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Autore: SagaFrirry    26/02/2015    1 recensioni
La guerra santa è finita, i cavalieri di bronzo sono tornati al grande tempio ma una nuova presenza si unisce a loro. quel bambino nasconde un segreto..quanto tempo ci metterà Seiya il "genio" prima di capirlo? E quel bambino, che nell'animo tanto bambino non è, si unirà a loro contro il padre degli Dei?
Genere: Comico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Andromeda Shun, Aries Kiki, Gemini Saga, Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I

CIAO, GIGARS!

 

Santuario, 1993

 

Pioveva leggermente, nell’inverno di Grecia, quando il bambino entrò al Grande Tempio. Trovato da una delle guardie, fu condotto nella grande sala dove in quel momento i cavalieri stavano cenando. Athena, capotavola, gli sorrise.

“Siediti pure con noi” lo invitò “Sarai affamato”.

Il piccolo, stanco e piuttosto malconcio, sedette senza parlare. I cavalieri più vicini alla dea indossavano vestigia d’oro, poi venivano uomini e donne d’argento e bronzo. In fondo al tavolo, un gruppetto di bambini. Stupito, perché non capiva come dei mortali potessero mangiare assieme ad una dea, il nuovo arrivato non rispose alle poche domande che gli vennero rivolte.

“Forse non capisce la nostra lingua” ipotizzò Shun, il cavaliere d’oro della vergine.

“O non vuole parlare con noi. Non ha l’aria di chi vuole fare quattro chiacchiere” furono le parole di Ikki, il leone d’oro.

“Ragazzino impertinente” sbottò Seiya, il sagittario “Non hai ancora capito chi hai davanti? Abbiamo combattuto perfino contro Hades!” alzò la voce.

Il bambino di voltò e lo fissò, con un’espressione di totale indifferenza.

“Lei è la dea Athena! E noi siamo..”

“Smettila!” lo zittì la dea “Non lo spaventare! Credo sia spaesato ed ha bisogno di ambientarsi. Gli spiegherai le regole del santuario un’altra sera. Ora mangiamo”.

Con queste parole, i commensali tornarono alla normalità, come se il bambino non fosse mai arrivato.

“È di vostro gradimento, madame?” domandò un uomo, che si mostrò, uscendo dall’ombra e sorridendo alla dea.

“Sì, grazie Gigas” rispose lei “Dì pure alle ancelle che, come ogni sera, hanno fatto un ottimo lavoro”.

“Sarà fatto, Signora”.

“E, nel caso non te lo avessero detto, una delle tue guardie ha trovato un bambino stasera. È quello seduto laggiù”.

Gigas incrociò lo sguardo del piccolo ed annuì, di buon umore.

“Ha l’aria di essere un ragazzetto forte. Sarà un buon cavaliere”.

Detto questo, si congedò. Si incamminò lungo le scale del tempio, diretto alla sua piccola dimora, situata accanto alla tredicesima casa.

“Che tempaccio” borbottò.

Si udì un tuono, anche se lontano. Accelerò il passo ma poi si fermò. Aveva sentito un rumore. Si voltò di scatto, trovandosi davanti il nuovo arrivato del tempio.

“Ah, sei tu, ragazzino! Che cosa vuoi?” sbottò, infastidito.

“Ciao, Gigars!” salutò il bambino.

“Si pronuncia Gigas, marmocchi etto. E poi perché mi hai seguito? Non ti hanno spiegato dove devi andare al grande tempio, vero?”.

Il piccolo scosse la testa.

“Non posso certo lasciarti al buio sotto la pioggia” si rassegnò Gigas “Vieni con me. Casa mia è qua dietro. Domani vedrò di trovarti la giusta sistemazione”.

La casa era piccola e piuttosto semplice. Gigas accese un paio di candele.

“Sei bagnato fradicio, ragazzino. Vieni qui, adesso accendo il fuoco”.

“Grazie Gigars, cioè..”.

Gigas tirò al piccolo un leggero scappellotto dietro la nuca.

“Un tempo una persona mi chiamava sempre Gigars. E non lo sopportavo”.

“Ah sì? E glielo hai mai detto?” domandò il bambino, allungando le mani verso il fuoco appena acceso.

“Cosa?”.

“Hai mai detto a chi ti chiamava Gigars che ti dava fastidio?”.

“No, certo che no!”.

“E perché no?”.

“Perché ero consapevole di quale fosse il mio posto, a differenza tua, razza di moccioso impertinente!”.

“Il tuo posto è fare il vigliacco?”.

“Come?! Con che coraggio dici una cosa del genere?”.

“Con il mio coraggio. Magari, ipotizzo, la persona che ti chiamava con una R di troppo non sapeva di pronunciarlo nel modo sbagliato”.

“No, ne era consapevole. Lo faceva per infastidirmi!”.

“Ma non è vero!”.

“Cosa ne sai tu?”.

“Non lo facevo per infastidirti!”.

“Mi prendi in giro?! Che centri  tu, nanerottolo?!”.

“Gigas, accendi quei quattro neuroni, idiota!”.

Gigas fissò il bambino. Il suo sguardo stava cambiando. Coperti in parte da una gran massa di capelli neri, gli occhi passarono da un bel verde smeraldo ad un blu scuro. Le iridi grandi e dolci, che conferivano al bambino un’aria quasi angelica, furono sostituite da occhi ben più minacciosi, da demone.

“Arles!” sobbalzò Gigas.

“Datti una calmata. Non farti venire un infarto!”.

“Sei un demone tornato dall’inferno per tormentarmi?”.

“Ma che stronzate dici? No! Siediti, ti spiego un paio di cose”.

Gigas prese un profondo respiro e sedette, anche se a distanza di sicurezza. Quel bambino, con alle spalle il fuoco del camino, pareva davvero un demone tornato dagli inferi. Il piccolo chiuse gli occhi e, quando li riaprì, erano di nuovo dolci e buoni. Fra i capelli, si intravedevano dei riflessi rossi.

“Intanto ci tenevo a farti sapere che ti chiamavo Gigars non per darti fastidio ma perché, se ben ricordi, avevo un difetto di pronuncia sulla S e con la R davanti si notava meno” iniziò il nuovo arrivato e Gigas annuì, poco convinto.

“Seconda cosa..io non sono propriamente Arles. Sono suo figlio”.

“Non sapevo avesse un figlio!”.

“Mi fai finire? O sai già tutto tu?!”.

“Continua!”.

“È una cosa non facile da spiegare. L’ultimo desiderio di mia madre, prima di morire, è stato quello che io avessi la consapevolezza di mio padre. La mia coscienza è solo un barlume, ero destinato a morire, ma mamma mi ha donato una nuova memoria ed una rinnovata forza vitale”.

“Cosa vi è successo?”.

“Non sono discorsi da farsi in piena notte. Te lo spiegherò, ma non ora”.

“Ma quindi..quello che io vedo è solo un involucro, dove dimora l’anima di Arles?”.

“Puoi definirlo così, sì”.

“E Saga?”.

“Non può esistere Arles senza Saga, giusto?”.

“Ma quindi tu chi sei?”.

“Detesto questa domanda del cazzo, Gigas!”.

“Non capisco, scusa!”.

“Quello che vedi è il corpo di mio figlio, che però era in punto di morte. Per salvarlo, la madre gli ha affidato i miei ricordi e la mia essenza. Quindi quello che vedi sono io, Gigas. Sono Arles ma nel corpo di un bambino”.

“Quindi il bambino non ha coscienza? È morto?”.

“Non è morto, ma la sua forza vitale è quasi inesistente. Ma, scusami, non sono pronto ora a raccontarti ciò che gli è successo”.

Gigas rimase in silenzio qualche istante. Si avvicinò, notando lo sguardo triste del bambino.

“Con che nome Vi farete chiamare al tempio?”.

“Come mio figlio. Alexandros. Alex”.

“Bene. Devo preparare un posto dove farvi dormire”.

“Gigas..ma tu..quanti anni hai?”.

“Perché?”.

“Non è il momento di andare in pensione, invece di servire quella piaga di Athena?”.

“In pensione?! Non sono così vecchio!”.

“Come mai sei al grande tempio? Pensavo fossi morto!”

“Non sono morto! Mi sono allontanato. Ma poi un giorno sono passato di nuovo da queste parti ed ho deciso di andare  a rivedere i luoghi dove ho vissuto per tanto tempo. Ho incontrato Athena e lei mi ha proposto di tornare a lavorare qui, come coordinatore delle guardie e delle ancelle, come facevo con voi”.

“E tu hai detto di sì..”.

“Certo. Sto bene così. Qui sono felice e nessuno mi maltratta”.

“E nessuno ti da dell’idiota, insomma. Ho capito”.

I due si guardarono in silenzio qualche istante. Il bambino si era rigirato di nuovo verso il fuoco.

“Quindi me ne devo andare, immagino” riprese il piccolo.

“Perché?”.

“Tu mi detesti, è evidente. Lascio subito la tua casa. Lasciami solo asciugare”.

“No, potete restare. Io..”.

“Gigas!” chiamò Athena, entrando nella casa senza bussare.

“Signora!” esclamò l’uomo, stupito.

“Stavo raggiungendo le mie stanze e mi sono ricordata di una cosa. Domani mattina voglio tu vada in paese a comprarmi delle cose. Ti manderò la lista” ordinò lei.

Poi guardò il bambino e gli sorrise.

“Ecco dov’eri!” gli disse “Gigas, come mai è qui da te?”.

“Beh..lui è..lui è..mio nipote!”.

“Nipote?”.

“Sì. Vero, Alex?”.

Gigas fissò il bambino e il piccolo annuì.

“Sì, lui è il mio nonnino” confermò il nuovo arrivato.

“Oh, che dolce! Ben arrivato al tempio!”.

Con un sorriso ebete, la dea lasciò la casa e si allontanò.

“È scema come la ricordavo” commentò Alex.

“Io per nipote intendevo che io ero tuo zio, non tuo nonno!” protestò Gigas.

“Come nonno sei più credibile! Adesso sono davvero sfinito. Ho bisogno di un whisky, un bagno caldo e un buon sonno”.

“Non darò del whisky ad un bambino di quanti? Sei anni?”.

“Sette!”.

“Fa lo stesso! Non te lo darò!”

“Ne ho bisogno!”.

“Latte e miele, come ai bravi bambini!”.

Alex fulminò con lo sguardo Gigas, ma l’uomo non cambiò idea. Era solo un bambino, dopotutto. Anche se con il pessimo carattere di Arles.

“Preparo la vasca, così potete fare il bagno. Non è di certo la vasca enorme a cui siete abituato, ma vi dovete accontentare”.

“Ma Gigas! Perché mi aiuti?”.

“Perché siete così carino che non riesco proprio a trattarvi male. E poi siete solo un bambino. Chi lo sa cosa vi riserverà il futuro!”.

“Ma..”.

“Solo una domanda..la madre, chi è? Vedo quei riflessi rossi nei capelli..”.

“Sì, ho un debole per le rosse. Clio, musa della storia e della memoria”.

“Lei? Me la ricordo..molto bene!”.

   
 
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