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Autore: RLandH    19/02/2015    3 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Il primo capitolo/prologo della storia, non ha avuto molto successo.
Dunque, avevo pensato di non continuarla, ma avevo capitoli a vegetare sul computer, siccome occupava spazio inutilmente, ho pensato di aggiornare lo stesso. In fin dei conti questo è il VERO PRIMO CAPITOLO
Pace e amore
RLandH

















Il Crepuscolo degli Idoli




July I




Il martini alla mela è più buono con l’ambrosia


Le vetrine dei negozi erano luminose e colorate e July non poteva davvero evitare di guardarle, non importava se aveva soldi appena sufficiente per mangiare, avrebbe volentieri speso tutto quello che aveva per un bel capotto soffice di magenta lucido, come quello che svettava davanti ai suoi occhi, sul manichino. Ai piedi spiccava in nero e bianco, una cifra molto alta che faceva venire i brividi. Lei aveva sempre avuto un buon gusto, anche da poveraccia come in quel momento, sembrava più che bene, con tante collane colorate al collo ed il vestito arancio con i pantaloni morbidi a vita alta di corallo. Vistoso, luminoso. Ma suo. Eppure la pelle si era seccata, le labbra screpolate, i capelli erano unti, lunghi, squamosi e triple punte sulla schiena, neri sulla cima e quasi ossigenati alla punta, ella stessa era disidrata, magra e segnata sul viso. Il ventre vuoto e la gola arsa.



Si allontanò dalla vetrina alla fine. Chiudendo il cappotto dei grandi magazzini che aveva rubato ad una svendita fino al collo. Il padre di July gestiva una casa di moda, l’aveva ereditata da sua madre, e da che ne aveva memoria, lei aveva sempre vestito bene, avuto un ottimo gusto per le mode, un passo avanti a tutto e certamente non aveva mai avuto problemi economici. Erano poche le persone che potevano permettersi caviale e patè per brunch. Aveva anche partecipato alle più svariate prime internazionali di film, si ricordava ancora la sua foto con Tristan McLean sul tappeto rosso, quell’uomo era incredibilmente affascinante, specie per avere quasi l’età di suo padre ed una figlia di poco più piccola di lei. Aveva anche cercato di farci amicizia, si chiamava Piper, invitandola alle più svariate feste, ma alla fine aveva ottenuto nulla, anzi alla fine si era addirittura fatta arrestare. July aveva sentito la notizia dai telegiornali, si era chiesta quanto le sue amiche ne avessero riso; la figlia di uno degli attori più pagati di Hollywood si fa arrestare per furto di una BMW? Si i giornali scandalistici ne avevano parlato per giorni, così come avevano parlato della sua prima fuga di casa. July però l’aveva capita Piper, anche lei aveva un padre troppo occupato per curarsi di lei ed aveva fatto davvero di tutto per farsi notare. La differenza tra le due era che Tristan McLean aveva evitato che sua figlia finisse in galera, suo padre non si era preso neanche la briga di cercarla quando era andata via di casa. Entrambe le volte.




Racimolò i vari centesimi che le erano rimasti dall’ultimo scippo che aveva fatto ed era andata a comprarsi un panino da Subway, così per essere sicura di non svenire nei prossimi tre giorni. Aveva deciso di mangiarlo su una panchina vicino alla stazione degli autobus, così per godersi la frenesia delle persone che andavano e venivano e la compagnia dei barboni, erano anche simpatici quando qualcuno cercava di metterle le mani addosso o prenderle la giacca. Il suo preferito era quello che parlava dei mostri, tutti dicevano che era un vecchio pazzo, ma July aveva capito che era un semplice mortale parecchio sfigato che sapeva vedere attraverso la nebbia.


“Mio fiore di loto, non è che puoi darmi un po’?” aveva domandato per l’appunto il vecchio Hobb, venendo da lei, era curvo, con una barba grigia e crespa sul mento ed occhi affaticati e stanchi, indossava un lungo impermeabile macchiato d’olio, capelli lunghi, ma la parte superiore era quasi del tutto rasata. “Tieni Hobb” aveva detto. Non era sua abitudine essere cortese, con gli altri, ma il vecchio le piaceva abbastanza, anche perché nessuno sembrava curarsi di lui, “Sei sempre così cara” aveva detto quello, con un sorriso che sembrava incredibilmente bello per essere fatto da una bocca sdentata con pochi denti gialli. “Ti ho mai raccontato di quella volta che ho visto un ragazzo penzolare da un maxischermo in mutande?” domandò il vecchio, mentre si ingozzava del panino, un sopraciglia si alzò meccanicamente, “Questa me l’ero persa” rivelò alla fine con un sorriso scanzonato in viso. “Si a New York City, quasi un anno fa” rivelò Hobb, richiamando alla sua memoria quell’avvenimento, “C’era una gran bella donna vestita d’oro che cantava in maniera divina a Madison Square” rivelò con un sorriso nostalgico , “ E di tutto punto vedo questo tizio in mutande blu che penzola” aveva rivelato, “Io l’ho sempre detto che ci sono cose molto strane a questo mondo” aveva detto.
July aveva ridacchiato, finendo il suo panino, probabilmente Hobb aveva visto qualcosa riguardo la foschia che non era stato in grado di spiegarsi. Magari era qualche missione suicida dell’olimpo ed un bel mezzosangue si era trovato appeso in mutande, conosceva chi avrebbe riso di quella cosa. Mary si sarebbe fatta delle grasse risate, come quella volta che un telecino aveva annodato la sua coda attorno alla caviglia di Carter e quello era finito dritto nella piscina svuotata dove riposava il Drakon, se Rodriguez non fosse corso a salvarlo i mostri della Principessa Andromeda si sarebbero goduti mezzosangue arrosto quella sera, Tammy avrebbe gradito.


Alla fine aveva lasciato Hobb ai suoi deliri di mortale. July viveva ai margini della società, lavorava di mattina alle pulizie in un night quando gli ultimi clienti andavano via e le ragazze staccavano, per il resto del giorno andava a zonzo, rubacchiando qualche portafoglio e vivendo di stenti. Ecco cosa le aveva da offrire la grande Los Angeles. Sembrava così strano che appena due anni prima viveva nei grandi attici di quella stessa città. Ma dopo Manatthan, si era sentita un estranea nella sua vita, suo padre l’aveva accolta, spaventata, coperta di polvere e sporca di sangue. L’aveva avvolta in un coperta e stretta in un abbraccio e non aveva davvero fatto domande. Dopo il bagno più lungo della sua vita in cui, neanche per un istante, July aveva smesso di piangere, aveva dormito per due giorni interi, poi aveva infilato quanto più possibile in una borsa e se n’era andata, come aveva fatto quando Mary e Chris si erano introdotti nel suo attico. Lui aveva forzato la porta, July si era così spaventata che aveva strisciato fino dietro il divano e si era rannicchiata lì sperando di non farsi scoprire, di non piangere ed anche troppo pavida per arrivare al telefono e chiedere aiuto. C’erano telecamere all’ingresso del palazzo ed una certa sicurezza, eppure nessun allarme era scattato. “Ciao Coniglietto” le aveva detto Mary, piazzandosi davanti, la prima cosa che aveva registrato erano state la scarpe da ginnastica nere con le borchie d’oro, “I soldi s-sono-o n-nella ca-assa-aforte-e” aveva quasi miagolato lei, serrando gli occhi, sentendo le lacrime premere sulle palpebre, Mary si era chinata sulle ginocchia per mettersi alla sua altezza, aveva un viso fresco, dalla pelle olivastra e capelli ondulati scuri, non aveva l’aspetto di un criminale o almeno questo era quello che pensava una July che aveva vissuto tutta la vita sugli allori, “Ma noi non cerchiamo soldi, coniglietto” aveva detto con una voce fresca, “Noi cerchiamo te” aveva detto divertita. Era stato l’inizio di tutto, anche dell’amicizia più sincera che July avesse mai avuto. Ma a distanza di tempo era tutto finito.





Non era troppo lontana dalla stazione quando lo vide, un ragazzo, poco più grande di lei, aveva una matassa ingarbugliata di capelli castano scuro, indossava una giacca blu di una qualche squadra di football, con il nome di quest’ultima ricamata sulla schiena ed dei pantaloni larghi di jeans chiaro, con una catena appesa. Era davanti un cofano aperto di una macchina che sembrava interrogarsi su cosa fosse successo. July si era avvicinato, aveva un viso mascolino, un accenno di barba sulle guance, un profilo greco ed era bello. Alto, con il torace ampio ed un accenno di muscoli che la giacca non riusciva a nascondere ed aveva dei begli occhi verdi, come il mare. “Che è successo?” aveva domandato, indicando il parabrezza aperto, lui aveva sollevato le sopraciglia arcuate, come se fosse stupito al fatto che una ragazza potesse aiutarlo in qualche modo. Ma July era brava a riparare, quando era sulla Principessa Andromeda aveva speso molto tempo tra le fucine con i ciclopi, in cui aveva mostrato una certa bravura, Mary aveva ipotizzato potesse essere figlia d’ Efesto. Peccato che un padre lei lo avesse. “Credo sia defunta” aveva detto alla fine il ragazzo stizzito, tirando un calcio al paraurti, arrabbiato nero. “Posso dare un’occhiata?” chiese, “Sei in grado di animare questa creatura infernale?” domandò abbastanza sconvolto il ragazzo. No, non lo era, ma per far zizzania a scuola si divertiva a sabotare le macchine. Non rispose al ragazzo, ma si piegò semplicemente per guardare quello che c’era dentro. Come detto in precedenza, non era gentile, ma lui era davvero attraente.




“Dovresti cambiare il solenoide(*)” aveva detto alla fine, dopo un leggero esame, indicando il filo attorcigliato, “Non sarà una bizzarria d’Apollo?” aveva detto il ragazzo schifato, “No, no. E’ un filo condut …” stava rispondendo July quando si era fermata di colpo, “Apollo?” aveva domandato confusa, il ragazzo s’era fatto livido in viso, “E’ solo … devo andare” disse quello, di fretta aprendo la portiera della macchina con non poche difficoltà, ne era sceso uno snello cane nero, da arcigni occhi vermigli, “Sirio, sali su questo affare” aveva ringhiato il padrone, ma il cane non ne voleva sapere ed aveva cominciato a sgranchirsi tutto, “Senza il solenoide non puoi fuggire” aveva spiegato July, avvicinandosi al ragazzo, “Diciamo che sono ben consapevole di cosa nasconde questo mondo” aveva detto cercando di tranquillizzarlo, quello aveva annuito quasi rincuorato, “Sono così corto di cervello a volte” aveva mormorato il ragazzo, “C’è un meccanico a due isolati” aveva risposto la ragazza, cercando di rincuorarlo, dandoli anche un buffetto sulla spalla. Quel ragazzo era davvero molto bello, ma seriamente, non era sua abitudine aiutare la gente, soprattutto i probabile mezzosangue che avrebbero potuto metterla in rischio mortale. July aveva chiuso. O almeno lo sperava. Così continuò per la sua strada, il ragazzo la inseguì comunque, “Volevo dirti grazie” aveva commentato quello con un sorriso splendente, aveva una fila di denti bianchi davvero splendidi, “Prego” aveva detto lei, prima di girare i tacchi e darsi alla fuga.





Aveva continuato a camminare per la strada, rimuginando se avesse dovuto o meno aiutare di più il ragazzo decisamente affascinante, quando una limousine rallentò proprio nella sua prossimità, ma la ragazza diede segno di non farci caso, non voleva fermarsi, era vero si pieno giorno, ma l’ultima macchina che le si era fermata le aveva chiesto quanto volesse ed era un esperienza che l’aveva abbastanza scossa. Aveva infilato le mani in tasca e tirato dritto, ma la limousine aveva continuato a muoversi alla sua stessa velocità. Alla fine July si era fermata ad aveva aspettato, la limousine aveva finito per fermarsi qualche metro più, osservandola la ragazza aveva notato che non era eccessivamente imponente e lussuosa, era completamente nera, ma i finestrini erano oscurati di verde acido, sulla targa posteriore c’era scritto qualcosa in quello che aveva pensato fosse greco antico, che il suo cervello aveva riorganizzato come Una Cosa Piccola All’Inizio. Arrivò alla macchina, dal posto di guida era sceso un piccolo uomo calvo con indosso l’uniforme da un’autista, aveva un bastone alla mano sinistra ed indossava una maschera di cera rossa che copriva gli occhi, troppo eccentrico per essere qualcosa di mortale. Aprì lo sportello posteriore, “Andiamo signorinella, non ho mica tutto il giorno” aveva detto quello frustrato, con un tono di biasimo nella voce, July era entrata nella macchina e si era accomodata su sedili di pelle bianchi, mentre alle sue spalle la portiera si serrava.




Dall’altro lato della limousine che sorseggiava un martini alla mela, c’era una donna, vestita di nero morbido, con disegni luminosi che punteggiavano di bianco e linee sottili di grigio scuro a definire una scacchiera, aveva orride scarpe a punta che sembravano pantofole ma con un tocco d’eccentrico avevano piume che si incurvavano verso il piede costellato da perle, aveva capelli così scuri da sembrare inchiostro colato, raccolto in lunghe trecce, una fascia d’onice e perle circondava il crine e la fronte bianca, bracciali d’oro nero come serpenti ai polsi ed un sorriso stirato sul viso. Aveva un volto appuntito, con un naso dritto e sporgente, priva di una qualche bellezza, tranne i grandi occhi castani, circondati da lunghe ciglia, un dettaglio insignificante, eppure che la fece sentire un calore nel petto. July somigliava a suo padre, ogni dettaglio, dalla pelle bronzata al sorriso di perla incastrato in labbra carnose, ogni cosa, ma non gli occhi, suo padre aveva freddi occhi piccoli di un verde intenso, ma lei aveva occhi nocciola, grandi e caldi, l’unica cosa che aveva ereditato da sua madre. Di lei July aveva ignorato tutto per gran parte della sua vita, fino a che Mary e Chris non erano venute a dirgli che probabilmente era una dea e questo aveva chiarito tutte le sue lacune. Dalla dislessia, l’iperattività e le strane cose che di tanto intatto le succedevano, senza dimenticare la mancanza totale di un genitore.




“Sei mia madre, vero?” domandò la ragazza con un filo di voce. La donna bevé un po’ del suo martini, “Servirebbe un po’ di Ambrosia o Nettare” aveva commentato con un filo di voce ignorandola, mentre la macchina si spostava. Dopo aver stropicciato le labbra, aveva cominciato a fissarla con insistenza, “Sei uguale a Lawrence” aveva detto secca, sorseggiando il suo drink, si, doveva essere sua madre, per forza. “Come ti ha chiamato?” aveva domandato con un tono curioso, “July” disse mortificata la ragazza, possibile che sua madre non si fosse interessata a lei neanche un po’ da sapere il suo nome. Quella strabuzzò gli occhi, “Che sdolcinato” aveva commentato acida, “Era il nome con cui mi sono presentata, all’incirca, Mavis July” aveva spiegato, “Era luglio ed onestamente non avevo voglia di un cognome migliore” aveva rivelato con un sorriso tirato, prima di allungare l’alcolico verso la ragazza, “Vuoi un po’?” aveva chiesto, ma quella aveva alzato le mani in segno di negazione. “Si, per rispondere a prima, sono tua madre, si” aveva risposto schietta, terminando l’ultimo sorso della sua bevanda e farlo svanire in un fumo viola.




July strinse le dita sulle gambe, quasi a strapparsi i pantaloni. “Per l’Ade quanto sei fragile ed io che ti credevo una tosta” aveva commentato la donna, “Mi pareva così dalle storie della battaglia di Manhattan” aveva ripreso la dea. July aveva gonfiato le guancia arrossate come mele mature, “Hai una gran bella faccia tosta” aveva sputato fuori lei, “Mi hai ignorato per tutta la vita!” aveva detto decisamente scaldata, con occhi di fiamma contro la donna, “E tu ti sei unita all’esercito di Crono” aveva risposto secca, “Nella speranza di vendicarmi” aveva commentato con rabbia July, quando aveva sentito il ragazzo con la cicatrice parlare di prendersi la loro agognata vendetta verso i genitori da cui erano sempre stati abbandonati ed ignorati, non aveva potuto evitare di sentire montare in se il desiderio di potersi vendicare. Sua madre sorrise in maniera sardonica, “Ma io ho combattuto con voi” aveva detto lasciva, “Certo Ares continua a tenermi il muso ancora adesso” aveva detto fra se e se, ma poi aveva scacciato il pensiero con tanto di gesto di mano, aveva limate unghia smaltate d’oro.



“Perché non me l’hai detto?” aveva domandato lei, “Così ti distoglievo. Che motivo avevi per odiare così tanto gli dei, se tua madre era bella a coccolarti” aveva detto acida la donna, “O peggio ti schieravi con gli dei per andare contro di me” aveva detto lagnosa, facendo comparire una lima e cominciando ad aggiustarsi le unghia tonde. “E quindi hai pensato di abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia. July rimase muta come un pesce a quelle parole, “Non sono mica Poseidone che è sempre lì a sostenere quel suo figlio con il cervello annacquato” aveva detto sgradevole, mordendosi un labbro, riferendosi a Percy Jackson, l’eroe, “Insomma quale ritardato animale marino rinuncerebbe all’essere Dio?” chiese retorica, alzando un arcuato sopraciglio scuro.
“Posso chiederti esattamente chi sei?” domandò alla fine, la donna sollevò lo sguardo, “Una domanda intelligente” commentò divertita, “Hai davvero bisogno di chiederlo?” aveva domandato con un sorriso sardonico, “Ti ricordi quando in quarta elementare hai scritto un messaggio a Jamie Young da parte della sua amica Lisbe in cui le riferivi che la terza del loro gruppo diceva cose cattive su di lei. Solo per portare discordie tra loro? O quando hai fatto credere alla tua matrigna che tuo padre avesse un amante?” aveva chiesto divertita la donna, July sorrise istintivamente, sua madre aveva fatto finta di non sapere il suo nome, o forse non lo sapeva davvero, ma conosceva fatti della sua vita, così vecchi da sembrare una vita fa, “Anche se la mia preferita e quando hai rubato una scarpa a tutti i mezzosangue sulla principessa Andromeda e le hai nascoste nella stanza di un ciclope” aveva ripreso la dea, “Comprese le tue, tranne quelle di Luke Castellan e Jack Evandor” aveva ripreso la donna.
Anche July aveva annuito, lo ricordava bene, aveva evitato il primo per non coinvolgerlo, tutti temevano Luke, ma il secondo era il suo capro espiatorio, non sapeva perché ma era stato a pelle l’odio verso il ragazzo e per tutto il tempo della permanenza sulla nave da Crociera si erano dati battaglia, l’unico con ancora le scarpe, era stato ovvio che dessero a lui la colpa. Evandor l’aveva capito che era stata lei, non aveva detto nulla, ma durante un allentamento le aveva rotto un braccio di proposito, se possibile July l’aveva odiato di più. L’aveva odiato ogni giorno. Per tre anni. Eppure la notte prima della battaglia di Manatthan ci aveva fatto l’amore e si era chiesta quanto in realtà l’avesse amato, forse, Jack l’aveva detto ti amo una volta. Una sola. La sua testa era sulle ginocchia, una mano di July era sul suo petto, dove lui la teneva con la sua, l’altra era sul suo viso, l’ultima libera di Jack tenedeva a lei, al suo viso. Avrebbe dovuto chinarsi, baciarlo, dirgli anche io. Con l’inferno della battaglia che dipanava in ogni dove, July era stata in silenzio, aggrappandosi alla sua ultima immagine e alle sue ultime parole ed aveva pianto. Qualcuno l’aveva tirata via per i capelli, affinché si staccasse dal corpo, in tempo per evitare che una freccia la colpisse nella giugulare.



“E poi c’è da chiedersi perché non aiuto mai i miei figli” si lamentò la dea, schioccando le dita per risvegliare July dai suoi pensieri, “Scusa” disse pentita la ragazza, scacciando l’immagine di quel ragazzo dalla sua vita, ignorando il rosso che immaginava sulle sue dita, “Hai capito chi sono?” aveva domandato maliziosa, la donna, “Una che ama il caos ed i conflitti” aveva detto lei intelligentemente, “Akribes(**)” aveva riso quella, “Ecco a te la meravigliosa signora del Dolore, la dea della discordia, Eris” si era decantata con gloria la donna, quasi fosse una poetessa. Bene, July era la figlia del conflitto ed onestamente non se ne stupiva, era esattamente la madre adatta e la compagna ideale di suo padre, immaginava nel tempo speso assieme quanto dovevano essersi divertiti a creare problemi alla gente. “Ti sei avvicinata a mio padre per il cognome?” domandò poi, dopo un pensiero buffo, “No. Però ho influito” aveva scherzato la dea, “Lawrence Goldenapple” aveva detto con divertimento.



Eris aveva allungato la lima a sua figlia, “Prendila” le disse schietta, “Non è mia abitudine aiutare, ma quando lo faccio tendo a farlo bene” aveva spiegato con un sorriso sghembo. July prese la lima con un movimento cauto, “Sei il terzo figlio che aiuto in tutta la mia vita” aveva tenuto a precisare, “Solo te, Griet e Walter” aveva detto secca lei, “A lei ho dato un orecchino, a lui un pennello” aveva spiegato, “E a me la lima?” domandò la ragazza osservando l’oggetto. Eris mosse le spalle, “Prendi anche questo” aveva detto allungandoli quella che sembrava una bottiglietta di vetro, era colorata di nero e come etichetta aveva un adesivo che lo percorreva intorno di color giallo pergamena con svariate figure nere. “Sai perché ti aiuto?” aveva domandato Eris con un sorriso amichevole, July aveva taciuto, “Perché lasciata a te sei una cosa insignificante ma stimolata …” aveva detto lasciando in sospeso la frase, mentre la vettura sembrava arrestarsi, “Ed io lo sto facendo, nella speranza di vederti compiere grandi falcate e con la testa toccare i cieli” aveva confidato la dea. “Ma che devo fare?” aveva domandato July confusa, stringendo la bottiglia al petto, “Non abusare della mia generosità” l’aveva punzecchiata la donna, mentre la portiera accanto a lei si era aperta, “Devo capirlo da me, eh?” aveva chiesto retorica la semidea, “Nasci, vivi e muori da sola, lo sai” le aveva risposto Eris e la ragazza era uscita dalla macchina.


L’uomo calvo l’aspettava fuori dalla portiera, “Se vuole un consiglio spassionato, cerca il ragazzo con il sonno più profondo” aveva risposto l’uomo, chiudendo lo sportello e tornando al posto del guidatore, la macchina era partita e poi si era persa in una nuvola viola. July era rimasta sul marciapiede con una lima ed una bottiglietta sospetta in mano. Quando si guardò intorno si accorse che non era a Los Angeles. “Ed ora dove sono per la gloria di Crono?” imprecò pestando i piedi per terra presa dall’irritazione. Sua madre l’aveva portata chi sa dove, le aveva detto che andava stimolata e le aveva dato una lima e una bevanda, non aveva nulla se non i dieci dollari rubati la mattina ed un inutile consiglio di un’autista ridicolo. Si sua madre doveva adorare il caos, quasi preferiva ritornare a quando la ignorava apertamente. “Vi odio tutti!” gridò, digrignando i denti, battendo i piedi ancora, non sapeva neanche chi diavolo stava odiando, provava solo una grande rabbia e si forse sua madre aveva ragione, si sentiva più imponente. E poi … si sedé sul marciapiede e incastrò la testa tra le gambe e sperò di tramutarsi in pietra e scomparire, anzi che Zeus la fulminasse, seduta istante, in lontananza le parve di sentire un tuono, ti pareva che doveva essere la volta buona che qualcuno ascoltasse i suoi lamenti?




“Signorina, sta bene?” domandò un ragazzo inginocchiandosi al suo fianco e posando una mano sulla sua spalla, July mosse appena lo sguardo e vide che per aiutarla aveva posato la sua spesa per terra, una mela verde così chiara da sembrare gialla rotolò tra i suoi piedi, era piccola da entrare in un pugno, proprio come aveva sempre immaginato dovesse essere il pomo della discordia, mancava solo la fogliolina in cima. Lo raccolse, ignorando il ragazzo e ne sorrise, “Si, si” gli disse, volgendosi per dargli la mela, ma quando incrociò un viso lentigginoso e due occhi verdi con borse marcate e capelli castani che ne scivolavano sopra, ed un espressione confusa. “Goldenapple?” chiese quello, “Torrigton(***)” sospirò lei. Il pomo scivolò via dalle sue dita, finendo per ruzzolare per terra ed ammaccarsi un po’.














































(*)Citazione da La Guerra Dei Mondi, all’incirca. Diciamo che è anche l’unico componente delle macchine che conosco, oltre il motore.
(**) Mi pare voglia dire: Esatto oppure Certo, in greco.
(***) Personaggio appartenente ad H. Riordan ed anche principale ispiratore di questa storia.
   
 
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