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Autore: millons    24/02/2015    0 recensioni
Con gli occhi annegati dalle lacrime entro finalmente nella stazione di Milano Centrale. Il mio passo è incerto ma veloce, il mio cuore pesante e avvelenato.
“Il treno Frecciarossa 11986 per Parigi è in partenza dal binario 2, i signori passeggeri sono pregati di affrettarsi” merda, è il mio.
Inizio a correre per il dispersivo edificio, sono accaldata e affannata, i capelli mi infastidiscono la vista arrivandomi scompigliati sugli occhi e la valigia è talmente pesante che sembra piantata al terreno.
Non ce la posso fare, sono un disastro.
***
E' una storia scritta col cuore, per delle figure ancora molto presenti nella mia vita, nonostante abbia già 20anni e li conosca da molto tempo.
E' una storia d'amore, ma anche una storia di esperienze, di dolore, di incertezze e di paure.
Ho sempre scritto su di loro, ma solo oggi sono arrivata a raccogliere un po' di coraggio e pubblicare qualcosa, spero vi piaccia. Quello che scrivo alla fine sono io, sono io con le mie angosce, le mie gioie, i miei squilibri e la mia passione per i Tokio Hotel.
Camilla
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ likeabullettrain
 
Con gli occhi annegati dalle lacrime entro finalmente nella stazione di Milano Centrale. Il mio passo è incerto ma veloce, il mio cuore pesante e avvelenato.
Il treno Frecciarossa 11986 per Parigi è in partenza dal binario 2, i signori passeggeri sono pregati di affrettarsi” merda, è il mio.
Inizio a correre per il dispersivo edificio, sono accaldata e affannata, i capelli mi infastidiscono la vista arrivandomi scompigliati sugli occhi e la valigia è talmente pesante che sembra piantata al terreno.
Non ce la posso fare, sono un disastro.
Mi immergo nella folla di viaggiatori intenti anche loro ad accorrere al binario del loro treno; davanti a me facce dalle più svariate espressioni. Il mio sguardo è catturato da un anziano signore dai lineamenti marcati e le mani forti seduto su una panchina, è l’unica figura non in movimento in quella caotica scena; sta sfogliando con calma un quotidiano e sul suo volto è dipinta un’espressione di una tale tranquillità e pace che quasi riesce a trasmetterla per un istante anche a me. Supero la sua esile figura e per un soffio riesco a salire sul mio treno, mentre le porte del vagone si stavano già chiudendo.
Con fatica e non poco imbarazzo riesco finalmente a raggiungere il mio posto; sono seduta di fianco al finestrino e davanti a me c’è un altro sedile, per ora rimasto vuoto; prego con tutta me stessa che rimanga tale, in questo momento ho solo bisogno e voglia di starmene da sola.
Dopo qualche minuto il treno inizia a muoversi uscendo lentamente dalla copertura della stazione, quasi come un serpente che meticolosamente esce dalla sua tana alla ricerca di cibo.
Partiti, non aspettavo altro; con l’allontanarmi dalla stazione sento gradualmente i miei nervi rilassarsi e il sangue tornare a circolarmi regolarmente nelle vene. Me ne sto andando, o forse è meglio dire: sto scappando, scappando dalla mia vita reale, dalla mia gabbia di cristallo che mi ero creata con le mie stesse mani, dalle mie angosce, ma soprattutto dal mio cuore.
La pioggia a contatto col  finestrino forma rigagnoli irregolari che si precipitano all’estrema sinistra del grande vetro, sfaccettandosi in rigagnoli sempre più piccoli, finendomi dietro alle spalle; seguo il loro percorso e come, (e con) loro mi sfaccetto anche io, come se fossi un dipinto ad acquerello di un pittore un po’ distratto che non si è accorto di aver usato troppa acqua. Mi sto dissolvendo.
“Posso..?” una voce mi riporta alla realtà. Davanti a me, in piedi, c’è un ragazza dalla figura longilinea e aggraziata; mi sorride educatamente portandosi una ciocca dei suoi capelli biondi dietro all’orecchio sinistro, su cui noto un minuscolo tatuaggio a forma di stella sul lobo, di fianco al buco per l’orecchino. Una stella identica alla sua, come quella tatuata all’inizio dell’inguine; quante volte ho accarezzato quella tintura indelebile su quella pelle che mi bruciava i polpastrelli da quanto quel contatto mi facesse  rabbrividire. Scuoto leggermente la testa per ritornare alla realtà e ricambiando il sorriso alla ragazza le dico gentilmente che il posto davanti al mio è vuoto. La giovane mi ringrazia e una volta posizionata la sua valigia verde nel apposito portabagagli, si siede delicatamente di fronte a me.
Non faccio molto caso a lei, ho la testa talmente pesante che non riuscirei a concentrarmi su nessun particolare della sua figura, e di conseguenza prendo fuori dalla mia borsa le cuffie auricolari e l’iPod, volendo ascoltare un po’ di musica, almeno non avrei pensato a nulla.
Sto per premere il tasto “play” e far partire la prima canzone quando però vengo interrotta dalla ragazza bionda, che a bassa voce, quasi avesse capito che era un pericolo disturbarmi, mi domanda: “Stai andando a Parigi per una vacanza?”
“No” rispondo seccamente, infilandomi la seconda cuffia nell’orecchio.
“Ah, ok.. allora per studiare?” non demorde!
“Neanche, diciamo che ho bisogno di cambiare aria” alzo velocemente il mio sguardo su di lei, fulminandola con gli occhi per farle capire che non sono in vena di fare conversazione. Non è brutta, anzi, tutt’altro: ha lunghi capelli color miele che le scivolano leggeri e lisci sulle spalle, fino all’altezza del seno, occhi verdi come un prato bagnato dalla brina mattutina che troneggiano su due zigomi alti e vigorosi, un nasino piccolo e all’insù e labbra carnose di un rosso vermiglio; ma quello che attira di più la mia attenzione sono le sue mani, dalle dita lunghe e affusolate, delicate nei movimenti, quasi disegnassero parole di seta nell’aria ogni volta che le muove; porta una quantità smisurata di anelli, quasi su tutte le dita, anche all’altezza delle prime falangi, proprio sotto l’unghia laccata di bordeaux. Le sue mani erano un qualcosa fuori dal comune; ad ogni gesto scatenavano in me un uragano, ad ogni loro contatto con la mia pelle mi sentivo morire. Lunghe, acuminate, quasi scheletriche, dita dalle unghie color pece. Forti, ma al momento stesso quello che c’è di più fragile a questo mondo.  Quelle mani sono state la mia rovina.
“Comunque io sono Silvia, piacere” dice sommessamente la ragazza, abbassando lo sguardo, la mia occhiataccia deve aver fatto effetto.
“Camille” rispondo velocemente avviando la canzone sul mio iPod e girandomi leggermente di lato, per guardare meglio fuori dal finestrino. Per me il dialogo può terminare qua.
Al mio gesto, vidi l’espressione sul volto di Silvia cambiare prontamente, evidentemente sono stata troppo sgarbata, e così anche lei prende il suo iPod dalla borsa e tutte e due infine ci immergiamo nei nostri pensieri; all’esterno la campagna milanese si perdeva a vista d’occhio. Chiudo gli occhi e dopo qualche minuto mi addormento.
***
   
 
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