Ecco la mia ultima follia.
Che ci posso fare, ormai lui è diventato
la mia dolce ossessione.
Perciò gli dedico questo mio sogno, temo
irrealizzabile, anche se so che non la leggerà mai.
P.S. La storia è narrata prima dal punto
di vista di lui e poi da quello di lei e continuano ad alternarsi fino alla
fine…
Per te Gianni,
per ringraziarti di essere semplicemente
così come sei
e con la speranza che tu ti accorga di
quanto amore io provi per te.
Era una mattinata normale, noiosa forse.
Ero costretto a stare chiuso in casa a
preparare la tesi mentre avevo solo voglia di uscire in quella gelida mattinata
autunnale.
Non ero pazzo.
Fuori faceva freddo e c’era l’aria da
neve ma il cielo era terso, neanche una nuvola oscurava quell’azzurro così
limpido.
Rassegnato mi sedetti alla scrivania e
iniziai a lavorare alla tesi.
Poco dopo il cellulare suonò.
Lo lasciai squillare, era sicuramente un
messaggio, l’avrei letto dopo.
Ma col terzo squillo capii che qualcuno
mi stava chiamando perciò allungai una mano per prendere il telefono.
Lanciai un’occhiata al display per
vedere chi era che chiamava e rimasi stupito.
“Pronto?” dissi aprendo la
comunicazione.
“Gianni?” sussurrò di rimando una voce
flebile.
“Francy, tutto bene?”
“Ehm… a dire la verità no. Ti chiamo da
scuola…credo di avere la febbre e sono stata poco bene, i miei genitori sono
fuori città dai miei nonni fino a stasera…puoi venirmi a prendere?”
Sgranai gli occhi.
Pensai rapidamente a cosa risponderle ma
evidentemente fui troppo lento perché la stessa voce chiese di nuovo: “Gianni?”
Mi riscossi.
La voce non era delle migliori, potevo
addirittura immaginarla pallida e debole, con il viso stanco…
“Certo, vengo io. Ma serve una delega?”
chiesi.
“No. Ho spiegato la situazione alla
professoressa e ha detto che i miei genitori dovranno poi scrivere che tutto è
andato per il meglio e che la scuola è sollevata dalle responsabilità nei miei
confronti”.
“Va bene. Arrivo, ciao”.
“Grazie, ciao”.
Chiusi la comunicazione e fece un grosso
sospiro.
Andarla a prendere a scuola.
Così sarei sembrato suo padre…
Poi realizzai che oltre ad essere malata
aveva quel problema al ginocchio: era proprio messa male!
Buttai sul letto gli indumenti da casa e
infilai velocemente una felpa e un paio di jeans: mi stava aspettando.
Ero seduta su una sedia e battevo i
denti.
Avevo terribilmente freddo e mi sentivo
malissimo.
Oltre al dolore costante al ginocchio mi
sentivo la testa leggera, troppo leggera.
La professoressa mi aveva quasi
costretta ad andare a casa, solo che non sapevo chi chiamare visto che i miei
genitori non c’erano.
Poi mi era venuto in mente lui, l’unico
che forse avrebbe accettato.
Era una pazzia ma dovevo provarci.
Volevo solo mettermi sotto una coperta e
dormire…
Qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” esclamò la professoressa.
La bidella entrò nella classe e dichiarò
che dovevo uscire.
Finalmente.
Mi alzai a fatica sia per via del
ginocchio sia per il giramento di testa e presi la cartella.
Salutai le sue amiche con un sorriso e
ringraziai la professoressa.
Poi chiusi la porta dietro di me e mi
preparai ad vedere lui.
Che vergogna.
Mi fu consentito di prendere
l’ascensore.
Quando le porte si aprirono feci i pochi
passi che la separavano dall’atrio col cuore in gola.
Malata, ginocchio a pezzi e
ansia…perfetto.
Trasalii quando vidi la sua figura
stagliarsi contro la luce mattutina.
“Ciao” mi disse.
Aveva una voce dolce: preoccupata ma
rassicurante al tempo stesso.
“Grazie…”
“Shhh…vieni, possiamo andare. Ho già
firmato tutto” mi prese la cartella dalle spalle e mi scortò lentamente fuori.
“Cosa ti senti esattamente?”le chiesi
apprensivo.
“Molto molto freddo, la testa leggera e
mal di gola…”
Sorrise.
“Ma vedo che tutti questi sintomi sono
serviti per farmi fare un giro sulla tua TT…finalmente!”
Mi voltai a guardarla: anche così non
perdeva mai il suo solito entusiasmo.
Le aprii la portiera e la vidi sgranare
gli occhi.
“Si usa così no? Specie se sei malata…”
Mi guardò con quei suoi occhioni color
cioccolato lucidi per via delle febbre che molto probabilmente aveva.
“Grazie”.
Mio Dio, era bellissima.
Aveva le guance rosse e gli occhi
lucidi, il viso stanco e un’espressione sofferente ma era bella ugualmente.
Sembrava una bambolina indifesa, avvolta
nel suo cappotto e con il viso seppellito nella sciarpa.
Salii in macchina cercando di scacciare
quei pensieri.
“Ok, ora ti dico la strada per casa
mia…”
“Ma sei sicura che non ci sia nessuno da
cui puoi andare? Non è che mi vada che resti a casa da sola” dissi io.
Scosse piano la testa.
“Non devi preoccuparti, vado a casa, mi
metto sotto le coperte e dormo per un bel po’…quando mi sveglierò starò di
sicuro meglio”.
Mi lanciò un’occhiata che chiedeva
comprensione.
Assentii.
Guidai fino a casa sua e, una volta
fermata la macchina, scesi per aprirle la portiera.
Come fu in piedi sbiancò e tese le mani
in avanti.
Capii che stava per svenire.
Feci un passo in avanti e la presi tra
le mie braccia.
La strinsi a me nel tentativo di farle
passare il malessere.
Potevo sentire l’odore delicato dei suoi
capelli e il corpo bollente: aveva sicuramente la febbre alta.
Chinai il viso per guardarla e nello
stesso istante lei aprì gli occhi.
“Sto meglio, grazie” disse arrossendo.
Sentii che tentava di liberarsi dalla
mia presa ma, di rimando, la strinsi ancora più saldamente.
“Cosa credi di fare?”
“Andare a casa…” rispose lei.
“Non ci pensare nemmeno. Non ti lascio a
casa da sola, tu vieni da me” dissi deciso adagiandola sui sedili della
macchina.
Ero talmente fuori combattimento che non
protestai.
Mi lasciai far sedere sui sedili e
appoggiai la testa contro il vetro freddo del finestrino.
Lo sentii salire al mio fianco e poco
dopo la macchina si mise in moto.
“Ti da fastidio se accendo l’autoradio?”
chiese gentilmente.
“No” sussurrai “Basta che non metti
Giusy Ferreri”.
Rise piano.
La stazione radiò si sintonizzò sulle
note di “Hot and Cold” e sorrisi tra me.
Molte volte avevo pensato che anche lui
fosse un po’ così e ora mi sembrava così strano sentirla suonare nell’abitacolo
della sua macchina.
“Il ginocchio va meglio?” mi domandò.
Sbuffai.
“No…ma lunedì ho la visita, sai no?”
“Certo. Non me ne sono dimenticato…”
Il resto del tragitto lo trascorremmo in
silenzio, io perché ero troppo stanca per dire qualcosa e lui forse perché non
voleva disturbarmi.
Mi accorsi appena della macchina che si
fermava e della mia portiera che si apriva.
Mi accorsi invece che mi aveva sollevato
tra le sue braccia.
Riacquistai lucidità e domandai: “Ma
cosa fai?!”
“Ti porto su a casa. Uno, non voglio che
tu sforzi il ginocchio…due, non ho intenzione di farti svenire di nuovo. Ora
smettila di protestare!” disse gentile ma irremovibile.
Per tutta risposta affondai il viso nel
suo giubbotto arrossendo, pensando che grazie al cielo non poteva vedermi.
Non mi lasciò neanche per aprire la
porta di casa, nonostante facesse fatica ad infilare le chiavi nella serratura.
Quando finalmente la porta si aprì,
entrammo nell’ingresso e potei subito sentire un calore piacevole, grazie al
cielo non era una di quelle case vecchie dove faceva sempre freddo e umido.
Chiuse la porta con una spinta della
gamba poi mi adagiò dolcemente sul divano.
Nel farlo dovetti guardarlo in viso: era
decisamente affaticato.
Sorrisi.
“Non dovevi farlo…”
“L’ho fatto perché lo volevo”.
Mi zittii e mi sollevai per togliere il
cappotto.
Me lo tolse delicatamente dalle mani e
lo posò sull’attaccapanni lì vicino.
“Vorrei cambiarmi…posso?”
“Gianni, hai già fatto abbastanza. È
casa tua, fai come se io non ci fossi”.
Mi sorrise dolcemente e scomparve dalla
mia vista.
Sentii il rumore di una porta che si
chiudeva e mi adagiai sui cuscini.
Chiusi gli occhi tentando di captare
ogni più piccolo rumore ma non sentivo quasi nulla.
Rabbrividii.
Forse non era stata una buona idea
togliere il cappotto.
Nell’istante stesso in cui aprii gli
occhi vidi lui sbucare dal corridoio.
Rimasi senza fiato.
Era bellissimo.
Indossava una maglietta bianca a maniche
corte che risaltava i muscoli delle braccia, un paio di pantaloni neri della
tuta e dei calzini bianchi.
Era così…così personaggio di un film.
Non mi ero resa conto che tra le mani
stringeva una coperta.
“Ecco” disse mettendomela addosso.
“Come facevi a sapere che avrei avuto
freddo?”
“Ormai ti conosco” disse lui.
Era così piccola nascosta sotto quella
coperta che mi venne una voglia enorme di abbracciarla.
Resistetti a quell’impulso e mi diressi
in bagno.
Le portai il termometro e mi sedetti sul
divano ai suoi piedi.
Mi mostrò la temperatura: 38,2°.
Mi alzai, presi una aspirina e un
bicchiere d’acqua e glieli portai.
Si alzò a fatica e la aiutai a bere.
Mi sorrise dolcemente, poi chiese: “Non
voglio approfittarne ma…sto scomoda con i jeans…hai per caso qualcosa con cui
posso cambiarmi?”
Annuii.
“Aspetta, vado a prenderti qualcosa che
dovrebbe andarti bene”.
Vivevo con i miei genitori perciò
qualcosa di mia madre le sarebbe andato bene.
Aprii l’armadio dei miei e inspirai
l’odore familiare dei loro vestiti.
Presi un paio di pantaloni della tuta
rossi ma non trovai nessuna maglia che le potesse andare bene.
Decisi quindi di darle una mia felpa
nera: era abbastanza pesante da tenerla sufficientemente calda e anche se le
fosse stata un po’ grande avrebbe potuto rimboccarsi le maniche.
Le portai gli indumenti e la vidi
irrigidirsi…
Oddio, forse pensava fossero della mia
fidanzata.
“I pantaloni sono di mia madre, la felpa
è mia. Mi spiace ma non ho trovato altro” le dissi.
“Andranno a meraviglia” rispose “Posso
andare in bagno a cambiarmi?”
Annuii e la aiutai ad alzarsi.
Divenne di nuovo pallida.
La sorressi dietro la schiena e la
accompagnai fino al bagno.
“Grazie” sussurrò subito prima di
chiudere delicatamente la porta.
Non sapevo cosa fare per ingannare il
tempo.
D’altra parte era quasi ora di preparare
il pranzo ma non sapevo se aveva fame…
“Gianni?”
Era arrivata di soppiatto alle mie
spalle.
Mi voltai e non potei trattenermi dal
ridere.
“Ecco lo sapevo…sono orribile!”
“No…sei buffa ma bellissima”.
Arrossì.
E io mi diedi del cretino per averlo
detto ad alta voce ma vederla avvolta nella mia felpa mi aveva fatto venire
voglia di sostituirmi alla maglia e di darle io il calore di cui aveva bisogno.
“Francy…due cose: uno, ora telefono a
Rocco per dirgli che oggi pomeriggio non vado alla Sisport; secondo, cosa vuoi
per pranzo?”
Sgranò gli occhi poi si sedette sul
divano.
“Cosa vuol dire che non vai alla
Sisport? Ma no dai, non devi farlo per me!” esclamò.
“Sempre lo stesso discorso di prima…non
ho intenzione di lasciarti da sola. Passerai il pomeriggio qui assieme a me,
sarà una tortura lo so…ma il programma è quello!”
Sorrise.
Mi lasciai andare ad un sorriso anche io.
“Allora cosa vuoi per pranzo?”
Poco dopo ero raggomitolata sul divano
che lo osservavo cucinare.
Stavo meglio e avevo potuto osservare la
casa.
Il salotto era abbastanza grande ed era
collegato alla cucina ma, per dare un po’ più di privacy era stata messa
un’enorme libreria come parete.
Ero seduta su uno dei due divani che
erano presenti nella stanza, di fronte a me vi era un tavolinetto di legno e
oltre vi era un televisore al plasma.
In un angolo vi era una bellissima
pianta accanto ad uno stereo e, a metà tra il divano e la cucina, vi era un
grosso tavolo da pranzo di un legno lucidissimo.
Da dove ero seduta potevo vedere Gianni
cucinare.
Si muoveva abbastanza disinvolto tra il
frigorifero e i fornelli ma, memore delle nostre chiacchierate sul cibo, pregai
che non mi avvelenasse.
“Oi…”
Persa com’ero nei miei pensieri quando
mi riscossi me lo trovai di fronte.
“Questo è il sugo della pasta…va bene?”
Guardai ciò che vi era nel piatto:
pomodorini freschi e olive verdi.
“Si, va benissimo. Fai gli spaghetti?”
Sorrise.
“Se hai voglia di quelli si…”
Aveva uno sguardo dolcissimo e mi
perdetti nei suoi occhi.
Poi mi ripresi e gli dissi: “Se vanno
bene anche a te vada per gli spaghetti”.
Tornò in cucina per posare il piatto poi
riapparve davanti a me con un porta cd.
“Scegli la musica…ti va?”
Annuii, prendendo la scatola dalle sue
mani.
Sbirciai tra i vari cd e mi accorsi che
c’era di tutto: John Legend, Tiziano Ferro, Green Day…poi finalmente trovai
quello che cercavo.
“Lifehouse” disse lui poco dopo,
mettendo il cd nello stereo. “Bella scelta”.
“Speravo ti piacessero…abbiamo gusti
così differenti…” sussurrai di rimando.
La musica si spanse dolcemente per la
sala e mi lasciai cullare da quelle note mentre Gianni riprendeva a cucinare.
“Te la senti di alzarti?”
Annuii e provai a sollevarmi dal divano
ma, non appena fui in piedi, rabbrividii e mi sentii mancare.
Se ne accorse e mi intimò di sedermi.
Non protestai e mi riaccoccolai sotto le
coperte.
Poco dopo venne in salotto e avvicinò il
tavolino al divano, ci posò sopra una tovaglia candida e apparecchiò con un
bicchiere, una bottiglia d’acqua e poco altro.
Poi mi aiutò a sedermi sui cuscini.
“Così va bene? Ti fa male il ginocchio?”
“Mai stata meglio…”
Scoppiò a ridere e lo guardai
incuriosita.
“Scusa…è che sei malata, mi riesce
difficile credere che tu non sia mai stata meglio!”
In effetti non aveva tutti i torti,
peccato che io mi riferissi al fatto di essere lì con lui.
Sorrisi e mi versai un bicchiere
d’acqua.
Poi lo vidi venire verso di me e mi feci
andare l’acqua di traverso.
La vidi tossire e posare il bicchiere a
fatica.
Poi mi rivolse uno sguardo scioccato.
Mi sedetti sul divano e le tesi il
vassoio.
Vi avevo messo sopra il piatto con la
pasta, le scaloppine fatte da mia madre, un bicchiere di spremuta e un vasetto
con un ramoscello di fiori bianchi.
“Ma non dovevi…è proprio vero che a
volte sembri uscito da un film!” mi disse.
Le accarezzai la fronte.
“Mangia, adesso arrivo anche io”.
Andai in cucina e presi il mio piatto
poi mi accomodai per terra, avrei usato il tavolinetto come piano di appoggio.
“Programmi per il pomeriggio?” mi chiese
poco dopo posando la forchetta.
Scossi la testa.
“No. Te l’ho detto, ho chiamato Rocco”.
“Beh, avrai altro da fare…”
“In effetti dovrei andare avanti con la
tesi ma non è un problema”.
Sospirò.
Doveva aver capito che se mi mettevo qualcosa in testa era difficile
convincermi del contrario.
“E quindi vorresti perdere tutto il
pomeriggio a cincischiare con me?”
Le feci la linguaccia e le dissi: “Stai
insultando anche te stessa sai?”
Mise su un broncio adorabile poi riprese
a mangiare.
Poco dopo sparecchiai e le portai una
ciotolina di gelato per dolce.
“Mia mamma dice sempre che è ottimo per
chi ha la febbre…” le dissi sedendomi sull’altro divano.
Mi sorrise.
“Grazie, davvero. Non dovevi fare tutto
questo…”
Le lanciai un’occhiata che la fece
scoppiare a ridere, poi iniziò a mangiare il gelato.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di
dosso perché era davvero bellissima: le guance leggermente arrossate, gli occhi
lucidi ma un bel sorriso su quel viso da fata…
Uscii dai miei pensieri quando posò la
ciotola sul tavolino, provocando un rumore sordo.
Mi alzai e la portai in cucina.
Mentre sciacquavo i piatti le chiesi:
“Allora…cosa vuoi fare?”
Non mi rispose.
Quando tornai di là vidi che aveva gli
occhi chiusi.
Raggomitolata sotto quel plaid pesante e
con un’espressione più serena sul viso sembrava quasi una bimba che aspetta la
mattina di Natale e, la notte, sogna già i regali del mattino.
Sorrisi dolcemente.
Cercai di fare meno rumore possibile e
mi trasferii in camera a scrivere la tesi così sarebbe stata contenta.
Passata un’ora e mezza avevo prosciugato
la voglia e le idee.
Molto silenziosamente tornai in salotto
e mi sedetti sul divano, le gambe rannicchiate sotto di me, e la osservai
dormire.
Quando si era allontanato avevo chiuso
gli occhi.
Poco dopo avevo sentito la sua voce
arrivarmi ovattata, ma non avevo avuto la forza per rispondere.
Riaprii gli occhi e me lo trovai seduto
sul divano che mi fissava.
Avvampai.
“Perché mi guardi?” bisbigliai.
Avevo paura di rompere quella strana
magia che sentivo nell’aria.
“Perché sei dolcissima quando dormi,
sembri così indifesa…e stando vicina a te mi sembrava di proteggerti in un
qualche modo. È stupido lo so…” disse abbassando gli occhi, quegli occhi che
avevo visto essere carichi di affetto.
Scossi la testa.
“Non è stupido…è…grazie” sussurrai
abbassando lo sguardo.
Ci fu un momenti di silenzio nel quale
mi sentii enormemente a disagio.
Poi mi issai a sedere.
In un attimo era accanto a me che
sistemava i cuscini.
“Che ore sono?”gli chiesi.
“Le cinque” mi rispose in un soffio.
Era così vicino che sentivo il suo
profumo…e ne ero inebriata.
“Ti senti meglio?”
Annuii.
Posò la sua mano sulla mia fronte e
sussultai leggermente.
Mi sorrise.
“Dovresti essere quasi
sfebbrata…menomale…”
“Già”.
Si alzò e fece ripartire il cd dei
Lifehouse.
“Ti vanno bene?” domandò.
“Certo. Ma se a te non vanno bene cambia
pure”.
Scosse la testa.
In quel momento squillò il suo telefono.
“Scusami” disse e poi si spostò
nell’altra stanza per rispondere.
Nel frattempo pensai a quanto fosse
unico, ero convinta che nessun altro avrebbe fatto certe cose per me.
Grazie al cielo mi era venuto in mente
di chiamarlo.
Arrossii al solo pensiero: quanto ero
pazza!
“Senti…devo fare ancora una telefonata
ma prima vuoi qualcosa?”
“Una tazza di the e un libro se
possibile…”
Annuì poi sbuffò scherzosamente quando
gli dissi che se aveva l’Earl Grey era meglio.
Mise su l’acqua poi mi chiese che libro
volevo leggere.
“Cosa mi consigli?”
Si posizionò davanti alla libreria,
scorse i titoli dei volumi poi ne prese due.
“Ecco” disse posizionandomeli in grembo.
“Uno è la storia romanzata di un pittore e l’altra è una storia d’amore
ambientata ai tempi della guerra di Secessione in America”.
Lessi le due trame e quando scelsi
quello che volevo leggere me lo ritrovai di fronte con una tazza ricolma di
liquido ambrato e bollente.
Lo ringraziai e la presi, poi mi immersi
nella lettura.
Mi chiese una tazza di the,
rigorosamente Earl Grey, con quei suoi occhi luminosi e non potei impedire a me
stesso di prepararglielo.
Poi le consigliai due libri che mi
avevano affascinato e che speravo affascinassero anche lei.
La lasciai lì sul divano e mi diressi in
camera mia dato che dovevo telefonare a un mio amico col quale dovevo allenarmi
a tennis.
Dopo averlo chiamato mi sedetti un
attimo sul letto.
Presi la testa tra le mani e respirai a
fondo.
Il semplice fatto di averla in casa mia,
malata, mi faceva venire voglia di costringerla a rimanere per sempre.
Il mio cellulare suonò.
Stavolta era un messaggio.
Della mia ragazza.
Mi chiedeva se stavo bene e cosa stavo
facendo.
Mi sentii tremendamente in colpa nel
risponderle che non ero andato alla Sisport perché avevo un gran mal di testa.
Per precauzione le scrissi di non
passare da me perché tanto sarei andato a riposare.
Gettai il cellulare sul letto con un
sospiro e tornai in salotto.
Sulla porta mi bloccai.
Era lì, raggomitolata sotto il plaid con
il libro in grembo e la tazza in una mano.
Ogni tanto beveva un sorso o spostava un
ciuffo di capelli particolarmente ribelle dietro l’orecchio.
Era…magnifica.
Sembrava una protagonista di un libro
dell’Ottocento.
Sembrava fragile.
Sembrava…mia.
Quell’ultimo pensiero mi mozzò il
respiro.
Alzò lo sguardo dal libro.
“Che c’è?” domandò.
“Niente. Stavo solo pensando”.
“Che novità”.
Le feci una linguaccia poi le presi
dalle mani la tazza, ormai vuota, e la posai nel lavello della cucina.
“Ti piace il libro?” le chiesi.
Annuì.
“Te lo presterò allora. Che ne dici di
guardarci un film?”
Rise.
“Se mi proponi di guardare i Tranformers
scappo urlando”.
Risi anche io.
“No no giuro. Cosa vorresti vedere?”
Mise su una faccia pensierosa, poi sparò
una serie di titoli.
“Eh?...Mai sentito!...Neanche morto!”
furono i miei commenti.
Sbuffò.
“Ma che cavolo non ti va mai bene
niente!” disse.
“L’amore non va in vacanza…non l’ho mai
visto, ma mia madre me lo ha consigliato…” proposi.
“Ah si…l’hanno dato in tv qualche tempo
fa ma non l’ho mai visto”.
Presi la custodia del dvd e inserii il
dischetto nel lettore.
Poi mi riaccomodai sull’altro divano.
“Non vuoi sederti qui? Ti lascio il
posto…e così se hai freddo puoi metterti sotto la coperta…”
Arrossì.
“Sicura?” chiesi.
Fece cenno di sì con la testa.
Solo allora mi alzai e mi sedetti
accanto a lei.
Mi accovacciai con le gambe sotto di me
e mi coprii con un lembo di plaid.
“Buona visione” le dissi.
“Buona visione” disse dopo essersi
seduto accanto a me.
Ero stata pazza a proporlo?
Evidentemente si.
Cercai di concentrarmi sul film e non
sul calore che il suo corpo, a pochi centimetri dai miei piedi, emanava.
Purtroppo il film però non sembrava
essere adatto perché, già cinque minuti dopo, avevo le lacrime agli occhi per
un discorso della protagonista sugli amori non corrisposti.
Sperai non se ne accorgesse ma,
sfortunatamente non fu così.
“Tutto bene?” chiese.
Annuii, incapace di proferire parola.
Mi sorrise dolcemente e mi sfiorò una
guancia arrossata con la mano fredda.
Mi imbarazzai ma tentai di fare finta di
niente.
Continuammo a vedere il film ma, per via
di una contrazione involontaria, sfiorai la sua gamba con i miei piedi.
“Tesoro ma sono gelati!” mi disse.
E poi mise le mani a coppa attorno ad
essi per tentare di scaldarli.
Era un gesto talmente affettuoso che mi
commossi di nuovo.
Passammo tutto il film così, coi miei
piedi tra le sue mani.
Ogni tanto mi accarezzava anche le
caviglie, provocandomi dei piccoli brividi.
Oltre la metà del film, nella scena
della cerimonia per il vecchio attore, eravamo tutti e due col fiato
sospeso…era una davvero bellissima.
Quando scorsero i titoli di coda sullo
schermo spostò una mano dai miei piedi per prendere il telecomando e sentii il
freddo esterno.
Sospirai.
“Ti è piaciuto?” domandò.
“Molto” risposi io, sentendomi parte
della scena finale di Dawson’s Creek.
“Anche a me”.
Si sporse verso di me e mi sfiorò la
fronte con la mano gelida.
Si scostò e mi fisso a lungo negli
occhi.
Poi, molto lentamente, si avvicinò al
mio viso.
Smisi di respirare.
Voleva forse baciarmi?
Si avvicinò ancora un po’.
Volevo baciarlo anche io, ma ero
impietrita.
Mi lanciò un’ultima occhiata per sondare
le mie volontà.
Poi posò le labbra sulle mie.
Fu un bacio corto, delicato, ma che mi
lasciò ugualmente senza fiato.
Quando le nostre labbra si separarono
tornò a guardarmi.
“Io…” disse, poi gli morirono le parole
in gola.
Mi tirai a sedere accanto a lui e posai
la testa sulla sua spalla.
Non volevo dire niente perché avevo
paura di quello che avrebbe potuto dirmi lui.
Stette immobile per un minuto poi mi
circondò con un braccio e mi strinse a sé.
Mio Dio!
Ero davvero impazzito!
Ma il film che l’aveva commossa, i piedi
freddi, lo scambio di battute finali, l’atmosfera…mi avevano indotto a
baciarla.
E lei mi aveva lasciato fare.
Anche se dopo mi aveva guardato,
confusa.
Cercai di spiegare il mio gesto ma mi
bloccai.
Mi scostai da lei e fissai il legno
lucido del tavolino di fronte a me.
Un secondo dopo si mise a sedere accanto
a me.
Stette in silenzio, poi appoggio il capo
sulla mia spalla.
Non sapevo cosa fare…se rassicurarla o
fare finta di nulla.
Agii di istinto e le passai un braccio
attorno alla vita per stringerla a me.
Inspirai profondamente e mi voltai a
guardarla.
Era decisamente spaventata e perplessa.
“Francy?” sussurrai a malapena.
“Si?”
“Scusa…non doveva succedere!”
Avevo detto la cosa sbagliata.
Le si riempirono gli occhi di lacrime.
Si allontanò da me come se fossi
incandescente e si rannicchiò all’altro capo del divano.
Non mi guardava.
Quando la prima lacrima scese sul viso
se la asciugò con un gesto stizzito.
Fece un respiro profondo poi mi chiese:
“Perché?”
“Perché cosa?”.
Sollevò la testa.
“Perché mi illudi così? Possibile che tu
non abbia mai capito nulla di quello che provo? Sei cieco o solo stronzo?”.
Sussultai.
Quelle parole mi avevano colpito come
una lama di ghiaccio.
Tentennai.
“Allora?” la sua voce si era fatta più
sicura e arrabbiata.
“Io…io credo di non essermene accorto
fino a questo momento…”
“Fantastico!” sbottò.
Mi avvicinai.
“No, aspetta…Credo di non aver mai
capito che anche tu sei importante per me. Avevo iniziato a comprendere
qualcosa quando avevo letto la tua lettera prima di partire per l’America. Mi
avevi emozionato molto…poi in quel viaggio con la mia ragazza cercavo di non
pensare a te ma ogni luogo che incontravo pensavo ti sarebbe piaciuto…A
settembre credevo di impazzire quando ci siamo rivisti. Poi piano piano ho
messo da parte quella sensazione che sentivo per concentrarmi sulla mia
ragazza. Fino a poco fa…”
La guardai.
Rimase in silenzio per un attimo poi
esclamò: “Stai forse dicendo che hai fatto di tutto per negare a te stesso di
provare qualcosa per me?”
Scossi la testa.
“Non è che me lo sono negato…non ho mai
approfondito il pensiero, se no me ne sarei reso conto molto prima!”
“E di cosa, di grazia?”.
Mi avvicinai ancora un po’ e le posai
una mano sulla gamba.
La guardò ma non si ritrasse.
“Che il nostro rapporto ha superato da
molto la soglia allenatore-allieva. E mentirei se ti dicessi che il bacio di
poco fa non ha significato nulla…”
Iniziai a tremare.
Cosa voleva dire con quelle parole?
Aprì le braccia, non so se in un gesto
di scoramento o per qualche altro motivo.
Fatto sta che mi buttai su di lui e
allacciai le braccia alla sua schiena, posando il viso sui suoi addominali.
“Ma…?”disse lui stupito.
Poi però mi abbracciò a sua volta e mi
accarezzò la schiena con le mani.
“Francy, credo di essermi innamorato di
te. So che è stupido averlo realizzato solo adesso ma è così…”
Alzai il viso senza smettere di
stringerlo.
“E con la tua ragazza? Cosa farai?”
Mi accarezzò una guancia.
“Secondo te sarei capace di stare con
tutte e due assieme? Le dirò che tra noi è finita…forse se lo sentiva anche lei
visto che in questi tempi o litigavamo o mi stava appiccicata fino a farmi
innervosire!”.
Mi scappò un sorrisino involontario.
“Ah!” esclamai subito dopo.
“Che c’è?” chiese lui preoccupato.
“Mi fa male qui!” dissi indicandomi con
la mano il collo.
Mi posò un bacio delicato.
“E qui no?” sussurrò baciandomi la
clavicola.
“Qua senti dolore?”
Mi baciò la fronte, poi le guance e poi
di nuovo le labbra.
Ero più preparata questa volta e feci
sprofondare una mano tra i suoi capelli, godendomi quel bacio così romantico.
Quando si staccò da me gli sorrisi e gli
accarezzai il viso.
Poi posai una mano sul suo petto e mi
allungai per mormorargli all’orecchio: “Non mi lasciare…ho bisogno di te!”.
“Mai” disse lui per tutta risposta.
Mi sollevò agilmente e mi mise sulle sue
gambe.
Una volta lì lo circondai con le braccia
e lui fece altrettanto.
Ormai la mia nave aveva trovato il porto
perfetto…e non aveva intenzione di lasciarlo!!!
Et voilà.
Se non siete ancora corsi dal dentista per
curare le carie, me lo lasciate un commentino?
Un grazie a tutti quelli che leggeranno e
recensiranno.
Liz.