Il primo ricordo della sua infanzia non erano figure colorate dei
giocattoli che si mettono nelle culle dei bambini, nè
l'immagine
di una casa o di un asilo; il suo primo ricordo era la bruciante
umiliazione di uno schiaffo e le urla dei suoi genitori che lo tenevano
sveglio la notte.
Odiava tornare a casa da scuola.
Odiava anche di più il finesettimana: sua madre trascinava
lui e
sua sorella in chiesa alle otto e quando tornavano lei aveva la malata
idea di svegliarlo, suo padre, per il pranzo domenicale, che si
dimostrava sempre una tortura senza fine. Sua madre piangeva, suo padre
strappava la giacca dall'ingresso e usciva a ubriacarsi sbattendo la
porta di casa.
"Brian deciditi a passarla quella palla!" l'allenatore di calcio gli
urlava da bordo campo. Con la coda dell'occhio poteva vedere almeno due
compagni smarcati.
Sulla sinistra gli entrò in scivolata un avversario.
Stoppò corsa e palla. Superò con un balzo. Meno
di venti
metri dalla porta.
I difensori puntavano su di lui, impallandogli la porta.
Dribblò il primo, solo un uomo fra lui e il portiere.
L'altro
sbagliò direzione, lasciandogli un sottilissimo varco.
Calciò. Prima ancora che la palla si infilasse fra i pali e
fra
le braccia tese del portiere le sue labbra si erano arricciate in un
sorriso.
"Va bene ora basta! Brian io e te dobbiamo fare un altro discorsetto
sul gioco di squadra! Dieci giri del campo e poi alle docce!"
Brian sentì le pacche dei suoi compagni di scuola sulle
spalle
mentre correvano attorno al campo. Commenti, risate e battute.
Un fischio indicò la fine degli allenamenti.
"Brian! Un minuto!?" L'uomo richiamò il bruno tredicenne.
Brian: Che c'è?
Ricevette uno scapellotto sulla collottola per la mancanza di rispetto.
"In una squadra di calcio ci sono altri dieci giocatori!
Perchè non hai passato la palla?"
Brian alzò le spalle.
Brian: Ce l'ho fatta anche da solo e poi era solo un allenamento.
"Già, e se al prossimo non ti dimostrerai più
affiatato
con i tuoi compagni puoi scordarti di giocare nelle partite vere!"
Brian: NON può farlo! Io sono più bravo di tutti
loro messi assieme!
Il ragazzino sentiva le mani tremargli, ma a parte questo non
esternò in nessun modo le sue emozioni.
"Te lo concedo, sei un talento naturale, ma se Kein non avesse intuito
male la tua direzione ti avrebbe privato della palla, mentre avevi tre
compagni in zona di tiro con la linea sgombra, tre
possibilità
di tiro molto più sicure del tuo continuare da solo. La
prossima
settimana darò la fascia da capitano, dimostrami che puoi
trascinare la squadra, che sai approfittare delle giuste condizioni di
campo e la darò a te." Senza un'altra parola chiuse la
giacca a
vento e si allontanò dal campo.
Brian smosse con i tacchetti il terreno di bordocampo. Pensava.
Un'ora dopo era davanti alla porta di casa. Avrebbe potuto arrivare
molto prima prendendo l'autobus delle cinque che passava proprio dietro
la scuola, ma preferiva farsela a piedi. Aveva già detto che
non
amava tornare a casa? Estrasse il mazzo di chiavi dalla tasca interna
della giacca e fece scattare la serratura di casa. Il morale gli scese
ai piedi vedendo la giacca di Jack, suo padre, appensa al gancio
d'ingresso.
Joanne: Brian sei tu?
La voce di sua madre proveniva dal salotto.
Brian mollò la sacca da ginnastica all'ingresso, se proprio
doveva farlo che fosse rapido e indolore.
Brian: Mamma!
Le si avvicinò e lei gli porse la guancia per farsi dare un
bacio. Brian cercò di far durare il contatto il meno
possibile.
Joanne: La scuola è andata bene oggi?
Brian: Sì, tutto bene.
Quando il silenzio seguì le sue parole nessuno dei due
sapeva cosa dire per riempire il vuoto.
Brian: Vado...a fare i compiti.
Sua madre annuì chinando nuovamente il capo sulla
contabilità della casa.
Per tre quarti d'ora, chiuso nella sua stanza si occupò del
tema di biologia e di alcuni esercizi di matematica.
Ma sapeva che la pace non sarebbe durata.
La porta della sua camera si aprì con un forte rumore,
tipico di
quando suo padre utilizzava troppa forza a causa dell'annebbiamento da
alcool.
Jack: Eccolo qua, ...il mio ragazzo!
Brian stette immobile sulla sedia, sapeva che far finta che non
esistesse non sarebbe servito a nulla, era comunque
inevitabile.
Brian: Puzzi di birra!
Un'irriverenza, una parola sbagliata, un'cchiata storta, qualsiasi cosa
poteva scatenare suo padre, a volte non aveva nemmeno bisogno di una
scusa e lo picchiava come se fosse stato un sacco da box. Aveva mani
grandi come padelle e braccia dure come sbarre di ferro. Poteva solo
coprirsi la faccia con le braccia mentre le prendeva. Sperando che si
stancasse o che i annoiasse di farlo diventare una palla di carne
pesta.
Venti minuti dopo si stava sciaquando la bocca dal sangue, si era morso
il labbro interno. La nota positiva era che non aveva lividi in faccia,
così non avrebbe dovuto litigare con qualcuno a scuola per
giustificare i lividi.
Brian: Solo altri cinque, e poi te ne vai.
Brian aveva le idee chiare, finire la scuola prendere una borsa di
studio per un college mooolto lontano da casa sua e non rimettere mai
più piede in questa città di merda.
Non sarebbe scappato, senza un titolo di studio e senza soldi avrebbe
fatto una vita miserabile e lui voleva una vita da re. Lusso, macchine
veloci, bei vestiti, cibi raffinati. Avrò tutto. Devo solo
reggere altri cinque anni.
Si insaponò abbondantemente le mani, sentendo le braccia
ammaccate protestare, le sciaquò e si diresse verso la sala
da
pranzo.
Joanne: Sei in ritardo per la cena.
Brian: Mi stavo lavando le mani.
Brian si sedette al suo posto, davanti a lui Claire, sua sorella
diciasettenne. Lei sarebbe stata libera a mesi.
Congiunse le mani e piegò la testa fissando il piatto vuoto.
Joanne: Signore ti ringraziamo per il cibo che anche oggi hai messo
sulla nostra tavola e...
Jack: Ha messo? Quindi non sono stati i MIEI soldi a pagare la spesa?
Joanne: ...ti preghiamo di perdonare i nostri peccati e di vegliare
sul-...
Jack: Perchè non dici: Di perdonare i peccati di Jack, i
peccati di mio marito, visto che è quello che pensi?
Joanne: Sulla nostra famiglia. Amen
Brian e sua sorella mormorarono un amen mentre Jack sbuffando
cominciava a servirsi di polpette al sugo e pasta.
Brian: Mi passi l'insalata?
Sua sorella gli tese una grossa ciotola bianca.
Si riempì il piatto di foglie di lattuga, pomodori e
citriolo.
A parte i rumori delle posate sul fondo dei piatti e il borbottio della
birra quando veniva versata dalla lattina, non volava una mosca.
Jack ruttò.
Joanne: Non riesci proprio a trattenerti!?
Brian sentì le lacrime nella voce della madre. Che serata di
merda sarebbe stata.
Jack: Urto la tua sensibilità cristiana?
Joanne: Sei un animale! Potresti usare un poco di buona educazione
almeno a tavola!
Jack: Dio che palle che sei donna!
Joanne: NON PRONUNCIARE IL NOME DI DIO INVANO!
Aveva alzato solo il tono della voce per il resto sua madre era una
statua scavata nel ghiaccio.
Jack bevve un lungo sorso di birra e poi si alzò dal tavolo.
Jack: Questa roba fa schifo, vado al bar, lì almeno hanno
del
cibo commestibile e una compagnia più allegra. Anche se non
ci
vuole poi molto ad essere più allegri di un cadavere!
Prese la porta. E subito dopo sentirono il rumore di un motore
avviarsi.
A Brian era completamente svanita quel poco di fame che aveva.
Brian: Ho finito.
Joanne: Non azzardarti ad alzarti! Finisci il cibo che hai nel piatto!
Brian guardò Claire che dopo aver incrociato il suo sguardo
abbassò la testa e mise in bocca un altra forchettata di
pasta.
Si sedette. Ma non mangiò. Continuò a rigirare le
foglie
di lattuga sopra i pomodori, i pomodori sopra i citrioli e i cetrioli
sopra la lattuga.
Quando sua madre e Claire ebbero finito di mangiare e si alzarono,
prese il suo piatto, lo svuotò nel cestino in
cucina e lo
depose nel lavello.
Brian: Vado in camera mia.
Finalmente al sicuro, finalmente da solo appoggiò le spalle
alla porta della sua camera e si fece scivolare per terra.
Gli occhi gli pizzicavano, inghiottì la saliva cercando di
non piangere. Lui non piangeva. MAI!
Dei colpi leggeri bussati alla porta lo riscossero.
Brian: Che vuoi Claire?
Da dietro la porta la voce gentile di sua sorella si sentiva appena.
Claire: Mi fai entrare?
Si sollevò e ruotò la maniglia.
Nella sua gonna lunga, il golfino di lana rosa e i capelli lunghi
tirati indietro con un cerchiello a fiocco Claire era la tipica
diciassettenne.
Brian: Che vuoi?
Sua sorella allungò una mano per carezzargli il labbro
gonfio.
Claire: Ho sentito che ti picchiava da camera mia, volevo sapere se...
Brian: Sto bene.
Allontanò se stesso e il suo viso dal calore della sua mano.
Aveva gli ochi lucidi ne era sicuro. Girò la testa e
fissò lo sguardo al di fuori della finestra.
Claire non era mai stata intuitiva, non riusciva a intendere il momento
buono per andarsene o per stare zitta. Si mise a singhiozzare. Grossi
lucciconi le scendevano per le guance. Chiedeva di essere consolata.
Che diritto aveva di farlo? Non era lei quella piena di lividi.
Brian: Vai a sciaquarti il viso, sembri una rana con gli occhi gonfi!
Le sue parole condite con un tono al vetriolo ebbero l'effetto di farla
ululare anche di più nel suo pianto e a farla fuggire via
dalla
sua camera.
Chiuse la porta sperando che lo lasciassero in pace e riaprì
i
libri di scuola. Per entrare nel college che aveva scelto doveva
mentenere una media alta fin dal primo anno. Temperò la
matita e
incominciò a sottolineare le parti più importanti
del
testo mandando a memoria le nozioni che il prof avrebbe potuto chiedere
l'indomani.
Un rumore lo svegliò. Guardò la sveglia sul
comodino erano le tre del mattino.
La voce di suo padre rieccheggiò con intonazione ubriaca fra
le
pareti della casa. Sua madre dovette rispondere qualcosa
perchè
sentì degli squittii intelleggibili e poi ancora la voce
tonante
di suo padre. Litigavano. Ancora.
Brian si passò la mano sugli occhi ancora pieni di sonno. La
discussione andò avanti ancora per diversi minuti,
sentì
anche che veniva pronunciato il suo nome una o due volte.
Anche
se non comprendeva tutte le parole era sempre la stessa solfa: lui non
sarebbe dovuto nascere!
Mise la testa sotto il cuscino, premendolo contro l'orecchio. non
voleva ascoltare, doveva dormire! Il giorno dopo c'era scuola!
Alle sei e mezza, stufo di stare sotto le coperte visto che non aveva
nessuna possibilità di riaddormentarsi si alzò.
Essere il primo della casa a svegliarsi la mattina aveva indubbiamente
dei vantaggi:
1° Acqua calda a volontà;
2° Puoi metterci una vita a farti la doccia e nessuno ti
martella sulla porta per farti velocizzare;
3° Puoi decidere lucidamente come ti vestirai, non approvava
alcuni
suoi compagni che per cinque giorni mettevano la stessa maglietta
perchè "era la prima cosa che gli era capitata sotto mano"
4° Puoi farti e berti un caffè in santa pace prima
di dover affrontare un nuovo giorno con la tua famiglia.
Brian aprì il contenitore dello zucchero e versò
una dose abbondante nel caffè nero.
L'amaro del caffè lo svegliò del tutto,
rendendolo lucido
e ridandogli forze, mentre lo zucchero gli scivolava sulla lingua in
morbido piacere.
Aveva appena finito di lavare la tazza che la sua famiglia si
riversò nella cucina.
Scampandosela con un "Ho già mangiato" prese lo zaino e si
diede alla fuga.
Il bus per la scuola era uno di quelli gialli, orribili e che puzzavano
sempre di fritto.
Si diresse verso i posti in fondo e si stravaccò nel sedile
accanto al finestrino.
Per tutta la durata del viaggio non rivolse la parola a nessuno, uno
dei suoi compagni di squadra lo salutò, ma ottenne solo un
cenno
del capo.
Arrivato a scuola, un edificio bianco basso e largo, si rimise in
spalla lo zaino e si diresse verso il bar interno.
Nel passare per il cortile davanti al bar vide quattro ragazzi
spintonare un ragazzo mingherlino dai capelli neri.
Lo sballottavano dall'uno all'altro ridendo.
Brian: Bulletti del cazzo!
Fortuna per il ragazzino che era di cattivo umore sennò non
ci
avrebbe nemmeno badato. Ma gli prudevano le mani e quei quattro
sembravano abbastanza grossi.
Brian: Prendetevela con uno della vostra taglia!
Uno dei quattro, probabilmente l'unico con ancora un neurone
funzionante si girò a guardarlo.
Bill: Che cosa hai detto sgorbio?
Brian lo ripetè scandendo bene parola per parola. Dietro il
bulletto la sua compagnia bloccava per le braccia il malcapitato
studente.
Bill si avvicinò parecchio a Brian tanto che i loro nasi
distavano meno di cinque centimetri l'uno dall'altro, ma la scena
intimidatoria andò sprecata, fra i due Brian era il
più
alto.
Le narici di Bill fremevano e le nocche gli scrocchiarono quando chiuse
i pugni.
Brian sperava solo che gli desse un valido motivo per pestarlo a
sangue.
Bill: Andiamo!
Il bulletto lo superò sbattendo la sua spalla contro quella
di
Brian, gli altri tre mollarono il ragazzo dai capelli neri e corsero
dietro al loro "capo".
Brian: La mia solita fortuna, quando ne ho voglia non reagiscono mai!
Raccolse lo zaino e si diresse nuovamente verso la sua meta iniziale.
EHYYYYY!!!
Una mano sulla spalla lo fece voltare pronto a dare un gancio, se uno
di quei figli di cane aveva deciso di attaccarlo alle spalle.
Micheal: Fermo! Fermo! Non picchiarmi!
Brian fece appena in tempo a fermare il pugno, registrò che
all'altezza del suo petto stava la testolina nera del ragazzo di prima
che aveva aiutato.
Brian: Che vuoi?
Sgarbato come al solito.
Micheal: Volevo...non so come ringraziarti per avermi aiutato.
Brian: Pagami!
Micheal: Eh?
Brian: Ho fame, se non sai come ringraziarmi dammi dei soldi che faccio
colazione.
Micheal: Non hai mangiato a casa?
Brian: Secondo te mangerei la merda che vendono qua a scuola se avessi
già mangiato a casa? Ma che razza di domande fai?
Micheal: Scusa.
Il ragazzino cominciò a frugarsi nelle tasche tirando fuori
una
mezza dozzina di monetine, a stento raggiungeva il dollaro.
Brian: Mi prendi per il culo?
Micheal divenne rosso per l'imbarazzo. Lui veniva a scuola con il
pranzo anche perchè in casa non c'erano molti soldi e quelli
erano davvero tutto ciò di cui disponeva in quel momento.
Brain riprese a camminare verso il bar quando si ritrovò di
nuovo davanti quel mezzo spaventapasseri che frugava nello zaino e ne
tirava fuori un sacchetto di carta marrone.
Micheal: Mia madre mi ha messo un pezzo di torta questa mattina, l'ha
fatta lei è davvero molto buona, ne vuoi un pezzo?
Gli tese il cibo avvolto in un fazzoletto. L'odore era molto invitante.
E poi era a gratis.
Dopo che ebbe dato il primo morso dovette ammettere che non era affatto
male. Anzi era molto buona.
Micheal: Mi chiamo Micheal, Novotney, tu come ti chiami?
Brian divorò il dolce in tre morsi e si ripulì la
bocca dalle briciole.
Brian: Brian.
Micheal: Brian come?
Brian: Kinney
Fece una palla del fazzolettino di carta e lo gettò in un
cestino. Dopo alcuni metri si accorse che Micheal lo stava seguendo.
Brian: Che fai adesso, mi segui?
Micheal arrossì di nuovo.
Micheal: Scusa, ti dò fastidio?
Brain si ritrovò a guardare davvero in faccia il compagno di
scuola, aveva occhi grandi e scuri, la sua espressione sembrava quella
di un cucciolo. Quelli che vengono abbandonati per la strada e che
appena appena gli fai un gesto gentile iniziano a seguirti e non te li
scolli più di dosso. Sua madre li cacciava con la scopa
quando
Claire ne portava uno a casa.
Il sì che stava per rispondergli gli si bloccò in
mezzo alla gola.
Gli premette le dita sul petto e lo spinse in dietro facendogli fare
alcuni passi.
Brian: Solo non mi stare troppo appiccicato.
Micheal sorrise tutto contento. Brian sentendo che gli trottelerellava
dietro si chiese se non avesse commesso un errore madornale a
raccogliere quel cucciolo dalla strada.