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Autore: Glenys    24/02/2015    3 recensioni
Calum aveva diciannove anni ed una grave malattia che lo aveva ancorato ad un letto di ospedale da un mese.
Luke aveva sedici anni ed una strana attrazione nei confronti delle divinità greche.

« Ecco, vedi.. » la sua voce sembrò tremare per un momento « .. ti ho già parlato della palude, vero? »
« Vai avanti. » Calum sembrò già aver capito su quale tema si sarebbe spostata la loro conversazione, e non parve esserne molto entusiasta.
« E ti ho già detto che è una delle entrate per gli Inferi? Voglio andare lì.
Potrei, sai, parlare con qualcuno lì sotto e mettere una buona parola per te. Magari ti fanno guarire e puoi tornare a casa. »
L'espressione di Calum cambiò radicalmente. Sembrò essersi arrabbiato abbastanza, ma non aveva comunque la forza necessaria per urlargli contro, e non avrebbe potuto farlo comunque. Erano pur sempre in una struttura ospedaliera.
« Ti sei bevuto il cervello, Luke? Non esiste nessuna porta per gli Inferi, nessuna specie di divinità con cui puoi contrattare, e nessun modo per farmi guarire. »
|| Muke || Accenni Cake! ||
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: se volete leggere il sequel della storia
trovate il link qui.

Buona lettura.




Ade è uno dei tre padroni che si divisero il comando dell'Universo dopo la vittoria sui Titani. Il suo nome, che significa "l'Invisibile", non era di solito pronunciato, poiché si temeva, interpellandolo, di eccitare la sua collera.









 

« Luke Hemmings, vuoi smettere di tenere gli occhi fissi su quel display e prepararti? Dobbiamo andare a fare visita a Calum, lo hai dimenticato? » tuonò sua madre, ed il ragazzo continuava a pensare che quella donna potesse essere una qualche discendente di Ade, se non fosse per il fatto che quest'ultimo non aveva mai avuto alcun figlio.
Calum, per gli amici Cal, era il ragazzo di Luke Hemmings. Stavano insieme da tredici mesi.

Lui aveva diciannove anni e un'orda di ragazzine che gli correvano dietro.
Luke aveva sedici anni ed uno strana attrazione nei confronti delle divinità greche.
Calum amava il suo ragazzo come nessuno aveva mai fatto prima, e sapeva che non lo avrebbe mai abbandonato, nonostante la strana malattia che lo aveva colpito un mese fa. Si erano conosciuti in una discoteca, il diciotto Novembre duemilatredici.
Da allora, Calum non riusciva più a togliergli gli occhi di dosso.
Due mesi dopo il cuore di Luke fu suo.


 

Infilò il cellulare in tasca, e dopo aver spazzolato i capelli, uscì di casa, affiancato dalla madre Liz.
La sua era la famiglia migliore del mondo, a detta di Calum, che era riuscita ad accettarlo nonostante fosse un ragazzo e non una ragazza.
Salirono quindi in macchina, diretti nell'ospedale che da un mese ospitava il diciannovenne. Ogni volta che si avviavano per quella strada, il cuore di Luke cominciava a palpitare più velocemente del solito. Si ritrovò, come sempre, a contare i minuti che lo dividevano dall'incontrare quello che lui definiva “il ragazzo grazie al quale la mia vita ha un senso”.
Semplicemente, Luke non riusciva ad immaginarsi senza quel ragazzo da quando si erano fidanzati. Non voleva far altro che vederlo guarire una volta per tutte, ma tutti dicevano non fosse possibile.
Calum era malato, gravemente. Secondo i medici gli restava solo più di un mese, ma Luke avrebbe tanto voluto non credere a quelle loro parole.
Quando si parlava di lui, i dottori non riuscivano a dire delle cose positive. Li sentiva spesso parlare con Liz. Le dicevano di quanto si stesse aggravando la sua malattia, e di quanto poco gli restasse da vivere: lei non diceva quelle cose né al figlio, né al fidanzato. Ma lui continuava a sentirli ogni giorno.
Liz era come una madre, per Calum. Lui, che di genitori non ne aveva mai avuti, aveva trovato la felicità nel suo ragazzo e nella sua famiglia, che continuava a trattarlo come un secondo figlio.

L'ospedale non era molto lontano da casa Hemmings, distava solo dieci minuti in macchina. Erano sempre stati i dieci minuti più lunghi della sua vita.
La stanza di Cal si trovava al sesto piano e, per non perdere ulteriore tempo, prendeva sempre l'ascensore. Lo fece anche quel giorno, nonostante la sua paura incontrollata verso quegli strani impianti.
Luke era particolarmente claustrofobico, odiava gli spazi chiusi e i posti con poca luce; ma, se prendere un ascensore significava raggiungere Calum in meno tempo, a lui andava bene rischiare. Perché lo aveva sempre fatto, se si trattava di lui.
Nessuno era più importante del suo ragazzo, e avrebbe affrontato anche una crisi di panico pur di vederlo prima.
Liz, invece, preferiva salire le scale. Perché la claustrofobia era una cosa che la famiglia Hemmings si portava appresso da tantissimo tempo, ed era una cosa che faceva ridere a crepapelle il diciannovenne, che si divertiva a vedere le loro reazioni davanti ad uno spazio chiuso.
Calum era il paziente numero 79: la sua stanza era in fondo al corridoio e, ad ogni passo verso quella camera, Luke sembrava impazzire sempre di più. Voleva semplicemente vederlo, e sapeva che il suo cuore sarebbe esploso da un momento all'altro se non avesse visto quel ragazzo il prima possibile.
Alle volte, Luke pensava di essere il vero malato della situazione: non riusciva a stare neanche un minuto senza quel ragazzo e, quando si ritrovava a casa, non faceva altro che piangere. Piangeva perché non riusciva ad immaginare come avrebbe vissuto la sua vita durante la sua assenza, perché sapeva sarebbe accaduto, prima o poi.
E spesso si ritrovava ad invidiare la forza con la quale il suo ragazzo riusciva ad andare avanti, perché sapeva non fosse semplice. Lui stesso non riusciva a mettere un piede oltre la malattia del diciannovenne, mentre quest'ultimo sembrava non darle peso.

Quando oltrepassò la porta, lo vide disteso sul letto. I suoi occhi erano semichiusi, e il suo viso trasmetteva tristezza, anche solo a guardarlo: il suo incarnato era più pallido del solito, quasi tendente al giallo.
Luke cercò di reprimere l'assurda voglia di piangere, e cercò in tutti i modi possibili di inghiottire il nodo che si era fermato all'altezza della sua gola.
Varcò la soglia della porta, cercando di fare il minor rumore possibile, per non svegliare il suo ragazzo. Sempre se, in effetti, stesse dormendo. Vicino al suo letto era posta una sedia, interamente bianca. Era lì per lui, lo sapeva. Quella era la sedia su cui sedeva ogni dì, tenendo la mano al suo amato.
Come tutti gli altri giorni, si accomodò sulla seggiola, prendendo la sua mano. La sua reazione fu a dir poco adorabile, sotto il punto di vista di Luke: lo vide storcere le labbra, e avvertì la sua mano muoversi un po'. Lo aveva sentito.

« Hey. » sussurrò il ragazzo, mentre lasciò distendere le labbra che prima aveva storto. Calum stava sorridendo: lo stava facendo per se' stesso, per Luke, per Liz, per vincere la sua malattia. Stava sorridendo, ma fu un sorriso che fece riempire di lacrime gli occhi del sedicenne, che chinò il capo per non farsi vedere.
« Tutto bene? »
«Sì, sì: sto bene. » Luke fu solo in grado di mentire, in quel momento. Non voleva guardare il suo ragazzo e vedere la vita che pian piano lo abbandonava. Alzò il capo, sperando che le lacrime fossero scappate via, per mostrarsi al giovane.
Ma, quasi per dispetto, quelle gocce finirono sulle sue guance.
« Non sei un gran spettacolo da guardare. » entrambi sapevano fosse ironico, perché, in quindici mesi, lui non aveva fatto altro che ripetergli quanto fosse bello. Quella frase riuscì a strappare una risata ad entrambi, e permise a Calum di asciugare con la sua mano le lacrime sulle guance del minore.
« Tu invece sei sempre stupendo, sai? » Luke prese la mano che aveva asciugato il suo pianto, e, quasi senza pensarci, finì per poggiarci sopra le labbra. Era incredibilmente fredda.
« Sai, è da qualche giorno che penso ad una cosa, e vorrei parlartene. » continuò il sedicenne, carezzando la mano su cui prima aveva poggiato le sue labbra.
« Dimmi, piccolo. Sai che con me puoi parlare di tutto quello che vuoi. »
Luke si schiarì la voce: sembrava abbastanza teso, come se stesse per dirgli qualcosa di estremamente importante. Qualcosa che avrebbe cambiato la vita di entrambi.
Si morse il labbro inferiore, giocando con l'anello di ferro che lo avvolgeva.
« Ecco, vedi.. » la sua voce sembrò tremare per un momento« .. ti ho già parlato della palude, vero? »
« Vai avanti. » Calum sembrò già aver capito su quale tema si sarebbe spostata la loro conversazione, e non parve esserne molto entusiasta.
« E ti ho già detto che è una delle entrate per gli Inferi? Voglio andare lì.
Potrei, sai, parlare con qualcuno lì sotto e mettere una buona parola per te. Magari ti fanno guarire e puoi tornare a casa. »
L'espressione di Calum cambiò radicalmente. Sembrò essersi arrabbiato abbastanza, ma non aveva comunque la forza necessaria per urlargli contro, e non avrebbe potuto farlo comunque. Erano pur sempre in una struttura ospedaliera.
« Ti sei bevuto il cervello, Luke? Non esiste nessuna porta per gli Inferi, nessuna specie di divinità con cui puoi contrattare, e nessun modo per farmi guarire. »
« Non l'hai presa bene? » il suo tono di voce continuò ad essere calmo e sicuro di sé. Perché Luke sapeva bene ci fosse qualcosa oltre quella palude; qualcosa che aspettava solo lui, e che avrebbe permesso al suo ragazzo di guarire definitivamente.
« Io voglio andarci davvero, Cal. »
« Tutte queste storielle sugli dèi ti hanno fatto il lavaggio del cervello. »
Ma Luke sembrava realmente convinto della sua decisione: lui era sicuro di poter trovare qualcuno disposto ad aiutarlo.
Si alzò dalla sedia su cui era seduto, lasciando la mano del fidanzato che prima teneva stretta alla propria. Lo guardò, con gli occhi di chi ormai era rassegnato.
Nel momento in cui varcò nuovamente la soglia della porta, si ritrovò dinnanzi a sua madre, che era riuscita ad arrivare al sesto piano solo in quel momento. Aveva il fiatone per tutte le scale salite, e a Luke vennero dei sensi di colpa solo a pensare che, in effetti, adesso avrebbe dovuto scendere nuovamente tutti gli scalini.

Per trenta minuti, Liz aveva continuato a chiedere a suo figlio cosa fosse successo all'interno di quella stanza e del perché se ne fosse andato dopo così poco tempo.
Gli aveva chiesto se fosse per colpa di un litigio, se Calum si fosse sentito male, ma non le era pervenuta nessuna risposta.
Semplicemente, il figlio si chiuse nella sua stanza piena di poster di rock band e di vestiti sparsi un po' ovunque, senza voler parlare con persona alcuna.
Si gettò sul letto: voleva solo riposarsi, e non pensare a nulla. Infilò le cuffie nelle orecchie, finendo così per ascoltare della buona musica.

 

Quando si svegliò, Luke Hemmings si ritrovò in compagnia di tre anziane donne: due di loro stavano tenendo un filo, non troppo lungo, tra le mani. La terza, la più bassa, teneva un paio di lucide cesoie. Le anziane erano interamente vestite di bianco, ed avevano una strana aria vissuta.
La donna con le cesoie prese a guardarlo. « Quindi vuoi salvare il tuo amato, non è così? » e Luke si ritrovò ad annuire dinnanzi alla domanda di quella donna. Nonostante fosse la più bassa tra tutte, era quella che mise più paura al ragazzo.
« Se vuoi davvero salvarlo, dovrai arrivare fin qui. Se riuscirai a convincere colui che qui regna e che tutto possiede, allora il tuo ragazzo sarà salvo. »
« Come fai a dire certe cose? Chi è “l'uomo che qui regna e tutto possiede”? » le tre donne sembrarono divertite dagli strani quesiti che aveva posto, ma non sembravano intenzionate a dare una risposta.
« Colui che cerchi è una divinità. Questo è il suo mondo, e qui lui regola con noi la vita delle anime. »
« Chi siete voi per dire queste cose? »
Le tre donne scoppiarono a ridere, come se volessero prenderlo in giro. Luke Hemmings aveva avuto lo strano istinto di tirare un pugno sul naso ad una delle tre ma, nel momento in cui alzò il braccio per dare voce ai suoi pensieri, le vide dissolversi nel nulla.

 

« Luke, cosa c'è? » Liz invase la stanza del figlio, letteralmente in panico. Aveva un'aria terribilmente spaventata.
Ma ricevette da parte del figlio solo uno sguardo interrogativo, come se non capisse il motivo della sua presenza in quella camera. I suoi occhi erano lucidi, la sua fronte imperlata di sudore, il suo respiro affannato. Sembrava aver fatto dieci piani di scale in due minuti, tanto era stanco e shockato.
« Hai urlato, Luke. Hai fatto un incubo? »
« Probabilmente, non ricordo. Puoi andare, mamma? »
Quando Liz uscì dalla stanza, Luke sapeva bene cosa dovesse fare in quel momento.
Aveva avuto la risposta alle sue domande, ed era certo di aver avuto ragione, con Calum. Sapeva chi fossero quelle tre donne: e così si ritrovò a ringraziare la sua passione per le divinità greche e tutto ciò che le accerchiava.
Le Moire erano tre donne: Cloto, Lachesi ed Atropo. Era stata quest'ultima a parlargli e a dirgli di dover convincere Ade per aiutare l'amato.
Inutile dire che, in effetti, Luke si sentì abbastanza onorato per aver accolto in sogno le tre donne, ma adesso doveva andare a fare ciò per cui lo avevano chiamato.

Così decise di indossare qualcosa di vagamente decente perché, se tutto fosse andato bene, Calum sarebbe finalmente guarito. A lui sembrava un sogno, qualcosa a cui stentava a credere.
Infilò un paio di skinny neri, ed una maglietta con sopra il logo dei Nirvana.
Nonostante non ce ne fosse realmente bisogno, infilò il cellulare in tasca. Sapeva non servisse lì, ma non riusciva a farne a meno. Se, nel tragitto, gli fosse arrivata una chiamata da Calum? Se si fosse sentito poco bene? Doveva portarlo con se'.
Quando scese le scale verso l'ingresso, si fermò a prendere le chiavi di casa.
« Cosa fai, Luke? Esci? » sua madre stava cucinando, e sembrò aver sentito i suoi passi. Quella donna continuava a sorprenderlo, ogni giorno di più.
« Sto … facendo una passeggiata, mamma. Non so quando torno, non aspettarmi per cena. Probabilmente passo anche a fare una visita a Calum. »
« Okay, portagli i miei saluti. » la sua voce era distratta, come se non stesse davvero badando alle parole che varcavano la soglia delle sue labbra.
Luke, così, fece la stessa cosa: senza badare allo strano saluto di sua madre, varcò l'ingresso di casa.
Conosceva bene la strada per la palude che, si diceva, aprisse un varco per la soglia degli Inferi. Non sapeva come doversi comportare, né cosa sarebbe successo una volta arrivato lì.
Il pantano distava venti minuti a piedi, da casa sua. Non era eccessivamente lontano, dal momento che Luke era abituato a camminare a piedi per trenta minuti, ogni giorno, solo per seguire le lezioni.
Quando arrivò nel posto designato, non riuscì a far altro che notare l'immensa nebbia che aleggiava sull'intera palude. Non c'erano uccelli, di nessun tipo, e nessun rumore che potesse essere ricollegato ad anima viva. Nonostante avesse tanto desiderato quel momento, sia per se' stesso che per il suo ragazzo, per un istante l'idea di tornare indietro balenò nella sua mente.
Però, nel momento in cui quell'idea prese il suo cervello, vide avvicinarsi una barca, con un uomo anziano sopra: era un uomo dall'aspetto burbero, con i capelli bianchi, gli occhi rossi ed uno sguardo costantemente arrabbiato. Si fermò sulla riva, aspettando che fosse Luke, per primo, a salirci sopra.
Il sedicenne ritrovò in quell'uomo gli aspetti di Caronte, il traghettatore di Ade. Sapeva di doverlo, in qualche modo, pagare, ma non aveva portato con se' nessuna moneta.
« Io non .. non posso pagare. » pronunciata quella frase, aspettò la reazione dell'uomo. Era sicuro lo avrebbe portato nuovamente in riva, così come aveva fatto con tantissime persone che, prima di lui, non avevano potuto pagare.
Ma Caronte si limitò a voltare lo sguardo verso l'orizzonte. Non sembrò minimamente interessato al discorso del più giovane.

Il tragitto sembrò durare meno di un minuto. Nessuno parlò, durante il raggiungimento della meta che avevano in comune.
Le mani di Luke sudavano, il suo cuore batteva più forte che mai.
Realizzò di aver fatto un passo molto più grande delle sue gambe, nel momento in cui, avendo sorpassato due grandi montagne, venne letteralmente inghiottito dall'oblio.
Quando riuscì a percepire una leggera luce soffusa, aprì gli occhi.
Si ritrovò in un lungo corridoio: sembrava essere notte, nonostante ricordasse di aver lasciato casa sua nel pieno pomeriggio. La luce, seppur soffusa, era di un colore simile al blu, più scura di quello che avrebbe immaginato.
Percorrendo quel corridoio, scorse un pilastro, sopra il quale vide un elmo. Sapeva si trattasse di una Kunée, un elmo fabbricato dai ciclopi per rendere invisibile Ade.
Senza neanche volerlo, riuscì a spezzare il silenzio cominciando a correre verso quell'elmo. Quando ci arrivò, la sua mano destra lo carezzò. Era bellissimo.
« Mamma e papà non ti hanno detto di non toccare le cose che non ti appartengono, ragazzino? » nel momento in cui Luke voltò il capo verso la voce che gli aveva parlato, scorse la figura di un ragazzo. Sembrava avere pochi anni in più di lui, ed era davvero carino: i suoi capelli erano blu, era alto e magro. Vestito interamente di nero, con un paio di anfibi e skinny neri, come quelli che portava lui.
« Non credo sia tuo, questo. Che ti importa se lo tocco? » inarcò un sopracciglio, prendendo in mano la Kunée. Quel ragazzo gli metteva una strana ansia addosso, ma decise di non darle peso.
« In realtà, sai, i ciclopi me l'hanno data in dono in occasione della guerra contro i Titani. Hanno anche dato un tridente ed una folgore ai miei cari fratellini. Ma se sei qui devi già saperlo. » dicendo così, il ragazzo si andò a sedere su un trono, interamente nero. Luke realizzò fosse sbucato dal nulla, dato che non lo aveva visto prima.
E Luke realizzò anche di aver risposto male alla persona che avrebbe potuto salvare il suo fidanzato.
« Tu sei – »
« Mi chiamano Ade, Axiokersos, Plutone o Averno. » incrociò le braccia al petto, guardando come, ad ogni nome pronunciato, Luke tremasse. Sembrava esserne addirittura felice.
Al suo fianco c'era un grosso cane a tre teste, Cerbero. Luke aveva sempre creduto si trovasse all'entrata dell'Ade. Il suo aspetto era a dir poco mostruoso, e il sedicenne avrebbe solo voluto vederlo andare via.
« Sei qui per il tuo ragazzo, non è così? »
Si avvicinò al trono, con gli occhi lucidi e il cuore che batteva a mille. Non sapeva come riuscisse ad essere a conoscenza di tutto ciò, ma a lui andava bene. Avrebbe dovuto spiegare meno cose. « Io .. sì, sono qui per Calum. Vorrei chiederti se fosse possibile farlo guarire del tutto, io non voglio vederlo soffrire. »
Ade, così, si alzò. Si avvicinò pericolosamente al biondo, mentre i suoi occhi lo stavano quasi spogliando, privandolo di ogni cosa che lo avrebbe potuto aiutare a coprirsi.
Poggiò una mano sulla sua spalla, cosa che fece trasalire il ragazzo. Luke era letteralmente terrorizzato per ciò che avrebbe potuto fare. Cominciò a camminare, facendo, così, far fare la stessa cosa al minore.

« So che hai sognato le Moire, qualche ora fa. Avrai notato il filo che tenevano tra le mani. Era di diciannove centimetri. Sai cosa vuol dire, Luke? »
« Come fai a sapere il mio nom – »
« Ti ho fatto una domanda » il suo sguardo, duro, sembrò perforargli le ossa. Avvertì uno strano dolore su tutto il corpo, che andava pian piano a ramificarsi verso il cuore.
« Io .. no, non lo so. »
« Era il filo di Calum Hood, la persona che stai cercando di salvare. Era la sua vita, quella che Cloto e Lachesi tenevano in mano. Atropo, tra pochi giorni, taglierà quel filo. » gli occhi di Luke si riempirono di lacrime, nel momento in cui Ade cominciò la sua frase. Non riusciva a credere a ciò che le sue stesse orecchie avevano sentito. Non poteva farlo. Plutone sembrò accorgersi delle lacrime che stavano rigando il viso angelico del ragazzo.
« Tuttavia.. » raccolse, così, l'attenzione dell'altro « .. il ragazzo non soffrirà. Sarà portato nei Campi Elisi, dove Oceano manderà dei soffi di zefiro, per rinfrescarlo. Lì non c'è mai neve, pioggia o freddo. »
Tutto ciò non sembrò confortare Luke, il quale finì in ginocchio per terra, a piangere.
Insieme a lui, si chinò anche la divinità. Poggiò una mano sulla sua schiena, che si muoveva a ritmo dei suoi respiri irregolari.
« La saggezza si conquista attraverso la sofferenza, Luke. » il ragazzo si voltò verso il più grande, rivelando i suoi due cristalli bagnati.
In quel momento, Ade non riuscì a pensare ad altro se non che volesse quegli occhi tutti per se'. Solo per se'.
Si alzò, guardandolo dall'alto. Luke riuscì a percepire una strana scarica di adrenalina, che gli permise di alzarsi in piedi e di guardare negli occhi l'uomo dinnanzi a se'.
« Rimarrai qui, con me. Non posso permetterti di andare via. » Ade sapeva sarebbe stato troppo rischioso, permettere a Luke Hemmings di scappare via. Non avrebbe più potuto vedere sua madre, la sua casa e gli ultimi giorni di Calum.
« Io voglio vedere il mio ragazzo. » dicendo così, con gli occhi ancora pieni di lacrime, Luke sfilò il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni. Non fece neanche in tempo a sbloccarlo, che Ade lo prese e lo gettò in una vasca dove, presumibilmente, si trovavano alcune anime.
Il sedicenne non sapeva neanche quando fossero apparse tutte quelle vasche, quel trono e Ade stesso, ma non voleva porsi altre domande. Sapeva solo che, adesso, il suo cellulare era finito in una pozza piena di gente morta.
E sapeva anche di aver pagato parecchio quell'aggeggio.
« Qui non ti servirà. »
Stava per piangere nuovamente, quando Plutone lo fermò. « Non piangere, Luke. Vivere qui ti piacerà. Io lo faccio da tantissimo tempo. » disse, lasciandosi scappare un sorriso sul finire della frase.
« Non voglio chiamarti “Ade”. » incrociò le braccia. E ad Ade sembrò tanto un bambino, cosa che, infondo, era.
« Allora puoi darmi un nome da umano, se lo vuoi. »
« Posso chiamarti Michael? »

 

Luke non era affatto felice di vivere lì. Infondo, chi mai lo sarebbe? Michael gli aveva dato una stanza con un grande letto al centro, ma era fin troppo poco luminosa per lui. Non era colpa di nessuno, almeno credeva, ma solo del fatto che, in effetti, quello non fosse un albergo a cinque stelle. Si trattava pur sempre dell'Oltretomba. Si stupì persino dell'aver trovato una stanza tutta per se', con un letto ad una piazza e mezza.
Michael gli aveva detto di comportarsi come se fosse stato a casa sua, ma non era la stessa cosa. Gli aveva detto di non piangere, di dover essere forte perché era solo un momento, e dopo quello lui sarebbe anche stato felice di abitare gli Inferi con Ade e le pozze piene di anime. Gli aveva proibito di piangere, ma non ci riuscì: una volta arrivato sul suo nuovo letto, non riuscì a trattenere le lacrime. Nel tentativo di salvare il suo fidanzato, si era ridotto a vivere con Ade in persona.
Lì le ore sembravano volare e, senza neanche aspettarselo, ad un tratto vide la porta aprirsi. Era Michael.
« La cena è pronta. » la sua voce tuonò all'interno della stanza, e Luke realizzò che, in effetti, Michael fosse una persona molto seria. Tuttavia, non riuscì ad immaginare una divinità ai fornelli, o qualcosa del genere. Asciugò quindi le lacrime che avevano ormai fatto le loro radici sulle sue guance, e seguì l'uomo.
Michael lo portò in una grande stanza dove, posta al centro della camera, si trovava la tavola più lunga che lui avesse mai visto. Era bellissima.
Riuscì a vedere tantissimo cibo e tantissime bevande. Ma, nonostante tutte quelle specialità, c'erano solo due posti a sedere.
« Io non riesco a mangiare tutte queste cose. » seguendo i movimenti dell'altro, Luke si andò a sedere di fronte a lui. Sulla sua parte della tavola scorse pietanze quali: agnello, manzo, formaggi di tutti i tipi e una cesta piena di pane. Vide anche una grande brocca traboccante di vino rosso, denso come il sangue, e una più piccola contenente dell'olio.
Dall'altra parte della tavola, dov'era seduto Ade, scorse un'altra brocca di vino, dell'ambrosia trasudante dai corni della capra Amaltea, pane d'orzo e di frumento, manzo e capretti. Luke sentì il suo stomaco esser pieno anche solo guardando tutto quel cibo. Michael, invece, ignorando l'affermazione precedente, sembrava aspettare il suo primo boccone.
« Mangia. »
Il sedicenne percepì nuovamente un forte dolore su tutto il corpo dirigersi verso il suo cuore. Capì si trattasse dello sguardo di Plutone, che anche solo con i suoi occhi avrebbe potuto far del male a chiunque. Ma a lui non era mai piaciuta la carne, e non aveva mai bevuto del vino.
« Non mi piace la carne, non la mangio. » vide gli occhi della divinità farsi sempre più scuri, pieni di odio e di rabbia; vide il suo pugno stringersi e sbattere contro la tavola. La brocca si capovolse e le ceste piene di pane d'orzo caddero sul pavimento, mute.
« Ti ho detto di mangiare, Luke! » quando i suoi occhi incontrarono nuovamente quelli blu del ragazzino, inflisse in lui una strana sensazione angosciante. Sentì una lama entrare nel suo petto e rigirarsi tra i polmoni, il respiro mancare; sentì ogni millimetro di pelle andare a fuoco sotto quello sguardo pieno di odio.
Luke non rispose: versò il vino rosso all'interno di un calice e, esitante, lo mandò giù. Per la prima volta in sedici anni, assaggiò del vino. Non era cattivo, anzi.
Vide lo sguardo di Michael diventare meno duro, i suoi lineamenti ammorbidirsi. Anche lui cominciò a mangiare.
« Ti avevo detto di non piangere. Perché lo hai fatto? » i suoi occhi continuavano ad essere puntati su quelli dell'altro, mentre beveva quella che lui suppose fosse ambrosia da un corno.
« Mi manca il mio fidanzato. » le sue parole arrivarono come un sussurro alle orecchie di Ade, che cercò di reprimere l'ira.
Lo vide cominciare a mangiare del manzo, e capì di dover fare la medesima cosa.
Era sicuro l'altro non volesse parlare di Calum, dato che aveva preso ad ignorarlo. Era una divinità abbastanza taciturna, Michael.
« .. Michael? »
« Dimmi, Luke. »
« Come facevi a sapere del mio sogno e delle Moire? » chiese, nonostante avesse paura di farlo arrabbiare. Vide le sue labbra distendersi, mostrando uno dei pochi sorrisi che appariva di tanto in tanto sul suo viso. E Luke si chiese cosa avesse da ridere, quella specie di divinità a cui piaceva bere vino e mangiare manzo.
« Ti credevo più intelligente.. » a quella risposta, il sedicenne non seppe se offendersi o meno « .. mi sono fatto aiutare da Morfeo, e ho fatto sì che le Moire ti venissero in sogno. Avevo visto il tuo fidanzato essere in disaccordo con la tua intenzione di venire qui. Dovevo convincerti, in qualche modo. » sembrava abbastanza orgoglioso di se' stesso, in quel momento.
Luke realizzò che, al suo arrivo, lo aveva trovato dietro di se' perché semplicemente lui lo stava aspettando.
Prese un boccone di pane, accompagnato da un pezzetto di formaggio. Michael sembrò fiero di lui.
« Sai che ho incontrato Caronte? »
« Certo. » sbuffò. C'era un modo per coglierlo di sorpresa? Come faceva a sapere tutto di tutti?
« Come posso sorprenderti, in qualche modo? »
« Nessuno può sorprendere i pensieri di un dio, Luke: ho mandato io Caronte, lui sapeva di doverti portare qui da me. Gli ho detto che non avevi bisogno di pagarlo, per venire qui. L'importante era portarti nell'Ade, il resto non contava. »
E Luke realizzò anche che, quindi, era stato tutto un suo piano. Caronte lo aveva portato lì grazie a lui, le Moire gli erano venute in sogno grazie al suo intervento.
Non sapeva se doverlo ringraziare o odiare.

Quando la cena terminò, il sedicenne si alzò da tavola.
« Sistemo io la tavola. » quando concluse la frase, sentì una grande risata riecheggiare nella stanza. Michael stava ridendo, per una sua frase. La cosa che colpì Luke, fu che, in effetti, la sua non era assolutamente una frase ironica.
Perché quella strana divinità aveva un senso dell'umorismo tutto suo?
Inarcò un sopracciglio, attendendo che Plutone si ricomponesse dalla sua risata stramba, che incuteva solo ansia.
« Puoi andare a dormire, Luke. Non devi mica essere la donna delle pulizie dell'Oltretomba. » il ragazzino non capì chi, se non lui, avrebbe pulito la tavola.
Non lo avrebbe fatto il grande e sicuro di se' Michael, senza dubbio.
Ade poggiò una mano sulla sua spalla, riconducendolo nella sua stanza. Non disse una parola, finché, entrati nella camera, non vide il ragazzo mettersi a letto.
Quando le nere coperte avvolsero il piccolo ed esile corpo di Luke Hemmings, lui si sedette ai piedi del suo letto. I suoi occhi non smisero neanche per un'istante di fissare quelli dell'altro.
« Cos'era quella cosa che usciva dal corno, Michael? » la prima voce a spezzare il silenzio fu quella del sedicenne che, con solo il viso non coperto dalle lenzuola, ricambiava gli sguardi dell'immortale.
« Era ambrosia, Luke. Insieme al nettare, ci rende immortali e giovani. »
« Io non posso berla? Con tutto quel vino mi gira la testa. » per la seconda volta, o terza, una frase del sedicenne riuscì a far ridere Michael. Il biondo non riuscì a nascondere a se' stesso che, in effetti, quando quell'uomo rideva il suo cuore si riempisse di gioia. Avrebbe preferito dire sciocchezze per tutta la sua vita, se avessero fatto ridere Plutone.
« Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente, Luke. Dimentichi Dionisio? Anche noi beviamo vino. » aveva quasi dimenticato quella figura costantemente ricoperta d'uva, che rendeva divertenti le serate greche. Questa volta fu il biondino a farsi scappare una piccola risata. Fece uscire una mano dalle coperte nere, andandola a posare su quella fredda di Michael.
Quando lo guardò negli occhi, però, le sue risa si spensero.
« Quando morirà, Calum? » ascoltando la sua domanda, anche l'espressione di Ade si incupì. Luke capì, così, che non mancasse molto. Non voleva perderlo.
« Domani Atropo spezzerà il filo. Avverrà alle dodici in punto: non un secondo in più, non uno in meno. Le dodici ore antecedenti alla sua perdita saranno per lui abbastanza sofferenti, così da avere tutte le persone care vicino, quando accadrà. »
Michael vide delle lacrime scendere dai due diamanti blu di Luke, e sentì il cuore stringersi nel petto. Carezzò la mano del sedicenne, cercando di consolarlo.
« Però io non gli sarò vicino, quando accadrà. » disse, tra un singhiozzo e l'altro.
Per la prima volta in millenni, Michael fu colto da qualche strano senso di colpa.
« Non piangere. » ma non ricevette nessuna risposta da parte del ragazzino che, quasi per dispetto, continuava a piangere. Senza sosta.
« Alle undici, cinquantanove minuti e cinquantanove secondi, domani apparirai al tuo amato. Nessuno riuscirà a percepirti, tranne lui. Potrà vederti per l'ultimo secondo della sua vita. Non posso fare altro. » gli occhi di Luke si illuminarono, sembrava esserne felice. Si sedette sul letto, abbracciando Michael. Il suo corpo era caldo, a contatto con quello freddo e immortale della divinità. Ade riuscì a sentire la sua maglietta nera bagnarsi delle lacrime di Luke. Sperò si trattassero di lacrime di felicità.
« Quando tornerai berremo insieme l'ambrosia, così da renderti immortale. » e il sedicenne non riuscì a capire da dove fosse arrivata tutta quella generosità da parte di Plutone, che prima sembrava essere la creatura più cattiva al mondo.
Nonostante un secondo non fosse abbastanza per parlare e salutare per l'ultima volta Calum, decise di non replicare ulteriormente. Gli sarebbe mancato, da impazzire.
Ma poi sarebbe divenuto immortale, e sarebbe rimasto per sempre al fianco di Michael, Ade o Plutone che fosse.
Allontanò il viso dall'incavo delle sue spalle, e lo guardò negli occhi. Erano estremamente scuri, come due pozze piene di pece.
« Grazie, Michael. » dicendo così, poggiò le sue labbra su quelle della divinità. Erano terribilmente fredde, ma gli piacevano. Decise che avrebbe dovuto farlo più spesso.
Quello, quando le loro labbra si distaccarono, sciolse l'abbraccio. Si alzò dal letto, dirigendosi verso la porta.
« Riposa bene, Luke. » fu l'unica cosa che disse, prima di sparire dietro il muro.

Il giorno dopo, fu Michael a svegliare Luke. Questi, sembrava aver fatto la dormita migliore dei suoi sedici anni.
Fecero colazione, la migliore della sua vita. Michael bevve e si nutrì della sua solita ambrosia e del suo nettare, come era solito fare da quando era nato. O, almeno, così gli aveva detto mentre consumavano la loro colazione.
Luke aveva visto arrivare nuove anime, quel giorno. Ade stava provando a farlo abituare a quell'ambiente: gli aveva mostrato cosa avvenisse quando un'anima raggiungeva la sua vasca. Insieme avevano fatto il giro dell'Oltretomba, e Luke aveva tenuto stretta alla sua la mano di Michael. Aveva imparato ad abituarsi all'oscurità degli Inferi, e al tatto gelido del padrone di casa.
Quando mancava ormai un solo minuto alla dipartita del suo amato, il sedicenne andò in panico.
« E se lui non sta guardando dalla mia direzione? Cosa succede? »
« Andrà tutto bene. Non ti fidi di Ade, Luke? » Michael teneva entrambe le mani del biondo, vicino al suo petto. Avevano passato le ultime due ore a parlare di come passasse le giornate il sedicenne sulla Terra. Lui, dal canto suo, non sembrava essere alquanto triste. Non prima di quel momento, almeno. Adesso i suoi occhi erano nuovamente lucidi, e Michael riusciva a sentire il suo cuore battere all'impazzata.
« Devi andare, Luke. » quest'ultimo non fece in tempo a rispondere, che le labbra fredde dell'altro si posarono sulle sue. Era la prima volta che lo faceva di sua spontanea volontà.
Quando si staccarono, Luke fu nuovamente inghiottito dall'oblio. Riaprendo gli occhi, si ritrovò in ospedale, nella stanza di Calum.
Vide sua madre accanto al diciannovenne: stava piangendo. Gli teneva la mano, sembrava quasi aver capito cosa sarebbe accaduto da lì a poco.
Calum aveva lo sguardo puntato in direzione di Luke, come se lo stesse aspettando. Quando lo vide, i suoi occhi si sgranarono, e la sua mano si tese verso di lui.
Lo aveva visto davvero.
Luke riuscì a tendere il braccio verso il fidanzato, ma, quando stavano per toccarsi, Calum chiuse gli occhi. I suoi muscoli si distesero, e l'unica cosa che il biondo sentì fu il pianto disperato di Liz.
Nel momento in cui Luke Hemmings realizzò cosa fosse appena accaduto, fu catturato dall'oscurità.

 
   
 
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