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Autore: picchia    08/12/2008    1 recensioni
E quindi mi ero innamorato di un vampiro? Anzi di una vampira!!
Dopo un primo attimo di perdizione, sentivo un maggiore fremito e aumento d’eccitazione. Per nulla spaventato dall’idea.
Dovevo rivederla
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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OBSESSION

 

 

 

 

 

 

UNO


Lui.

Alto, snello ma possente, dalla magra muscolatura palesata sotto una canottiera aderente, una camicia aperta e nera, come i jeans scuri, gli stivali dalla punta in ferro e la polsiera in pelle che copriva metà del suo avambraccio. Un volto dalla pelle chiara, pallida, quasi incolore, a parte un zona più violacea sotto gli occhi. A incorniciare il tutto, una massa selvaggia di ciocche corvine, così scapigliata da conferirgli una aria da poeta maledetto. Una mandibola importante a segnarne i tratti virili. Un paio di labbra carnose, inverosimilmente rosate e tirate in un leggero sorriso ammaliante. Due occhi piccoli, ma magnetici. Pieni di un’intensità data da una sfumatura cerulea e gelida che caratterizzava l’iride ed evidenziata enormemente da un contorno scuro, nero come la pece, profondo quanto l’oscurità nascosta nella sua pupilla. Aveva uno sguardo fiero e sicuro che catturava all’istante l’attenzione di chi veniva incuriosito dal suo portamento distinto e sicuro.

Lui, Marcus.

 

 

Lei.

Una figura minuta e aggraziata, delicata e misurata in ogni movimento. Un corpo armonioso, stretto in un bustino nero vellutato e ricamato in raso, abbinato a un’ampia gonna lunga fino a terra, ampia e sfarzosa come se fosse il vestito di una dama del Settecento, ma troppo anacronistico a causa dell’oscurità dei toni indossati. Una pelle lattea, bianca e scintillante come può essere una luna piena in un cielo sgombro da ogni genere di nuvola. Un viso candido, dai tratti gentili. Una bocca rossa e piena, suggeriva la sensazione di morbidezza e invogliava alla ricerca di un sapore squisito. Uno sguardo dolce e denso, in cui era facile perdersi quando si rimaneva incantati dalle venature dorate di quegli occhi bruni, forti come il caffè e deliziosi come la cioccolata. Una cascata di boccoli, un’ondata proveniente da un mare in agitazione color del fuoco. Capelli di un rosso intenso, dai riflessi ambrati che risplendevano alla luce del sole e sembravano come una moltitudine di lingue fiammeggianti. La sua mano teneva ancora il microfono, stretto fra le dita affusolate e impreziosite da svariati anelli argentei dalla foggia particolare, molto simili al ciondolo appeso al suo collo e raffigurante un simbolo forse di origini celtiche.

Lei, Sabine.

 

 

Marcus e Sabine avevano appena finito la loro esibizione e si apprestavano a raggiungere il backstage ancora euforici e pieni di adrenalina.

Erano un duo rock, il quale aveva raggiunto la fama mondiale per l’imponenza del loro live e la forza irresistibile delle loro canzoni. In un groove sincopato allietato dalla profondità della voce maschile e dalla leggiadria della voce femminile, unite in una perfetta unione melodica.

 

 

Io ero lì, dietro al palco, ad aspettarli trepidante. …ad aspettarla.

“Sabine!” richiamai la sua attenzione con calma, dopo aver rilassato ogni muscolo del mio corpo e aver assunto una postura sicura, cercando di celare anche la minima traccia di quella ansia e agitazione che mi percuotevano l’animo. Non appena lei si girò a incrociare il mio volto, ebbi un tuffo al cuore, come succedeva ogni qualvolta quelle gocce d’oro erano puntate volutamente su di me.

“Oh, ciao Bill! Non sapevo fossi qua.. non ti avevo visto prima di salire!” la sua voce fu come un soffice musica che arrivò al mio orecchio. Cercai di non far notare quanto il mio cuore si stesse crogiolando per quel suono e risposi evitando ogni titubanza.

“Sono arrivato appena in tempo per sentire l’inizio del concerto!” sorrisi “Siete stati grandiosi, come sempre!” conclusi entusiasta.

“Grazie! Tutte le volte ci riempi di complimenti. Sei molto gentile, ma non ti sei ancora stufato di vedere i nostri live?” chiese divertita, assottigliando quei grandi occhi marroni in una smorfia allegra.

“Mai! Ogni volta è come la prima, ma, difficile da credere, sempre migliore alla precedente…”.

Sapevo di sembrare un patetico fan in estasi davanti al proprio idolo, ma così era e lasciai che l’autenticità di quella sensazione mi prendesse senza remore. In aggiunta, a lei sembrava piacere questa sfrontata naturalezza. O almeno così mi convinsi appena ebbi notato nascere un sottile sorriso sul suo candido volto.

“Uhm… mi stai dicendo che col tempo prendo sapore come un buon whisky d’annata?!”

La sua domanda non ebbe risposta perché entrambi scoppiamo in una risata genuina e simpatica.

“No, davvero..complimenti! Mi sono emozionato soprattutto nel finale quando tu e Marcus eravate uno di fronte all’altra. Mi avete messo lo stomaco in subbuglio….” ..sì, ma dalla gelosia! Mi era presa una stretta alla bocca dell’esofago a vederli così vicini e presi dal pathos della canzone. Avrei voluto essere al posto del suo partner per poter vivere l’intensità di quel momento a un passo dalla rara bellezza quale ritenevo fosse quella dama per me, da anni.

Non era solo il mio idolo, era qualcosa di più e ne ero pienamente e tristemente consapevole, da anni.

Poi, d’un tratto, il nostro dialogo venne interrotto dal brusco arrivo dei miei compagni.

“Ehm..ciao Sabine” mio fratello mi arrivò alle spalle insieme a Georg e Gustav. Entrambi la salutarono con un cenno della testa e con un sorriso tiratissimo.

Sapevo che a nessuno di loro non andava giù ciò che provavo per quella donna, da anni.

Avevano cercato più di una volta di dissuadermi ad andare ad un suo concerto, ben sapendo il motivo per cui io volessi andarci.

Tutte le volte, però, si erano lasciati convincere da una serie comprovata di mie moine, le solite davanti le quali nessuno sapeva negarmi nulla, sin da piccolo. Erano il mio asso nella manica e sapevo usarlo ad hoc e con sapienza a mio unico vantaggio, tutte le volte che ritenevo fosse anche minimamente necessario.

Purtroppo l’effetto del convincimento durava poco e così, tempo cinque minuti dalla fine del live, mi strappavano rapidi dal mio mondo incantato e rosato.

“Bill, dobbiamo andare!” la voce solenne di Tom mi giunse all’orecchio come fosse un ultimatum.

“Sì, dammi un solo minuto e vengo!” convenni docile in modo da persuaderlo a lasciarmi altro tempo.

Anche Georg e Gustav acconsentirono e si allontanarono silenziosi.

Io rimasi ancora solo con lei.

“Sabine…ti va di uscire con me stasera?” mi sbrigai a porle la solita domanda.

“Bill, me lo chiedi tutte le volte che ci vediamo…” aveva un tono quasi esasperato, purtroppo.

“Già, ma mi rispondi sempre di no”

“E credi che questa volta ci qualcosa sia diverso che mi possa far cambiare idea?” ribeccò retorica.

“Non lo so, magari! Tutto può essere! Io ci provo finchè non dirai di sì” sfoggiai un sorriso luminoso, mia arma adescatrice per eccellenza “…quindi?” chiesi speranzoso.

“No.” Secco.

“Sempre per il solito motivo con cui non concordo?” insistei sicuro di me, nonostante sapessi la risposta che per anni mi aveva ossessionato.

“Dovresti…siamo troppo diversi. E poi io sono più grande di te!” lo disse con un aria di superiorità che invece di infastidirmi, mi fece ribollire il sangue nelle vene.

“Non significa nulla. Hai solo tre anni in più di me…non credo proprio sia una scusa plausibile.” Ribattei celere.

“Bill, lascia stare dai..” non c’era alcun segno ritroso in quelle parole. Parole che  però lasciavano molto in sospeso, molto più di quel che potessi mai immaginare.

“Per ora..” risposi cercando di essere sensuale. Modulai la voce in un tono più basso e impostato, ammiccai volutamente con gli occhi e cercai di immaginarmi come uno di quegli attori d’epoca, pieni di charme e sicuri di sé, così fiduciosi da chiamare tutte le donne allo stesso modo, ‘baby’. Personificando quel ruolo da macho che non deve chiedere mai, infatti, avrei potuto benissimo dire: «per ora, baby!». E andarmene fumando la mia sigaretta con non-chalance.

“Cosa devo fare per essere lasciata in pace?”

Credo di essere stato un pessimo attore perché la sua voce era quasi disperata e anni luce lontana da quella di una donna che vorrebbe caderti fra le braccia.

“Accettare di uscire con me!”squittii allegro, lasciando perdere ogni tentativo di sembrare Rhett Butler in ‘Via col vento’.

“Va bene..” sbuffò “ma la prossima volta. Stasera davvero non posso!”

“Ok, alla prossima allora..” annuì soddisfatto. Finalmente la mia dama delle tenebre aveva ceduto!

O almeno così mi illusi…..

 

 

 

 

 

Mi svegliai di soprassalto, sentendo una presenza anonima al mio fianco.

Avvertivo il peso dello sguardo di un qualcosa sulla mia persona e mi innervosii tanto da destarmi inconsciamente dal sonno.

Schiusi gli occhi, sbattei le palpebre più volte per cercare di abituarmi alla fioca illuminazione resistita all’oscurità notturna. Una volta che ebbi aperto sul serio gli occhi mi girai immediatamente verso la parte in cui avevo creduto ci fosse qualcuno, ma non vidi nessuno, anche scrutando attentamente nel buio illuminato dalla luce lunare proveniente dalla finestra della mia camera di hotel.

Accesi la luce per avere conferma e la ebbi.

Il mio sguardo stava scannerizzando centimetro per centimetro dello spazio intorno, sentivo le mie pupille schizzare da una parte all’altra per trovare anche la minima cosa fuori posto. In un modo nevrotico e spasmodico.

Analizzai la disposizione delle mie valigie e constatai che nessuna di loro era né sparita e quindi rubata né collocata in modo diverso dal caos in cui ero solito lasciarle dopo ogni nuovo arrivo in una camera d’albergo.

Anche l’arredamento era esattamente quello che mi ricordavo.

Era tutto come lo avevo lasciato prima di addormentarmi. Nulla di più, nulla di meno.

Non vidi oggetti alieni o figure estranee al luogo.

Ero solo nella mia stanza e non potei neanche dire che potesse essere stato il vento perché la finestra era ben chiusa, anche se con le tende lasciate raccolte ai suoi lati. Mi alzai dal letto ancora dubbioso e, scostando veloce le lenzuola di seta, andai davanti la porta per controllare che fosse chiusa ed, come poteva essere prevedibile, fu proprio in quello stato che la trovai, con tanto di cartellino ‘don’t. disturb’ appeso alla maniglia esterna.

Rimasi interdetto.

Non capivo perché mi fossi svegliato se poi, in realtà, non ci fosse nessuna ragione per farlo. Strano! Molto molto strano..

Sapevo di essermi sentito intensamente osservato e di essermi reso conto dopo del tempo del senso di disturbo che aveva stuzzicato la mia inconscia attenzione e provocato il mio risveglio.

Cercai di ricordarmi cosa avessi sognato poco prima, pensando che magari fosse solo una sensazione legata a un mio sogno.

Tornai sotto le lenzuola color crema ancora poco convinto, sistemai il risvolto sistemandolo e allisciandolo all’altezza del mio petto mentre ancora cercavo di capire l’origine di quel dannato fastidio di sentire qualcuno/qualcosa atto a fissarmi a mia insaputa e senza alcun ritegno per il mio privato.

Alla fine mi addormentai senza aver trovato soluzione al mio dilemma, ancora infastidito dalla ridicola possibilità che questo mio dubbio potesse essere una realtà.

 

La mattina seguente cercai di non pensarci, ma dopo appena due giorni mi ritrovai di nuovo sveglio alle due di notte angustiato dallo stesso strano presentimento di avere un estraneo a guardarmi dormire.

Ovviamente cercai di nuovo per tutta il perimetro della camera e ovviamente senza risultato.

La stessa scena si continuò a ripetere ogni due notti in orari sempre differenti, ma sempre nell’arco delle ore notturne.

Continuava a ripetersi anche se cambiavamo hotel o anche se solo riuscivo a farmi cambiare camera, inventandomi assurde storie, mostrando fasulle esigenze da Star.. dopo l’ennesimo insensato risveglio nel cuore della notte. E tutte le volte, nonostante venissi accontentato in ogni mio più piccolo desiderio da ‘diva’, quella inquietante e assurda presenza continuava a turbare il mio riposo.

Stavo diventando matto al pensiero di essere osservato e perseguitato proprio nel momento in cui abbassavo le difese per lasciarmi andare nel mondo di Morfeo, tanto da cercare di evitare il sonno e rimanere sveglio a controllare che qualcuno entrasse concretamente in quelle ore scure.

Tutto inutilmente perché nessuno entrò mai, né dalla porta né dalla finestra.

Nelle sere seguenti provai a convincere mio fratello a dormire con me più di una volta, come facevamo da piccoli e avevamo paura dei tuoni del temporale, buttandogli lì la scusa di voler parlare con lui riguardo faccende private, però Tom non volle sentire ragioni e preferì passare la notte con una bionda tutta curve o addirittura passare il suo tempo a giocare alla Play con Georg per tentare di vincere il titolo di campione di ‘Formula 1’. Tentai anche di spiegargli la situazione, ma alla fine, intuendo le future prese per il culo per tempo, decisi di lasciarlo stare e farmi forza da solo.

 

Presi tutto il coraggio a mia disposizione e andai a dormire, aiutato dall’effetto sonnifero di una doppia camomilla e di un calmante.

Alla fine erano passati più di venti giorni dall’inizio di quello che avrei potuto definire un vero incubo ed altri tre dall’ultimo improvviso risveglio nel cuore della notte.

Quindi uno in più dal solito.

Sperai che significasse la fine di quella tortura…di quella che stava divenendo una snervante inquietudine, una insopportabile ossessione.

Dopo essermi pienamente convinto che fosse solo lo stress per il tour appena iniziato -a forza di ripetermi come una cantilena continua e infinita: “è solo lo stress per il tour!” e quindi inculcandomi il concetto e assumendolo per vero per inerzia- e confidando nell’effetto del calmante, mi addormentai un po’ più sereno.

Più tardi, però, qualcosa disturbò la mia tranquillità… ancora!

Spalancai gli occhi appena percepii quella sensazione ben conosciuta e rimasi sopraffatto nel vedere solo due occhi fissarmi dall’alto con attenzione.

Stavolta potei vedere qualcosa.

Occhi che riflettevano del loro bianco intenso.

Scovai una luce dorata fra tanto candore e mi affrettai ad accendere la luce per cercare di riconoscere in quei tratti qualcosa di familiare, ma appena il tempo di girarmi verso l’interruttore e farlo scattare che già erano spariti.

Mi voltai verso la porta per constatare se fosse aperta e la trovai come al solito chiusa. Mi girai verso la portafinestra della mia stanza ed anche quella era chiusa.

Ormai era diventato abile e rapido a compiere questi futili controlli, tutte le volte senza nessuna scoperta folgorante che motivasse tutta la mia ansia ossessiva.

“Cazzo, ora ho anche le allucinazioni!” sbottai sfinito.

Ripresi le lenzuola, finite al bordo del materasso per la precedente improvvisa agitazione, e mi ricoprì il torace leggermente imperlato di sudore.

Mi rigirai varie volte nel mio stesso letto finché, alle prime luci dell’alba, non decisi che ormai fosse inutile provare a tornare a dormire.

Avevo in testa ancora quegli occhi.

Erano fissi come due fari abbaglianti in un campo buio.

Mi avevano accecato nella notte e non riuscii a distogliere la mente per tutto il giorno da quel pensiero.

Li avevo ben focalizzati in testa e appena chiudevo gli occhi, anche solo per riposare le palpebre, me li rivedevo davanti, pronti a fissarmi, gelidi e impersonali. Non riuscivo a unirli a un corpo. Stranamente non mi importava se avessero un corpo.

Ero rimasto folgorato dal brivido glaciale e irrequieto che erano riusciti a trasmettermi e che, al solo pensarci, tutte le volte riprovavo sentendo la stessa scarica di terrore, partita all’improvviso dal collo e scesa rapida lungo tutta la colonna vertebrale.

Ne parlai anche con Tom, il quale, invece di consigliarmi o calmarmi, colse la palla al balzo per prendermi in giro. Come avevo supposto facesse in precedenza…

Stupido babbuino sconvolto da troppe tormente ormonali per degnarsi di aiutare il suo gemello! Tsk!

Avevo fatto bene l’altra volta a lasciarlo all’oscuro di queste mie nuove ossessioni! Non mi prende mai sul serio quando gli parlo senza scherzare… 

 

Giunta la sera, andai a dormire teso come una corda di violino.

Continuavo a pensare a quello sguardo.

Forse era stata solo un’allucinazione, ma era stata così intensa e viscerale che non credo di poterla mai scordare.

Non riuscii a stare nel letto per nemmeno cinque minuti.

Ogni traccia di stanchezza era volata via lasciando spazio a una nevrotica irrequietezza.

Iniziai a girare per la stanza cercando qualcosa da fare per tenermi occupato. Svuotai le mie otto valige e sistemai tutto il loro contenuto da capo, catalogando ogni cosa e differenziandola per tipo e colore, e infine ricomponendo i bagagli in un altro ordine.

Preso dall’iperattività isterica, feci la stessa cosa per il mio beauty: divisi le matite dagli ombretti e dai mascara; appuntii le punte delle prime e buttai gli ultimi diventati troppo secchi per essere usati; riposi i miei smalti al fresco del minibar e poi, uno a uno, li provai sulle mie unghie andando infine a buttare quelli più vecchi.

In ultimo, con lo smalto appena rifatto, i capelli stirati –perché intanto mi ero anche impossessato della mia piastra e ne avevo fatto un uso spasmodico fino a rendermi i capelli lisci e lucenti come quelli di una modella cinese-, decisi di farmi un giro dei canali disponibili nel pacchetto TV dato dall’hotel.

Mi poggiai sul divano di pelle marrone, il quale troneggiava al centro del minisalotto che avevo a disposizione e, infine, mi addormentai esausto davanti a una telepromozione di un fondotinta che prometteva di nascondere ogni tipo di difetto e di durare per 24 ore su 24.

 

Venni svegliato da un insistente e continuo bussare alla porta.

Ero ancora sdraiato sul divano con il telecomando tra le mani quando decisi che il rumore assillante non me lo stavo sognando, ma veniva decisamente dalla porta della mia camera.

Di sicuro non era il rullo di tamburi della banda del circo di cui stavo rimirando le acrobazie e la bravura insieme al mio fratellino, lui sulle ginocchia della mamma e io del mio papà, identici e molti più piccoli della realtà. Sembravamo una felice famigliola tutti e quattro assieme, ma c’era un particolare di rilevanza: non ero su Gordon, il mio patrigno, ma sul mio vero padre, Jörg! Era da tanto che non lo sognavo e succedeva sempre quando mi sentivo in necessità di supporto morale e fisico.

Nonostante tutto la sua figura imponente, la sua presenza massiccia e la sua forza indiscussa mi hanno sempre dato un confortante senso di sicurezza, la quale ora come ora era la cosa che più desideravo provare, almeno per scacciare quell’angosciante e costante timore che mi percuoteva l’animo e la mente.

Comunque, lasciai stare le riflessioni sul mio sogno e decisi di andare ad aprire, mi stropicciai gli occhi impastati dal sonno e, appena riuscii a dischiuderli un minimo per vedere,  diedi un’occhiata al timer del lettore dvd posto sotto al plasma.

Le 3 e 26.

Non avevo neanche la più piccola idea di chi potesse essere a quell’ora della notte.

Potevo benissimo escludere il gruppo, lo staff e i tecnici perché avevamo tutti la sveglia alle 5 in punto per andare all’aeroporto.

Quindi ora era troppo presto per tutti loro.

E comunque, se anche fosse successo qualcosa, nessuno di loro avrebbe aspettato che io andassi ad aprire per tutto quel tempo, ma avrebbe rimediato la chiave della stanza e sarebbe entrato senza troppi indugi, ben conoscendo il mio stato di coma profondo in cui cadevo quando andavo a dormire.

Ipotizzai allora per qualcuno del servizio dell’hotel, giunto nel cuore della notte per avvertirmi di qualche imprevisto, ma anche questa soluzione non aveva un granché di sensato. Potevano sempre avvertirmi via telefono.

Mi alzai dal divano con la flemma degna di un orso caduto in letargo, strisciai le pantofole fino alla porta e infine la aprì.

“Ah finalmente! Credevo fossi morto nel sonno…sono cinque minuti buoni che sto bussando senza tregua!!”

Strabuzzai gli occhi fuori dalle orbite.

Che cosa diavolo ci faceva LEI, alle tre di notte, davanti alla mia porta?

“Sabine!!!!!!!!!” esclamai sconcertato e indiscutibilmente risvegliato dalla sorpresa rivelata all’improvviso.

Sorpresa che chiamare inaspettata sarebbe stato molto riduttivo. Molto!

“Cosa ci fai qui?” le chiesi una volta che riuscii a connettermi con il mio cervello, ancora in stato comatoso.

“Poche domande! Vestiti veloce e vieni via con me!” mi ordinò sbrigativa, facendo cenno al solo paio di boxer indossati da me in quel momento.

Ancora frastornato, annuì obbediente e in breve le stavo di nuovo davanti. Stavolta con addosso jeans, maglia e scarpe a coprire tutte le mie ‘grazie’, pronto a seguirla come un automa.

Lei prese a camminare veloce tra i corridoi dell’albergo e di seguito a scendere le scale in tutta fretta, mentre io cercavo di starle dietro come fossi un bravo cagnolino con la propria padrona, incantato a seguire la scia infuocata dei suoi capelli, i quali si muovevano liberi e selvaggi lungo la sua schiena, agitati per la corsa troppo rapida per restare composti.

 

Una volta scesi fino nella hall dell’albergo, trovai la forza di staccarle gli occhi di dosso e finalmente chiedere spiegazioni.

“Sabine, mi spieghi perché mi hai svegliato nel cuore della notte e mi hai portato qui?” chiesi impostando la voce in modo da renderla più ferma e decisa. Sforzo inutile perché ero così elettrizzato dalla sua sola presenza che al massimo potevo squittire di gioia.

Lei, la mia dama della notte, però era troppo presa a cercare con gli occhi qualcuno in quella landa desolata quale era l’entrata dell’hotel a quell’ora di notte.

Forse la receptionist.

Difatti appena una ragazza, vestita di tutto punto in un tailleur blu scuro, uscì da dietro lo scaffale dove erano riposte le varie e lucenti chiavi delle stanze dell’albergo. Sabine si avvicinò al bancone posto per il ricevimento dei clienti, lasciandomi senza risposte e solo, come uno stoccafisso, ad osservare ancora una volta il movimento ondulatorio dei suoi capelli. E del suo corpo. Un corpo sinuoso ed elegante, ben fasciato da un paio di pantaloni di raso aderenti e neri, ma soprattutto valorizzato dalla scollatura ardita posta sul retro della maglia, punto in cui mi ero particolarmente fissato durante tutta la corsa.

Restai vicino alla reception, ma non abbastanza per sentire cosa le stesse dicendo. Provai a leggerle le labbra, senza alcun successo però: dopo neanche due secondi che restavo a fissarle per concentrarmi, sentivo una strana morsa allo stomaco e iniziavo a pensare su quanto riuscissi ad adorare quell’essere così misterioso e aggraziato.

Ogni mio tentativo di percepire anche un solo tratto del loro dialogo finiva in un vacuo e sognante rimirare, ai limiti del maniacale, le movenze della mia dama.

Rimasi come uno scemo a guardarla gesticolare con garbo, senza dare alcuna importanza all’espressione allarmata che invece si impossessò della faccia della biondina dell’hotel.

Quando Sabine tornò verso di me, notai che il suo viso era più disteso e tranquillo. Non c’era più quell’aria crucciata di prima.

“Cosa è successo?” domandai appena fu vicina, cercando di celare sia il turbamento per la situazione sia la tachicardia data dalla sua inusuale vicinanza.

“Nulla di grave. C’è stato solo una minaccia di incendio, ma ho avvisato la ragazza per tempo. Mi ha detto che ora porranno rimedio e chiameranno i clienti presenti per radunarli qui nella hall, per pura precauzione.” spiegò senza scomporsi, mettendosi calma una ciocca rosso fuoco di quei capelli indomabili dietro l’orecchio, con tale naturalezza e semplicità che per un attimo distolsi l’attenzione dalle sue parole per incentrarla sui suoi dolci lineamenti.

Per un attimo, perché mi resi presto conto della gravità delle situazione.

Boccheggiai allibito e incredulo.

“Come niente di grave???” Non potevo credere a quello che avevo appena sentito.

“Hai detto i-n-c-e-n-d-i-o..?” scandii la parola lettera per lettera, mentre cercavo conferma nel suo volto, così rilassato e chiaro che il mio a confronto sembrava un dipinto di Picasso. Fui troppo colpito dalla notizia per rimanere impassibile, come lei.

“Già… ma sentendo le telefonate che sta facendo ora la bella biondina, credo che in pochi secondi sarà tutto sotto controllo!” disse placida indicando la ragazza dietro il bancone, la quale ora si dava da fare come una forsennata a gestire l’incidente, avvisando di persona cliente per cliente via telefono.

“Ok.. non voglio sapere altro.. so solo che non ci sto capendo nulla!” scossi la testa come per negare il caos che mi si era creato all’interno. Poi riflettei.

“Anzi, una cosa la vorrei sapere!” affermai convinto, cercando si riprendere uno stato più calmo, massaggiandomi lentamente le tempie per tentare di attutire lo stridio insopportabile sotto cui stavano cedendo le mie cellule cerebrali.

Stava per scoppiarmi un mal di testa coi fiocchi.

“Tu come facevi a saperlo?” le puntai la mia unghia laccata di nero contro il naso. “…e come mai sei venuta a bussare da me? …e soprattutto, come mai eri qui?” in effetti stavo morendo dalla curiosità.

“Avevi detto una!” tentò così di evitare di rispondere, ma la fissai bieco senza lasciarle vie di fuga.

“Rispondi” asserii serio e autoritario, serrando gli occhi a fessura in modo da sembrare quantomeno minaccioso, nonostante il mio bel faccino che sapevo avrebbe reso vano il tentativo di apparire autorevole.

“E va bene, però prima voglio essere ringraziata per averti salvato dalle fiamme!” ribeccò palesemente divertita dalla mia serietà evidentemente troppo forzata per essere credibile.

Così lasciai perdere quel finto tono severo, rimanendo comunque atterrito dai suoi modi sfrontati quanto adorabili.

“Veramente -”cercai di ribattere, ma lei mi parlò sopra ripetendo la sua richiesta e sostenendo il mio sguardo attonito.

“Bill, non si usa più ringraziare?” mi guardò con quei suoi occhi dorati, di un nocciola così chiaro e di una lucentezza così limpida da sembrare due pepite d’oro. La profondità del suo sguardo si era sfumata in una nuova luce, più brillante, che le schiariva il marrone in nocciola, fino ad accentuare in maniera esponenziale le caratteristiche venature dorate che solitamente le impreziosivano l’iride, tanto da modificare il colore dei suoi occhi.

Mi ci persi dentro e tutto il mio imperativo di ottenere delle risposte da lei andò a farsi friggere. Anzi, lo scordai completamente quando presero un’aria ridente e ne seguì anche un sorriso delicato e leggermente beffardo sulle labbra.

“Oh, si… Grazie!” annuì da bravo bambino, con una faccia da ebete che la fece sorridere nuovamente.

“Prego… oh, guarda stanno arrivando i tuoi amici” e indicò verso l’ascensore alle mie spalle.

Girandomi vidi Tom, Georg e Gustav uscire dalle porte scorrevoli dell’ascensore centrale con un’aria decisamente assonnata e con addosso quella che doveva essere la prima cosa capitata sotto mano, visto lo stato penoso in cui erano le loro magliette.

“Tooom!” attirai la sua attenzione sbracciandomi, ben sapendo quanto poco potesse essere recettivo se colto nel pieno della fase rem, soprattutto se strappato così bruscamente da qualsiasi letto in cui dovesse trovarsi.

Vedendo che nessuno dei tre aveva fatto caso al mio richiamo, decisi di raggiungerli lasciando per un attimo Sabine da sola.

“Ciao Bill, cosa ci fai qui? Hanno chiamato anche a te?”

La voce di Tom era pacata e ancora impastata dal sonno. Sembrava che lo stato di allarme appena scattato in tutto l’edificio non lo avesse affatto toccato.

Si stava stringendo i dread nella solita coda alta e infilando con delicatezza un cappellino dei suoi, incurante dell’agitazione che stava aumentando man mano mentre i clienti dell’albergo giungevano in tutta fretta nell’ingresso. Tutto preso dalla sua immagine riflessa in una delle colonne a specchio poste accanto le porte degli ascensori.

“No, sono con Sabine” feci un piccolo cenno dietro di me, dove supponevo fosse il soggetto in questione.

“Con chi??” finalmente decise di guardarmi in faccia, smettendo di specchiarsi, ma elargendo uno sguardo a dir poco dubbioso e sorpreso.

“Sai la cantante dai capelli rossi alla quale sbavo dietro da anni?” sussurrai sbrigativo.

“Si, scemo, so chi è, ma io non vedo nessuno come lei….sei sicuro di star bene? Hai ancora le allucinazioni?” mi chiese ridendo, ancora divertito dal racconto che gli avevo fatto di recente riguardo le mie vicende notturne.

“Non è che sei stato tu ad appiccare l’incendio con una sigaretta e una bomboletta spray?” continuò sbottando in uno stato di demenziale ilarità.

“No, deficiente! E’ lei che ha avvisato dell’incendio… sta lì al bancon-” non conclusi la parola perché, voltandomi nella direzione ipotizzata, con l’idea di indicarla a Tom, trovai decine di persone ad affollare la zona intono alla reception, ma di Sabine nessuna traccia.

La cercai con lo sguardo in tutta la sala e non la vidi.

Scattai veloce fuori l’albergo, ma né a destra né a sinistra della strada riconobbi la figura esile della sua persona.

Ispezionai le strade e i vicoli nei dintorni cercando la sua chioma ramata. Chiesi a tutte le persone che incrociai nel mio percorso. Fermai chiunque per urlargli contro una descrizione improvvisata di Sabine, ma credo che tutti fossero così sconvolti dal mio stato di ansia impanicata da non fare caso a cosa dicessi.

Sta di fatto che nessuno seppe darmi alcuna indicazione. La persi semplicemente tra la folla senza neanche accorgermene.

Caddi nel panico e non seppi spiegarmi la sua comparsa.

“Cazzo, era accanto a me fino a cinque secondi fa! Mi sono distratto per farmi vedere da voi e non mi sono reso conto di dove sia andata a finire!” sbottai esasperato mentre rientravo nella hall.

Cosa cavolo potevo saperne io che potesse sparire così all’improvviso…

Tom, impietosito dal mio comportamento, mi accompagnò a chiedere informazioni per sapere se almeno la ragazza dal tailleur blu l’avesse vista andar via, tuttavia neanche lei poté essermi d’aiuto.

Decisi di rassegnarmi e calmarmi sotto il consiglio benevolo dei miei compagni.

“Comunque, Bill, sai cosa è successo?” mi volsi verso Georg, il quale mi aveva posto la domanda sia per farmi distrarre sia per capire qualcosa sull’incendio.

“Ah.. beh.. io stavo dormendo quando è venuta Sabine... prima stavo tentando di chiederglielo, poi però siete arrivati voi…” accennai a una sconclusionata spiegazione, derivata dalla stato di totale intontimento in cui mi trovavo. Nel mentre mi ero accasciato disperato a terra, tenendomi sfinito la testa fra le mani e poggiandomi con la schiena su una delle pareti marmoree e fredde che abbellivano ogni sala dell’edificio.

“Lascia stare! Non ti sforzare che sei già abbastanza stanco… ora credo che possiamo tornare tutti in camera!”

Come sempre Gustav aveva preso la faccenda in mano e aveva deciso di rimandare tutto al giorno successivo dopo almeno un altro paio d’ore di sonno ristoratore.

Sentii le mani di Tom afferrare le mie e tirarmi su di forza, infilandosi nei panni del fratellone apprensivo e protettivo. Mi mise un braccio intorno alla schiena e io mi abbandonai fiacco sulla sua spalla, aggrappandomi leggermente al suo collo.

 

Proprio mentre stavamo per riprendere l’ascensore per tornare alle nostre camere, come anche il resto della clientela dell’hotel, sentii uno stralcio della conversazione che stavano tenendo Gustav e Georg alle mie spalle.

“E’ per questo che non mi piace!” percepii un forte astio nella voce del batterista.

“Sono anni che si riduce così per lei…” e anche quella del bassista aveva lo stesso tono acido.

Non ebbi la forza di ribattere o chiedere spiegazioni, aspettai silenzioso di arrivare al mio piano, sempre poggiato esausto a mio fratello, conservando le forze solo per cadere fra le braccia di Morfeo.

 

Forse stavano cercando di difendermi da un’altra dura batosta.

Forse era tutto un sogno e mi ero immaginato tutto.

Forse ero così impazzito da immaginarmi Sabine davanti alla mia porta perché era quello che desideravo con tutto me stesso.

Alla fine dei conti lei era apparsa e scomparsa come fosse un’ingannevole visione.

O forse… la realtà aveva superato l’umana immaginazione!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DISCAIMER: 'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

L.

 

  
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