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Autore: _Orlando_    14/02/2015    3 recensioni
"Pensò che duri erano i tratti del giovane, e gli arti nodosi come le querce, ma che l'aspetto del figlio dei Khazad era bello, di un'aspra e viva bellezza, potente e lenta a disfarsi, come le forti radici che affondano dentro la terra, come le rupi che si scagliano aguzze nel cielo terso sulle cime dei monti. Più grande e più nobile era la bellezza dei Quendi, eterea e immutabile come il firmamento, ma immobile e più simile a quella delle sfere celesti che non alle creature viventi"
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore: Quella a seguire è una piccola one-shot senza pretese, con quel tanto di fluff che ci vuole il giorno di San Valentino - o dei Lupercalia, a voi la scelta. E' la prima storia che pubblico su questo sito: ogni critica sarà bene accolta, e anzi, di grandissimo aiuto. Come da regole, sottolineo che questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.R.R. Tolkien; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Seguono spoiler per chi non avesse letto i libri, o visto i film, ispirati all'opera di questo autore.

L'idea mi è venuta nel vedere la versione estesa del primo film de "Lo Hobbit", che mette in scena un ipotetico affronto di Thror ai danni di Thranduil (una specie di ripetizione di quello fatto a Thingol col Nauglamir). Nella mia fallibilissima interpretazione di quei pochi fotogrammi, mi è parso, dalle espressioni del volto, che Thorin fosse l'unico dei nani presenti a meravigliarsi - in senso negativo - del gesto del nonno, e l'unico a preoccuparsi dell'ossessione di questi per il tesoro. Considerate questo testo ambientato nel Movieverse.

Per la modalità di scrittura ho tratto ispirazione dal racconto della storia di Aragorn e Arwen, di Belen e Luthien e, non ultimo, dell'incontro tra Gimli e Galadriel, nel tentativo di rendere la narrazione il meno stridente possibile con l'universo tolkieniano. Per lo stesso motivo, ho utilizzato nel testo alcune delle formule e degli epiteti che si trovano correntemente nel Silmarillion e nel Signore degli Anelli, oltre che nella Song of Durin.

Infine mi pare corretto ricordare "The Silent Ballad" di Anki_Shai - fosse solo perché è una delle più note e "antiche" fanfiction anglosassoni di AO3 su questo pairing. Narra le sorti di un'appassionata relazione tra un tormentato Thorin e un innamoratissimo Thranduil iniziata prima della caduta di Erebor, benché in modo molto diverso - oltre che assai più approfondito - che in queste mie poche e goffe righe. Consiglio di leggerla ai pochi che non lo avessero ancora fatto.

 

Il titolo è un richiamo ad una delle mie canzoni preferite, "A bolt of blazing gold" dei Dark Tranquillity. Mi fa pensare a Thorin e Thranduil, per alcune mie personalissime e discutibilissime associazioni.

Mi pare sia tutto. Vi chiedo scusa per questo prolisso disclaimer, ma mi è sembrato corretto rischiare di annoiarvi piuttosto che dimenticare qualche dovuto credito.

Buon San Valentino a tutte voi,

 

Orlando

 

 

 

 

 

 

 

"«(..)È vero, principe, che una volta avete detto che la "bellezza salverà il mondo"?
Signori» prese a gridare a tutti, «il principe afferma che la bellezza salverà il mondo!
Ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto
che egli è innamorato(..)»"

Dostoevskij - L'idiota

 

 

Le alte chiome dei faggi erano scosse dal vento di primavera quel giorno, le foglie del bosco, colpite dai raggi del primo sole, brillavano ancora delle gocce cadute durante la pioggia notturna, e l'aria era colma del dolce sentore del muschio. Cavalcava nel bosco il re degli elfi, all'ombra dei grandi alberi bianchi, la bionda chioma nascosta da un manto d'argento e di smeraldo, seguito dai servi fedeli.

Teneva il capo chino, pensando all'affronto subito, alle gemme lunari sepolte nelle sale degli avidi nani. L'alce maestosa calpestava l'erba che cresceva folta sul fianco della montagna, quando ancora essa era verde e alta1, sulla via del ritorno alla reggia silvestre degli elfi. E di primule e viole era coperta la terra sotto agli alti arbusti, e il profumo sottile si diffondeva tra gli alberi, salendo dolcemente ai sensi del re, quasi a volerne mitigare i cupi pensieri.

Gli usignoli cantavano note più alte, al passare della fulgida, piccola scorta, e il loro petto palpitava di gioia, poiché riconoscevano la luce siderale dei primi figli di Illuvatar, che numerosi un tempo calpestavano la Terra di Mezzo. Ed ora in quelle lande di essi restava il sembiante soltanto nella chioma bionda del Sindar antico, e della dama di Lorien lontana, ché molti altri elfi dei boschi, nati al buio delle fronde nelle foreste del mondo, lontano dal mare, non partecipavano della luce dei Sindar e dei Noldor.

Ed il cuore dell'alto sovrano era colmo di nostalgia, poiché le gemme negate avevano risvegliato in lui il ricordo del nobile guerriero dal Grigio Manto, caduto sotto le asce degli orridi Naugrim per amore del Nauglamir: Thingol, Signore di grotte celate eppure gloriose e splendenti dell'arte dei Maya. E ricordava le ombrose foreste virenti, nel cuore del Doriath, e i canti argentei delle fonti, e il suono degli zoccoli di Oromë sotto le stelle, agli albori dell'era degli Eldar, quando a cavallo correva per l'antica terra patria dei Sindar, sprofondata in tempi remoti tra i flutti di Ulmo.

Da simili neri ricordi era affranta la mente del re. La sua scorta non osava rivolgerli motto alcuno, poiché volubile era l'umore dell'Eldar altero, mutevole come la luna, eppure il suo cuore nelle ere che furono fu fermo come il corso della Stella del Giorno.
Ma non passò guari che si arrestò la marcia degli alti destrieri degli elfi, in un disordinato scalciare di zoccoli: una giovane creatura era sbucata dall'ombra dei bianchi tronchi dei faggi, gli occhi del colore del cielo d'inverno, gli scuri riccioli ribelli a cingere il fiero volto e le spalle robuste. Di morbida, fulva pelliccia era ricoperto il mantello ceruleo, aurea la sottile armatura che gli difendeva il petto, senz'ombra di dubbio frutto del sapiente maglio degli industriosi Khazad. Si pose davanti ai cavalli, la chioma pesante appena reclina, il volto teso e le labbra serrate.

 

"Non sei tu forse il principe Thorin, nipote del re che mi ha appena schernito? Come osa ancora qualcuno della tua gente porsi dinnanzi ai miei occhi? Ordunque togliti dal mio cammino, ché non è mia intenzione prendermela con i fanciulli."

Così disse il re degli elfi, e la sua voce vibrava di collera trattenuta, eppure il suo sguardo era limpido e fermo, come le acque di un lago che non abbia conosciuto tempeste.

"Non sono venuto per farmi beffe di voi, o Sire " disse il giovane principe, abbassando gli occhi, le guance macchiate di inusitato rossore, e la sua voce era calda e profonda come l'eco delle grandi fucine nelle aule dei figli di Durin. "Vi ho scorto oggi, dal fianco dell'alto trono di Erebor, gloria dei nani, incedere pieno di grazia, e lo splendore della vostra chioma pareva quello di Laurelin, che al mio popolo solo dagli antichi racconti è dato conoscere, e sulla vostra fronte brillava la luce delle stelle di Arda. E di vergogna si è riempito il mio cuore, vedendo la gloria delle argentee colonne del regno impallidire al vostro passaggio, dacché nei vostri occhi vive ancora lo splendore dei primi mattini del mondo, quando ancora la tenebra non era temuta e di fortezze non si sentiva il bisogno. Eppure crudele è stato il possente Thror, padre di mio padre, reso cieco dall'avidità del suo cuore, poiché egli è guerriero ed artefice, e sovra ogni altra cosa valuta la forza e la ricchezza. Ma ahimè egli è cieco alla somma bellezza, che più di ogni altra creatura i figli di Aulë venerano, dandole forma nelle loro opere, pur essendone esclusi, poiché Illuvatar ci volle lasciare imperfetti, rattrappiti negli arti e volti alla pietra, a memoria dell'affronto arrecatogli dall'ambizione del nostro creatore".

 

Ristette il re, serrando il pugno sull'arcione e chinandosi verso il venuto con lo sguardo di chi interroghi stelle velate e lontane.

"Giudichi l'operato dei Valar, ma sul tuo volto cresce da pochi inverni la barba, onore e vanto dei guerrieri del tuo popolo. Parla dunque, figlio di Thrain, cosa ti porta sul mio cammino?"

 

"O Sire" rispose il principe, il cuore che tremava nel petto " provo vergogna per gli atti dei miei congiunti, e vorrei soltanto nascondermi ai tuoi occhi, colmi di meritato sdegno. Ma obbedendo ad una forza più grande ho trovato l'ardire di presentarmi di fronte a te, spinto da un fuoco che ha scosso il mio spirito e piegati i miei pensieri, dal momento in cui il mio sguardo ha incrociato il tuo, colmo di stelle, nelle sale di Thror. Ed io in nessun modo avrei potuto oppormi, neppure appellandomi alla volontà dei Khazad".

Così parlò, e nel mentre da sotto al mantello trasse un fascio di fiori, pallidi e argentei come raggi di luna. "Questi sono i fiori che crescono sugli alti picchi di Erebor, nascosti agli occhi del mondo ed a molti popoli ignoti. Poiché sono i Naugrim i gloriosi abitanti dei monti, ma essi meno di tutti sono sensibili ai doni di Yavanna, e preferiscono volgere il loro sguardo alle profondità della terra. Eppure spesso la meraviglia mi coglieva a mirarli, nelle fresche notti di primavera, quando non visto salivo sulle vette alte a osservare la luna, e pensavo che la loro forma fosse quella delle stelle del cielo. Anch'essi sono doni dei monti, non meno di quelli d'oro e d'argento che abilmente forgiamo nelle profondità delle grotte."

 

Il principe si arrestò un momento, perchè il respiro si era fatto corto, tanto grande era la sua emozione. E l'altro lo guardava severo, gli occhi del colore dei ghiacci di Manwë, le sue labbra interrogandolo mute.

"Io non posso donarvi le gemme bianche del Nauglamir, poiché tutti i gioielli dei figli di Durin appartengono a Thror, ed alla sua ferma volontà sono legati da sette maledizioni, ma vi porto un fascio dei fiori che più di ogni gemma assomigliano agli astri del cielo, poiché oggi ho visto ciò che vi è di più bello nel mondo, e nient'altro ormai potrà eguagliarlo per me, sino alla fine dei tempi2. Li dono a te, Re degli Elfi, poiché tutte le luci di Varda non sono che un pallido sembiante del tuo splendore. E non posso donarti i miei servigi, perché essi appartengono al mio popolo, ma posso donarti il mio cuore."

Il nano dai riccioli d'ebano volse in alto la testa, e all'altro offrì il chiaro dono, stretto nella mano possente, e la sua chioma mossa dal vento a quel tempo era priva di fili d'argento, così come ancora il suo cuore ignorava il fiele dell'esilio.

Il Sindar rimase in silenzio, aggrottando la fronte, e il suo volto era gelido e altero. Condivideva in cuor suo il disprezzo degli Eldar per le disarmoniche membra dei Naugrim, ché essi erano privi della fulgida grazia, della bellezza immortale dei primi figli di Illuvatar. E tali erano anche le fattezze di quella creatura, che pure osava porgergli una tanto ardita preghiera. Pensò che duri erano i tratti del giovane, e gli arti nodosi come le querce, ma che l'aspetto del figlio dei Khazad era bello, di un'aspra e viva bellezza, potente e lenta a disfarsi, come le forti radici che affondano dentro la terra, come le rupi che si scagliano aguzze nel cielo terso sulle cime dei monti. Più grande e più nobile era la bellezza dei Quendi, etera e immutabile come il firmamento, ma immobile e più simile a quella delle sfere celesti che non alle creature viventi. Dopo lunghi millenni di placida quiete, quel giorno tornò la meraviglia nel cuore del figlio di Oropher, senza pari nel mondo, e vide che l'animo del giovane Naugrim era alto e fiero, non ancora toccato dall'avidità che sovente reca sventure alla razza dei Nani, e che il suo sguardo, profondo come le acque che dormono all'ombra delle grotte montane, vedeva più lontano di molti dei figli di Durin.

E così, mentre dalla sua scorta si levavano voci di soffocato stupore, il re sorrise e piegò con dolcezza il busto in avanti, chinandosi verso il Khazad, la bianca mano coperta di anelli preziosi che si allungava verso i fiori offerti, e tutto il bosco era lieto come il suo cuore.

E nel cogliere i verdi steli dalla mano del nano, le lunghe e pallide dita del re sfiorarono quelle brune e forti del giovane Thorin, e l'elfo se ne sentì turbato al pari del principe.

 

"Che questo dono sia di buon auspicio per l'amicizia tra i nostri popoli" disse il sovrano dei boschi, ergendosi nuovamente dritto sull'alce d'oro ammantata." E che la tua parola possa fissarsi nel tempo quanto a lungo tu credi. Eppure io so che non è fermo lo spirito dei mortali, e che in questi giorni oscuri assai più facilmente viene guastato. Ti dico: lo stesso fuoco che oggi ti ha spinto, muoverà un giorno la tua spada contro la mia. Il cuore degli Eldar è invece immutabile, ed il ricordo di questo giorno per me brillerà incorrotto sino a che non raggiunga le grigie aule di Mandos o la bianca terra dei Valar."

Così disse voltando il capo, gravemente abbassando le ciglia e celando il suo sguardo alla vista, ché il suo animo era colmo d'angoscia per l'avvenire del mondo. E se ne andò con la nobile scorta, spronando il fiero destriero, ma ancora stringendo il dono nel pallido pugno.

A lungo il giovane Thorin restò a contemplare l'ombra lontana tra i grandi tronchi degli alberi, dopo che l'amata figura fu sparita al suo sguardo, il cuore colmo di gioia eppure oppresso da tristi presagi.

 

                                                                                  ***

 

Si narra che a quell'incontro ne seguirono altri, e che infine per lunghi anni sotto le stelle di Arda il fiero principe e il nobile Sindar si amarono, nelle sale nascoste del Reame Boscoso, dacché le illusioni del re facilmente li riparavano dagli occhi dei popoli. Ma questo avveniva quando ancora la montagna era alta ed il mondo era bello1, prima che giungesse il fuoco del drago e che l'ira conducesse il principe Thorin per molte battaglie, sino a una sorte funesta.

E altri raccontano che una bianca alce lo abbia raggiunto in segreto, le corna coperte di fiori stellati, quando egli ebbe il petto trafitto dall'orrida lama dell'orco, e lo spirito stava per raggiungere le sale di Mandos destinate ai figli di Aulë. Allora colui che mai più fu re nell'alta montagna ricordò i suoi giuramenti, e la maledizione dell'aureo serpente fu vinta.

E ancora si narra che vuota è la tomba che custodisce la sacra pietra di Erebor, gloria dei Khazad, ché l'alce bianca condusse con sé il fiero guerriero, all'oscuro dagli occhi del mondo e dalla stirpe di Durin. Egli a lungo visse invece in segreto al fianco del Sindar, nel regno nascosto del bosco, ché la magia che agli Eldar ancora restava ebbe ragione delle ferite crudeli.

 

Ed altri dicono che forse i Valar gli concessero di partire con i Quendi per le terre immortali, quando fu il giorno in cui gli ultimi di essi salparono, e che il figlio di Gloin non fu dunque l'unico della stirpe dei Khazad a vedere la Luce di Valinor.

 

 

 

1. Richiami alla "Song of Durin" di Tolkien: "The world was young, the mountains green"; "The world was fair, the mountains tall", etc.

2. Una frase simile la dice Gimli riferendosi a Galadriel, alla fine de "La compagnia dell'anello": "«Ho mirato per ultimo ciò che di più bello vi era», egli disse al suo compagno Legolas. «D’ora in poi nulla sarà bello per me, solo il dono che ella mi ha fatto»."

 

 

 

 

 

 

 

  
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