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Autore: Fantfree    15/02/2015    1 recensioni
"A volte dicono che siamo nati per uno scopo. A volte dicono che siamo in questo mondo per realizzare i nostri sogni, quello che siamo. Quello che vogliamo essere."
Quanto siamo disposti ad essere quello che sogniamo davvero? E se la realtà fosse diversa da quella che immaginiamo? Siamo davvero disposti a tutto per realizzare i nostri sogni?
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[Partecipa al contest "Cento giorni di introspezione, fantasia e romanticismo" indotto da WhatHasHappened]
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Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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A volte dicono che siamo nati per uno scopo. A volte dicono che siamo in questo mondo per realizzare i nostri sogni, quello che siamo. Quello che vogliamo essere.

Osservai ciò che avevo davanti. Un enorme ed abbagliante schermo luminoso che pulsava insieme al battito del mio cuore. Era lì. Sembrava come se dovesse dirmi che ce l'avevo fatta, che finalmente il mio sogno si sarebbe realizzato. Il sogno di tutta la mia vita. Adesso come non mai ero in bilico tra quella che sarebbe potuta essere una gratificante vittoria o un'umiliante disfatta. Tutte le speranze che fino a quel momento avevo avuto, tutto l'impegno che ci avevo messo erano lì che attendevano un esito che però non sembrava arrivare mai. Quei trenta secondi avrebbero segnato per sempre quello che ero e ciò che sarei diventato. I trenta secondi più lunghi della mia vita.

Nella mia mente la più totale confusione. In fondo era sempre quello che avevo sempre voluto, quello per cui ero nato. Eppure adesso ero lì, preso dall'irrefrenabile desiderio di veder vincere colei che avevo accanto al posto mio. Volevo vederla realizzata. Perché forse era lei che si meritava tutto questo, non io.

In quei pochi, interminabili istanti mi tornarono in mente molti ricordi della mia vita passata: mi ricordai di quanto impegno ci avevo messo per arrivare a quel punto, quante serate passate a ripetere e ripetere fino allo sfinimento! Quante serate a dirmi che sarei dovuto passare ad ogni costo! O altrimenti... non ce l'avrei mai potuta fare. Ero nato per quello, sentivo che la mia vita senza non avrebbe mai avuto un senso. Era il mio sogno, la mia ragione per vivere. Poi, in un attimo, veloce come un lampo e silenzioso come un soffio di vento, arrivò il giorno fatidico. Quella volta, davanti ad una giuria di professionisti, diedi il massimo. Lo feci e sperai con tutto me stesso. Nessun'altra emozione che non fosse stata quella di voler entrare a tutti i costi. La mia dedizione fu premiata una settimana dopo su un foglio, un semplice oggetto di carta sul quale c'era scritto il mio destino. Le mie mani tremavano, all'impazzata. Lì dentro c'era la mappa per un tesoro segreto ancora da svelare. Quando i miei occhi incrociarono quelle scritte e cominciarono a leggere lentamente, successe una cosa strana. Non potevo crederci. Nessuno di noi poteva crederci. Eppure quella scritta era lì e quelle parole avevano un senso ben preciso: ero passato! Mi ricorderò per sempre la gioia che io e la mia famiglia provammo in quei giorni. Una gioia incontrastabile. Avevo dato tutto me stesso, avevo fatto degli enormi sacrifici. Ed adesso la mia nuova vita cominciava da lì, dal primo indizio. Il percorso per trovare il tesoro sarebbe stato pieno di trappole e pericoli. Avrei dovuto procedere con grandissima attenzione. Quindi, pensai, se ero entrato, più nessuno mi avrebbe fermato. Lo avrei fatto a qualsiasi costo. Il giorno dopo lo aveva già saputo tutto il paese. Fu una giornata memorabile: andando a fare la spesa, incontravo perfetti sconosciuti e vecchie conoscenze che mi auguravano di vincere. Dentro di me già sapevo che lo avrei fatto. Conoscevo così tanta gente che avrei potuto ottenere la vittoria anche ad occhi chiusi. Quando tornai a casa i miei genitori mi avevano organizzato una delle più belle feste a sorpresa di tutta la mia vita: c'erano tantissime persone che cantavano in coro le canzoni che io avevo composto e... Mi sentii diverso. Mi sentii più sicuro di me. Mi sentii più grande. La gente che passava dalla strada si fermava a vedere che cosa stesse succedendo dentro alla mia casa e si metteva lì sull'uscio ad ascoltare come incantata dalle poesie che avevo messo in musica. Forse vincere sarebbe davvero stato facile come bere un bicchiere d'acqua.

Quando finalmente entrai in quelle sale, in quegli studi, mi sentii subito a casa. Sapevo già che quello sarebbe stato il primo passo verso la mia vittoria. Mi sentivo bene come non mai: percepivo una forza interiore così potente da poter spaccare tutto e tutti.

Ognuno mi ammirava, dopotutto sapevo di essere un bel ragazzo con un immenso talento: nessuno lì dentro mi avrebbe mai potuto eliminare. Avevo tanti amici e tanti ammiratori: mi sentivo un leader, una figura che ispirava fiducia e coraggio al prossimo. Coraggio per chi crede nei propri sogni.

Un giorno però, uno di quei giorni dove tutto sembrava filare liscio, arrivò lei. Siccome mi sentivo quasi onnipotente, non mi avvicinai. Erano gli altri a dover venire da me, non il contrario! I giorni passavano e lei non si osava nemmeno di degnarmi di uno sguardo. La mia reazione fu tale che me la presi quasi a morte. Molti di noi non la degnarono, almeno non subito, perché la ritenevano davvero molto strana e troppo poco amichevole. Coloro che però lo fecero, sembravano come essere stati stregati dalla sua presenza. Come? Io non contavo più nulla?! Mi sentii oltraggiato: perché aveva osato rubarmi gli amici? Perché non aveva voluto conoscermi? Che cosa le avevo mai fatto per essere odiato da lei e dagli altri?

Cercai di riavvicinare alcuni di loro, ma quel che mi dissero fu alquanto sconcertante: mi dissero di ricredermi, perché ero un maleducato pezzente e pure stronzo. In pratica secondo loro ero una persona troppo orgogliosa per capire certe “inutili sottigliezze”. Mi incazzai a morte con loro, soprattutto con lei. Come era possibile che li avesse convinti a dire una cosa del genere? Li aveva messi contro di me, quando io ero stato generoso con tutti e soprattutto quando io non avevo mai fatto alcun torto a nessuno! Da quella volta li esclusi dalla mia compagnia. Lei invece sarebbe dovuta andarsene. Fuori. Giurai che avrei fatto di tutto per mandarla via da lì.

Quando venni ricevuto dai professori, cercai educatamente di chiedere di tenerla d'occhio, perché il suo comportamento stava infastidendo alcuni di noi. Ed anche loro educatamente mi fornirono una risposta sconcertante quanto l'altra: mi dissero che lei si era impegnata tanto per arrivare fino a lì e che noi avremmo dovuto rispettare il diverso. Mi sentii come ripudiato: non solo alcuni dei miei compagni mi avevano mandato a quel paese, ma adesso anche i professori lo avevano fatto!

Sentendomi parte di una vera e propria sfida, optai dunque per la scelta più ovvia: noi da una parte, loro dall'altra. Se davvero era la guerra che volevano, noi gliela avremmo fatta.

Sebbene loro non ci guardassero, soprattutto lei, noi di tanto in tanto li osservavamo commentando delle cose spregevoli. Mi sentivo umiliato da loro, mi sentivo diverso. Per la prima volta dopo mesi non mi sentivo più il ragazzo vincente di prima. Il fatto è che quando si è sempre premiati dalla vita, difficilmente ci si accorge del mondo che ci circonda, del mondo vero e crudele che affligge quotidianamente centinaia di persone.

Perché è stato un giorno di qualche mese dopo che capii la più dura delle verità. Quello fu il giorno più brutto della mia vita. Fu questione di un attimo e tutti i miei pregiudizi insieme alle convinzioni mi crollarono addosso così violentemente che mi sentii atterrato sotto un pesantissimo ed opprimente cumulo di macerie. Era il giorno delle eliminatorie dirette, il primo.

Ognuno di noi venne estratto a sorte. Io dovetti sfidare una mia amica, ma non mi feci molti problemi. Lei aveva talento, questo era vero, ma io avevo fatto di tutto per arrivare lì, quindi non mi sarei fatto sottrarre quell'opportunità da nessuno. Sapevo che avrei vinto. E lo feci. Poi, però, i miei occhi si posarono increduli sulla tabella: due turni dopo di me, eccola: c'era lei. Chi avrebbe dovuto sfidare? Il mio migliore amico, colui con cui avevo approcciato di più lì dentro. Certo, mi dispiacque davvero moltissimo perché avevo sentito dire innumerevoli volte che lei era davvero brava. Sinceramente non mi ero mai preoccupato di verificarlo e adesso il mio amico stava rischiando il tutto per tutto. Non avrei mai potuto permettermi di perderlo.

All'inizio della prima pubblicità lo presi da parte e gli raccomandai di stracciarla... Insomma, di non avere alcuna pietà! Lui mi assicurò che ce l'avrebbe fatta e che non mi avrebbe deluso. Sorrisi. Mi fidavo di lui. I suoi occhi così sicuri mi dicevano che ormai aveva la vittoria in pugno. Ma mi sbagliavo.

Dopo che il mio migliore amico ebbe cantato, eccola lì. Entrò in sala senza guardare nulla e nessuno, come se non ci fosse stato niente intorno a lei. La sua attenzione si focalizzò su un punto fisso quasi da farla sembrare una statua.

Eppure quando si mise a cantare... In realtà fu una marea che travolgeva tutto, ogni cosa. Il pubblico era in delirio. Perché lei in quella musica che armonizzava con la sua inconfondibile voce metteva tutta sé stessa. Era bravissima. Fu lì che capii che il mio amico non avrebbe avuto alcuna possibilità di vincere. Lui fu buttato fuori, quasi fischiato dal pubblico. Mi sentii crollare, sentii che qualcosa non stava andando come avrebbe dovuto. E quel qualcosa era lei!

Ricordo che a quel punto mi arrabbiai davvero moltissimo. In quel momento mi sentii una vera furia. Perché mi stava isolando dagli altri? Perché adesso stava separando me ed il mio migliore amico? Che cosa le avevo fatto io per meritarmi tutto questo? Nulla!

Infatti per me la notizia dell'eliminazione del mio migliore amico era stata un'incredibile ed ingiusta perdita. E tutto per colpa di quella ragazza strana! Strana forte. Il mio pensiero si focalizzò quindi su ciò che lei mi aveva fatto disonestamente: perché, perché mi aveva tolto tutto? Perché proprio io? Che cosa le avevo fatto? Una cosa era certa: capii che era giunto il momento di andare a protestare. Dovevo assolutamente parlarle e chiarire con lei quali erano le mie vere intenzioni: vincere. Quello sarebbe stato il mio pensiero fisso. L'avrei sconfitta una volta per tutte. Se solo avesse avuto anche la più piccola speranza di poter arrivare in finale, mai e poi mai le avrei permesso di vincere! In quel momento sentii l'adrenalina a mille e la rabbia propagarsi in tutto il mio corpo insieme ad un'incredibile voglia di vendicarmi. L'avrei voluta veder soccombere davanti a me, perchè io sarei stato quello che l'avrebbe sconfitta!

La cercai dovunque, seppur da solo, non avevo alcuna voglia di parlare con quelli che una volta erano stati i miei amici e che adesso erano diventati i suoi “seguaci”. Ma in qualsiasi posto io andassi, lei non c'era. Chissà se era lei che non voleva essere trovata o se ero io troppo arrabbiato per fermarmi a riflettere. Ed alla fine, davvero arrabbiatissimo, me la presi crudelmente con loro, quelli che avevano tradito la mia fiducia come non mai prima d'ora. Ma ho commesso un terribile sbaglio. Forse non avrei dovuto farlo, forse sarebbe stato meglio... o forse peggio, non lo so. So solo che da quel momento la mia vita non fu più la stessa.

Fu lì che il mondo per la prima volta mi crollò addosso per davvero schiacciandomi come un misero insetto. Mi risposero che ero un bastardo ad esprimermi così, che ero un pezzente, che non riuscivo proprio a vedere più in là del mio naso e che avevo solo bisogno di lecchini che mi ronzassero intorno. Quelle parole mi portarono davvero al culmine dell'esasperazione. In quel momento avrei voluto schiacciare tutto. Ma alla fine venni schiacciato io. Con il cuore straziato, la sua migliore amica mi colpì nel profondo con delle semplici parole che scossero il mio animo come non era mai successo prima. Lei era cieca. Io invece solo uno stronzo, fottuto e narcisista che non avrebbe mai potuto vedere più in là del suo naso.

In quel momento mi sentii travolgere da uno tsunami, mi sentii affogato in mezzo ad una forza più grande della mia rabbia che era molto simile ad una pugnalata al cuore. In quel momento sentii i brividi percorrere tutto il mio corpo, mentre una crudele forza invisibile mi stava tirando verso il fondo di un abisso nero e desolato. Sentii una scossa ed un brivido che sembrò aprirmi in due il cuore. Mi sentivo un bastardo, un coglione, un fottuto. In tutta la mia vita non mi ero mai sentito così male. Nessuna malattia è così potente. Nessuna sconfitta è forte come quella di aver appena perso una parte di sé velata dietro ad un inutile pregiudizio. Intanto nella mia sbalordita mente, in mezzo alla confusione più totale continuava a ripetersi sempre la stessa frase: lei era cieca. Ma come avevo fatto a non accorgermene? Perché ero stato così stronzo da prenderla in giro e denigrarla (seppur indirettamente) coi peggiori insulti? Ero io quello che se li sarebbe meritati tutti, nessuno escluso!

I giorni che seguirono mi isolai dagli altri: non mi sentivo più io, tutto quello a cui avevo creduto adesso non era altro che cenere che mi sommergeva dalla testa ai piedi. Neanche i professori mi vedevano più quello di prima. Siccome il pubblico mi adorava, nessuno mi eliminò. Tuttavia un giorno decisero di farmi parlare con lei. Perché non ero più lo stesso, dicevano. Ed avevano ragione.

Me lo ricordo come se fosse stato ieri, la prima volta che le parlai! In realtà mi sentivo male al solo pensiero di vederla. Adesso almeno sapevo benissimo che lei non avrebbe potuto osservarmi. Non avrebbe potuto vedere come ero fatto davvero. Esteriormente, intendo. Perché dentro io mi sentivo una carogna, umiliato dalle mie stesse parole e dai sensi di colpa che adesso mi si stavano ritorcendo contro. Avevo perso le mie ambizioni, eppure in fondo in fondo era rimasta ancora una piccola speranza di poter vincere. Una speranza che sembrò spegnersi non appena la rividi.

Non parlai. Ero immobilizzato davanti a lei senza sapere cosa dire. Chissà se aveva saputo che cosa avevo pensato di lei, chissà che cosa avrebbe pensato di me. Scossi la testa. Qualunque cosa mi avesse detto avrebbe avuto ragione. Fu lei a parlare. La sua voce era calma e rassicurante, facendomi subito capire che non aveva niente contro di me. Chissà, pensai, forse non lo aveva saputo o forse ci aveva messo una pietra sopra. Comunque sia, quella volta ebbi l'opportunità di conoscere una persona completamente diversa da tutte le altre. Una persona fragile ma allo stesso tempo forte, una persona che sa rialzarsi. Mi raccontò la sua triste e commovente storia. Mi raccontò come fosse iniziata la sua vita, di come avesse vissuto i suoi primi, travagliatissimi anni. Era una ragazza alquanto timida ed introversa, ma che odiava la sua impotente fragilità cercando di esternarla in ogni modo. Odiava quando sbagliava, odiava tantissimo quando le sue emozioni prendevano il sopravvento. Perchè, mi aveva detto, la cosa peggiore era mostrarsi per quello che era davvero. Dietro ad una maschera estroversa ed estremamente spavalda, si nascondeva una persona che odiava sé stessa ed il suo carattere. Mi disse inoltre che aveva sofferto molto, anzi, moltissimo. Era anche per questo che teneva addosso quella lurida maschera fatta di sbagliate convinzioni e di false illusioni create per proteggersi da un mondo che non voleva vedere ciò che lei fosse realmente. Perché sotto quella maschera, mi disse, si nascondeva una ragazza piena di sogni e speranze crudelmente oppresse da volontà ingannevoli e sbagliati pregiudizi che però le avrebbero potuto permettere un futuro migliore. Il peggio, mi disse, veniva fuori quando lei si ritrovava a dover venire a contatto con le sue vere emozioni, tirate fuori dopo serate esasperanti o momenti particolarmente difficili. Lei si ripeteva continuamente fino allo sfinimento che non era una persona fragile. Lo aveva sentito dire così tante volte da convincersi davvero di non essere più la persona che stava nascondendo. Doveva farla sparire, per sempre, perché il suo destino sarebbe stato un altro, un destino di carriera ed ambizione. E ci era perfino riuscita... O quasi. Poi un giorno, uno di quei giorni dove tutto sta andando per il meglio, iniziò a non vederci. Siccome non era abituata a lamentarsi, tenne nascosto a tutti quel “qualunque cosa fosse” aspettando che le passasse prima o poi. Ma non passava, anzi, peggiorava. E quando finalmente si decise a dirlo, non le credettero. Almeno non subito. Quando finalmente la portarono da un medico competente era troppo tardi. Da lì a qualche mese non avrebbe più visto nulla.

Mi ricordo di come stessi traboccando di lacrime in quel momento. Perché in quel racconto qualcosa mi stava colpendo dal profondo, anche se non riuscivo a capire che cosa.

Sapevo benissimo che lei non avrebbe potuto vedermi, ma qualcosa mi diceva che lo stava percependo. Eppure lei sembrava così rilassata, così serena! Come cavolo faceva a mantenere la calma parlando del suo passato?

Il suo racconto proseguì dicendomi che la triste notizia era stata un duro colpo per lei e per tutte le persone che conosceva. Quella notte aveva pianto amaramente. Non avrebbe mai voluto una vita del genere, lei che si era sempre impegnata a fare qualunque cosa per tutti! Perché a lei? Perché avrebbe dovuto perdere la vista? Capì che tutti i suoi progetti erano crollati, ed anche quelli delle persone che da lei avevano sempre preteso. Fu quello il periodo in cui le sue convinzioni vennero messe a dura prova, fu quello il difficile periodo in cui dovette confrontarsi con le sue emozioni... Il più brutto di tutta la sua vita. Mi raccontò di come avesse cercato in ogni angolo del mondo una cura per la sua malattia, ma più chiedeva e più si convinceva che purtroppo non c'era più niente da fare. Quella malattia al momento non poteva essere curata ed i danni provocati avrebbero potuto essere irreversibili. La notizia, purtroppo, la fece deperire. Non aveva mai sofferto così tanto! Mi disse che quello fu il periodo più nero della sua vita. Fu proprio in quei noiosi giorni interminabili e vuoti che le tornarono in mente moltissimi ricordi. Con quei ricordi riaffiorarono anche i suoi più terribili incubi: le sue emozioni represse.

Mentre lei parlava, mi sentivo uno stupido, un vero deficiente. Senza neanche sapere perché. So solo che mentre lei parlava, in quegli interminabili attimi, mi stavano venendo fuori una miriade di ricordi repressi. Non sapevo cosa fare. Compresi che anche io mi sentivo esattamente come si era sentita lei e fu davvero lacerante. Forse perché io non avevo mai ricevuto dal fato una punizione del genere, anzi, ero sempre stato elogiato da tutto e da tutti e la vita mi aveva sempre sorriso. Almeno fino a quel momento. Fu lì che capii quanto ne avessi approfittato dagli altri, quanto non avessi mai dato davvero il massimo in ciò che avevo fatto, quanto la mia sicurezza mi avesse portato ad illudermi. Fu lì che rimisi in discussione tutti i miei pregiudizi mentre nella mia testa venivano fuori i peggiori insulti: stupido, stronzo, demente... Eppure in mezzo alla confusione dei miei pensieri la speranza di rialzarmi c'era ancora, era lì e diceva di non arrendermi, non arrivato a quel punto. Tuttavia questa volta era diverso... Era come se ci fosse qualcosa nella mia testa che mi confondesse ancora di più... Da un lato la voglia di vincere, dall'altro qualcosa di diverso, anche se ero troppo turbato per capire che cos'era.

Continuai a seguire la sua bellissima e melodiosa voce, quella che mi cambiò la vita. Un giorno, almeno così mi aveva raccontato lei, uno di quei giorni completamente uguale agli altri, sentì una bellissima musica trasmessa forse dalla televisione o forse dalla radio. Tanto poco importava. Per lei i rumori erano diventati tutti uguali e gli oggetti solo una massa più o meno solida che le sue mani dovevano tastare per riconoscere. Solo una perdita di tempo, diceva, perché le forme la ricollegavano alla vista e le facevano venire in mente i colori. Tremendo dover ricordare quella vita passata a gioire. Così come ogni altra cosa, quella melodia venne dimenticata subito, ma la sera, se così l'avrebbe ancora potuta chiamare, si era rimessa a cantarla senza sapere bene il perché. Era uscita spontanea. Una canzone che effettivamente l'aveva toccata parecchio. Inizialmente si era messa a piangere, perché ogni nota che cantava le provocava un immenso dolore, come se ogni nota fosse stata una delle sue innumerevoli emozioni represse. Eppure, mi disse, era lì, voleva proprio uscire. Ogni nota un'emozione. Ogni parola un significato. Ogni strofa un pensiero. Ogni pensiero in una canzone. L'aveva cantata così tante volte che si era addormentata stremata sul letto. Si sentiva strana, più leggera ma molto molto confusa. Come se quando cantasse quella malattia non le pesasse più. Si sentiva sì sola, ma più forte. Eppure qualcuno l'aveva sentita senza però dire nulla. Fu lei a capire quella stessa notte che si era sempre sbagliata. Capì quanto le sue emozioni fossero state importanti, quanto avrebbe dovuto ascoltare quello che lei era davvero attraverso il canto. La sua salvezza. Il canto l'aveva aiutata a capire che i suoi sentimenti sarebbero stati un punto di forza. Fu da quel giorno che cambiò vita, carattere e modo di pensare. Diventò la persona che aveva sempre voluto essere, senza più esternare quello che era davvero, senza più pentirsi di quello che le sue emozioni l'avevano spinta a fare.

Continuai a piangere impotente davanti al suo racconto. Mi ero sbagliato, sbagliato su molte cose e mi sentivo terribilmente fragile. Era come se fossi andato a raccontare tutti i miei segreti a qualcuno, eppure adesso era lei che lo stava facendo, non io. Era una persona molto forte, mi dissi.

Una volta finito di parlare mi spiazzò. Con una frase che mi ricorderò per sempre, mi disse che sin dal primo momento che aveva sentito la mia voce, lei aveva capito che tipo di persona fossi: una persona completamente diversa da ciò che dimostrava di essere e che aveva solo bisogno di capirlo. Pensai che forse era per questo che aveva deciso di parlarmi del suo passato di sua spontanea volontà.

Ne fui molto stupito, infatti le domandai come fosse possibile percepire i sentimenti inconsci delle persone attraverso la voce: era proprio come se lei avesse avuto un senso in più, qualcosa che gli altri non riescono a percepire, ecco.

Parlammo tantissimo del più e del meno, senza che nessuno ci disturbasse: alla fine della conversazione che durò molte ore, mi sentii diverso e più consapevole di ciò che ero davvero. E poi non mi ero mai fatto toccare in quel modo la faccia da una ragazza. Fu davvero strano e molto diverso. Fu un'esperienza che non avevo mai provato prima.

Quella notte capii una cosa: la sognai. E lei poteva di nuovo vedere. Fra tutte le cose che le avevo chiesto non le avevo domandato se lei avesse voluto riavere di nuovo indietro la vista. Forse era meglio così, mi dissi. Eppure ero entrato così in confidenza con lei che mi sentivo completamente dipendente da lei, come se fosse diventata una parte della mia vita, seppur non fossi ancora pienamente consapevole di essermene innamorato. Successe dopo, quando lei rischiò un'eliminazione: fu un tragico momento. Ricordo che in quelle settimane avevo continuato a confidarmi con lei e che i miei rapporti con gli altri erano completamente cambiati: non mi guardavano più come prima. Mi guardavano diversamente, forse anche meglio di prima. Ed è stato in quelle settimane che ho davvero dato tutto me stesso. I professori più volte si sono congratulati dei miei immensi progressi, mentre il pubblico mi sembrava ancora più eccitato quando cominciavo a cantare. Anche se mi sentivo diverso, ero ancora consapevole del mio vero obiettivo, della vera motivazione che mi aveva spinto ad arrivare fino a lì! No, non era cambiato affatto: io ero lì per vincere. Eppure quando lei stava per essere eliminata mi sentii davvero molro male. Non stavo perdendo solo un'amica. Io stavo perdendo lei! Pensando come sarebbe stata la mia vita se glielo avessi detto, intuii benissimo che con lei sarebbe stata una storia del tutto diversa. Anzi, c'era addirittura da capire se sarebbe incominciata davvero.

Dopo quella volta mi feci un sacco di problemi: non sapevo assolutamente come dirglielo. Perché temevo il suo rifiuto, perché temevo un sacco di altre cose. Se avesse accettato non sarebbe mai andata come con le mie altre storie precedenti: questa volta sarebbe cambiato tutto. Perché lei non aveva mai avuto un ragazzo, questo me lo aveva detto. Fu anche quello a trattenermi ed insomma a farmi confondere ancora di più... Perché non avrei mai saputo come comportarmi con una ragazza che per tutta la sua vita non aveva mai fatto niente di niente con alcun ragazzo. Perché tutte le mie ex avevano già avuto altre esperienze. Ma con lei tutto sarebbe stato diverso, semplicemente diverso. Decisi di non dirglielo, ma intuivo che lei lo aveva percepito. Rimasi comunque un amico. Perché non avevo la minima idea di come fare io il primo passo ed in che modo farlo. Poi, fra l'altro, c'era anche il fatto che quello era un periodo davvero molto impegnativo che mi stava scoraggiando sul da farsi: per restare in gara, avremmo dovuto lavorare sodo. Avrei preferito dirglielo in un momento più tranquillo. Adesso avevo altro a cui pensare.

Un giorno, il giorno prima della semifinale, proprio quando stavo camminando con un amico, un professore mi prese da parte e mi disse che c'era gente che avrebbe fatto di tutto per farmi vincere. Dopotutto io ero un ragazzo che meritava più degli altri e che lui avrebbe potuto aiutarmi. Poi però aggiunse che il pubblico si era enormemente affezionato alla ragazza cieca, perché, mi aveva detto, ciò che è diverso nel mondo dello spettacolo piace. Mi disse che avrei dovuto comunque vincere io secondo lui. Se ne andò così, senza lasciarmi neanche controbattere perché nel frattempo qualcuno lo aveva chiamato urgentemente.

Ripensai tutto il giorno a quelle parole, arrivando a dedurre chiaramente che i due finalisti saremmo stati io e lei. Beh, in un certo senso mi sentivo sollevato perché il mio sogno si sarebbe realizzato. Ma dall'altro lato mi sentivo anche un po' incupito: l'avrebbero voluta fare fuori, proprio il giorno della finale! Capii che qualunque cosa avessi fatto mi avrebbero comunque lasciato passare alla fase successiva della semifinale. Quello poteva essere un bel problema, perchè era davvero disonesto. Tuttavia non avrei potuto dirlo a nessuno perché altrimenti avrei rischiato di perdere per sempre l'occasione della mia vita. Questa non ci voleva, pensai. Insomma, ero finito in un casino che non avrei mai desiderato.

Nei giorni che precedettero la finale tutta questa situazione mi fece deconcentrare davvero parecchio: proprio non mi andava giù l'idea di farmi vincere in modo disonesto! In futuro non avrei mai sopportato l'idea di aver vinto barando. Avrei voluto vincere onestamente forse anche perché stavo per andare a sfidare la persona più giusta e leale che avessi mai conosciuto. Pregai tantissime volte che ci fosse un modo per fermare questa assurda situazione... Lei avrebbe dovuto almeno sapere contro chi avrebbe giocato. Sebbene non sapessi come diglielo per non crearle disagio, fui di sposto a farlo comunque. Ma quando cercai di dirglielo... L'imprevisto accadde in un attimo, giusto un paio di secondi. Molto pochi, ma comunque necessari per sbarrarmi la strada. Lei era lì davanti a me mentre io ero a pochi passi da lei circondato da giornalisti che mi riempivano di domande. Domande alle quali non avrei mai potuto non rispondere: dopotutto, quella sera io sarei diventato una sorta di icona: tanto avrei vinto comunque. Già. Fummo momentaneamente separati. Io, riempito di domande di qualsiasi tipo e lei, abbagliata dalle luci dei flash dei paparazzi. E quando fu il momento di rivederla... Ci rincontrammo soltanto in campo, quando fu il momento di sfidarci. Per la prima volta sentii battermi il cuore all'impazzata. Per un sacco di cose che continuavano a turbarmi. Avrei vinto ingiustamente. E chissà se mai lo avrebbero scoperto. Poi c'era lei. Era lì davanti a me così eccitata e così incosciente... Purtroppo. Quella sera stavo rischiando di perderla, per sempre. In mezzo a tutta quella confusione lessi sulle sue labbra un bellissimo “ciao”. Compresi sin da subito che quel ciao non era solo un semplice saluto, ma anche un “buona fortuna e che vinca il migliore”. Già, pensai. Perché il migliore non avrebbe potuto vincere per davvero. Avrei vinto io. In quei pochi momenti di sfida la guardai studiando i suoi movimenti, in modo da essere peggiore di lei ed essere in questo modo entrambi allo giudicati “allo stesso livello”. Non sapevo neanche se avrebbe funzionato. Perché comunque più di tanto non avrei potuto screditarmi, soprattutto nella finale! E allora che cos'altro avrei potuto fare?

Con grande sorpresa, la risposta venne alla prima pubblicità: lo stesso professore che qualche giorno prima mi aveva parlato, mi disse che purtroppo truccare il televoto non sarebbe più stato possibile e che avrei dovuto farcela da solo. In quel momento mi sentii così bene che la reazione che ebbi fu davvero esagerata: adesso sì che avrebbe davvero potuto vincere il migliore di noi due! Credo di non aver mai esultato in quel modo in tutta la mia vita. Ma è stato per mezzo secondo, perché poi dopo mi sono dubito ricomposto... Credo. Vidi la gente attorno a me commentare a bassa voce della mia improvvisa ed inaspettata euforia ed i commenti che sentii furono che era normale reagire così in finale. In pratica erano così assuefatti da me che mi stavano addirittura giustificando!

Cercai di non farci caso e sorrisi guardando il campo con una grande determinazione. Finalmente la grande sfida avrebbe potuto cominciare! No, non mi sarei più permesso di sbagliare, dopotutto ero lì per realizzare il sogno di tutta la mia vita... E a quanto pare, anche lei fece lo stesso. I suoi assoli erano così strabilianti che lasciarono tutti incantati. Alla fine della finale ero stremato. Stremato ma felice. Lei era stata un'avversaria davvero niente male, una di quelle che quando canta è come se ti prendesse per mano e ti mostrasse un nuovo mondo del quale ignoravi totalmente l'esistenza. Quella era lei ed in fondo al mio cuore avrei voluto vederla vincere. Tuttavia quello era anche il mio sogno e sapevo benissimo che il pubblico andava in delirio soltanto quando mi vedeva... Ed acclamava il mio nome anche prima che io cantassi. Mai e poi mai avrei saputo dire a chi di noi due sarebbe dovuta andare quella vittoria. Vincere in due non sarebbe mai stato possibile.

Poi arrivò il momento cruciale: il cuore mi batteva all'impazzata mentre una musica di sottofondo si faceva sempre più pressante. Il mio cuore divenne un battito unico con quella musica, come per ricordarmi che io ero nato per quello. Ricordo che lei si avvicinò a me e che ci abbracciammo. Fu il primo abbraccio che le diedi. Fu il primo abbraccio che mi lasciò ancora più confuso di prima e che mi destò ancora più stupore. Perché mi sentivo bene vicino a lei. Perché mi sentivo diverso. In quel momento era come se il tempo avesse rallentato il suo corso, come se volesse lasciarmi riflettere. Perché da quell'abbraccio finalmente capii. Forse, pensai, una volta tanto il mio orgoglio avrebbe davvero dovuto farsi da parte e lasciare che lei vincesse. Perché se lo meritava. Compresi che il tesoro che stavo cercando era ben diverso da come me lo ero immaginato. È vero, avrei pur perso il sogno della mia vita, ma ne avevo appena trovato un altro.

Decisi anch'io di chiudere gli occhi e di non vedere neanche io, almeno quella volta. Mi sarei sentito come lei. Finalmente riuscii a sentirle, le mie emozioni! E sentii lei fra le mie braccia.

Proprio come lei, non vidi mai il bagliore dello schermo che si illuminava, né mai avrò occasione di ricordarlo. Non vidi quel nome. Nemmeno lei. Ce l'avevamo messa entrambi, era questo quello che contava. Vincere sarebbe venuto oltre a tutto il resto. Solo qualche istante dopo la conduttrice urlò quel nome e per la prima volta fui davvero felice. Anzi, per sempre. Perché lei aveva vinto e finalmente compresi che era giusto così e che quella vittoria non sarebbe potuta andare altrimenti.

In quel momento mi sentii al settimo cielo. Capii che se avevo desiderato di non perderla era perché l'amavo. L'amavo davvero. Non era mai stato così per nessun altra. Solo lei.

Fu a quel punto che lei mi spiazzò di nuovo e mi confidò delle parole che non dimenticherò mai. “So che mi devi dire qualcosa” mi disse mettendomi una mano sul cuore che in quel momento stava palpitando all'impazzata. Anche perchè oltretutto, lei non smetteva mai di stupirmi. Eppure in fondo in fondo lo sapevo. Lei aveva percepito le mie emozioni anche quando io non lo sapevo ancora e adesso ne ero più che certo. Sì, lei aveva capito tutto sin dall'inizio!

Sorrisi molto imbarazzato e chissà se lei adesso lo stava sentendo. In effetti il cuore sembrava non voler più calmarsi in nessun modo. Anzi, fu proprio quello ad obbligarmi una volta per tutte a dirglielo: “Io ti amo!”

Dai suoi candidi occhi uscirono delle lacrime così limpide che mi sembrarono dei cristalli. E con immensa sorpresa, lei mi prese delicatamente dietro la testa e mi trascinò verso la sua fino a che non sentii le sue vergini labbra a contatto con le mie. Fu un lungo e bellissimo bacio che fu apprezzato da un commosso applauso di tutte le persone che avevamo intorno.

A volte dicono che siamo nati per uno scopo. A volte dicono che siamo nati per realizzare i nostri sogni. Quello che vogliamo essere. Quello che vogliamo essere insieme a qualcuno.

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Ancora non ci credo. È passato così tanto tempo da allora... Eppure ciò che ho davanti continua a stupirmi: è un foglio, secondo molte persone dell'inchiostro sulla carta. Ma quello che c'è scritto su questa così banale carta stampata è qualcosa di... semplicemente indescrivibile, una di quelle cose che fa provare un sacco di emozioni come tristezza, gioia, malinconia, speranza... La tengo in mano e continuo a rileggerla confuso mentre il mio udito è concentrato a captare ogni singolo movimento. Adesso posso dire di avere davvero imparato ogni singola parola a memoria. Eppure continuo a leggerlo e rileggerlo, senza darmi tregua.

Poi all'improvviso, mi chiamano. Sento il cuore a mille e le mani che tremano all'impazzata. Non so davvero come comportarmi o che cosa dovrei fare. Poi mi ricordo di quella volta e decido di lasciarmi andare. Mi limito semplicemente a seguire la persona che mi ha appena chiamato.

C'è una porta bianca davanti a me, mi fermo un attimo a fissarla: cosa devo fare una volta superata quella porta? Niente, mi dico. Spingila e basta.

Prendo un enorme respiro ed... entro.

Poi una voce, la sua voce. “Sei esattamente come ti avevo immaginato” mi dice. 

  
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