Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: LadyElizabeth    06/12/2008    3 recensioni
Una fastidiosa influenza a volte può essere un'esperienza unica...soprattutto se è colui che ami a guarirti! Ma come finirà tra Francesca e il suo grande amore? Sarà la febbre che provocherà il delirio o sarà qualcos'altro? Per scoprirlo basta leggere!!!
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Febbre e amore

Ecco la mia ultima follia.

Che ci posso fare, ormai lui è diventato la mia dolce ossessione.

Perciò gli dedico questo mio sogno, temo irrealizzabile, anche se so che non la leggerà mai.

 

P.S. La storia è narrata prima dal punto di vista di lui e poi da quello di lei e continuano ad alternarsi fino alla fine…

 

Per te Gianni,

per ringraziarti di essere semplicemente così come sei

e con la speranza che tu ti accorga di quanto amore io provi per te.

 

 

 

 

Era una mattinata normale, noiosa forse.

Ero costretto a stare chiuso in casa a preparare la tesi mentre avevo solo voglia di uscire in quella gelida mattinata autunnale.

Non ero pazzo.

Fuori faceva freddo e c’era l’aria da neve ma il cielo era terso, neanche una nuvola oscurava quell’azzurro così limpido.

Rassegnato mi sedetti alla scrivania e iniziai a lavorare alla tesi.

Poco dopo il cellulare suonò.

Lo lasciai squillare, era sicuramente un messaggio, l’avrei letto dopo.

Ma col terzo squillo capii che qualcuno mi stava chiamando perciò allungai una mano per prendere il telefono.

Lanciai un’occhiata al display per vedere chi era che chiamava e rimasi stupito.

“Pronto?” dissi aprendo la comunicazione.

“Gianni?” sussurrò di rimando una voce flebile.

“Francy, tutto bene?”

“Ehm… a dire la verità no. Ti chiamo da scuola…credo di avere la febbre e sono stata poco bene, i miei genitori sono fuori città dai miei nonni fino a stasera…puoi venirmi a prendere?”

Sgranai gli occhi.

Pensai rapidamente a cosa risponderle ma evidentemente fui troppo lento perché la stessa voce chiese di nuovo: “Gianni?”

Mi riscossi.

La voce non era delle migliori, potevo addirittura immaginarla pallida e debole, con il viso stanco…

“Certo, vengo io. Ma serve una delega?” chiesi.

“No. Ho spiegato la situazione alla professoressa e ha detto che i miei genitori dovranno poi scrivere che tutto è andato per il meglio e che la scuola è sollevata dalle responsabilità nei miei confronti”.

“Va bene. Arrivo, ciao”.

“Grazie, ciao”.

Chiusi la comunicazione e fece un grosso sospiro.

Andarla a prendere a scuola.

Così sarei sembrato suo padre…

Poi realizzai che oltre ad essere malata aveva quel problema al ginocchio: era proprio messa male!

Buttai sul letto gli indumenti da casa e infilai velocemente una felpa e un paio di jeans: mi stava aspettando.

 

 

Ero seduta su una sedia e battevo i denti.

Avevo terribilmente freddo e mi sentivo malissimo.

Oltre al dolore costante al ginocchio mi sentivo la testa leggera, troppo leggera.

La professoressa mi aveva quasi costretta ad andare a casa, solo che non sapevo chi chiamare visto che i miei genitori non c’erano.

Poi mi era venuto in mente lui, l’unico che forse avrebbe accettato.

Era una pazzia ma dovevo provarci.

Volevo solo mettermi sotto una coperta e dormire…

Qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” esclamò la professoressa.

La bidella entrò nella classe e dichiarò che dovevo uscire.

Finalmente.

Mi alzai a fatica sia per via del ginocchio sia per il giramento di testa e presi la cartella.

Salutai le sue amiche con un sorriso e ringraziai la professoressa.

Poi chiusi la porta dietro di me e mi preparai ad vedere lui.

Che vergogna.

Mi fu consentito di prendere l’ascensore.

Quando le porte si aprirono feci i pochi passi che la separavano dall’atrio col cuore in gola.

Malata, ginocchio a pezzi e ansia…perfetto.

Trasalii quando vidi la sua figura stagliarsi contro la luce mattutina.

“Ciao” mi disse.

Aveva una voce dolce: preoccupata ma rassicurante al tempo stesso.

“Grazie…”

“Shhh…vieni, possiamo andare. Ho già firmato tutto” mi prese la cartella dalle spalle e mi scortò lentamente fuori.

 

 

“Cosa ti senti esattamente?”le chiesi apprensivo.

“Molto molto freddo, la testa leggera e mal di gola…”

Sorrise.

“Ma vedo che tutti questi sintomi sono serviti per farmi fare un giro sulla tua TT…finalmente!”

Mi voltai a guardarla: anche così non perdeva mai il suo solito entusiasmo.

Le aprii la portiera e la vidi sgranare gli occhi.

“Si usa così no? Specie se sei malata…”

Mi guardò con quei suoi occhioni color cioccolato lucidi per via delle febbre che molto probabilmente aveva.

“Grazie”.

Mio Dio, era bellissima.

Aveva le guance rosse e gli occhi lucidi, il viso stanco e un’espressione sofferente ma era bella ugualmente.

Sembrava una bambolina indifesa, avvolta nel suo cappotto e con il viso seppellito nella sciarpa.

Salii in macchina cercando di scacciare quei pensieri.

“Ok, ora ti dico la strada per casa mia…”

“Ma sei sicura che non ci sia nessuno da cui puoi andare? Non è che mi vada che resti a casa da sola” dissi io.

Scosse piano la testa.

“Non devi preoccuparti, vado a casa, mi metto sotto le coperte e dormo per un bel po’…quando mi sveglierò starò di sicuro meglio”.

Mi lanciò un’occhiata che chiedeva comprensione.

Assentii.

Guidai fino a casa sua e, una volta fermata la macchina, scesi per aprirle la portiera.

Come fu in piedi sbiancò e tese le mani in avanti.

Capii che stava per svenire.

Feci un passo in avanti e la presi tra le mie braccia.

La strinsi a me nel tentativo di farle passare il malessere.

Potevo sentire l’odore delicato dei suoi capelli e il corpo bollente: aveva sicuramente la febbre alta.

Chinai il viso per guardarla e nello stesso istante lei aprì gli occhi.

“Sto meglio, grazie” disse arrossendo.

Sentii che tentava di liberarsi dalla mia presa ma, di rimando, la strinsi ancora più saldamente.

“Cosa credi di fare?”

“Andare a casa…” rispose lei.

“Non ci pensare nemmeno. Non ti lascio a casa da sola, tu vieni da me” dissi deciso adagiandola sui sedili della macchina.

 

 

Ero talmente fuori combattimento che non protestai.

Mi lasciai far sedere sui sedili e appoggiai la testa contro il vetro freddo del finestrino.

Lo sentii salire al mio fianco e poco dopo la macchina si mise in moto.

“Ti da fastidio se accendo l’autoradio?” chiese gentilmente.

“No” sussurrai “Basta che non metti Giusy Ferreri”.

Rise piano.

La stazione radiò si sintonizzò sulle note di “Hot and Cold” e sorrisi tra me.

Molte volte avevo pensato che anche lui fosse un po’ così e ora mi sembrava così strano sentirla suonare nell’abitacolo della sua macchina.

“Il ginocchio va meglio?” mi domandò.

Sbuffai.

“No…ma lunedì ho la visita, sai no?”

“Certo. Non me ne sono dimenticato…”

Il resto del tragitto lo trascorremmo in silenzio, io perché ero troppo stanca per dire qualcosa e lui forse perché non voleva disturbarmi.

Mi accorsi appena della macchina che si fermava e della mia portiera che si apriva.

Mi accorsi invece che mi aveva sollevato tra le sue braccia.

Riacquistai lucidità e domandai: “Ma cosa fai?!”

“Ti porto su a casa. Uno, non voglio che tu sforzi il ginocchio…due, non ho intenzione di farti svenire di nuovo. Ora smettila di protestare!” disse gentile ma irremovibile.

Per tutta risposta affondai il viso nel suo giubbotto arrossendo, pensando che grazie al cielo non poteva vedermi.

Non mi lasciò neanche per aprire la porta di casa, nonostante facesse fatica ad infilare le chiavi nella serratura.

Quando finalmente la porta si aprì, entrammo nell’ingresso e potei subito sentire un calore piacevole, grazie al cielo non era una di quelle case vecchie dove faceva sempre freddo e umido.

Chiuse la porta con una spinta della gamba poi mi adagiò dolcemente sul divano.

Nel farlo dovetti guardarlo in viso: era decisamente affaticato.

Sorrisi.

“Non dovevi farlo…”

“L’ho fatto perché lo volevo”.

Mi zittii e mi sollevai per togliere il cappotto.

Me lo tolse delicatamente dalle mani e lo posò sull’attaccapanni lì vicino.

“Vorrei cambiarmi…posso?”

“Gianni, hai già fatto abbastanza. È casa tua, fai come se io non ci fossi”.

Mi sorrise dolcemente e scomparve dalla mia vista.

Sentii il rumore di una porta che si chiudeva e mi adagiai sui cuscini.

Chiusi gli occhi tentando di captare ogni più piccolo rumore ma non sentivo quasi nulla.

Rabbrividii.

Forse non era stata una buona idea togliere il cappotto.

Nell’istante stesso in cui aprii gli occhi vidi lui sbucare dal corridoio.

Rimasi senza fiato.

Era bellissimo.

Indossava una maglietta bianca a maniche corte che risaltava i muscoli delle braccia, un paio di pantaloni neri della tuta e dei calzini bianchi.

Era così…così personaggio di un film.

Non mi ero resa conto che tra le mani stringeva una coperta.

“Ecco” disse mettendomela addosso.

“Come facevi a sapere che avrei avuto freddo?”

“Ormai ti conosco” disse lui.

 

 

Era così piccola nascosta sotto quella coperta che mi venne una voglia enorme di abbracciarla.

Resistetti a quell’impulso e mi diressi in bagno.

Le portai il termometro e mi sedetti sul divano ai suoi piedi.

Mi mostrò la temperatura: 38,2°.

Mi alzai, presi una aspirina e un bicchiere d’acqua e glieli portai.

Si alzò a fatica e la aiutai a bere.

Mi sorrise dolcemente, poi chiese: “Non voglio approfittarne ma…sto scomoda con i jeans…hai per caso qualcosa con cui posso cambiarmi?”

Annuii.

“Aspetta, vado a prenderti qualcosa che dovrebbe andarti bene”.

Vivevo con i miei genitori perciò qualcosa di mia madre le sarebbe andato bene.

Aprii l’armadio dei miei e inspirai l’odore familiare dei loro vestiti.

Presi un paio di pantaloni della tuta rossi ma non trovai nessuna maglia che le potesse andare bene.

Decisi quindi di darle una mia felpa nera: era abbastanza pesante da tenerla sufficientemente calda e anche se le fosse stata un po’ grande avrebbe potuto rimboccarsi le maniche.

Le portai gli indumenti e la vidi irrigidirsi…

Oddio, forse pensava fossero della mia fidanzata.

“I pantaloni sono di mia madre, la felpa è mia. Mi spiace ma non ho trovato altro” le dissi.

“Andranno a meraviglia” rispose “Posso andare in bagno a cambiarmi?”

Annuii e la aiutai ad alzarsi.

Divenne di nuovo pallida.

La sorressi dietro la schiena e la accompagnai fino al bagno.

“Grazie” sussurrò subito prima di chiudere delicatamente la porta.

Non sapevo cosa fare per ingannare il tempo.

D’altra parte era quasi ora di preparare il pranzo ma non sapevo se aveva fame…

“Gianni?”

Era arrivata di soppiatto alle mie spalle.

Mi voltai e non potei trattenermi dal ridere.

“Ecco lo sapevo…sono orribile!”

“No…sei buffa ma bellissima”.

Arrossì.

E io mi diedi del cretino per averlo detto ad alta voce ma vederla avvolta nella mia felpa mi aveva fatto venire voglia di sostituirmi alla maglia e di darle io il calore di cui aveva bisogno.

“Francy…due cose: uno, ora telefono a Rocco per dirgli che oggi pomeriggio non vado alla Sisport; secondo, cosa vuoi per pranzo?”

Sgranò gli occhi poi si sedette sul divano.

“Cosa vuol dire che non vai alla Sisport? Ma no dai, non devi farlo per me!” esclamò.

“Sempre lo stesso discorso di prima…non ho intenzione di lasciarti da sola. Passerai il pomeriggio qui assieme a me, sarà una tortura lo so…ma il programma è quello!”

Sorrise.

Mi lasciai andare ad  un sorriso anche io.

“Allora cosa vuoi per pranzo?”

 

 

Poco dopo ero raggomitolata sul divano che lo osservavo cucinare.

Stavo meglio e avevo potuto osservare la casa.

Il salotto era abbastanza grande ed era collegato alla cucina ma, per dare un po’ più di privacy era stata messa un’enorme libreria come parete.

Ero seduta su uno dei due divani che erano presenti nella stanza, di fronte a me vi era un tavolinetto di legno e oltre vi era un televisore al plasma.

In un angolo vi era una bellissima pianta accanto ad uno stereo e, a metà tra il divano e la cucina, vi era un grosso tavolo da pranzo di un legno lucidissimo.

Da dove ero seduta potevo vedere Gianni cucinare.

Si muoveva abbastanza disinvolto tra il frigorifero e i fornelli ma, memore delle nostre chiacchierate sul cibo, pregai che non mi avvelenasse.

“Oi…”

Persa com’ero nei miei pensieri quando mi riscossi me lo trovai di fronte.

“Questo è il sugo della pasta…va bene?”

Guardai ciò che vi era nel piatto: pomodorini freschi e olive verdi.

“Si, va benissimo. Fai gli spaghetti?”

Sorrise.

“Se hai voglia di quelli si…”

Aveva uno sguardo dolcissimo e mi perdetti nei suoi occhi.

Poi mi ripresi e gli dissi: “Se vanno bene anche a te vada per gli spaghetti”.

Tornò in cucina per posare il piatto poi riapparve davanti a me con un porta cd.

“Scegli la musica…ti va?”

Annuii, prendendo la scatola dalle sue mani.

Sbirciai tra i vari cd e mi accorsi che c’era di tutto: John Legend, Tiziano Ferro, Green Day…poi finalmente trovai quello che cercavo.

“Lifehouse” disse lui poco dopo, mettendo il cd nello stereo. “Bella scelta”.

“Speravo ti piacessero…abbiamo gusti così differenti…” sussurrai di rimando.

La musica si spanse dolcemente per la sala e mi lasciai cullare da quelle note mentre Gianni riprendeva a cucinare.

“Te la senti di alzarti?”

Annuii e provai a sollevarmi dal divano ma, non appena fui in piedi, rabbrividii e mi sentii mancare.

Se ne accorse e mi intimò di sedermi.

Non protestai e mi riaccoccolai sotto le coperte.

Poco dopo venne in salotto e avvicinò il tavolino al divano, ci posò sopra una tovaglia candida e apparecchiò con un bicchiere, una bottiglia d’acqua e poco altro.

Poi mi aiutò a sedermi sui cuscini.

“Così va bene? Ti fa male il ginocchio?”

“Mai stata meglio…”

Scoppiò a ridere e lo guardai incuriosita.

“Scusa…è che sei malata, mi riesce difficile credere che tu non sia mai stata meglio!”

In effetti non aveva tutti i torti, peccato che io mi riferissi al fatto di essere lì con lui.

Sorrisi e mi versai un bicchiere d’acqua.

Poi lo vidi venire verso di me e mi feci andare l’acqua di traverso.

 

 

La vidi tossire e posare il bicchiere a fatica.

Poi mi rivolse uno sguardo scioccato.

Mi sedetti sul divano e le tesi il vassoio.

Vi avevo messo sopra il piatto con la pasta, le scaloppine fatte da mia madre, un bicchiere di spremuta e un vasetto con un ramoscello di fiori bianchi.

“Ma non dovevi…è proprio vero che a volte sembri uscito da un film!” mi disse.

Le accarezzai la fronte.

“Mangia, adesso arrivo anche io”.

Andai in cucina e presi il mio piatto poi mi accomodai per terra, avrei usato il tavolinetto come piano di appoggio.

“Programmi per il pomeriggio?” mi chiese poco dopo posando la forchetta.

Scossi la testa.

“No. Te l’ho detto, ho chiamato Rocco”.

“Beh, avrai altro da fare…”

“In effetti dovrei andare avanti con la tesi ma non è un problema”.

Sospirò.
Doveva aver capito che se mi mettevo qualcosa in testa era difficile convincermi del contrario.

“E quindi vorresti perdere tutto il pomeriggio a cincischiare con me?”

Le feci la linguaccia e le dissi: “Stai insultando anche te stessa sai?”

Mise su un broncio adorabile poi riprese a mangiare.

Poco dopo sparecchiai e le portai una ciotolina di gelato per dolce.

“Mia mamma dice sempre che è ottimo per chi ha la febbre…” le dissi sedendomi sull’altro divano.

Mi sorrise.

“Grazie, davvero. Non dovevi fare tutto questo…”

Le lanciai un’occhiata che la fece scoppiare a ridere, poi iniziò a mangiare il gelato.

Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso perché era davvero bellissima: le guance leggermente arrossate, gli occhi lucidi ma un bel sorriso su quel viso da fata…

Uscii dai miei pensieri quando posò la ciotola sul tavolino, provocando un rumore sordo.

Mi alzai e la portai in cucina.

Mentre sciacquavo i piatti le chiesi: “Allora…cosa vuoi fare?”

Non mi rispose.

Quando tornai di là vidi che aveva gli occhi chiusi.

Raggomitolata sotto quel plaid pesante e con un’espressione più serena sul viso sembrava quasi una bimba che aspetta la mattina di Natale e, la notte, sogna già i regali del mattino.

Sorrisi dolcemente.

Cercai di fare meno rumore possibile e mi trasferii in camera a scrivere la tesi così sarebbe stata contenta.

Passata un’ora e mezza avevo prosciugato la voglia e le idee.

Molto silenziosamente tornai in salotto e mi sedetti sul divano, le gambe rannicchiate sotto di me, e la osservai dormire.

 

 

Quando si era allontanato avevo chiuso gli occhi.

Poco dopo avevo sentito la sua voce arrivarmi ovattata, ma non avevo avuto la forza per rispondere.

Riaprii gli occhi e me lo trovai seduto sul divano che mi fissava.

Avvampai.

“Perché mi guardi?” bisbigliai.

Avevo paura di rompere quella strana magia che sentivo nell’aria.

“Perché sei dolcissima quando dormi, sembri così indifesa…e stando vicina a te mi sembrava di proteggerti in un qualche modo. È stupido lo so…” disse abbassando gli occhi, quegli occhi che avevo visto essere carichi di affetto.

Scossi la testa.

“Non è stupido…è…grazie” sussurrai abbassando lo sguardo.

Ci fu un momenti di silenzio nel quale mi sentii enormemente a disagio.

Poi mi issai a sedere.

In un attimo era accanto a me che sistemava i cuscini.

“Che ore sono?”gli chiesi.

“Le cinque” mi rispose in un soffio.

Era così vicino che sentivo il suo profumo…e ne ero inebriata.

“Ti senti meglio?”

Annuii.

Posò la sua mano sulla mia fronte e sussultai leggermente.

Mi sorrise.

“Dovresti essere quasi sfebbrata…menomale…”

“Già”.

Si alzò e fece ripartire il cd dei Lifehouse.

“Ti vanno bene?” domandò.

“Certo. Ma se a te non vanno bene cambia pure”.

Scosse la testa.

In quel momento squillò il suo telefono.

“Scusami” disse e poi si spostò nell’altra stanza per rispondere.

Nel frattempo pensai a quanto fosse unico, ero convinta che nessun altro avrebbe fatto certe cose per me.

Grazie al cielo mi era venuto in mente di chiamarlo.

Arrossii al solo pensiero: quanto ero pazza!

“Senti…devo fare ancora una telefonata ma prima vuoi qualcosa?”

“Una tazza di the e un libro se possibile…”

Annuì poi sbuffò scherzosamente quando gli dissi che se aveva l’Earl Grey era meglio.

Mise su l’acqua poi mi chiese che libro volevo leggere.

“Cosa mi consigli?”

Si posizionò davanti alla libreria, scorse i titoli dei volumi poi ne prese due.

“Ecco” disse posizionandomeli in grembo. “Uno è la storia romanzata di un pittore e l’altra è una storia d’amore ambientata ai tempi della guerra di Secessione in America”.

Lessi le due trame e quando scelsi quello che volevo leggere me lo ritrovai di fronte con una tazza ricolma di liquido ambrato e bollente.

Lo ringraziai e la presi, poi mi immersi nella lettura.

 

 

Mi chiese una tazza di the, rigorosamente Earl Grey, con quei suoi occhi luminosi e non potei impedire a me stesso di prepararglielo.

Poi le consigliai due libri che mi avevano affascinato e che speravo affascinassero anche lei.

La lasciai lì sul divano e mi diressi in camera mia dato che dovevo telefonare a un mio amico col quale dovevo allenarmi a tennis.

Dopo averlo chiamato mi sedetti un attimo sul letto.

Presi la testa tra le mani e respirai a fondo.

Il semplice fatto di averla in casa mia, malata, mi faceva venire voglia di costringerla a rimanere per sempre.

Il mio cellulare suonò.

Stavolta era un messaggio.

Della mia ragazza.

Mi chiedeva se stavo bene e cosa stavo facendo.

Mi sentii tremendamente in colpa nel risponderle che non ero andato alla Sisport perché avevo un gran mal di testa.

Per precauzione le scrissi di non passare da me perché tanto sarei andato a riposare.

Gettai il cellulare sul letto con un sospiro e tornai in salotto.

Sulla porta mi bloccai.

Era lì, raggomitolata sotto il plaid con il libro in grembo e la tazza in una mano.

Ogni tanto beveva un sorso o spostava un ciuffo di capelli particolarmente ribelle dietro l’orecchio.

Era…magnifica.

Sembrava una protagonista di un libro dell’Ottocento.

Sembrava fragile.

Sembrava…mia.

Quell’ultimo pensiero mi mozzò il respiro.

Alzò lo sguardo dal libro.

“Che c’è?” domandò.

“Niente. Stavo solo pensando”.

“Che novità”.

Le feci una linguaccia poi le presi dalle mani la tazza, ormai vuota, e la posai nel lavello della cucina.

“Ti piace il libro?” le chiesi.

Annuì.

“Te lo presterò allora. Che ne dici di guardarci un film?”

Rise.

“Se mi proponi di guardare i Tranformers scappo urlando”.

Risi anche io.

“No no giuro. Cosa vorresti vedere?”

Mise su una faccia pensierosa, poi sparò una serie di titoli.

“Eh?...Mai sentito!...Neanche morto!” furono i miei commenti.

Sbuffò.

“Ma che cavolo non ti va mai bene niente!” disse.

“L’amore non va in vacanza…non l’ho mai visto, ma mia madre me lo ha consigliato…” proposi.

“Ah si…l’hanno dato in tv qualche tempo fa ma non l’ho mai visto”.

Presi la custodia del dvd e inserii il dischetto nel lettore.

Poi mi riaccomodai sull’altro divano.

“Non vuoi sederti qui? Ti lascio il posto…e così se hai freddo puoi metterti sotto la coperta…”

Arrossì.

“Sicura?” chiesi.

Fece cenno di sì con la testa.

Solo allora mi alzai e mi sedetti accanto a lei.

Mi accovacciai con le gambe sotto di me e mi coprii con un lembo di plaid.

“Buona visione” le dissi.

 

 

“Buona visione” disse dopo essersi seduto accanto a me.

Ero stata pazza a proporlo?

Evidentemente si.

Cercai di concentrarmi sul film e non sul calore che il suo corpo, a pochi centimetri dai miei piedi, emanava.

Purtroppo il film però non sembrava essere adatto perché, già cinque minuti dopo, avevo le lacrime agli occhi per un discorso della protagonista sugli amori non corrisposti.

Sperai non se ne accorgesse ma, sfortunatamente non fu così.

“Tutto bene?” chiese.

Annuii, incapace di proferire parola.

Mi sorrise dolcemente e mi sfiorò una guancia arrossata con la mano fredda.

Mi imbarazzai ma tentai di fare finta di niente.

Continuammo a vedere il film ma, per via di una contrazione involontaria, sfiorai la sua gamba con i miei piedi.

“Tesoro ma sono gelati!” mi disse.

E poi mise le mani a coppa attorno ad essi per tentare di scaldarli.

Era un gesto talmente affettuoso che mi commossi di nuovo.

Passammo tutto il film così, coi miei piedi tra le sue mani.

Ogni tanto mi accarezzava anche le caviglie, provocandomi dei piccoli brividi.

Oltre la metà del film, nella scena della cerimonia per il vecchio attore, eravamo tutti e due col fiato sospeso…era una davvero bellissima.

Quando scorsero i titoli di coda sullo schermo spostò una mano dai miei piedi per prendere il telecomando e sentii il freddo esterno.

Sospirai.

“Ti è piaciuto?” domandò.

“Molto” risposi io, sentendomi parte della scena finale di Dawson’s Creek.

“Anche a me”.

Si sporse verso di me e mi sfiorò la fronte con la mano gelida.

Si scostò e mi fisso a lungo negli occhi.

Poi, molto lentamente, si avvicinò al mio viso.

Smisi di respirare.

Voleva forse baciarmi?

Si avvicinò ancora un po’.

Volevo baciarlo anche io, ma ero impietrita.

Mi lanciò un’ultima occhiata per sondare le mie volontà.

Poi posò le labbra sulle mie.

Fu un bacio corto, delicato, ma che mi lasciò ugualmente senza fiato.

Quando le nostre labbra si separarono tornò a guardarmi.

“Io…” disse, poi gli morirono le parole in gola.

Mi tirai a sedere accanto a lui e posai la testa sulla sua spalla.

Non volevo dire niente perché avevo paura di quello che avrebbe potuto dirmi lui.

Stette immobile per un minuto poi mi circondò con un braccio e mi strinse a sé.

 

 

Mio Dio!
Ero davvero impazzito!

Ma il film che l’aveva commossa, i piedi freddi, lo scambio di battute finali, l’atmosfera…mi avevano indotto a baciarla.

E lei mi aveva lasciato fare.

Anche se dopo mi aveva guardato, confusa.

Cercai di spiegare il mio gesto ma mi bloccai.

Mi scostai da lei e fissai il legno lucido del tavolino di fronte a me.

Un secondo dopo si mise a sedere accanto a me.

Stette in silenzio, poi appoggio il capo sulla mia spalla.

Non sapevo cosa fare…se rassicurarla o fare finta di nulla.

Agii di istinto e le passai un braccio attorno alla vita per stringerla a me.

Inspirai profondamente e mi voltai a guardarla.

Era decisamente spaventata e perplessa.

“Francy?” sussurrai a malapena.

“Si?”

“Scusa…non doveva succedere!”

Avevo detto la cosa sbagliata.

Le si riempirono gli occhi di lacrime.

Si allontanò da me come se fossi incandescente e si rannicchiò all’altro capo del divano.

Non mi guardava.

Quando la prima lacrima scese sul viso se la asciugò con un gesto stizzito.

Fece un respiro profondo poi mi chiese: “Perché?”

“Perché cosa?”.

Sollevò la testa.

“Perché mi illudi così? Possibile che tu non abbia mai capito nulla di quello che provo? Sei cieco o solo stronzo?”.

Sussultai.

Quelle parole mi avevano colpito come una lama di ghiaccio.

Tentennai.

“Allora?” la sua voce si era fatta più sicura e arrabbiata.

“Io…io credo di non essermene accorto fino a questo momento…”

“Fantastico!” sbottò.

Mi avvicinai.

“No, aspetta…Credo di non aver mai capito che anche tu sei importante per me. Avevo iniziato a comprendere qualcosa quando avevo letto la tua lettera prima di partire per l’America. Mi avevi emozionato molto…poi in quel viaggio con la mia ragazza cercavo di non pensare a te ma ogni luogo che incontravo pensavo ti sarebbe piaciuto…A settembre credevo di impazzire quando ci siamo rivisti. Poi piano piano ho messo da parte quella sensazione che sentivo per concentrarmi sulla mia ragazza. Fino a poco fa…”

La guardai.

Rimase in silenzio per un attimo poi esclamò: “Stai forse dicendo che hai fatto di tutto per negare a te stesso di provare qualcosa per me?”

Scossi la testa.

“Non è che me lo sono negato…non ho mai approfondito il pensiero, se no me ne sarei reso conto molto prima!”

“E di cosa, di grazia?”.

Mi avvicinai ancora un po’ e le posai una mano sulla gamba.

La guardò ma non si ritrasse.

“Che il nostro rapporto ha superato da molto la soglia allenatore-allieva. E mentirei se ti dicessi che il bacio di poco fa non ha significato nulla…”

 

 

Iniziai a tremare.

Cosa voleva dire con quelle parole?

Aprì le braccia, non so se in un gesto di scoramento o per qualche altro motivo.

Fatto sta che mi buttai su di lui e allacciai le braccia alla sua schiena, posando il viso sui suoi addominali.

“Ma…?”disse lui stupito.

Poi però mi abbracciò a sua volta e mi accarezzò la schiena con le mani.

“Francy, credo di essermi innamorato di te. So che è stupido averlo realizzato solo adesso ma è così…”

Alzai il viso senza smettere di stringerlo.

“E con la tua ragazza? Cosa farai?”

Mi accarezzò una guancia.

“Secondo te sarei capace di stare con tutte e due assieme? Le dirò che tra noi è finita…forse se lo sentiva anche lei visto che in questi tempi o litigavamo o mi stava appiccicata fino a farmi innervosire!”.

Mi scappò un sorrisino involontario.

“Ah!” esclamai subito dopo.

“Che c’è?” chiese lui preoccupato.

“Mi fa male qui!” dissi indicandomi con la mano il collo.

Mi posò un bacio delicato.

“E qui no?” sussurrò baciandomi la clavicola.

“Qua senti dolore?”

Mi baciò la fronte, poi le guance e poi di nuovo le labbra.

Ero più preparata questa volta e feci sprofondare una mano tra i suoi capelli, godendomi quel bacio così romantico.

Quando si staccò da me gli sorrisi e gli accarezzai il viso.

Poi posai una mano sul suo petto e mi allungai per mormorargli all’orecchio: “Non mi lasciare…ho bisogno di te!”.

“Mai” disse lui per tutta risposta.

Mi sollevò agilmente e mi mise sulle sue gambe.

Una volta lì lo circondai con le braccia e lui fece altrettanto.

Ormai la mia nave aveva trovato il porto perfetto…e non aveva intenzione di lasciarlo!!!

 

 

 

Et voilà.

Se non siete ancora corsi dal dentista per curare le carie, me lo lasciate un commentino?

Un grazie a tutti quelli che leggeranno e recensiranno.

Liz.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LadyElizabeth