
forte, chiaro, ma abbastanza per cercare di placare la sua rabbia.
« Quel figlio di … E’ stato lui! »
Digrignò i denti sentendo una rabbia
crescente farsi strada dentro di lui, ma non aveva tempo per pensare a queste
cose poiché il livello dell’acqua continuava a salire e la sua indagine
continuò.
Doveva fare in fretta.
Quella piccola chiave rossa doveva
servire per qualcosa.
Su uno dei letti più bassi, quello
che aveva usato per issarsi, trovò una valigetta blu e la esaminò velocemente.
Era una normalissima ventiquattrore con una serrata doppia, combinazione e
chiave. Quella rossa entrava, certo, ma non girava nella direzione che voleva e
quindi nella stanza doveva esserci anche una valigetta rossa e una chiave blu.
Non perse tempo.
Passò vicino alla stufa, sopra la quale si trovava un bollitore, anche quello
completamente coperto di polvere e quando ci guardò all’interno trovò anche la
piccola chiave blu. Ora mancava solo la valigetta. L’unico posto che non aveva
ancora controllato, tra quelli a disposizione, era l’armadio a muro. Scostò la
tendina di plastica, notando che il livello dell’acqua continuava a salire
pericolosamente, trovando la valigetta rossa. L’afferrò e la portò sul secondo
letto assieme a quella blu, inserì le chiavi nei rispettivi posti e provò a
girare ma niente, non si aprivano.
“Deve esserci un indizio … Qualcosa
per capire come aprirle … “ e fu allora che lo vide.
Quella cornice sopra il lavello era
strana. Troppo.
Non perse tempo e l’afferrò con le
mani, si spostò di un passo e la lanciò contro il lavandino con forza. L’impatto
ruppe il vetro e la sua struttura. Estrasse la fotografia, un’immagine
piuttosto vecchia di una nave, tipo il Titanic, ma sul retro c’erano segnate
alcune figure geometriche. Per lo più erano triangoli, una serie bianca e una
serie nera, in varie posizioni e un paio di quadrati con sopra segnati dei
numeri da zero a nove.
Sullo specchio, invece, c’era un
piccolo foglietto appeso con dello scotch che staccò immediatamente. Non era
chiaro, ma le immagini geometriche anche troppo: erano i triangoli della foto.
“Quindi … E’ questa la combinazione?
Dunque vediamo … Questo qui, rivolto in alto a sinistra, vuol dire sette … “
Continuò così, inserendo la prima combinazione
che aveva trovato, 7485, girò la chiave e niente.
La valigetta azzurra non si aprì.
« Merda … ! »
Provò allora la combinazione sulla
valigetta rossa, girò la chiave e questa volta ebbe maggiormente fortuna poiché
la valigetta scattò appena sopra. Inuyasha trasse un sospiro di sollievo che
morì non appena vide il contenuto. Carte magnetiche rosse sulle quali erano
stampati dei numeri.
Si guardò attorno, spaesato,
consapevole che non c’era molto tempo e che non aveva altri posti dove guardare
per cercare un piccolo indizio. Provò sui letti più bassi, scostando le
lenzuola e i cuscini ed ebbe fortuna. Il biglietto finale, alla fine, si
trovava proprio sotto uno dei cuscini del letto più basso.
Analizzò rapidamente il codice,
confrontando i simboli con quelli della foto, e inserì i numeri nella
combinazione del lucchetto e girò la chiave. Anche la valigetta blu si aprì.
Questa conteneva più materiale. Un piccolo raccoglitore rosso, una serie di
tessere magnetiche blu, tanto per cambiare, una mini calcolatrice e un taccuino
con penna.
Mise il taccuino e la calcolatrice
nella tasca del giacchetto di Denim che indossava, prese il raccoglitore e le
tessere per dirigersi verso il lettore. Ormai l’acqua era arrivata alle sue
ginocchia.
Provò a passare nel lettore le carte
rosse, per cominciare, una per una, vedendo degli asterischi comparire sopra il
display digitale del lettore e quando le passò tutte tirò la leva laterale. Un
suono sordo, e capì di aver sbagliato.
« Maledizione! Maledizione! Ci deve
essere qualcos’altro? »
E poi s’illuminò.
Mise via le tessere e aprì il piccolo
raccoglitore rosso. Non conteneva molto, solamente dei fogli che spiegavano l’utilizzo
della cosiddetta “radice digitale*”. Non
era un caso che si trovavano lì e poi, improvvisamente, si accese un'altra
lampadina nella sua mente.
« Un momento … Se sulla porta è
segnato il numero cinque … Vuoi vedere che … »
Buttò a terra il plico, ormai
inservibile lasciandolo galleggiare nell’acqua, e dalle tasche riprese le
tessere magnetiche e strisciò solamente quelle che gli servivano.
« Speriamo bene … Ormai non mi resta
che tentare la sorte! »
Tirò la leva e il misterioso lettore
produsse un nuovo suono, più acuto questa volta, gettando via anche quelle
tessere afferrò di scatto la maniglia e la porta si aprì.
Inuyasha si trovò in un corridoio
immerso di acqua fino alle ginocchia, ma decise che non era il momento di
pensare e seguì la corrente, cercando di non perdere l’equilibro sino ad una
scala di metallo alla cui cima c’era una porta di metallo.
« Fantastico! Davvero fantastico! »
sbottò sarcasticamente e al limite dell’esaurimento nervoso.
Quando poggiò la mano sulla maniglia la trovò aperta, almeno quella, pensò
sospirando, varcando quella soglia e rimanendo completamente basito davanti a
quello che vedeva. Lo scenario era completamente diverso.
Davanti a lui c’era una piccola
stanza finemente arredata con altre, guarda caso, scale, ma tutto era
completamente all’opposto della sobrietà della sua piccola cella. Le scale e i
pilastri erano interamente realizzati con un resistente legno pregiato,
abbellito con decorazioni di Art Nouveau che coprivano pareti e pilastri. Non
sembrava parte di una nave, quanto invece l’ingresso di una lussuosa villa dei
primi anni del novecento.
Non fece appena in tempo a chiedersi
se fosse davvero su una nave quando si accorse che alle sue spalle stava
arrivando un onda di acqua. Deciso a non aspettare oltre, sotto le proteste
delle sue scarpe, ormai fradice come i pantaloni, cominciò a correre come un
forsennato su per le scale di legno per lasciarsi alle spalle una fine sicura.
Arrivato in cima notò una placca
sulla parete di legno che recitava “ponte
C”. Non ci dette peso e continuò a correre, passando per un'altra sala,
quasi speculare a quella da cui era salito e continuò a salire ogni scalino che
trovava a due a due non avendo la minima idea della sua direzione.
Era nel “ponte B”, a quanto pareva, ma non si soffermò a pensare e continuò
la sua salita sulle scale sino a quando non si trovò davanti a un gruppetto di
quattro persone.
“Allora … Non sono solo … “
*Radice Digitale: La radice digitale è il risultato della somma
delle sue cifre, reiterata sino ad ottenere un valore monocifra, quindi un
valore compreso tra 0 e 9.
Esempio: 671 = 6+7+1 = 14 = 1+4 = 5 ß Cinque è la radice digitale.
Salve a tutti!
Questa fan fiction è un mio esperimento, una cosa che mi ronzava in testa
da un po’ di tempo.
Ispirata all’omonimo gioco, 999 (abbreviato), vedremo il susseguirsi di
vicende misteriose e inquietanti mentre i nostri protagonisti – diversi ma
sempre loro – cercheranno di scappare per mettere in salvo la loro vita da un
nave che sta affondando.
Essendo un esperimento mi rivolgo a voi, lettori, affidandomi ai vostri
commenti e alle vostre recensioni. Se piacerà, la continuo, altrimenti niente ~
Nel frattempo, sempre di Inuyasha, v’invito a leggere “Il Marchio del
Drago” e “Maou – Il Diavolo”. Sul mio
profilo troverete i giorni delle uscite ♫
Un forte abbraccio e un saluto a voi da
Scheherazade