Love Me Like You Do
Mi ricordo bene il giorno in cui quel ragazzo entrò in classe. Aria disinvolta, capelli disordinati, vestiti larghi e sguardo sicuro. Lo odiavo, come odiavo tutti quelli come lui, quei ragazzi che credono essere al centro dell'universo. Ma non lo odiavo solo per questo, lo odiavo anche perché quei sui occhi color mandorla mi facevano dimenticare tutto il disprezzo che provavo nei suoi confronti. Forse è un po’ difficile da capire. Io volevo essere una sua nemica, non volevo nemmeno sentire quella sua voce melodiosa, mi dava i nervi quel suo atteggiamento da figo che si portava a dietro. Ma se vedevo i suoi occhi, beh all’improvviso tutto cambiava e quel disprezzo che sentivo nei suoi confronti svaniva. Per questo lo detestavo più di quanto detestassi gli altri, perché più provavo a stargli lontana più desideravo di conoscerlo meglio. Lui però non ci faceva caso, non faceva caso a nessuno dei miei sguardi di fuoco che gli lanciavo. Al contrario, mi sorrideva sempre e alzava la mano in segno di saluto, come per prendermi in giro. Potete immaginare quanto questo mi facesse arrabbiare. Arrivò poi il girono in cui tutto cambiò. Lui era diventato ancora più bello: capelli biondi più chiari, occhi più lucenti e fisico più delineato. Impazzivo ogni santa volta che lo vedevo, e mentre tutti mi dicevano di essermene innamorata io ribattevo il contrario. Ero stupida no? Perché io me ne ero completamente infatuata, come se quel ragazzo fosse la cosa più bella scesa dal cielo.
Quel giorno ero seduta
davanti ad uno dei garage chiusi che c’erano nel cortile di
casa mia. Davanti a
me invece si alzava il palazzo di nove piani con tutti i balconi in
bella
vista. Ero seduta sull’asfalto sassoso, ascoltando la musica
e bevendo una
lattina di coca-cola. Andavo lì ogni volta che mi sentivo in
dovere di rimanere
sola con i miei pensieri. E quindi eccomi, a fissare senza guardarlo
per
davvero il balcone del secondo piano, quello con i panni stesi sulla
ringhiera
e un tavolo vuoto. Mi ero completamente persa nella mia mente, e quindi
mi ci
volle un po’ prima di capire da dove venisse la voce che mi
aveva appena
chiamato. “Ehi” avevo sentito. Alzai lo sguardo sul
secondo piano, e lì
riconobbi la persona che meno desideravo vedere in quel momento. Lui mi
guardava appoggiato alla ringhiera del balconcino, la sua solita aria
da
fighetto e il solitissimo sorriso malizioso che si portava stampato
sulla
faccia. Roteai gli occhi, e riaccesi la musica ad alto volume con la
speranza
che sparisse. “Ti avrei salutato”. Quella voce
fastidiosa, priva di alcun segno
di fastidio, risuonò nuovamente nelle mie orecchie. Tolsi
sbuffando le cuffie,
e presi la lattina di Coca bevendone ancora un sorso. “Adesso
si ragiona”
esclamò soddisfatto, allargando ancora di più il
suo sorriso. In quel momento
mi sembrò un bambino cattivo, che cercava di nascondere una
marachella con un
sorriso innocente. “Cosa vuoi?” gli chiesi con voce
scocciata, e senza
guardarlo. “Avevo intenzione di chiacchierare come buoni
amici” “tu non sei mio
amico” ribattei con la voce più acida e cattiva
che potessi avere. Ma lui non
sembrò offendersi o quant’altro, rimaneva
appoggiato alla ringhiera impassibile,
guardandomi con aria di sfida. “Allora proverò a
diventarlo” disse. Io mi girai
di colpo fissandolo negli occhi, divertita da quella stupida
affermazione.
“Voglio proprio vedere come farai” dissi con una
risata. Ancora una volta non
sembrò scoraggiato dalle mie parole. Mi guardò di
nuovo, e scavalcando la
ringhiera atterrò con un tonfo sul terreno
d’asfalto. Io lo fissai stupida, con
la lattina a mezz’ara tra la bocca e il terreno dove
l’avevo appoggiata “Sei un
pazzo” dissi dopo essermi ripresa. Alzò le spalle,
come per dire “E che ci vuoi
fare?”. Mi dava sui nervi. Bevvi un altro sorso, mentre lui
si sedette a fianco
a me. Eravamo vicinissimi, schiacciati l’uno contro
l’altra. Roteai gli occhi:
stava facendo apposta, sperando di farmi innervosire ancora di
più ma non avevo
intenzione di dargli questa soddisfazione. Mi allontanai di poco, quel
tanto
che bastava per non sfiorarlo. Lui si avvicinò di nuovo.
“Certo che sei
testardo” esclamai disperata “Non sono testardo,
penso di essere una persona
capace di lottare per ciò che vuole” “E
adesso cosa vuoi? Rovinarmi l’intero
pomeriggio?” dissi io con una punta di sarcasmo nella voce.
Lui mi guardò e con
sorpresa, notai un luccichio di dispiacere nei suoi occhi, anche se sul
viso alleggiava
il medesimo sorriso. “No, voglio solo
esserti amico”. Alzai ancora lo sguardo, incontrando il suo e
perdendomi nei
suoi bellissimi occhi. Sorrisi, quasi non rendendomene conto. E lui
fece lo
stesso, ma non mi mostrò quel solito ghigno: questa volta mi
sorrise per
davvero. Mi prese la mano, e io mi irrigidì. Poi mi rilassai
e mi misi ancora le
cuffie.
Da quel giorno scendevo
ogni volta che potevo, e lui era sempre lì,
appoggiato alla ringhiera del balcone. Dall’odiarlo
profondamente, passai
all’adorarlo. Diventai più felice, non smettevo di
sorridere. Ogni giorno ci
sedevamo l’uno a fianco all’altra, parlando dei
nostri problemi e di ciò che
provavamo. Nemmeno la mia migliore amica sapeva tante cose quante ne
sapeva
lui. Furono mesi davvero splendidi, indimenticabili. Ma il giorno che
fece
davvero iniziare la nostra storia, arrivò non poco tempo
dopo. Come di consueto
ero scesa in cortile e mi ero seduta aspettandolo. Di solito lui
arrivava
sempre prima di me. Mi preoccupai, pensai di non essergli
più simpatica e cose di questo
genere. Poi lo vidi, vidi il suo viso spuntare da dietro alla finestra.
Ma non
sorrideva, sembrava pensieroso. Mi salutò, uscì
sul balcone e scavalcando la
ringhiera atterrò davanti a me. Notai che non era
più disinvolto: gli tremavano
le gambe, ogni suo movimento sembrava rigido e studiato anche fin
troppo per
sembrare naturale. Si sedette di fianco a me, fissando il muro davanti
a noi.
“Cos’hai?” gli chiesi, posandogli una
mano sulla spalla. Lui si girò senza
guardarmi e fissando la mia mano in modo strano. La tolsi subito.
Ritornò a
guardare davanti a sé. “Ehi! Ti ho fatto una
domanda!” esclamai, sull’orlo
della rabbia. Lui chiuse per un attimo gli occhi, e poi li
riaprì. Sembravano
arrossati. “Nulla. Sono solo stanco” “Non
dirmi bugie, non permetterti! Dimmi
subito cosa ti succede o…” “O
cosa?” spostò il suo sguardo su di me,
guardandomi per la prima volta in faccia. Aveva davvero gli occhi
arrossati. E
lucidi. No, non poteva piangere. No lui non piangeva mai. “O
io me ne vado”
sospirai, alzandomi. “Puoi fermarmi, ma dovrai dirmi cosa
succede e perché”,
dissi, sicura che lui non mi avrebbe lasciato andare. Invece mi
guardò con aria
di scuse e dispiacere. “Allora puoi andartene”
sussurrò.
Lo fissai, e sentì le lacrime pungermi in fondo agli occhi. Le mie guance si bagnarono poco a poco. Mi girai e corsi verso casa. Non appena fui abbastanza lontana da lui, inciampai e sbucciai la mano che aveva messo davanti a me per non sbattere la faccia. Mi raggomitolai a terra, piangendo e singhiozzando più forte. Avevo intenzione di rimanere lì per molto tempo, volevo versare tutte le lacrime che potevo su quel terreno roccioso. Sentì due mani calde prendermi le spalle da dietro, facendomi alzare. “Per favore alzati” sussurrò quella voce così dolce. Mi girai di colpo, il viso sporco di terra, lacrime e il sangue della mano ferita che avevo strofinato sulla guancia per cercare di asciugare le lacrime. Stavo per ribattere con qualche insulto, quando mi accorsi che anche lui stava piangendo. Non forte quanto me, ma silenziosamente, le lacrime gli bagnavano piano il viso angelico. Solo da quella distanza mi accorsi di quanto fosse cambiato in soli due giorni in cui non ci eravamo visti: la faccia aveva assunto un colorito pallido, gli occhi erano cerchiati da piccole borse e lo sguardo era triste e perso. Tutti segni che confermavano la carenza di cibo e sonno. Mi spaventai ulteriormente, avevo paura di quello che aveva passato in quel poco tempo in cui non ci eravamo visti. Per un attimo arrivai alla disperata conclusione di perderlo. Mi gettai fra le sue braccia piangendo forte, e stringendolo a me. Sentì le sue mani salire sulla mia schiena e stringermi ancora di più a sé, come per non perdermi. “Ci sono qui io piccola, tranquilla. Va tutto bene” mi sussurrò, lisciandomi i capelli. Alzai il viso verso il suo, senza liberarmi da quell’abbraccio così confortante. “Cosa ti sta succedendo? Ti prego parliamone” lui mi posò una mano sulla guancia accarezzandola piano. “Tu mi aiuteresti?” mi domandò. Una scintilla di speranza si accese dentro di me. “Certo che ti aiuterei! In qualsiasi modo” “Qualsiasi?” “Qualsiasi” affermai io sicura. Lui sospirò piano, come se si stesse preparando ad una scelta difficile. “Allora chiudi gli occhi” disse. Lo guardai sbalordita. Era questo di cui aveva bisogno? Che io chiudessi gli occhi? “Non vedo come…” “Chiudi gli occhi” insistette “Mi vuoi aiutare o no?” mi arresi e chiusi gli occhi. Fu un attimo e sentì le sue labbra sulle mie, dolci e delicate come le avevo sempre sognate. Gli gettai le braccia al collo. Mi staccai. “E questo cosa dovrebbe significare?” lui mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Significa che ora sto finalmente bene”
Angolo Autrice
E rieccomi con un'altra storia uscita dalla mia mente sognante.
Letteralmente.
Preoccupa anche a me questa cosa che scrivo storie sui miei sogni, ma okay.
Chi è così tenero e dolce e rispettoso di una povera pazza da lasciarmi una recensione?
Hahahaha okay, no.
Ciaociao
Thessa.