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Autore: Tenue    14/02/2015    1 recensioni
[VanVen]
Attenzione: Questa storia a capitoli è ambientata in seguito alla mia precedende fic "la mano fredda del sole", per cui consiglierei di leggere prima quella.
E passato un anno da quando Vanitas e Ventus hanno scoperto l'amore l'uno nell'altro. Ventus sembra finalmente felice, ma il suo passato si rifà vivo svelando segreti e una una parte di sè che credeva scomparsa per sempre.
Il biondo si ritrova presto a combattere nella sua mente contro il suo alter ego, Roxas, l'incarnazione di un desiderio di vendetta nato in lui anni addietro. Starà a Vanitas, il compito si proteggere Ventus dalla sua stessa mente complicata che complotta contro di lui, evitando che il Ventus di cui si è innamorato scompaia per sempre.
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roxas, Vanitas, Ventus
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Salve a tutti ^^ 
E' da esattamente un anno che sono iscritta su efp e volevo pubblicare qualcosa di speciale. E' da novembre cha lavoro su questa fic e spero di aggiornarla con regolarità (spero...)
Spero che vi piaccia e che non sia banale o scritta male, comunque in ogni caso commentate se vi va e accetterò ogni critica come un pretesto per migliorare.
La deddico all'autrice che mi ha emozionata di più durante quest'anno, Miryel, che straadoro *^*
Grazie mille Miry, spero che questa storia possa piacerti <3


THAT PART OF ME COULD DIE
Cap I


Il ragazzo biondo si alzò in punta di piedi, volgendo lo sguardo al cielo stellato inspirando profondamente e lasciando che sottili fiocchi di neve si appoggiassero delicatamente sul suo viso. Il grande orologio posto sopra l'entrata del cinema segnava quasi le undici di sera e il centro città addentrato nella notte era piacevolmente illuminato dalle luci giallastre dei lampioni. Piccoli cumuli di neve sporca e fangosa si accatastavano sul ciglio della strada e sui marcapiedi e venivano ripetutamente calpestate delle persone che nonostante l'ora tarda, ancora passeggiavano per il centro. Dagli alberi che costeggiavano le strade pendevano sottilissime stalattiti di ghiaccio che riflettevano i colori della vecchia città vittoriana; i rami scuri si intrecciavano tra loro e s'innalzavano verso il cielo, parendo profonde fratture delle nuvole e della luna. Erano rare le volte in cui nevicava a Broadstairs, tanto che pareva un fatto eccezionale agli occhi chiari e luminosi di Ventus. La sua mano s'intrecciò a quella di Vanitas, che era distratto a cercare le chiavi della moto. Ricordava quando, circa un anno prima, aveva conosciuto Vanitas; nevicava anche quel giorno. Gli era rimasto impresso ogni ricordo di quella giornata, ogni emozione che aveva provato. Il suo sorriso si allargò ripensandoci. Vanitas si girò a guardarlo, giocherellando con le chiavi tra le dita della mano destra. 
-Andiamo, Ven?-
Lui si girò, interrompendo i propri pensiri e fissandolo negli occhi per qualche secondo. Ventus aveva degli occhi bellissimi, sfocati dall'oscurità della notte, come una pozza d'inchiostro avesse invaso l' acquerello azzurro chiaro delle sue iridi.
-Si, andiamo.-  sorrise. 
 
  
Era una bella sensazione. Cingere i fianchi di Vanitas con le braccia e tenere poggiata la testa sulla sua schiena, mentre sfrecciavano tra le viuzze strette e buie di Broadstairs, sulla moto nera del moro.
Il vento scatenato dalla velocità della guida spericolata di Vanitas faceva tremare i loro vestiti e i capelli che spuntavano da sotto il casco. 
Percorsero la via principale verso il borgo, circondato dalle vecchie case vittoriane, poi svoltarono sulla strada che dava sulla spiaggia.
Vanitas frenò e spense il motore della moto davanti a casa sua; scesero e si tolsero il casco. Aprì il cancelletto arruginito che dava sul retro della casa e vi portò dentro la moto, mentre Ventus lo seguiva silenzioso.
Sistemata la moto, Vanitas fece entrare il suo fidanzato in casa, il quale ci era stato parecchie volte, tanto che passava quasi più tempo lì che a casa propria.
-Oggi i tuoi non sono a casa?- chiese.
-No, sono via.- disse Van prendendo il cappotto che l'altro si stata sfilando e appendendolo all'attaccapanni. 
I due salirono di sopra, ed entrarono nella stanza del moro. Lui guardò Ventus per alcuni secondi negli occhi, poi arrossì e distolse lo sguardo, imbarazzato.
Il biondo si chiese che avesse. 
-Senti Ven...- cominciò, girandosi e dandogli le spalle.
-Si?- 
-Ormai è da più di un anno che stiamo insieme...ecco...ti va se...- esitò ad andare avanti. Ventus era un ragazzino un po' strano e parecchio complicato, e non aveva idea di come chiedergli una cosa del genere. Strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Spalancò gli occhi quando sentì due braccia cingergli dolcemente la vita. 
-Mi piacerebbe un sacco.- disse a voce bassa per l'emozione.

-Vanitas...- sussurrò flebile, steso sotto al moro. 
-Dimmi.- Vanitas faticava a parlare e a stento tratteneva gli ansimi.
-Sono così felice...- disse chiudendo gli occhi e sorridendo.
-Davvero?- 
-Si, così felice che potrei morire...-
-Allora resta felice per sempre.-
-Non credo sia possibile.- 
 
 
Stava correndo in preda al panico. Qualcosa dietro di lui lo inseguiva.
Cosa fosse, non lo sapeva.
Cosa volesse, tanto meno.
Cosa gli avrebbe fatto una volta raggiunto? Aveva paura al solo pensiero.
Correva, ma andava piano, come se il tempo avesse deciso di comprimersi, rallentando ogni movimento...si sentiva schiacchiato, oppresso, voleva solo andarsene...
Voleva gridare, ma non aveva voce per farlo, si affannava e l'ansia saliva.
Era coscente e consapevole di ciò che stava accadendo: aveva paura, scappava;
eppure non era coscente, stava sognando e non lo poteva sapere, non poteva riflettere lucidamente o decidere di svegliarsi. Non poteva.
Improvvisamente si sentì cadere. Il vuoto. Il niente. Aveva il terrore di schiantarsi.
Improvvisamente aveva preso a bruciare, mentre cadeva; sentiva il calore della velocità squartargli la pelle, sentiva il dolore pulsargli nelle vene e nella sua vista s'impose un accecante colore rosso.
Soffocava. Era tutto rosso.
Era stato catturato. La figura che prima lo inseguiva l'aveva afferrato per la gola e l'aveva fatto schiantare contro un pavimento invisibile. 
Il sangue era caldo al tatto, e ardente come il fuoco, era una sensazione fastidiosa, prepotente. S' infilava dentro di lui e torturava il suo piccolo cuore.
E intanto la figura buia rideva.
Ventus non poteva parlare, ma nella sua mente si formulò un unico e solo pensiero razionale, nel mezzo della paura: Chi sei?
" Io sono Roxas"
Gli sussurò nell'orecchio. Si allontanò dal suo viso piano, e allora Ventus vide il suo volto.
Erano identici.
"Io sono il tuo alter-ego."
cosa?
"Vedrai" sussurrò dolcemente "ci divertiremo. Non avere paura, io...sono qui per esaudire il tuo desiderio di vendetta..."
Di che parli?
"Come se non lo sapessi..."

Ventus si svegliò di soprassalto completamente fradicio di sudore e ansimando. Mise una mano sul petto, sentendo il cuore battergli fortissimo. Guardò la sveglia poggiata sul comodino: segnava le quattro e mezza del mattino. La stanza era completamente immersa nel buio e udiva soltanto il suo respiro affannoso che si mescolava a quello calmo di Vanitas, addormentato accanto a lui. Sentirlo così vicino gli fece passare un po' la sensazione d'inquietudine che gli gingeva lo stomaco.
"Dio, ma ti spaventi per un semplice sogno?"
Ventus sobbalzò a quella voce, che era certo di aver già sentito.
-Roxas...- Sussurrò al nulla.
E Ventus in quel momento avrebbe giurato di aver visto un sorrisino arrogante nel buio.


Vanitas aprì gli occhi sentendo la testa pesantissima, mugugnò ancora assonnato e si stiracchiò portando le braccia nude dietro la testa. Diede un occhiata alla sveglia e notò che si era svegliato prima del solito; infatti era quasi l'alba. Gli tornarono immediatamente in mente tutti i ricordi della notte appena trascorsa e sorrise soddisfatto quando ripensò alle guance arrossate di Ventus che ansimava sotto di lui. Aveva una voglia matta di pizzicargli quegli zigomi da bambino che si trovava e di sentirsi dire che gli dava fastidio, anche se probabilmente quelle parole sarebbero state accompagnate da un calcio nelle parti basse. Si girò sotto le coperte in cerca del suo ragazzo, ma rimase sospeso in una sensazione di vuoto quando il suo braccio affondò nella  sola aria, dove in teoria ci sarebbe dovuto essere Ventus. 
Controvoglia, si alzò dal letto; avrebbe voluto coccolarlo sotto il piumone per tutta la mattina, ma a quanto pareva quell' idiota era sparito. Provò più volte a chiamarlo, ma quando non ricevette risposta per l'ennesima volta iniziò a preoccuparsi. Prese a girovagare per la casa, perlustrando ogni singola stanza che a quell'ora erano inquetantemente silenziose e buie; ma quando si accorse che la porta della terrazza era socchiusa, tutta la preoccupazione sparì, perchè sapeva esattamente dov'era finito Ventus.
"Non ci credo..." pensò sospirando.
Prese la felpa e uscì trovandosi sull' ampia terrazza del primo piano. C'era un'atmosfera tranquilla, Vanitas appoggiò le dita sulla ringhiera nera, un po' arruginita, e si girò a guardare la spiaggia che si estendeva oltre la via di casa sua, l'unica parte della città che non fosse coperta dalla neve. Era deserta e alcune piante secche s'innalzavano tra le rocce; il vento sollevava i granelli di sabbia che prendevano a girovagare in cerchio formando una sottilissima nebbia a raso terra, mentre le onde immerse nel buio s'infrangevano piano sulla riva, lasciando una schiuma bianca e un po' sporca. Il mare nero era vagamente illuminato all'orizzonte dall'alba imminente. 
La figura scura di Ventus era esattamente dove Vanitas si aspettava di trovarla; seduto con la schiena al muro, la testa appoggiata tra le gambe incrociate al petto e lo sguardo rivolto verso il mare. Il moro non capiva se stesse effettivamente osservando il mare o fosse, come al solito, perso in uno dei suoi pensieri complessi e incomprensibili.
-Almeno hai avuto il buon senso di metterti i pantaloni per uscire.-
Il biondo alzò lo sguardo, sorpreso di trovarlo lì. Vanitas sorrise, come si aspettava, il suo ragazzo era a torso nudo e aveva la pelle d'oca sulle braccia e sulla schiena. Non aveva mai capito come Ventus potesse considerare il fatto di avere freddo una cosa piacevole.
Il moro si staccò dalla ringhiera e si avvicinò a lui, la sabbia che era stata portata dal vento durante la tempesta della notte sul pavimento della terrazza, si era prepotentemente infilato tra le dita dei suoi piedi scalzi.  S'inghinocchiò di fronte a Ventus e cominciò ad accarezzarlo stringendolo a sè.
Ventus sorrise compiaciuto, pensando che con quel gesto aveva ancora più freddo, a causa delle mani ghiacciate del suo ragazzo. Si era chiesto tante volte se il sangue gli circolasse effettivamente nelle mani, ma era giunto alla conclusione che probabilmente i capillari non arrivassero fino a lì. 
Vanitas gli fece stendere le gambe in modo da poter appoggiare l'orecchio al suo petto, ascoltando il suo ritmico battere del cuore.
-Posso sapere cosa diamine ci fai qua fuori?- 
-Ho avuto un incubo.-
-E questo ti pare un buon motivo per uscire in terrazza mezzo nudo a metà febbraio? Nel cuore della notte, per giunta!- Vanitas sospirò esasperato.
Ventus si strinse nelle spalle - Quando sono depresso mi piace immergermi nel freddo, perchè se gli resisto mi sento forte.- Vanitas si addolcì a quella frase e il biondo gli prese la mano -E a volte mi fa sentire libero...-
Vanitas sbuffò sorridendo e prese a scompigliargli i capelli chiari. -Va bene, direi che adesso hai preso abbastanza freddo, ora rientriamo, forza.-
-Dobbiamo proprio? Si sta' così bene qua fuori- Disse guardandolo dolcemente. L'altro non disse niente: si limitò a fargli passare un braccio dietro alla schiena e uno appena sotto al sedere per prenderlo in braccio. Ventus, sorpreso da quel gesto, iniziò a dimenarsi totalmente in imbarazzo. -Van, mettimi giù subito!- gli ordinò imbronciato e con le guance arrossate. 
Vanitas ridacchiò e gli baciò il collo, mentre lo riportava in casa. -Te lo scordi. Adesso ti incateno in casa e non esci più fino a quest'estate, quando farà un po' più caldo.-
-Ma non voglio! In casa fa caldo e soffoco!-
-Ven...sei peggio di un bambino quando ti ci metti!-
-E tu sei un bastardo.- Mormorò Ventus, offeso.
Vanitas ridacchiò -Hai forse bisogno che ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che hai preso freddo?- disse, riferendosi alla prima che l'aveva portato a Londra, quando Ventus, preso dall'euforia del momento aveva iniziato a correre per le strade di notte con solo una maglia senza maniche addosso. Effettivamente i giorni a seguire si era chiuso in casa per la febbre alta. Non che a Vanitas fosse dispiaciuto, dato che ne aveva approfittato per coccolarselo; solo che per Ventus stare chiusi in casa sotto le coperte era un'agonia. 
-E va bene...- mormorò nascondendo il viso tra le pieghe della felpa di Vanitas.
Vanitas sorrise vittorioso, rientrando in casa e buttandosi sul divano con Ventus ancora in braccio. Si addormentarono nel giro di pochi minuti, abbracciati l'uno all'altro.

Vanitas era uscito per fare la spesa, lasciando Ventus in cucina, ancora intento a fare colazione. Fare colazione alle dieci di mattina era inusuale per il biondino, ma a causa di incubi e uscite notturne, alla fine si era svegliato molto tardi. Sentì Vanitas salutarlo dall'ingresso e poi uscire di casa. Accese il televisore, girando canali a caso, senza essere davvero interessato ai programmi: voleva solamente un po' di rumore di sottofondo per non sentirsi solo. Annoiato, si infilò le cuffie, dimenticando il televisore acceso. La musica si impadronì prepotentemente delle sue orecchie e poi del suo cervello, sconvolgendo i suoi pensieri.
Si alzò, lasciando la tazza di latte ancora a metà, e si avvicinò alla finestra della cucina. 
Improvvisamente la sua mano tremò, e digrignò involontariamente i denti.
Inspirò forte e... perse il controllo. Un'inspiegabile rabbia lo accecò. E colpì la finestra con tutta la forza che aveva, frantumandola. 
"Si!" Esultò Roxas. "Posso finalmente uscire!"
-Cosa?- Ventus si accasciò a terra, tenendosi la testa tra le mani, una delle quali sanguinava. -Cosa...-
Poi alzò lo sguardo. Aveva un espressione da maniaco: gli occhi spalancati e la bocca semichiusa. Poi si fece spazio un ghigno arrogante e i suoi occhi cambiarono leggermente. 
-Sono...libero!!!- Urlò con una voce totalmente diversa da prima.
"Roxas?"






  
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