Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Lisabeth_24    22/02/2015    0 recensioni
[What if. Robert Baratheon/Elia Martell]
Dal primo capitolo.
Elia di Dorne era più graziosa che bella. Se Lyanna aveva avuto un’avvenenza selvaggia come le sue terre e Cersei una talmente luminosa da abbagliare e far capitolare uomini di ogni dove, Elia sapeva incantare con la sua arguzia e i suoi modi gentili. Era la Regina migliore che Westeros avrebbe mai potuto desiderare e Saiph si illuminava di orgoglio quando la si paragonava a lei.
« Padre, quando mi porterai con te?» esclamò Steph con la sua voce bambina, le gote piene e le labbra imbronciate. Le piccole mani erano chiuse intorno alle braghe del padre all’altezza delle cosce per richiamare la sua attenzione. Aveva la presa sicura, suo fratello, e un giorno sarebbe divenuto un guerriero bravo quanto Gendry. Stephen aveva gli occhi azzurri dei Baratheon, i capelli neri e ricci e la carnagione olivastra di Elia. Un sorriso dolce le arcuò le labbra esangui. Era un giovane Principe destinato a sedere sul trono e portare lustro alla loro famiglia. Rendeva sempre fiero suo padre con i suoi progressi e aveva l’intelligenza della loro madre, il suo tatto, qualità che a Saiph mancava totalmente.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elia Martell, Nuovo personaggio, Robert Baratheon, Viserys Targaryen
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I
 
 
No Masters or Kings
When the Ritual begins
There is no sweeter innocence than our gentle sin

In the madness and soil of that sad earthly scene
Only then I am Human
Only then I am Clean

Take me to the Church, Hozier

 
 
Il cervo era immobile e il suo collo, elegante e liscio, era chino sulla fonte d’acqua da cui si stava abbeverando. Era uno splendido esemplare, maestoso e dal pelo chiaro con rare chiazze color del faggio. Il palco candido si specchiava sulla superficie scossa da lievi onde.
Saiph si era appostata dietro una roccia, le braghe scure a confondersi con l’erba alta del bosco e la freccia ben puntata contro la preda. Suo padre era poco più avanti, a caccia di cinghiali con suo zio e il suo figlio naturale, ma la giovane, che non poteva accompagnarlo molto spesso, aveva optato per un obiettivo meno pericoloso.
La freccia sibilò come una vipera quando allentò l’arco. Il cervo sollevò il nobile capo, ma non fu abbastanza lesto e non poté evitare il colpo. Si accasciò con un guaito, la punta nel cuore. Un colpo netto, pulito. Era spirato senza soffrire.
Il cervo era il simbolo della sua famiglia, i Baratheon di Capo Tempesta, dai tempi di Aegon il Conquistatore quando Orys, suo fratello, aveva conquistato in battaglia ciò che prima era appartenuto ai re Durrandon.
In quel tempo, però, i Baratheon non erano soltanto Lord bensì Re di Westeros. Sul Trono di Spade sedeva suo padre, Robert Baratheon, primo del suo nome, Re degli Andali e dei Primi Uomini, Protettore del Reame. Il suo avvento aveva dato luce ad una nuova era di prosperità nel regno dopo la definitiva sconfitta dei Targaryen. Robert aveva vinto la ribellione con la sua mazza ferrata quando l’aveva scagliata contro il petto di Rhaegar, il Principe di Dragonstone, durante la battaglia più cruenta che fosse stata combattuta a memoria d’uomo. Rhaegar aveva osato rapire la sua promessa sposa e quando Brandon Stark, fratello maggiore della donna che suo padre più aveva amato, l’aveva reclamata, il Re Folle l’aveva ucciso a sangue freddo.
Quell’evento, quell’infamia, l’ennesimo atto scellerato di Aerys aveva dato avvio alla Ribellione di Robert.
La guerra era finita al Tridente quando i lealisti avevano gettato le loro spade ai piedi di suo padre pur di aver salva la vita. O almeno gli scontri lo erano. Il Sacco di King’s Landing ad opera dei Lannister aveva segnato il confine tra il vecchio e il nuovo regno. Jaime Lannister, il Giovane Leone, aveva assassinato Aerys dinanzi al trono, conficcandogli la spada d’oro nella schiena, poi aveva provveduto a salvare la vedova di Rhaegar e la sua bambina, chiudendole nella Cripta delle Vergini.
Quando Robert era entrato nella sala del trono, con al fianco Ned Stark e Tywin Lannister, l’aveva trovato seduto si di esso, la spada insanguinata posata sulla gamba sinistra e un sorriso sardonico impresso sulle labbra esangui. S’era issato in piedi, il cavaliere, e s’era avvicinato al giovane Re per poi lasciar cadere l’arma e chinarsi in segno di un rispetto quasi sarcastico.
Dal quel momento suo padre aveva regnato per sedici anni incontrastato, se non per la breve rivolta Greyjoy, e come Mano poteva vantare un amministratore cauto e saggio, Lord Jon Arryn.
Saiph era la sua primogenita, nata dal matrimonio con la Principessa di Dorne, Elia Martell, vedova di Rhaegar. Aveva i capelli scuri di sua madre, onde color mogano sempre intrecciate per non velarle gli occhi cristallini, eredità di Robert. Aveva il viso pulito, le labbra sempre piegate in un sorriso e una parola gentile per chiunque. Aveva il carattere allegro del padre e sapeva come farsi amare.
Udì lo scalpiccio dei cavalli e sollevò lo sguardo dai resti del cervo per puntarlo su suo padre.
Robert era un guerriero e come tale aveva le spalle larghe, il torace possente e la mano sempre poggiata all’elsa della spada. Era l’uomo che più stimava con suo zio Oberyn. Era un padre amorevole e sempre attento, buono e generoso. Smontò da cavallo e le riservò un sorriso entusiasta e orgoglioso. Saiph gli si avvicinò e notò che Renly, Gendry e Ser Barristan erano tornati a mani vuote.
« Cervo per cena,» annunciò fiera gonfiando il petto poco evidente dietro il corsetto e la giubba di pelle che indossava. Suo fratello- perché Saiph non l’avrebbe mai definito in un altro modo,- le rivolse uno sguardo d’intesa e arricciò le labbra in un breve sorriso. Gendry non si lasciava mai andare, ma Saiph lo amava anche per quello.
« Di cinghiali neanche l’ombra,» sbuffò suo padre porgendo le redini del suo stallone nero da guerra a Ser Barristan. Il cavaliere bianco era il comandante della Guardia Reale, l’unico sopravvissuto al Re folle, « Quei vigliacchi,» esclamò poi scuotendo il capo e posando le mani grandi e callose sui fianchi, l’espressione amareggiata e di falso sdegno. Alzò gli occhi al cielo, che da quella parte del bosco non si vedeva. Gli alberi erano troppo fitti e possenti.
Saiph rise e zio Renly con lei prima che Robert gli desse una pacca sulla spalla con talmente tanta forza che per un attimo il giovane boccheggiò. Fece cenno a lui e Gendry di sollevare l’animale e poggiarlo sul carro per portarlo alla Fortezza Rossa.
Saiph si avvicinò alla sua cavalcatura, una giumenta dal pelo color delle castagne, quieta e nobile, il regalo che suo zio Oberyn le aveva donato due anni prima quando era diventata una donna. L’aveva chiamata Ryn in suo onore e sua madre rideva sempre quando le sentiva pronunciare quel nome.
« Non troverai mai marito se continui così, nipote mia,» affermò Renly poco distanti dalla Fortezza. Gendry si volse a guardarlo esasperato e anche irritato per quella insinuazione, ma Saiph non ci diede molto peso. Suo fratello la proteggeva sempre, pur sapendo che non necessitava di alcun cavaliere in armatura scintillante. La giovane sapeva montare a cavallo come un uomo e anche combattere discretamente, però aveva l’eleganza di una donna. Quando indossava un abito, riluceva come una principessa delle ballate e quando sorrideva, riusciva a far dimenticare a tutti di non avere delle forme gentili come quelle di molte altre dame.
Suo padre sbuffò e scosse il capo, zittendo il fratello minore con un’occhiata raggelante. Robert sapeva intimorire quando i suoi occhi chiari si adombravano celando una tempesta. In quei momenti somigliava terribile a zio Stannis, il Maestro delle Leggi e il Signore di Dragonstone.  
« Se la ragazza vuole cacciare, lasciala fare. Suo marito dovrà farselo piacere,» aggiunse prima di spronare lo stallone verso le scuderie del castello, lasciandoli indietro. Saiph tentò di non pensare all’eventualità del suo matrimonio. Non era adatta a quella vita, a diventare la suppellettile di qualche Lord nel suo castello. Non era adatta ad essere rinchiusa nelle sue camere in attesa di un marito che l’avrebbe cercata soltanto per ricevere degli eredi di sangue nobile.
Suo padre lo sapeva bene e per quello non le aveva imposto un uomo, ma era oramai tempo che si costruisse una sua famiglia.
Aveva indetto un torneo per festeggiare i suoi quindici anni al prossimo ciclo di Luna nella capitale e sua madre le aveva riferito che il Re avrebbe preso la sua decisione. Sarebbero stati presenti i rampolli delle più nobili famiglie di Westeros.
Sebbene Saiph avesse un fratello e il reame un erede, molti contavano su di lei perché era stata l’unica figlia di Robert per nove anni prima che sua madre desse alla luce il piccolo Stephen.
Scese da cavallo senza degnare di uno sguardo Renly che aveva riportato nella sua mente turbamenti e desideri di fuga, e porse le redini al primo scudiero di passaggio per poi dirigersi a passo di carica verso il Re.
Nonostante Robert non l’avesse esplicato ad alcuno, neanche alla sua amata Regina, Saiph sapeva chi era la sua scelta. Robb Stark era il primogenito di Ned, il più caro amico di suo padre, e di Lady Cersei Lannister, la leonessa di Casterly Rock. Un patto tra Baratheon e Stark era stato promesso anni prima e suo padre avrebbe provveduto ad unire le famiglie in qualche modo.
Saiph si ritrovò a sperare che la piccola Myrcella fosse scelta come sposa di Stephen, ma se suo padre l’avesse voluta a Nord, la giovane non avrebbe avuto altra alternativa se non accettare. Avrebbe potuto ribellarsi -ne avrebbe avuto la forza,- ma avrebbe perduto l’amore della sua famiglia e quella era una prospettiva troppo crudele per poter essere contemplata.
Suo padre era giunto nelle camere private della Regina. Sua madre sedeva al tavolino di cristallo sulla balconata che si affacciava sui giardini interni, intenta a leggere un libro, la lunga treccia d’ebano che le carezzava la gota sinistra sino ad arrivare al ventre piatto. Indossava un abito di seta arancione, che ben si adattava alla sua pelle, e con ricami di pizzo di Myr sulle maniche e sulla fascia in vita. 
Elia di Dorne era più graziosa che bella. Se Lyanna aveva avuto un’avvenenza selvaggia come le sue terre e Cersei una talmente luminosa da abbagliare e far capitolare uomini di ogni dove, Elia sapeva incantare con la sua arguzia e i suoi modi gentili. Era la Regina migliore che Westeros avrebbe mai potuto desiderare e Saiph si illuminava di orgoglio quando la si paragonava a lei.
« Padre, quando mi porterai con te?» esclamò Steph con la sua voce bambina, le gote piene e le labbra imbronciate. Le piccole mani erano chiuse intorno alle braghe del padre all’altezza delle cosce per richiamare la sua attenzione. Aveva la presa sicura, suo fratello, e un giorno sarebbe divenuto un guerriero bravo quanto Gendry. Stephen aveva gli occhi azzurri dei Baratheon, i capelli neri e ricci e la carnagione olivastra di Elia. Un sorriso dolce le arcuò le labbra esangui. Era un giovane Principe destinato a sedere sul trono e portare lustro alla loro famiglia. Rendeva sempre fiero suo padre con i suoi progressi e aveva l’intelligenza della loro madre, il suo tatto, qualità che a Saiph mancava totalmente. 
Elia sollevò lo sguardo dal libro, lo chiuse e lo posò sul tavolino. Era una madre attenta e premurosa. Da quando era stata costretta dalle circostanze a mandare via la sua prima figlia, che Saiph non aveva mai conosciuto, era divenuta protettiva e guardinga con chiunque si avvicinasse a loro.
« Sei ancora troppo giovane per la caccia, Stephen,» mormorò dolce mentre Robert scompigliava i capelli del piccolo principe. La voce di sua madre era un tintinnio di campane. Sembrava che cantasse mentre discorreva, ma il tono diveniva di puro acciaio quando, durante le assenze di suo padre, sedeva sul trono e giudicava le cause.
« Un altro anno, ragazzo,» gli assicurò Robert e Stephen sorrise lieto per quella promessa. Poteva attendere. Un colpo di tosse colpì la Regina che si portò il pugno chiuso alle labbra celando nel fazzoletto ricamato un grumo di sangue scarlatto, « Che succede, Elia?» esclamò Robert accorrendo verso la moglie e tenendola tra le sue braccia come per difenderla da un nemico. Le baciò i capelli scuri ed Elia si quietò. Saiph non s’era resa conto di essere avanzata, abbandonando la sua silente posizione sulla soglia, e di aver posato le mani sulle spalle del fratello per rassicurarlo sino a quando Elia non sollevò lo sguardo verso di lei e le rivolse un sorriso appena accennato per rassicurarli.
« Ancora la febbre, madre?» domandò in un pigolio che non le competeva. Scorgere sua madre in quelle condizioni era come ricevere una stilettata nel petto. La nascita di Stephen l’aveva lasciata più morta che viva, la salute ancora più precaria di quanto il Gran Maestro aveva predetto a suo padre nei primi mesi di gravidanza.
« No. Solo un colpo di freddo,» minimizzò con un gesto lieve della mancina e un sorriso sicuro, da vera Regina. Quello servì a calmare Stephen, ma non lei né suo padre. Robert le stava carezzando le braccia e le spalle. Aveva rischiato due volte di perderla durante il parto e una volta durante una crisi respiratoria più potente delle altre tre anni dopo la nascita di Stephen. Aveva provato l’aberrante paura del vuoto e s’era reso conto di quanto l’amasse, di quanto Lyanna fosse scomparsa per lasciare il posto alla donna che gli aveva dato tutto ciò che un uomo poteva desiderare. Elia, però, era forte nonostante il suo corpo non lo fosse mai stato.
« Accompagna tua madre a letto, Saiph,» esclamò Robert preoccupato. Erano sempre più frequenti e alle volte sua madre non si alzava dal talamo per giorni interi. Saiph annuì, riservò una carezza veloce a suo fratello e si avvicinò a sua madre. Non la sfiorò. Sapeva che detestava essere trattata come una bambola di porcellana, ma l’istinto di toccarla per assicurarsi che fosse con lei era talmente radicato che posò la mano sulla sua schiena e la carezzò attraversò la stoffa.
« Non vi è necessità di tale delicatezza, tesoro. Non puoi spezzarmi,» le assicurò in un sussurro dolce e materno che le scaldò il cuore quando giunsero dinanzi al talamo che i suoi genitori condividevano ogni notte. Sua madre era una Martell. Nulla poteva spezzarla né piegarla, nemmeno la malattia. Saiph si inginocchiò e le tolse i calzari, soffocando le proteste di sua madre con lo stesso sguardo che Robert adoperava per mettere a tacere i suoi fratelli minori.
« Non dovresti affaticarti comunque,» borbottò burbera e, per mascherare l’imbarazzo e le gote imporporate come quelle di una bambina, scostò le pellicce pesanti. Era una donna oramai ed era per metà Dorniana. Quell’ingenuità non le apparteneva.
« Con quell’espressione assomigli a tuo padre,» asserì divertita mentre si metteva a letto. Saiph aveva le lacrime agli occhi e per celare l’ennesima debolezza del momento posò il capo sul petto della madre permettendole di carezzarle i capelli. Il cuore batteva lento, calmo, privo di turbamenti. Era così che voleva udirlo. Sempre e per sempre.
 
Angolo dell’Autrice
Che dire di questa storia? Ispirazione improvvisa per un immenso what if. Robert siede sul trono di spade, ma la sua Regina non è Cersei bensì Elia di Dorne. In questa storia Elia non ha dato alcun figlio maschio a Rhaegar, soltanto Rhaenys le cui sorti saranno spiegate nei prossimi capitoli così come quelle di Jaime, Cersei, Viserys e gli altri personaggi lasciati in sospeso. Robert non è eccessivamente beone né puttaniere. Ha un suo passato, come dimostra la presenza di Gendry a corte, ma è un Re migliore di quello descritto nella serie e gran parte di ciò è dovuto al suo matrimonio con Elia. Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito. Alla prossima, Lisabeth. 
   
 
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