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Autore: Upside Down    17/02/2015    1 recensioni
Nella piccola via laterale alla piazza principale, quella col vecchio campanile, se ne sta un piccolo ragazzo solitario ad aspettare il suo destino, illuminato dalla luce gialla di un lampione. Sembra quasi non curarsi del freddo tant’è concentrato sull’orizzonte. Lo scruta, ansioso, in attesa che qualcosa di diverso da neve e vento ne emerga. Aspetta e aspetta sperando che il suo unico amore, arrivi finalmente da lui.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Fino all’ultimo istante
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I fiocchi di neve lenti si posa sul profilo della città, tingendola di bianco al loro passaggio, mentre il vecchio orologio della piazza principale batte l’ultimo rintocco delle dieci e quarantacinque e io me ne sto come uno stupido fermo sotto il lampione davanti il vecchio locale Gunpowder, bar chiuso ormai da anni.  Le dita mi sono diventate insensibili e non ho smesso un attimo di tremare ma devo resistere ancora quindici minuti.
 
 
Quindici minuti e Tomas arriverà. Non posso andarmene adesso. Non ora che lui sta per avvivare da me. Sono sicuro che oggi finalmente lo rivedrò.
 
 
Ci conosciamo solo da quando avevamo vent’anni, eppure la nostra amicizia è subito diventata forte e intima come quella di due vecchi amici d’infanzia. Devo ammettere però che essere suo amico non è facile. Ha un carattere orribile! E’ testardo, impertinente, egoista, a volte persino infantile ma ha fascino innato a cui nessuno è mai riuscito a resistere.
 
 
Io per primo non riesco a non assecondare ogni suo capriccio. Per colpa sua ho perso il lavoro che mi permetteva di pagare l’affitto, il mio ragazzo mi ha lasciato e ho inghiottito tanti di quei bocconi amari che ormai ho perso il conto. Tutte queste cose però diventano sempre e comunque dettagli insignificanti quando sto con lui.
 
 
Perché Tomas mi capisce, sa quando ho bisogno di un abbraccio senza che io gli dica nulla ed è l’unico in grado di farmi sentire speciale. Tutte le delusioni e i guai sono solo un piccolo prezzo da pagare che ho scelto di poter sopportare, perché per lui né vale la pena.
 
 
A lui ho raccontato tutto. Dalla prima volta che ho baciato un ragazzo a quando mio padre mi ha abbandonato quando avevo quindici anni per poter stare con una ballerina russa al sogno di aprire un piccolo bar tutto mio.
 
 
Lui non ha mai commentato. E’ semplicemente rimasto ad ascoltarmi ogni volta, senza giudicarmi e senza scappare via.
 
 
Quindi un po’ di freddo non mi può scoraggiare. Ora che ci penso anche la prima volta che ci siamo incontrati nevicava. . .
 
 
***
 
Sembra passata una vita da allora. Quella volta, mi ricordo, era caduta la prima neve d'inverno. Le strade erano ghiacciate e l'aria si condensava in piccole nuvolette bianche ogni volta che aprivo bocca, insieme a tutti gli improperi che stavo lanciando alla signora Tamil che mi aveva costretto a uscire con quel gelo per poter guadagnare qualche soldo in più dando ripetizioni al suo odioso figlio. Ero giusto all’angolo di Fleet Street quando mi ritrovai per terra. Ero vergognosamente inciampato in qualcosa.
 
Nervoso com’ero stavo per sfogarmi sulla causa della mia caduta quando nell’alzare lo sguardo mi accorgo che l’ostacolo era un ragazzo semisteso a terra, bardato in un lungo cappotto grigio chiaro, con qualche fiocco di neve intrappolato tra i coti capelli rossicci e tanto sangue che dal naso gli sporcava bocca e mento.
 
Era sicuramente stato picchiato da qualcuno, ma invece di fuggire lontano da quel ragazzo che sicuramente portava guai con se, mi ritrovai a fissarlo. In un attimo la signora Tamil e il suo paffuto figlio sparirono dai miei pensieri. Non so nemmeno perché, ma il mio corpo si mosse da solo verso di lui per aiutarlo. Ero come polvere di ferro e lui la calamita che mi ha attratto dal primo momento.
 
“ Hey amico non dormire”
 
Nonostante prima l’avessi calpestato, solo al suono delle mie parole il ragazzo parve notarmi.
 
“ Dai alzati”
 
Accompagnai le parole con la pratica e ,passandogli un braccio attorno alla vita stretta,  lo misi in piedi con qualche difficoltà a causa dei centimetri in più che aveva rispetto a me. Lui in tutto questo non oppose la minima resistenza, si lasciò semplicemente guidare, come una marionetta senza fili.
 
“ Ora troviamo un posto dove darti una sistemata eh?”
 
Non mi rivolse la parole nemmeno una volta. Neanche quando ci dirigemmo al Gunpowder dove chiesi a Don, proprietario e vecchio amico, di poter usare la stanza sul retro per medicare il tipo che mi trascinavo dietro. Don fece uno sbrigativo segno d’assenso così potei portare l’allora sconosciuto nella piccola camera.
 
“Perché” ebbi un sussulto quando sentii per la prima voce la sua voce un po’ gracchiante parlarmi.
 
“ Cosa?”
 
“Perché mi hai aiutato?”
 
“ …non lo so.  Penso per evitare che qualcuno si facesse davvero male per colpa tua che te ne stavi steso come uno stupido per terra.” 
 
 
Fece una smorfia dolorante che doveva essere un sorriso, mi afferrò la mancina con cui gli stavo disinfettando il piccolo taglio che aveva sull’ occhio. Mi fissava col suo sguardo ammaccato in un modo che mi fece tremare le viscere.
 
“ Grazie”
 
Una parola che impiegai minuti a capire. Non riuscii a rispondere a causa del suo sguardo intenso che sono sicuro mi fissò l’anima quella volta.
 
Mi riappropriai della mia mano e finii di medicarlo. Lui si alzò poco dopo posizionandomi di fronte a me.
 
“ Comunque piacere, Tomas J. McCarthy”
 
“ Owen Thompson”
 
Gli strinsi la mano che mi porgeva e mi imposi di non abbassare lo sguardo di fronte al suo poiché aveva ripreso a fissarmi con la sua smorfia dolorante a stirargli le labbra.
 
“Lascia che ti offra almeno una birra per ringraziarti”
 
Accettai l’invito.
 
Mi aveva procurato guai dal primo momento ma non riuscii più ad allontanarmi da lui.
 
***
 
Un ubriaco poco lontano viene cacciato ad un locale e il suo canto stonato mi fa ritornare alla realtà. I fiocchi bianchi ormai mi ricoprono completamente le scarpe. Non ho idea di quanto manchi poiché il mio orologio da polso ha smesso di funzionare da tempo e il campanile non da segni di vita. Ma non deve mancare molto. Giusto il tempo di prendere il suo cappotto grigio, uscire dalla porta sul retro della sua enorme villa, prendere l’auto di famiglia di nascosto e  in una manciata di minuti arriverà. In ritardo come al solito.
 
Non è mai puntuale nella sua vita, nemmeno nelle occasioni importanti come il saggio finale della sua scuola di musica. Un evento importantissimo per la sua famiglia, ma che per lui era una perdita di tempo dato che odiava la musica classica. Lui amava la musica che si suonava con l’anima e non con la mente. Per fortuna riuscii a convincerlo per una volta e quella serata fu un successo in tutti i sensi.
 
***
 
Era un sabato iniziato in modo orribile. Solo che il suo ricordo è il più prezioso che ho, perché quel giorno persi Chris il mio fidanzato dell’ epoca, ma potei finalmente constatare quando fossero morbide le labbra di Tomas. Fu la prima ed unica volta.
 
Non ricordo bene il mese ma doveva essere agli inizi di ottobre. I grandi alberi dalle foglie arancioni che circondavano la villa della famiglia McCarthy. Ogni volta che andavo li avevo la sgradevole sensazione che ogni persona prova di fronte a qualcuno più ricco di lei. Inoltre la mia presenza in quella casa era mal vista anche dalla servitù che mi guardava anch’essa con aria di superiorità.  Ero benvoluto solo dal autista un signore massiccio dai grandi baffi. Fu lui a mettermi a corrente dell’assenza di Tomas e ad aiutarmi a trovare il fuggitivo.  Mi accompagnò con la macchina non di servizio, dato che al matrimonio mancavano diverse ore e poteva permettersi di assentarsi per qualche minuto.
 
Lo cercammo prima al Gunpowder che era diventato il nostro punto di ritrovo. Ma di lui nessuna traccia. Passammo al Wood’s, al Big Bang e al Stones ma nulla. L’ansia che si fosse cacciato nell’ennesimo guaio cresceva sempre di più finché non arrivammo al Black Lion un locale che non aveva finestre dove si riunivano artisti da ogni parte dalle città di cui Tomas mi aveva parlato qualche volta. Lo trovai al piano a suonare una di quelle canzonette che lui amava tanto, ubriaco fracido.
 
“ Oscar amico unisciti alla festa.”
 
“ E’ Owen idiota e tu devi andarti a preparate per il saggio. Dai alzati dobbiamo andare”
 
“ Nah. Io quella robaccia da mummie non la voglio suonare. Io voglio suonare la vera musica. Quella dove il ritmo ti entra fin nelle ossa. Invece di fare il solito guastafeste divertiti con me qui. Carl una birra al mio amico. . . Ansi una birra a tutti i mie amici.”
 
Alla gentile offerta di Tomas si alzò un boato di assenso e tutti iniziarono a fare più chiasso di prima. Per farmi ascoltare ci impiegai venti minuti buoni, ma ero riuscito a farlo alzare dal piano e a spingerlo letteralmente fuori da quel buco che spacciavano per locale.
 
Dieci minuti dopo eravamo in camera sua a trovare un modo di renderlo per lo meno accettabile. Per fortuna la sbronza era in parte passata permettendogli di infilarsi camicia e giacca ma non così tanto da fargli ricordare come fare il nodo alla cravatta. All’ennesimo nodo strano mi ero del tutto spazientito e scacciandogli le mani decisi di provarci io.
 
“ Da quando sai fare il nodo alla cravatta?”
 
“ Me l’ha insegnato Don. Dice che può sempre servire saperl. . .”
 
“ Hai un ciglio sulla guancia.”
 
Non mi aveva nemmeno ascoltato. Non mi dava fastidio, lo faceva spesso, non per cattiveria, solo non prestava attenzione agli altri quando era concentrato su qualcosa. In quel frangente era più concentrato su di me che sulla mie eventuali risposte.
 
Infatti mi aveva poggiato la mano sulla guanci desta e col pollice delicatamente aveva iniziato ad accarezzarmi in modo da togliere il ciglio che probabilmente lo disturbava. Aveva ripetuto il gesto altre volte e io non riuscivo a concentrarmi che su quella mano calda sul mio viso che così delicatamente mi accarezzava, facendomi arrossire e desiderare che non smettesse mai.
 
“ Lo sapevi che hai gli occhi belli?”
 
“Cosa!?”
 
“ Hai gli occhi belli.”
 
“Grazie?”
 
Non riuscivo a capire il senso di quello che mi stava dicendo. Era troppo vicino. Il suo profumo era soffocante e il suo sguardo non voleva saperne di lasciarmi andare. In quel momento avevo persino paura. Perché si stava avvicinando troppo al mio volto. Perché non ero sicuro di riuscire a respingerlo, di riuscire a controllarmi, di riuscire a credere che sarebbe stato uno sbaglio.
 
Di riuscire a smettere di volere quel maledetto sbaglio così tanto.
 
“ Eh già proprio belli”
 
Le sue parole morirono sulle mie labbra. Un bacio al gusto di alcol e fumo. Un bacio che ne valeva milioni. Leggero e casto eppure inebriante.
 
Il mio angolo di paradiso però si sgretolò quando la domestica bussò alla porta annunciandovi da dietro che era arrivata l’ora di andare. Ci separammo piano, senza dire una parola. Mi baciò la fronte, si tolse la cravatta e tenendomi per mano uscimmo di casa.
 
Stemmo insieme finché non dovette salire sul palco. Non sapevo se per lui aveva significato qualcosa ma non ci pensai. Avevo assaggiato il mio personale frutto proibito e speravo di poterne avere di più. Ma non accadde mai.
 
Solo il giorno dopo mi ricordai che io in realtà la sera precedente avevo promesso al mio ragazzo di cenare insieme. Lui mi fece una scenate che si concluse con la porta del mio appartamento che sbatteva per l’ultima volta dietro le sue spalle. Non sentii il minimo dispiacere per l’accaduto. Non avevo nemmeno provato a chiarire o a seguirlo per fargli cambiare idea. 
 
Forse, col senno di poi, avrei potuto provarci di più con Chris. Era un bravo ragazzo con la sfortuna però di dover competere con un quello che molto probabilmente è la fonte dei mie mali a cui io però sono disperatamente dipendente.
 
***
 
Dieci rintocchi lunghi e due breve. Il campanile mi informa che il giovane McCarthy è in ritardo di ben ,mezz’ora. Eh già era proprio allergico alla puntualità. Se non era in ritardo, Tomas non era contento. Era quasi il suo marchio di fabbrica, quello di far penare le persone prima di concederle il lusso della sua presenza. Sembrava fargli piace far in modo che gli altri dovessero adattarsi ai sui comodi, da bravo figlio di papà qual era, convinto che tutto girasse attorno a se.
 
La volta dove ho più odiato questo suo comportamento narcisistico è successo giusto pochi mesi prima che partisse per andare in campagna dai nonni ed è anche il motivo per cui io ora l’aspetto fermo sotto un lampione solitario da tempo.
 
***
 
Volevo fargli una sorpresa. Ero andato da lui per dargli un vinile della sua adorata musica jazz. Mi era costato buona parte dei pochi risparmi che mi erano rimasti, ma volevo fargli un bel regalo anticipato per il suo compleanno poiché lo avrebbe trascorso dai nonni in campagna quell’anno. Avevo deciso di portarglielo quel girono, dato che avevo la giornata libera. Dovevamo incontrarci davanti casa mia per poi andare a fare un giro. Ma non si era fatto vedere, così avevo pensato che una passeggiata fino casa sua potevo farla tranquillamente. Probabilmente si era addormentato su qualche noioso calcolo d’algebra. Mi sentii felice per tutte è due le ore che impiegai ad arrivare nella parte residenziale della città.
 
Nonostante mi sentissi fuori luogo anche a respirare il quella zona, nulla quel giorno sarebbe riuscito a far morire il mio buon umore. Almeno finché non lo vidi finalmente arrivare con un sorriso soddisfatto in volto e una di quelle oche che gli giravano intorno di solito sotto braccio.
 
Per tutto quel tempo lui era stato a far conquiste dimenticandosi completamente di me. Quel pensiero mi provocò quasi un dolore fisico.
 
 Lui invece quando mi vide rimase un attimo interdetto.
 
“ Hey amico è successo qualcosa di grave?”
 
Aveva un tono sbrigativo e leggermente irritato perché il parlare con me gli stava sottraendo minuti preziosi dal divertimento che la ragazza di turno poteva offrirgli.
 
Le parole mi si erano strette in gola e non ne volevano sapere di uscire. Non sapevo quanto sarei riuscito a trattenete le lacrime che la vista di quei due insieme mi stava provocando. Si era dimenticato di me per stare con una qualunque.
 
Ma infondo chi ero io? L’amico da cui andare quando si annoiava, l’amico che dava fastidio al padre, lo stupido che assecondava i suoi capricci. Avrei voluto dirgliele, per una volta tutte, quelle cose. Non rimanere lì a farmi calpestare per l’ennesima volta.
 
Solo che per un momento immaginai la mia vita senza di lui. E ne fui terrorizzato. Quindi trattenni il più possibile il pianto e con quello che doveva essere un sorriso gli augurai buon compleanno e scappai.
 
Solo che non lo feci abbastanza velocemente perché riuscii lo stesso a sentirgli dire alla tipa che io ero uno che aveva conosciuto in giro. Un tipo strano, a cui non prestare troppa attenzione. 
 
Non si era nemmeno preoccupato di non farsi sentire. Il lato divertente della faccende era che io ero andato da lui per dargli il regalo che gli avevo preso, ma i alla fine quello stupido coso ma l’ero riportato indietro.
 
Per tre giorno lo evitai come la peste. Facevo in modo che i mie orari fossero perfettamente calcolati in modo tale da non farmi trovare. Ero consapevole che quella sceneggiata non poteva durare a lungo. Ed Infatti una sera me lo ritrovai davanti il protone della signora Tamil. Era furioso perché l’avevo ignorato, ma non me la sentivo di affrontarlo dopo l’episodio della ragazza.
 
Mi aveva baciato poco tempo prima. Io non ci potevo pensare che avesse di già ripreso ad essere il solito casanova, certo non ci eravamo giurati amore eterno né nulla ed ero sicuro che per lui quell’episodio era stato solo un gesto fatto da ubriaco; ma per me invece stato speciale e per qualche folle ragione avevo sperato che anche per lui fosse stato così. E poi negli ultimi tempi era stato più gentile, più presente più interessato a me. Volevo godermi quella stana magia ancora qualche istante prima di tornare alla solita vita, dove lui se ne andava con qualche ragazzetta e io che avrei venduto l’anima al diavolo pur di avere anche solo una possibilità ai suoi occhi. Quella volta la vita mi aveva dato uno schiaffo troppo violento.  Io chiedevo solo qualche giorno per potermi riprendere. Tomas però non parve riuscire a leggermi quella volta.
 
Il mio comportamento era stato inaccettabile, e ora dovevo essere punito. Ecco quello che gli interessava.
 
Mi urlò addosso parole piene di rancore e rabbia. Non aveva capito il motivo del mio gesto, e io non trovai la forza di spiegarglielo. Subii passivamente il suo sfogo sentendomi sempre più misero per il mio comportamento infantile.
 
Se ne andò senza voltarsi indietro nemmeno quando lo chiamai con la voce rotta dal pianto.
 
Il giorno dopo la domestica di casa sua mi informava che non era in casa. Sapevo che era una bugia. L’ombra dietro la tenda del secondo piano mi diede la certezza che avessi ragione. E la cosa mi fece male.
 
Perché significava che non mi aveva ancora perdonato, che probabilmente non lo avrebbe fatto preso o che non l’avrebbe fatto mai.
 
Tentai  anche i restanti giorni prima della partenza ma nulla cambiò. Partì senza rivolgermi la parole nemmeno una volta.
 
Non ero riuscito nemmeno a salutarlo.
 
***
 
Il tempo in questi giorni che siamo stati separati è passato lento. Per i primi giorni mi sentivo tanto perso da non riuscire ad alzarmi dal letto. Avrei dovuto iniziare a pensare a come riuscire a resistere all’inverno ma i mie pensieri erano totalmente concentrati su Tomas, sul suo ritorno e al modo migliore di come scusarmi.
 
Tutto questo ci porta a sta sera e alla mia attesa. Sono riuscito a lasciargli un biglietto e il regalo che gli avevo preso sulla scrivania di camera sua grazie al signor autista, che era riuscito a farmi entrare nella villa McCarthy senza dover dare spiegazione ai domestici.
 
Mi dispiace davvero,ti prego vediamoci sta sera davanti al  Gunpowder ti aspetto lì alle dieci. Voglio almeno salutarti un’ultima volta. Per favore vieni. Mi manchi  tanto.
Tuo Owen.
 
Spero che la delusione gli sia passata in tutto questo tempo, almeno quel tanto che basta a fargli venir voglia di incontrarmi un ultima volta.
 
Io intanto aspetto, fermo al mio posto. Nonostante il freddo nonostante il tempo che passa.
Si perché la prima sera Tomas non si è presentato al nostro appuntamento. Nemmeno la sera dopo e quella dopo ancora. Ma lui è un tipo orgoglioso quindi continuo ad aspettare, stando attento a non andarmene mai da questo posto per non deluderlo ancora. Una volta mi è bastata per tutta la vita.
 
Sono sicuro che quando arriverà sarà fiero di me. Io che sono riuscito ad aspettarlo per tutto questo tempo. Che ho sopportato la neve, la pioggia e il vento per lui.
 
Io che sono persino morto per lui. Si perché la prima sera lui non arrivò ma io non mi mossi per tutta la notte da sotto il lampione davanti al vecchio bar. Quella notte fece così freddo che proprio non riuscii a non chiudere gli occhi per un momento e ad abbandonarmi per qualche minuto al nero abbraccio del sonno. La morte fu solo una conseguenza spiacevole di quei pochi attimi di sonno.
 
Non fu doloroso. Mi ha permesso di aspettarlo per cinquantacinque anni, duecento ottantotto ore e trenta minuti. Posso aspettarlo per tutto il tempo che voglio. Per tutto il tempo necessario.
 
Della vita mi sono rimaste solo le ultime sensazioni che ho provato. Il gelo pungente che arrivava fino alle ossa, l’ansia. . . il dolore.
 
Sono sicuro però che quando avviverà da me, tutto finalmente passerà. Il freddo che mi porto dentro si scioglierà.
 
Tutto questo è solo un’ulteriore tassa da pagare per poter amara davvero Tomas J. McCarthy che sono disposto a pagare. Sempre e comunque.
 
Perché nulla è troppo da sopportare per lui. . . nulla.










"Questa storia partecipa al contest "Di peccati e angeli caduti" indetto da aduial95 sul forum di EFP"


http://freeforumzone.leonardo.it/d/10981173/Di-peccati-e-angeli-caduti-seconda-edizione/discussione.aspx/1
 
   
 
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