Un giorno crescerà
“Henry brought me to Storybrooke
to bring back the happy endings.
My job is not done until I do that for everyone, including you.”
[Emma Swan – 4x01 “A Tale of Two Sisters”]
*
Il buio regnava nella stanza,
soltanto i lampioni di Storybrooke
gettavano dalla finestra un opaco fascio di luce
nell’ambiente. Il ticchettio dell’orologio e il
sottile ronzio, che proveniva dalla strada, interrompevano il silenzio
della notte.
Aveva rischiato grosso, ma ne era valsa la pena, e adesso stava bene:
il freddo che sentiva era dovuto alla notte, non più al
ghiaccio perenne che circondava la città.
Emma si strinse nel plaid per riscaldarsi. Avrebbe dovuto dormire anche
lei come il resto degli inquilini dell’appartamento, tuttavia
non riusciva a smettere di pensare e farlo nella semi
oscurità era l’ideale. Tirò un
po’ le somme di quello che era successo in neanche
ventiquattro ore: risolto un guaio ne era apparso un altro di
entità ancora parecchio incerta. Cosa aveva messo
involontariamente in moto?
A parte aver distrutto il lieto fine di Regina.
Emma si morse il labbro inferiore sovrappensiero: dopo che le aveva
fatto quella promessa, non era riuscita a parlare in faccia,
né a scusarsi nuovamente – come se bastasse quello
a porvi rimedio.
Aveva fatto ciò che andava fatto, ciò che era
giusto. Aveva salvato una vita… per rovinarne
un’altra?
Sbuffò infastidita, alzandosi dallo sgabello della cucina su
cui era appollaiata. Trattenendo i lembi del plaid con una mano per
evitare che scivolasse dalle spalle, si diresse verso il frigo e
aprì lo sportello.
Il ragazzino non si era arreso e sarebbe andato da Regina tra qualche
ora – dedusse, riuscendo a leggere l’orario
nell’orologio appeso alla parete.
“Le avrebbe fatto bene”, pensò con gli
occhi fissi su frutta, ortaggi, contenitori con gli avanzi della cena e
altre cibarie. Decise, alla fine, per un semplice bicchiere
d’acqua e fece per afferrare la bottiglia, prima di sgranare
gli occhi davanti a ciò che stava accanto ad essa: succo di
frutta… alla mela.
Ci rimuginò su giusto un attimo, prima di prendere il
contenitore di cartone in mano.
«Perché no?» mormorò tra
sé e sé, osservando con interesse
l’etichetta.
Fu con un piccolo sorriso sulle labbra che se ne versò un
bicchiere.
Quell’abbraccio era stato un vero toccasana. Trovarlo
lì sulla soglia di casa, tenace e testardo nella convinzione
di poterle essere d’aiuto, l’aveva portata
sull’orlo delle lacrime per la felicità. Henry
aveva ragione: la sua presenza sarebbe stato un balsamo efficace per le
proprie ferite. Temporaneo, certo, ma salutare. E mancava poco
affinché scoprisse l’identità
dell’Autore, ne era certa.
Il sorriso scemò appena dalle labbra e Regina chiuse il
libro con un colpo secco. Sola nel soggiorno – Henry,
visibilmente stanco, stava riposando di sopra nella sua stanza
–, si crogiolava in quella piccola bolla di
felicità. Non voleva farla scoppiare adesso che era riuscita
a trovare un po’ di serenità. Il cuore pulsava
ancora dolorosamente al ricordo, ma bastava ripensare alla calda
sensazione del corpo di Henry stretto tra le sue braccia, ai suoi
luminosi occhi e al suo sorriso un po’ imbarazzato, e sentiva
le fitte farsi più sopportabili. Lui non l’avrebbe
mai abbandonata ed era ciò per cui lei avrebbe sempre
lottato.
Era inutile leggere e rileggere quelle righe nella speranza di vederle
mutare: tutto ciò che narravano era ben presente nella sua
memoria, indelebile.
Sarebbe stato possibile riscrivere la sua storia? Sarebbe riuscita a
trovare l’Autore?
Accarezzò la copertina del libro con un sospiro stanco: i
grandi caratteri dorati le riportarono alla mente ricordi di una Regina
Cattiva che cullava tra le braccia un bebè. Il tono di voce,
che era solita usare in quelle occasioni, somigliava a una dolce e
rassicurante ninna nanna; Henry era in fasce, uno scricciolo dalle
guance rosse e gli occhi vispi.
Era passato così tanto tempo…
Si allontanò dal libro, andando verso la finestra con la
vista sul giardino. Scostò la tenda sovrappensiero e fu
così che la vide: china sulla terra smossa, i capelli biondi
raccolti in una coda di cavallo alta, la t-shirt scolorita che aderiva
alle spalle e alla schiena, i jeans a fasciarle le gambe piegate.
Cosa stava facendo?
Si accigliò, infastidita dal déjà-vu
che quella scena le riportò davanti gli occhi. Vide se
stessa avvicinarsi alla donna – la madre biologica di Henry
– e apostrofarla con ira e disprezzo.
Tuttavia, Emma Swan non brandiva una letale motosega con soddisfazione,
ma aveva le mani coperte da guanti in lattice, macchiati di terra, e
appariva anche piuttosto stanca.
Come osava deturpare di nuovo il suo giardino?! Dopo averle tagliato il
melo! Dopo tutto quello che aveva fatto!
La rabbia la spinse ad agire: con un gesto di stizza chiuse la tenda e
si voltò. Marciò fuori dal soggiorno, colpendo
violentemente il pavimento con i tacchi, ed uscì in giardino.
«Cosa stai facendo, miss Swan?!» quasi le
urlò in faccia, inviperita.
Emma scattò in piedi per la sorpresa, lasciando cadere la
paletta a terra per alzare le mani in segno di resa. Ricordava quello
sguardo, quel tremito impercettibile delle mani strette nei pugni come
a trattenersi dallo strapparle il cuore – cosa che comunque
non avrebbe potuto fare – di netto.
«Ti sto restituendo ciò che ti avevo
tolto» rispose guardandola negli occhi e scandendo bene ogni
parola per riuscire a penetrare la barriera di rabbia e ricordi che
aveva prontamente innalzato la donna. «Hai ragione: non sei
più quella persona e questo è un atto di fiducia.
Sono certa che le userai bene». Emma si schiarì la
voce in leggero imbarazzo: non voleva ferirla più di quanto
avesse già fatto. «Per questo lo sto
piantando» concluse con un mezzo sorriso soddisfatto.
«Piantando?» Sul volto di Regina si dipinse una
smorfia di puro scetticismo, misto a disgusto.
«Il melo». La bionda si passò il polso
sinistro sulla fronte per spostare alcuni ciuffi di capelli e
asciugarsi il sudore. «Be’, ho quasi
finito» disse più a se stessa.
Regina, ancora senza capacitarsi di ciò che stava accadendo
sotto i suoi occhi, la osservò accovacciarsi nuovamente a
terra e solo allora notò un vasetto con una piantina.
Delicatamente Emma infilò le mani dentro per tirarla fuori
da quella che, crescendo, sarebbe diventata una prigione e la
infilò nel buco scavato precedentemente.
Un sogghigno ammirato deformò le labbra dell’ex
sindaco di Storybrooke: Emma Swan doveva essersi ben informata prima di
farle quell’improvvisata. D’un tratto,
l’albero si stagliò in una luminosa figura proprio
lì, dove stava una piantina che ancora doveva crescere; era
rigoglioso e verdeggiante, pieno di gustosi frutti dalla buccia colore
del sangue.
«Lo curerai tu o dovrò pensarci io?»
La voce della Salvatrice arrivò come un’eco
lontana alle sue orecchie, persa com’era in riflessioni e
memorie di una ragazza che galoppava in interminabili praterie. Sentiva
il calore del sole e la brezza tra i capelli come se fosse realmente
lì. Il sorriso le illuminava il viso fresco di un tempo: era
libera.
La scena cambiò e si trovò tra le braccia di un
giovane, uno stalliere, ai piedi di un melo, che con le sue fronde
cariche di frutti non ancora maturi nascondeva la purezza del loro
amore agli occhi del mondo.
«Il mio “regalo” riguarda solo questa
parte. Sta a te decidere cosa farci». Emma
continuò il lavoro, nonostante si fosse accorta della scarsa
attenzione che le prestava la donna: aveva appena finito di ammucchiare
la terra smossa intorno alla piantina per richiudere tutto.
Fu in quel momento che Regina tornò alla realtà.
Sbatté le palpebre per mettere a fuoco il suo viso
concentrato e il fisico tonico. La osservò concludere tutto
ed alzarsi, spolverandosi i jeans nel tentativo di pulirli dalla terra
umida.
Schioccò la lingua infastidita ed ancora incredula: non
stava accadendo sul serio. Non era possibile.
Aveva avvelenato Biancaneve e involontariamente – e
ciò ancora la tormentava – Henry con le mele. Quel
frutto stesso era il simbolo che teneva attaccati tutti i pezzi del suo
essere: Regina Mills e la Regina Cattiva.
Con le mani ai fianchi emise uno sbuffo, prima di parlare.
«Questo non significa nulla», chiarì.
«Non lo stai facendo per scusarti? Cosa vuoi ancora da me?!
Non ti basta quello che già hai fatto?»
Emma posò gli occhi sui suoi con una serietà che
riuscì a spiazzarla.
«Troverò il modo per restituirti il lieto fine che
meriti. Considera questo gesto come una garanzia, come il simbolo della
mia promessa. Un giorno crescerà e per allora mi
assicurerò che tu sia felice». Abbozzò
un sorriso colpevole e speranzoso.
Regina la squadrò dalla testa ai piedi con aria perplessa.
Non poteva crederci! Non voleva crederci!
«Ti facevo più intelligente, miss Swan. Sparisci
dalla mia vista! Adesso» sillabò con freddezza.
Nonostante fosse certa di quella reazione, Emma non poté
evitare di sentirsi abbattuta. Qualsiasi cosa facesse, per Regina non
sarebbe stato abbastanza – ormai le era chiaro. Si ritenne
comunque soddisfatta del risultato e il piccolo sorriso
continuò ad aleggiare sulle labbra, mentre raccoglieva la
paletta e la giacca abbandonate sull’erba.
«Va innaffiato e-», tentò un altro
approccio.
«So come curare un melo. Fuori da casa mia!» la
interruppe Regina, indicandole il cancello aperto.
La Salvatrice le lanciò un ultimo sguardo, ripercorrendo
quella stessa scena con gli occhi del passato, e –
ripensandoci – allora era stata Regina a uscire in qualche
modo ferita da quel diverbio.
Ed era intimamente contenta che non le avesse dato un secco rifiuto,
magari bruciando la piantina o la terra o scagliandola fuori dalla sua
proprietà. Era un bel passo avanti!
E qualcosa le diceva che la piantina sarebbe cresciuta in altezza, si
sarebbe rafforzata sotto le cure delle mani esperte di Regina e, la
prossima volta che avrebbe visto quel giardino, un possente albero di
mele le avrebbe sorriso, dandole il benvenuto con le verdi foglie mosse
dal vento.
Chissà... Un giorno si sarebbero ritrovate proprio ai piedi di
quell’albero.
*
“One day, it’ll grow.
And everytime I look at it, I’ll remember. Ehilà :)
Remember everything that happened: the good, the bad and how lucky I am that I made it
home.”
[Bilbo Baggins – “The Hobbit: The Battle Of The Five Armies”]
Prima di tutto, ringrazio chiunque sia arrivato fin qui!! ♥
Parto subito con i riferimenti temporali. La parte iniziale su Emma si colloca sulla fine della
4x02 prima dell’abbraccio di Henry e Regina; la seconda parte, invece, a “cavallo” tra 4x02 e
4x03 prima della scena da Granny’s di Henry e Regina. Scusate la pignoleria xD
Questa one-shot nasce dal mio desiderio di vedere Emma fare qualcosa di un po’ più concreto per
Regina e così ne ho approfittato per un parallelismo con la 1x02 (adoro quella scena e amo la
prima stagione :3).
Mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensiate di questa cosuccia :)
Un bacione,
Calime