Fanfic su artisti musicali > David Bowie
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Autore: MadnessInk    17/02/2015    0 recensioni
-Mi spiega come faccio a truccarle l'occhio se non lo chiude? Vuole che le trucchi il bulbo oculare?-. E David si limitò solamente a dire:-Trevor, dopo lo show provvedi a licenziare questa dipendente inutile-. -Ma mr. Bowie, che sta dicendo? È la m...- e lui, sbraitando letteralmente: -Taci, fa' quello che ti ho detto!-. A quel punto Mya non resse più.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Allora, sei proprio sicura di non voler venire?-
-Sì, Mick. Sono sicura-
-D'accordo-. Mick sospirò, poi diede un bacio sulla fronte di Mya -Stammi bene- disse. Mya annuì, dicendo nulla. Sul suo volto un'espressione serena e rassicurante. Mick prese la sua valigia e salì sul taxi, salutando Mya con la mano dal finestrino scuro della vettura.
Adesso anche Mick se n'era andato. Il giorno prima era toccato ad Amias, ora a lui. Di nuovo immersa nella routine quotidiana, grigia, monotona, noiosa e seccante. Ma anche rassicurante, un punto fermo, una garanzia, un'ancora. Ora quasi non temeva più di abituarsi ad apprezzarla. Dunque rientrò in casa e, facendo scivolare le mani sulla porta, se la chiuse alle spalle.
“E quale cazzo è il mio posto?” pensava Mick mentre girava la testa a destra e a sinistra, incurante delle persone che lo guardavano di traverso. Appena una hostess gli indicò il suo posto, Mick si fiondò sul suo sedile e distese i nervi. Il viaggio non durò molto o almeno non sembrò durare molto dal momento che tutto ciò che Mick fece fu dormire, nonostante dubbi e speranze gli chiedessero di restare a preoccuparsi di loro.

La strada era trafficata. Le luci dei fari delle auto tutte in fila erano abbaglianti e mettevano a dura prova la vista di Mick che, grazie al cielo, non stava guidando la vettura nera nella quale viaggiava. Aveva prevenuto una buona percentuale di rischi, si stava rilassando e aveva dato un lavoro a un uomo. Tre buone azioni con un gesto solo. Si coprì gli occhi con la mano sinistra mentre con la destra reggeva la cornetta del telefono con il quale cercava da più di mezz'ora di chiamare David. Dannato. Menomale che c'era traffico.
-Pronto?- fece in tono piuttosto assonnato la voce al telefono.
-Davie, sono Mick. Prepara qualcosa perché sto arrivando-
-Ehi, che? Quante ore ti ci vogliono?-
-Sono a casa tua tra sette minuti. Sbrigati-
-Grazie del preavviso, cazzo!-
-E tu grazie per aver risposto alle mie precedenti ottocentosettantadue chiamate!- ribatté Mick, poi aggiunse -Stai perdendo tempo, ciao- e riagganciò prima che David potesse dire altro.
-Porca troia di un Mick di merda...- bofonchiò David, sbattendo la cornetta laddove era il suo destino stare e andando a infilarsi qualcosa di decente.
-Bene, anche la nebbia... ora sì che non arriviamo più da nessuna parte...- lamentò Mick, giocherellando con il bordo della sua giacca. Poi alla radio...
“Each morning I get up I die a little, can barely stand on my feet...”. I Queen. Oh, se ci fosse stato David... ma, dal momento che non c'era, non c'era motivo di preoccuparsi. Occhio non vede, cuore non sente, dicevano. Beh, più o meno. Mick chiese all'autista di alzare il volume e, dopo qualche parola che uscì esitante dalle loro bocche, iniziarono a cantare la canzone a squarciagola.

DIN DON.

Dopo strani tonfi e scricchiolii, la porta di casa di David si aprì e mostrò il Duca (o quello che ne era rimasto) con addosso un maglioncino color panna e dei pantaloni marrone scuro.
-Entra e muoviti ché fa freddo- disse, stretto nelle proprie spalle magre. Mick entrò. David chiuse la porta e iniziò a fissare Mick, che si era tolto la giacca di pelle e guardava la nuova disposizione dei mobili della casa. Mick si accorse che David lo stava guardando male.
-Che c'è?-
-Ciao. Scusami se sono venuto senza cazzo di preavviso. Grazie di avermi accolto in casa. Sei molto sexy con quel maglione panna. Non dici niente di tutto questo?-
-Sei molto sexy con quel maglione panna-
-Vaffanculo- disse David, abbracciando Mick e respingendolo quasi immediatamente -Sei freddo. Cinque minuti in castigo- gli intimò David, indicandogli l'angolo nel quale c'era il camino con il fuoco acceso.
-Cioè? Vuoi bruciarmi vivo alla Giovanna D'Arco?-
David annuì convintissimo, mentre portava sul tavolo difronte al caminetto una teiera. La tazzina era già lì, come i biscotti. E tutti sappiamo perché la tazzina e non le tazzine.
Dopo aver strappato la giacca dalle braccia di Mick e averla appesa all'appendiabiti, David venne inghiottito dalla morbida poltrona.
-Allora, come mai vieni a trovare uno stronzo che l'ultima volta ti ha cacciato di casa?- disse David guardando la tazzina di Mick e sperando che nessuno spiacevole incidente accadesse.
-Un po' di malsana compagnia non fa mai male, no?-
-Mh-. David sospirò, aveva gli occhi bassi -Scusami per la scenata dell'ultima volta-.
Mick lo guardò sorridendo -Oh, sono sicuro che potrò perdonarti-. Poi strabuzzò gli occhi.
-Che hai?- domandò David inarcando un sopracciglio.
-Cazzo. Posso fare una telefonata? È di vitale importanza-.
David mostrò il telefono a Mick e si allontanò, lasciandogli il tempo necessario da solo. Normalmente avrebbe adorato farsi gli affari di Mick per poi ricattarlo di poterli sputtanare a gente a caso, ma non gli andava di origliare. Origliare era faticoso.
-Sono uno smemorato tremendo- frignava Mick grattandosi la testa mentre raggiungeva David.
Il campanello suonò. Mick guardò la porta con le sopracciglia aggrottate. David lo interrogò con lo sguardo.
-Scusa un attimo-. Non aspettava nessuno. Andò ad aprire, chiedendosi chi potesse suonare alla sua porta di sera. A parte Mick, s'intenda.

-Salve-. Davanti a David una ragazza con una lettera e una penna in mano. -C'è una raccomandata per il signor Jones-.
-Ah- fece David prendendo in mano la penna che la ragazza, capelli ricci color mogano di media lunghezza e occhi marroni, gli stava gentilmente porgendo. Firmò e la congedò. La guardò andare via e rientrò in casa.
-Ehi-.
Il sangue nelle vene gli si raggelò. Non era stato Mick a parlare, anche perché la voce veniva da fuori, attraverso lo spazio che la porta non aveva ancora colmato. David si voltò molto lentamente, timoroso come un bimbo terrorizzato dall'aprire l'armadio credendo di trovarci l'Uomo Nero.
-Ciao David-. Le sopracciglia contratte, gli occhi sbarrati, le labbra serrate, la mascella rigida. David era immobile di fronte a Mya, abbracciata dal suo trench nero e accarezzata da alcuni fiocchi di neve che stavano iniziando a scendere lentamente proprio in quel momento.
-Vattene- riuscì a dire David.
-Me ne andrei volentieri, ma devo mettere in chiaro un paio di cose-. Mya si strinse nelle spalle, fissando David quasi senza batter ciglio: non aveva per niente un'aria da persona sana. Era sempre più nervoso David.
-Per esempio?-
-Come stai?-
-Bene, molto bene-.
Mick comparve sulla soglia della porta, alle spalle di un ambiguo David:
-Fa freddo potresti almeno farla entrare...-
-Stanne fuori Mick- quasi gli urlò contro, poi tornò a rivolgersi a Mya -Cos'è che vuoi mettere in chiaro?- disse andando fuori.
-Il mio comportamento. Ti devo delle scuse, non sarei dovuta andare via senza neanche avvisarti di persona-
-Già, non avresti dovuto-
-David, io ho fatto il primo passo. Tocca a te. Non essere così ostile-
-Non essere così ostile? Al diavolo! Sai cosa? Va' a farti fottere!- e così dicendo David girò i tacchi. A passi interrotti si apprestava a raggiungere la soglia della porta, ma Mya non rimase in silenzio a guardare:
-David, riflettici. Non è un film. Non ci sarà il cliché secondo cui ti prenderò per il polso e ti chiederò di non lasciarmi. Se vuoi tornartene dentro e chiuderla qui, va', sei liberissimo di farlo. Ma sappi che non tornerò a Berlino e vorrei che questo viaggio non fosse stato inutile-.
Sembrò non esserci risposta da parte di David quindi Mya voltò le spalle alla casa -Come vuoi. Addio, ti auguro il meglio-. Iniziò a incamminarsi. Stava per raggiungere il marciapiede quando David la fermò con le parole:
-Tu lo sapevi!-
-Sapevo cosa?-
-Che ne avrei sofferto-
Dopo qualche attimo di silenzio l'amareggiato -Sì, è vero- di Mya riempì l'aria rigida di risentimento. David lo respirò tutto e, a passo deciso, andò verso Mya:
-Mi sono sentito uno schifo! Non sai cosa ho fatto, quello che mi è successo! Hai idea di quello che ho passato?-
-No, ma so quello che ho passato io-
-Tu... tu non avresti dovuto-.
Perse le staffe. Il collo di Mya era stretto dalle mani di David, ossute e grandi, che la soffocavano. Le vene gonfie percorrevano braccia e mani. Nonostante la debolezza fisica riuscì a sollevare di pochi centimetri il corpo di Mya dal suolo. La donna, con il poco fiato che le rimaneva, si rivolse decisa a David:
-Strangolami, se lo ritieni necessario! Ma cosa otterrai?!? Assolutamente niente. Lo sai-.

-Allora, sei proprio sicura di non voler venire?-
-Sì, Mick. Sono sicura-
-D'accordo-. Mick sospirò, poi diede un bacio sulla fronte di Mya -Stammi bene- disse. Mya annuì, dicendo nulla. Sul suo volto un'espressione serena e rassicurante. Mick prese la sua valigia e salì sul taxi, salutando Mya con la mano dal finestrino scuro della vettura.
Adesso anche Mick se n'era andato. Il giorno prima era toccato ad Amias, ora a lui. Di nuovo immersa nella routine quotidiana, grigia, monotona, noiosa e seccante. Ma anche rassicurante, un punto fermo, una garanzia, un'ancora. Ora quasi non temeva più di abituarsi ad apprezzarla. Dunque rientrò in casa e, facendo scivolare le mani sulla porta, se la chiuse alle spalle.
-Bene, è ora che mi dia una mossa, altrimenti perderò l'aereo. È la mia ultima possibilità di mettere a posto le cose. Per Mick, per Amias. Per me. Per David-.
Non le ci volle molto per arrivare all'aeroporto. Passò in fretta il check-in. L'imbarco. Il suo posto. E Mick. La sorte, che buffa alle volte. Anche seduti insieme.
-Mick, Mick! Siamo quasi arrivati...- disse Mya, scuotendo dolcemente Mick e destandolo così dai suoi sogni.
-Eh? Oh, salve. Mya?- Mick la guardava parecchio male, chiedendosi se il suo sogno stesse continuando o se davvero Mya fosse lunatica a tal punto. -Ma tu non...-
-Non chiedermelo. Scendiamo, dai-.

-Così hai deciso di parlargli, eh?-
-Sì. Questo capitolo va concluso, obbligatoriamente-
-Mh... ho un'idea!- strillò Mick nel bel mezzo del ristorante dell'hotel, a rischio di soffocarsi con il boccone che aveva in bocca.
-Sentiamo-
-Andiamo tutti e due da David, tu rimani in macchina e, quando ti chiamo, tu scendi e suoni alla porta-
-Che idea geniale... mi aspettavo una grande trovata, visto il tuo entusiasmo e la figuraccia che abbiamo fatto...-
-Oh, beh! Hai idee migliori?-
-In effetti no, al momento proprio no-
-E allora non criticare!-

La strada era trafficata. Le luci dei fari delle auto tutte in fila erano abbaglianti e donavano al viaggio un'aria un po' da sogno. Mya guardava Mick, infastidito dalla troppa luce, coprirsi gli occhi con la mano sinistra mentre con la destra reggeva la cornetta del telefono con il quale cercava da più di mezz'ora di chiamare David. Il solito scapestrato e distratto. Prima donna irascibile in preda alla sindrome premestruale.
Mick ci parlava al telefono, Mya non riusciva a nascondere di essere almeno un po' divertita dal vedere Mick prendersi gioco di David. Però poi pensò che avrebbe scontato il suo nervosismo su di lei e che quindi non c'era niente da ridere.
-Bene, anche la nebbia... ora sì che non arriviamo più da nessuna parte...- lamentò Mick, giocherellando con il bordo della sua giacca.
-Mick, ti lamenti da quando siamo a Berlino, calmati, per favore...-. Mya mostrava segni di panico: una mano a reggere la fronte, l'altra stringeva la cinta del suo cappotto. Il respiro era irregolare e percettibile.
-Mya, calmati. Dovrai essere in grado di controllarti quando sarai di fronte a David. Sono preoccupato, l'ultima volta era così nervoso...-
Poi alla radio...
Each morning I get up I die a little, can barely stand on my feet...”. I Queen. Mya ebbe motivo di sorridere. Mick chiese all'autista di alzare il volume e, dopo qualche parola che uscì esitante dalle loro bocche, iniziarono a cantare la canzone a squarciagola.

-Allora io scendo, d'accordo?- chiese Mick a Mya, tenendole la mano. Mya annuì e, non dopo averle indicato il telefono per ricordarle del piano, Ronson scese dal taxi.
Dal finestrino scuro Mya poteva vedere Mick avvicinarsi alla porta d'ingresso della casa di David ed entrare, accolto dal padrone di casa.
Di cosa si stessero dicendo, lei non aveva la più pallida idea. E le mani le tremavano, sentiva le unghia deboli strette nel suo pugno. Il respiro sempre più pesante e frammentato, il calore dietro il collo.
Che agonia.
E poi il telefono. La voce di Mick. Voleva dirle di andare. E andò.

La neve si stava posando, si era giunti già a tre centimetri di spessore. Il vento schiaffeggiava gli alberi e tutto sembrava in procinto di volare via.
Tutto tranne Mya, che appariva così pesante nella fredda neve che ora la stava ricoprendo. Tutto tranne David, inginocchiato accanto al corpo esanime della donna che, comprendeva appieno solo ora, aveva amato inconsapevolmente. Sempre.
-Mi dispiace... Mya...-. La abbracciava, la stringeva a sé, dondolandosi e soffocando singhiozzi, ingoiando neve e lacrime.

  
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