OBSESSION
UNO
Lui.
Alto, snello ma possente, dalla
magra muscolatura palesata sotto una
canottiera aderente, una camicia aperta e nera, come i jeans scuri, gli
stivali
dalla punta in ferro e la polsiera in pelle che copriva metà
del suo
avambraccio. Un volto dalla pelle chiara, pallida, quasi incolore, a
parte un
zona più violacea sotto gli occhi. A incorniciare il tutto,
una massa selvaggia
di ciocche corvine, così scapigliata da conferirgli una aria
da poeta
maledetto. Una mandibola importante a segnarne i tratti virili. Un paio
di
labbra carnose, inverosimilmente rosate e tirate in un leggero sorriso
ammaliante. Due occhi piccoli, ma magnetici. Pieni di
un’intensità data da una
sfumatura cerulea e gelida che caratterizzava l’iride ed
evidenziata
enormemente da un contorno scuro, nero come la pece, profondo quanto
l’oscurità
nascosta nella sua pupilla. Aveva uno sguardo fiero e sicuro che
catturava
all’istante l’attenzione di chi veniva incuriosito
dal suo portamento distinto
e sicuro.
Lui, Marcus.
Lei.
Una figura minuta e aggraziata,
delicata e misurata in ogni movimento. Un
corpo armonioso, stretto in un bustino nero vellutato e ricamato in
raso,
abbinato a un’ampia gonna lunga fino a terra, ampia e
sfarzosa come se fosse il
vestito di una dama del Settecento, ma troppo anacronistico a causa
dell’oscurità dei toni indossati. Una pelle
lattea, bianca e scintillante come
può essere una luna piena in un cielo sgombro da ogni genere
di nuvola. Un viso
candido, dai tratti gentili. Una bocca rossa e piena, suggeriva la
sensazione
di morbidezza e invogliava alla ricerca di un sapore squisito. Uno
sguardo
dolce e denso, in cui era facile perdersi quando si rimaneva incantati
dalle
venature dorate di quegli occhi bruni, forti come il caffè e
deliziosi come la
cioccolata. Una cascata di boccoli, un’ondata proveniente da
un mare in
agitazione color del fuoco. Capelli di un rosso intenso, dai riflessi
ambrati
che risplendevano alla luce del sole e sembravano come una moltitudine
di
lingue fiammeggianti. La sua mano teneva ancora il microfono, stretto
fra le
dita affusolate e impreziosite da svariati anelli argentei dalla foggia
particolare, molto simili al ciondolo appeso al suo collo e
raffigurante un
simbolo forse di origini celtiche.
Lei, Sabine.
Marcus e Sabine avevano appena
finito la loro esibizione e si
apprestavano a raggiungere il backstage ancora euforici e pieni di
adrenalina.
Erano un duo rock, il quale aveva
raggiunto la fama mondiale per
l’imponenza del loro live e la forza irresistibile delle loro
canzoni. In un
groove sincopato allietato dalla profondità della voce
maschile e dalla
leggiadria della voce femminile, unite in una perfetta unione melodica.
Io ero lì, dietro al
palco, ad aspettarli trepidante. …ad aspettarla.
“Sabine!”
richiamai la sua attenzione con calma, dopo aver rilassato ogni
muscolo del mio corpo e aver assunto una postura sicura, cercando di
celare
anche la minima traccia di quella ansia e agitazione che mi
percuotevano
l’animo. Non appena lei si girò a incrociare il
mio volto, ebbi un tuffo al
cuore, come succedeva ogni qualvolta quelle gocce d’oro erano
puntate
volutamente su di me.
“Oh, ciao Bill! Non
sapevo fossi qua.. non ti avevo visto prima di
salire!” la sua voce fu come un soffice musica che
arrivò al mio orecchio.
Cercai di non far notare quanto il mio cuore si stesse crogiolando per
quel
suono e risposi evitando ogni titubanza.
“Sono arrivato appena in
tempo per sentire l’inizio del concerto!”
sorrisi “Siete stati grandiosi, come sempre!”
conclusi entusiasta.
“Grazie! Tutte le volte
ci riempi di complimenti. Sei molto gentile, ma
non ti sei ancora stufato di vedere i nostri live?” chiese
divertita,
assottigliando quei grandi occhi marroni in una smorfia allegra.
“Mai! Ogni volta
è come la prima, ma, difficile da credere, sempre
migliore alla precedente…”.
Sapevo di sembrare un patetico fan
in estasi davanti al proprio idolo, ma
così era e lasciai che l’autenticità di
quella sensazione mi prendesse senza
remore. In aggiunta, a lei sembrava piacere questa sfrontata
naturalezza. O
almeno così mi convinsi appena ebbi notato nascere un
sottile sorriso sul suo
candido volto.
“Uhm… mi stai
dicendo che col tempo prendo sapore come un buon whisky
d’annata?!”
La sua domanda non ebbe risposta
perché entrambi scoppiamo in una risata
genuina e simpatica.
“No,
davvero..complimenti! Mi sono emozionato soprattutto nel finale
quando tu e Marcus eravate uno di fronte all’altra. Mi avete
messo lo stomaco
in subbuglio….” ..sì, ma dalla gelosia!
Mi era presa una stretta alla bocca
dell’esofago a vederli così vicini e presi dal
pathos della canzone. Avrei
voluto essere al posto del suo partner per poter vivere
l’intensità di quel
momento a un passo dalla rara bellezza quale ritenevo fosse quella dama
per me,
da anni.
Non era solo il mio idolo, era
qualcosa di più e ne ero pienamente e
tristemente consapevole, da anni.
Poi, d’un tratto, il
nostro dialogo venne interrotto dal brusco arrivo
dei miei compagni.
“Ehm..ciao
Sabine” mio fratello mi arrivò alle spalle insieme
a Georg e
Gustav. Entrambi la salutarono con un cenno della testa e con un
sorriso
tiratissimo.
Sapevo che a nessuno di loro non
andava giù ciò che provavo per quella
donna, da anni.
Avevano cercato più di
una volta di dissuadermi ad andare ad un suo
concerto, ben sapendo il motivo per cui io volessi andarci.
Tutte le volte, però, si
erano lasciati convincere da una serie
comprovata di mie moine, le solite davanti le quali nessuno sapeva
negarmi
nulla, sin da piccolo. Erano il mio asso nella manica e sapevo usarlo ad
hoc
e con sapienza a mio unico vantaggio, tutte le volte che
ritenevo fosse
anche minimamente necessario.
Purtroppo l’effetto del
convincimento durava poco e così, tempo cinque
minuti dalla fine del live, mi strappavano rapidi dal mio mondo
incantato e
rosato.
“Bill, dobbiamo
andare!” la voce solenne di Tom mi giunse
all’orecchio
come fosse un ultimatum.
“Sì, dammi un
solo minuto e vengo!” convenni docile in modo da
persuaderlo a lasciarmi altro tempo.
Anche Georg e Gustav acconsentirono
e si allontanarono silenziosi.
Io rimasi ancora
solo con lei.
“Sabine…ti va
di uscire con me stasera?” mi sbrigai a porle la solita
domanda.
“Bill, me lo chiedi tutte
le volte che ci vediamo…” aveva un tono quasi
esasperato, purtroppo.
“Già, ma mi
rispondi sempre di no”
“E credi che questa volta
ci qualcosa sia diverso che mi possa far
cambiare idea?” ribeccò retorica.
“Non lo so, magari! Tutto
può essere! Io ci provo finchè non dirai di
sì”
sfoggiai un sorriso luminoso, mia arma adescatrice per eccellenza
“…quindi?”
chiesi speranzoso.
“No.” Secco.
“Sempre per il solito
motivo con cui non concordo?” insistei sicuro di
me, nonostante sapessi la risposta che per anni mi aveva ossessionato.
“Dovresti…siamo
troppo diversi. E poi io sono più grande
di te!”
lo disse con un aria di superiorità che invece di
infastidirmi, mi fece
ribollire il sangue nelle vene.
“Non significa nulla. Hai
solo tre anni in più di me…non credo proprio
sia una scusa plausibile.” Ribattei celere.
“Bill, lascia stare
dai..” non c’era alcun segno ritroso in quelle
parole. Parole che però lasciavano molto in
sospeso, molto più di quel
che potessi mai immaginare.
“Per ora..”
risposi cercando di essere sensuale. Modulai la voce in un
tono più basso e impostato, ammiccai volutamente con gli
occhi e cercai di
immaginarmi come uno di quegli attori d’epoca, pieni di
charme e sicuri di sé,
così fiduciosi da chiamare tutte le donne allo stesso modo,
‘baby’.
Personificando quel ruolo da macho che non deve chiedere mai, infatti,
avrei
potuto benissimo dire: «per ora, baby!». E
andarmene fumando la mia sigaretta
con non-chalance.
“Cosa devo fare per
essere lasciata in pace?”
Credo di essere stato un pessimo
attore perché la sua voce era quasi
disperata e anni luce lontana da quella di una donna che vorrebbe
caderti fra
le braccia.
“Accettare di uscire con
me!”squittii allegro, lasciando perdere ogni
tentativo di sembrare Rhett Butler in ‘Via col
vento’.
“Va bene..”
sbuffò “ma la prossima volta. Stasera davvero non
posso!”
“Ok, alla prossima
allora..” annuì soddisfatto. Finalmente la mia
dama
delle tenebre aveva ceduto!
O almeno così mi
illusi…..
Mi svegliai di soprassalto,
sentendo una presenza anonima al mio fianco.
Avvertivo il peso dello sguardo di
un qualcosa sulla mia persona e mi
innervosii tanto da destarmi inconsciamente dal sonno.
Schiusi gli occhi, sbattei le
palpebre più volte per cercare di abituarmi
alla fioca illuminazione resistita all’oscurità
notturna. Una volta che ebbi
aperto sul serio gli occhi mi girai immediatamente verso la parte in
cui avevo
creduto ci fosse qualcuno, ma non vidi nessuno, anche scrutando
attentamente
nel buio illuminato dalla luce lunare proveniente dalla finestra della
mia
camera di hotel.
Accesi la luce per avere conferma e
la ebbi.
Il mio sguardo stava scannerizzando
centimetro per centimetro dello
spazio intorno, sentivo le mie pupille schizzare da una parte
all’altra per
trovare anche la minima cosa fuori posto. In un modo nevrotico e
spasmodico.
Analizzai la disposizione delle mie
valigie e constatai che nessuna di
loro era né sparita e quindi rubata né collocata
in modo diverso dal caos in
cui ero solito lasciarle dopo ogni nuovo arrivo in una camera
d’albergo.
Anche l’arredamento era
esattamente quello che mi ricordavo.
Era tutto come lo avevo lasciato
prima di addormentarmi. Nulla di più,
nulla di meno.
Non vidi oggetti alieni o figure
estranee al luogo.
Ero solo nella mia stanza e non
potei neanche dire che potesse essere
stato il vento perché la finestra era ben chiusa, anche se
con le tende
lasciate raccolte ai suoi lati. Mi alzai dal letto ancora dubbioso e,
scostando
veloce le lenzuola di seta, andai davanti la porta per controllare che
fosse
chiusa ed, come poteva essere prevedibile, fu proprio in quello stato
che la
trovai, con tanto di cartellino ‘don’t.
disturb’ appeso alla maniglia
esterna.
Rimasi interdetto.
Non capivo perché mi
fossi svegliato se poi, in realtà, non ci fosse
nessuna ragione per farlo. Strano! Molto molto strano..
Sapevo di essermi sentito
intensamente osservato e di essermi reso conto
dopo del tempo del senso di disturbo che aveva stuzzicato la mia
inconscia
attenzione e provocato il mio risveglio.
Cercai di ricordarmi cosa avessi
sognato poco prima, pensando che magari
fosse solo una sensazione legata a un mio sogno.
Tornai sotto le lenzuola color
crema ancora poco convinto, sistemai il
risvolto sistemandolo e allisciandolo all’altezza del mio
petto mentre ancora
cercavo di capire l’origine di quel dannato fastidio di
sentire
qualcuno/qualcosa atto a fissarmi a mia insaputa e senza alcun ritegno
per il
mio privato.
Alla fine mi addormentai senza aver
trovato soluzione al mio dilemma,
ancora infastidito dalla ridicola possibilità che questo mio
dubbio potesse
essere una realtà.
La mattina seguente cercai di non
pensarci, ma dopo appena due giorni mi
ritrovai di nuovo sveglio alle due di notte angustiato dallo stesso
strano
presentimento di avere un estraneo a guardarmi dormire.
Ovviamente cercai di nuovo per
tutta il perimetro della camera e
ovviamente senza risultato.
La stessa scena si
continuò a ripetere ogni due notti in orari sempre
differenti, ma sempre nell’arco delle ore notturne.
Continuava a ripetersi anche se
cambiavamo hotel o anche se solo riuscivo
a farmi cambiare camera, inventandomi assurde storie, mostrando fasulle
esigenze da Star.. dopo l’ennesimo insensato risveglio nel
cuore della notte. E
tutte le volte, nonostante venissi accontentato in ogni mio
più piccolo
desiderio da ‘diva’, quella inquietante e assurda
presenza continuava a turbare
il mio riposo.
Stavo diventando matto al pensiero
di essere osservato e perseguitato
proprio nel momento in cui abbassavo le difese per lasciarmi andare nel
mondo
di Morfeo, tanto da cercare di evitare il sonno e rimanere sveglio a
controllare che qualcuno entrasse concretamente in quelle ore scure.
Tutto inutilmente perché
nessuno entrò mai, né dalla porta né
dalla
finestra.
Nelle sere seguenti provai a
convincere mio fratello a dormire con me più
di una volta, come facevamo da piccoli e avevamo paura dei tuoni del
temporale,
buttandogli lì la scusa di voler parlare con lui riguardo
faccende private,
però Tom non volle sentire ragioni e preferì
passare la notte con una bionda
tutta curve o addirittura passare il suo tempo a giocare alla Play con
Georg
per tentare di vincere il titolo di campione di ‘Formula
1’. Tentai anche di
spiegargli la situazione, ma alla fine, intuendo le future prese per il
culo
per tempo, decisi di lasciarlo stare e farmi forza da solo.
Presi tutto il coraggio a mia
disposizione e andai a dormire, aiutato
dall’effetto sonnifero di una doppia camomilla e di un
calmante.
Alla fine erano passati
più di venti giorni dall’inizio di quello che
avrei potuto definire un vero incubo ed altri tre dall’ultimo
improvviso
risveglio nel cuore della notte.
Quindi uno in più dal
solito.
Sperai che significasse la fine di
quella tortura…di quella che stava
divenendo una snervante inquietudine, una insopportabile ossessione.
Dopo essermi pienamente convinto
che fosse solo lo stress per il tour
appena iniziato -a forza di ripetermi come una cantilena continua e
infinita: “è
solo lo stress per il tour!” e quindi inculcandomi
il concetto e
assumendolo per vero per inerzia- e confidando nell’effetto
del calmante, mi
addormentai un po’ più sereno.
Più tardi,
però, qualcosa disturbò la mia
tranquillità… ancora!
Spalancai gli occhi appena percepii
quella sensazione ben conosciuta e
rimasi sopraffatto nel vedere solo due occhi fissarmi
dall’alto con attenzione.
Stavolta potei vedere qualcosa.
Occhi che riflettevano del loro
bianco intenso.
Scovai una luce dorata fra tanto
candore e mi affrettai ad accendere la
luce per cercare di riconoscere in quei tratti qualcosa di familiare,
ma appena
il tempo di girarmi verso l’interruttore e farlo scattare che
già erano spariti.
Mi voltai verso la porta per
constatare se fosse aperta e la trovai come
al solito chiusa. Mi girai verso la portafinestra della mia stanza ed
anche
quella era chiusa.
Ormai era diventato abile e rapido
a compiere questi futili controlli,
tutte le volte senza nessuna scoperta folgorante che motivasse tutta la
mia
ansia ossessiva.
“Cazzo, ora ho anche le
allucinazioni!” sbottai sfinito.
Ripresi le lenzuola, finite al
bordo del materasso per la precedente
improvvisa agitazione, e mi ricoprì il torace leggermente
imperlato di sudore.
Mi rigirai varie volte nel mio
stesso letto finché, alle prime luci
dell’alba, non decisi che ormai fosse inutile provare a
tornare a dormire.
Avevo in testa ancora quegli occhi.
Erano fissi come due fari
abbaglianti in un campo buio.
Mi avevano accecato nella notte e
non riuscii a distogliere la mente per
tutto il giorno da quel pensiero.
Li avevo ben focalizzati in testa e
appena chiudevo gli occhi, anche solo
per riposare le palpebre, me li rivedevo davanti, pronti a fissarmi,
gelidi e
impersonali. Non riuscivo a unirli a un corpo. Stranamente non mi
importava se
avessero un corpo.
Ero rimasto folgorato dal brivido
glaciale e irrequieto che erano
riusciti a trasmettermi e che, al solo pensarci, tutte le volte
riprovavo
sentendo la stessa scarica di terrore, partita all’improvviso
dal collo e scesa
rapida lungo tutta la colonna vertebrale.
Ne parlai anche con Tom, il quale,
invece di consigliarmi o calmarmi,
colse la palla al balzo per prendermi in giro. Come avevo supposto
facesse in
precedenza…
Stupido
babbuino sconvolto da troppe tormente ormonali per
degnarsi di aiutare il suo gemello! Tsk!
Avevo fatto bene l’altra
volta a lasciarlo all’oscuro di queste mie nuove
ossessioni! Non mi prende mai sul serio quando gli parlo senza
scherzare…
Giunta la sera, andai a dormire
teso come una corda di violino.
Continuavo a pensare a quello
sguardo.
Forse era stata solo
un’allucinazione, ma era stata così intensa e
viscerale che non credo di poterla mai scordare.
Non riuscii a stare nel letto per
nemmeno cinque minuti.
Ogni traccia di stanchezza era
volata via lasciando spazio a una
nevrotica irrequietezza.
Iniziai a girare per la stanza
cercando qualcosa da fare per tenermi
occupato. Svuotai le mie otto valige e sistemai tutto il loro contenuto
da
capo, catalogando ogni cosa e differenziandola per tipo e colore, e
infine
ricomponendo i bagagli in un altro ordine.
Preso
dall’iperattività isterica, feci la stessa cosa
per il mio beauty:
divisi le matite dagli ombretti e dai mascara; appuntii le punte delle
prime e
buttai gli ultimi diventati troppo secchi per essere usati; riposi i
miei
smalti al fresco del minibar e poi, uno a uno, li provai sulle mie
unghie
andando infine a buttare quelli più vecchi.
In ultimo, con lo smalto appena
rifatto, i capelli stirati –perché
intanto mi ero anche impossessato della mia piastra e ne avevo fatto un
uso
spasmodico fino a rendermi i capelli lisci e lucenti come quelli di una
modella
cinese-, decisi di farmi un giro dei canali disponibili nel pacchetto
TV dato
dall’hotel.
Mi poggiai sul divano di pelle
marrone, il quale troneggiava al centro
del minisalotto che avevo a disposizione e, infine, mi addormentai
esausto
davanti a una telepromozione di un fondotinta che prometteva di
nascondere ogni
tipo di difetto e di durare per 24 ore su 24.
Venni svegliato da un insistente e
continuo bussare alla porta.
Ero ancora sdraiato sul divano con
il telecomando tra le mani quando
decisi che il rumore assillante non me lo stavo sognando, ma veniva
decisamente
dalla porta della mia camera.
Di sicuro non era il rullo di
tamburi della banda del circo di cui stavo
rimirando le acrobazie e la bravura insieme al mio fratellino, lui
sulle
ginocchia della mamma e io del mio papà, identici e molti
più piccoli della
realtà. Sembravamo una felice famigliola tutti e quattro
assieme, ma c’era un
particolare di rilevanza: non ero su Gordon, il mio patrigno, ma sul
mio vero
padre, Jörg!
Era da tanto che non lo sognavo e succedeva sempre quando mi sentivo in
necessità di supporto morale e fisico.
Nonostante tutto la sua figura
imponente, la sua presenza massiccia e la
sua forza indiscussa mi hanno sempre dato un confortante senso di
sicurezza, la
quale ora come ora era la cosa che più desideravo provare,
almeno per scacciare
quell’angosciante e costante timore che mi percuoteva
l’animo e la mente.
Comunque, lasciai stare le
riflessioni sul mio sogno e decisi di andare
ad aprire, mi stropicciai gli occhi impastati dal sonno e, appena
riuscii a
dischiuderli un minimo per vedere, diedi
un’occhiata al timer del lettore
dvd posto sotto al plasma.
Le 3 e 26.
Non avevo neanche la più
piccola idea di chi potesse essere a quell’ora
della notte.
Potevo benissimo escludere il
gruppo, lo staff e i tecnici perché avevamo
tutti la sveglia alle 5 in punto per andare all’aeroporto.
Quindi ora era troppo presto per
tutti loro.
E comunque, se anche fosse successo
qualcosa, nessuno di loro avrebbe
aspettato che io andassi ad aprire per tutto quel tempo, ma avrebbe
rimediato
la chiave della stanza e sarebbe entrato senza troppi indugi, ben
conoscendo il
mio stato di coma profondo in cui cadevo quando andavo a dormire.
Ipotizzai allora per qualcuno del
servizio dell’hotel, giunto nel cuore
della notte per avvertirmi di qualche imprevisto, ma anche questa
soluzione non
aveva un granché di sensato. Potevano sempre avvertirmi via
telefono.
Mi alzai dal divano con la flemma
degna di un orso caduto in letargo,
strisciai le pantofole fino alla porta e infine la aprì.
“Ah finalmente! Credevo
fossi morto nel sonno…sono cinque minuti buoni
che sto bussando senza tregua!!”
Strabuzzai gli occhi fuori dalle
orbite.
Che
cosa diavolo ci faceva LEI, alle tre di notte, davanti alla
mia porta?
“Sabine!!!!!!!!!”
esclamai sconcertato e indiscutibilmente risvegliato
dalla sorpresa rivelata all’improvviso.
Sorpresa che chiamare inaspettata
sarebbe stato molto riduttivo. Molto!
“Cosa ci fai
qui?” le chiesi una volta che riuscii a connettermi con il
mio cervello, ancora in stato comatoso.
“Poche domande! Vestiti
veloce e vieni via con me!” mi ordinò sbrigativa,
facendo cenno al solo paio di boxer indossati da me in quel momento.
Ancora frastornato,
annuì obbediente e in breve le stavo di nuovo
davanti. Stavolta con addosso jeans, maglia e scarpe a coprire tutte le
mie
‘grazie’, pronto a seguirla come un automa.
Lei prese a camminare veloce tra i
corridoi dell’albergo e di seguito a
scendere le scale in tutta fretta, mentre io cercavo di starle dietro
come
fossi un bravo cagnolino con la propria padrona, incantato a seguire la
scia
infuocata dei suoi capelli, i quali si muovevano liberi e selvaggi
lungo la sua
schiena, agitati per la corsa troppo rapida per restare composti.
Una volta scesi fino nella hall
dell’albergo, trovai la forza di
staccarle gli occhi di dosso e finalmente chiedere spiegazioni.
“Sabine, mi spieghi
perché mi hai svegliato nel cuore della notte e mi
hai portato qui?” chiesi impostando la voce in modo da
renderla più ferma e
decisa. Sforzo inutile perché ero così
elettrizzato dalla sua sola presenza che
al massimo potevo squittire di gioia.
Lei, la mia dama della notte,
però era troppo presa a cercare con gli
occhi qualcuno in quella landa desolata quale era l’entrata
dell’hotel a
quell’ora di notte.
Forse la receptionist.
Difatti appena una ragazza, vestita
di tutto punto in un tailleur blu
scuro, uscì da dietro lo scaffale dove erano riposte le
varie e lucenti chiavi
delle stanze dell’albergo. Sabine si avvicinò al
bancone posto per il
ricevimento dei clienti, lasciandomi senza risposte e solo, come uno
stoccafisso, ad osservare ancora una volta il movimento ondulatorio dei
suoi
capelli. E del suo corpo. Un corpo sinuoso ed elegante, ben fasciato da
un paio
di pantaloni di raso aderenti e neri, ma soprattutto valorizzato dalla
scollatura ardita posta sul retro della maglia, punto in cui mi ero
particolarmente fissato durante tutta la corsa.
Restai vicino alla reception, ma
non abbastanza per sentire cosa le
stesse dicendo. Provai a leggerle le labbra, senza alcun successo
però: dopo
neanche due secondi che restavo a fissarle per concentrarmi, sentivo
una strana
morsa allo stomaco e iniziavo a pensare su quanto riuscissi ad adorare
quell’essere così misterioso e aggraziato.
Ogni mio tentativo di percepire
anche un solo tratto del loro dialogo finiva
in un vacuo e sognante rimirare, ai limiti del maniacale, le movenze
della mia
dama.
Rimasi come uno scemo a guardarla
gesticolare con garbo, senza dare
alcuna importanza all’espressione allarmata che invece si
impossessò della
faccia della biondina dell’hotel.
Quando Sabine tornò
verso di me, notai che il suo viso era più disteso e
tranquillo. Non c’era più quell’aria
crucciata di prima.
“Cosa è
successo?” domandai appena fu vicina, cercando di celare sia
il
turbamento per la situazione sia la tachicardia data dalla sua inusuale
vicinanza.
“Nulla di grave.
C’è stato solo una minaccia di incendio, ma ho
avvisato
la ragazza per tempo. Mi ha detto che ora porranno rimedio e
chiameranno i
clienti presenti per radunarli qui nella hall, per pura
precauzione.” spiegò
senza scomporsi, mettendosi calma una ciocca rosso fuoco di quei
capelli
indomabili dietro l’orecchio, con tale naturalezza e
semplicità che per un
attimo distolsi l’attenzione dalle sue parole per incentrarla
sui suoi dolci
lineamenti.
Per un attimo, perché mi
resi presto conto della gravità delle
situazione.
Boccheggiai allibito e incredulo.
“Come niente di
grave???” Non potevo credere a quello che avevo appena
sentito.
“Hai detto
i-n-c-e-n-d-i-o..?” scandii la parola lettera per lettera,
mentre cercavo conferma nel suo volto, così rilassato e
chiaro che il mio a
confronto sembrava un dipinto di Picasso. Fui troppo colpito dalla
notizia per
rimanere impassibile, come lei.
“Già…
ma sentendo le telefonate che sta facendo ora la bella biondina,
credo che in pochi secondi sarà tutto sotto
controllo!” disse placida indicando
la ragazza dietro il bancone, la quale ora si dava da fare come una
forsennata
a gestire l’incidente, avvisando di persona cliente per
cliente via telefono.
“Ok.. non voglio sapere
altro.. so solo che non ci sto capendo nulla!”
scossi la testa come per negare il caos che mi si era creato
all’interno. Poi
riflettei.
“Anzi, una cosa la vorrei
sapere!” affermai convinto, cercando si
riprendere uno stato più calmo, massaggiandomi lentamente le
tempie per tentare
di attutire lo stridio insopportabile sotto cui stavano cedendo le mie
cellule
cerebrali.
Stava per scoppiarmi un mal di
testa coi fiocchi.
“Tu come facevi a
saperlo?” le puntai la mia unghia laccata di nero
contro il naso. “…e come mai sei venuta a bussare
da me? …e soprattutto, come
mai eri qui?” in effetti stavo morendo dalla
curiosità.
“Avevi detto
una!” tentò così di evitare di
rispondere, ma la fissai
bieco senza lasciarle vie di fuga.
“Rispondi”
asserii serio e autoritario, serrando gli occhi a fessura in
modo da sembrare quantomeno minaccioso, nonostante il mio bel faccino
che
sapevo avrebbe reso vano il tentativo di apparire autorevole.
“E va bene,
però prima voglio essere ringraziata per averti salvato
dalle
fiamme!” ribeccò palesemente divertita dalla mia
serietà evidentemente troppo
forzata per essere credibile.
Così lasciai perdere
quel finto tono severo, rimanendo comunque atterrito
dai suoi modi sfrontati quanto adorabili.
“Veramente
-”cercai di ribattere, ma lei mi parlò sopra
ripetendo la sua
richiesta e sostenendo il mio sguardo attonito.
“Bill, non si usa
più ringraziare?” mi guardò con quei
suoi occhi dorati,
di un nocciola così chiaro e di una lucentezza
così limpida da sembrare due
pepite d’oro. La profondità del suo sguardo si era
sfumata in una nuova luce,
più brillante, che le schiariva il marrone in nocciola, fino
ad accentuare in
maniera esponenziale le caratteristiche venature dorate che solitamente
le
impreziosivano l’iride, tanto da modificare il colore dei
suoi occhi.
Mi ci persi dentro e tutto il mio
imperativo di ottenere delle risposte
da lei andò a farsi friggere. Anzi, lo scordai completamente
quando presero
un’aria ridente e ne seguì anche un sorriso
delicato e leggermente beffardo
sulle labbra.
“Oh, si…
Grazie!” annuì da bravo bambino, con una faccia da
ebete che la
fece sorridere nuovamente.
“Prego… oh,
guarda stanno arrivando i tuoi amici” e indicò
verso
l’ascensore alle mie spalle.
Girandomi vidi Tom, Georg e Gustav
uscire dalle porte scorrevoli
dell’ascensore centrale con un’aria decisamente
assonnata e con addosso quella
che doveva essere la prima cosa capitata sotto mano, visto lo stato
penoso in
cui erano le loro magliette.
“Tooom!”
attirai la sua attenzione sbracciandomi, ben sapendo quanto poco
potesse essere recettivo se colto nel pieno della fase rem, soprattutto
se strappato così bruscamente da qualsiasi letto in cui
dovesse trovarsi.
Vedendo che nessuno dei tre aveva
fatto caso al mio richiamo, decisi di
raggiungerli lasciando per un attimo Sabine da sola.
“Ciao Bill, cosa ci fai
qui? Hanno chiamato anche a te?”
La voce di Tom era pacata e ancora
impastata dal sonno. Sembrava che lo
stato di allarme appena scattato in tutto l’edificio non lo
avesse affatto
toccato.
Si stava stringendo i dread nella
solita coda alta e infilando con
delicatezza un cappellino dei suoi, incurante dell’agitazione
che stava
aumentando man mano mentre i clienti dell’albergo giungevano
in tutta fretta
nell’ingresso. Tutto preso dalla sua immagine riflessa in una
delle colonne a
specchio poste accanto le porte degli ascensori.
“No, sono con
Sabine” feci un piccolo cenno dietro di me, dove supponevo
fosse il soggetto in questione.
“Con chi??”
finalmente decise di guardarmi in faccia, smettendo di
specchiarsi, ma elargendo uno sguardo a dir poco dubbioso e sorpreso.
“Sai la cantante dai
capelli rossi alla quale sbavo dietro da anni?”
sussurrai sbrigativo.
“Si, scemo, so chi
è, ma io non vedo nessuno come lei….sei sicuro di
star
bene? Hai ancora le allucinazioni?” mi chiese ridendo, ancora
divertito dal
racconto che gli avevo fatto di recente riguardo le mie vicende
notturne.
“Non è che sei
stato tu ad appiccare l’incendio con una sigaretta e una
bomboletta spray?” continuò sbottando in uno stato
di demenziale ilarità.
“No, deficiente!
E’ lei che ha avvisato dell’incendio…
sta lì al bancon-”
non conclusi la parola perché, voltandomi nella direzione
ipotizzata, con
l’idea di indicarla a Tom, trovai decine di persone ad
affollare la zona intono
alla reception, ma di Sabine nessuna traccia.
La cercai con lo sguardo in tutta
la sala e non la vidi.
Scattai veloce fuori
l’albergo, ma né a destra né a sinistra
della strada
riconobbi la figura esile della sua persona.
Ispezionai le strade e i vicoli nei
dintorni cercando la sua chioma
ramata. Chiesi a tutte le persone che incrociai nel mio percorso.
Fermai
chiunque per urlargli contro una descrizione improvvisata di Sabine, ma
credo
che tutti fossero così sconvolti dal mio stato di ansia
impanicata da non fare
caso a cosa dicessi.
Sta di fatto che nessuno seppe
darmi alcuna indicazione. La persi
semplicemente tra la folla senza neanche accorgermene.
Caddi nel panico e non seppi
spiegarmi la sua comparsa.
“Cazzo, era accanto a me
fino a cinque secondi fa! Mi sono distratto per
farmi vedere da voi e non mi sono reso conto di dove sia andata a
finire!”
sbottai esasperato mentre rientravo nella hall.
Cosa cavolo potevo saperne io che
potesse sparire così all’improvviso…
Tom, impietosito dal mio
comportamento, mi accompagnò a chiedere
informazioni per sapere se almeno la ragazza dal tailleur blu
l’avesse vista
andar via, tuttavia neanche lei poté essermi
d’aiuto.
Decisi di rassegnarmi e calmarmi
sotto il consiglio benevolo dei miei
compagni.
“Comunque, Bill, sai cosa
è successo?” mi volsi verso Georg, il quale mi
aveva posto la domanda sia per farmi distrarre sia per capire qualcosa
sull’incendio.
“Ah.. beh.. io stavo
dormendo quando è venuta Sabine... prima stavo
tentando di chiederglielo, poi però siete arrivati
voi…” accennai a una
sconclusionata spiegazione, derivata dalla stato di totale intontimento
in cui
mi trovavo. Nel mentre mi ero accasciato disperato a terra, tenendomi
sfinito
la testa fra le mani e poggiandomi con la schiena su una delle pareti
marmoree
e fredde che abbellivano ogni sala dell’edificio.
“Lascia stare! Non ti
sforzare che sei già abbastanza stanco… ora credo
che possiamo tornare tutti in camera!”
Come sempre Gustav aveva preso la
faccenda in mano e aveva deciso di
rimandare tutto al giorno successivo dopo almeno un altro paio
d’ore di sonno
ristoratore.
Sentii le mani di Tom afferrare le
mie e tirarmi su di forza, infilandosi
nei panni del fratellone apprensivo e protettivo. Mi mise un braccio
intorno
alla schiena e io mi abbandonai fiacco sulla sua spalla, aggrappandomi
leggermente al suo collo.
Proprio mentre stavamo per
riprendere l’ascensore per tornare alle nostre
camere, come anche il resto della clientela dell’hotel,
sentii uno stralcio
della conversazione che stavano tenendo Gustav e Georg alle mie spalle.
“E’ per questo
che non mi piace!” percepii un forte astio nella voce del
batterista.
“Sono anni che si riduce
così per lei…” e anche quella del
bassista aveva
lo stesso tono acido.
Non ebbi la forza di ribattere o
chiedere spiegazioni, aspettai
silenzioso di arrivare al mio piano, sempre poggiato esausto a mio
fratello,
conservando le forze solo per cadere fra le braccia di Morfeo.
Forse stavano cercando di
difendermi da un’altra dura batosta.
Forse era tutto un sogno e mi ero
immaginato tutto.
Forse ero così impazzito
da immaginarmi Sabine davanti alla mia porta
perché era quello che desideravo con tutto me stesso.
Alla fine dei conti lei era apparsa
e scomparsa come fosse un’ingannevole
visione.
O forse… la
realtà aveva superato l’umana immaginazione!
DISCAIMER:
'Con questo mio scritto, pubblicato
senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione
veritiera del
carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'
L.