I
CIAO, GIGARS!
Santuario, 1993
Pioveva
leggermente, nell’inverno di
Grecia, quando il bambino entrò al Grande Tempio. Trovato da
una delle guardie,
fu condotto nella grande sala dove in quel momento i cavalieri stavano
cenando.
Athena, capotavola, gli sorrise.
“Siediti
pure con noi”
lo invitò “Sarai affamato”.
Il piccolo,
stanco e
piuttosto malconcio, sedette senza parlare. I cavalieri più
vicini alla dea
indossavano vestigia d’oro, poi venivano uomini e donne
d’argento e bronzo. In
fondo al tavolo, un gruppetto di bambini. Stupito, perché
non capiva come dei
mortali potessero mangiare assieme ad una dea, il nuovo arrivato non
rispose
alle poche domande che gli vennero rivolte.
“Forse
non capisce la
nostra lingua” ipotizzò Shun, il cavaliere
d’oro della vergine.
“O non
vuole parlare
con noi. Non ha l’aria di chi vuole fare quattro
chiacchiere” furono le parole
di Ikki, il leone d’oro.
“Ragazzino
impertinente” sbottò Seiya, il sagittario
“Non hai ancora capito chi hai
davanti? Abbiamo combattuto perfino contro Hades!”
alzò la voce.
Il bambino di
voltò e
lo fissò, con un’espressione di totale
indifferenza.
“Lei
è la dea Athena!
E noi siamo..”
“Smettila!”
lo zittì
la dea “Non lo spaventare! Credo sia spaesato ed ha bisogno
di ambientarsi. Gli
spiegherai le regole del santuario un’altra sera. Ora
mangiamo”.
Con queste
parole, i
commensali tornarono alla normalità, come se il bambino non
fosse mai arrivato.
“È
di vostro
gradimento, madame?” domandò un uomo, che si
mostrò, uscendo dall’ombra e
sorridendo alla dea.
“Sì,
grazie Gigas”
rispose lei “Dì pure alle ancelle che, come ogni
sera, hanno fatto un ottimo
lavoro”.
“Sarà
fatto, Signora”.
“E,
nel caso non te lo
avessero detto, una delle tue guardie ha trovato un bambino stasera.
È quello
seduto laggiù”.
Gigas
incrociò lo
sguardo del piccolo ed annuì, di buon umore.
“Ha
l’aria di essere
un ragazzetto forte. Sarà un buon cavaliere”.
Detto questo, si
congedò. Si incamminò lungo le scale del tempio,
diretto alla sua piccola
dimora, situata accanto alla tredicesima casa.
“Che
tempaccio”
borbottò.
Si
udì un tuono, anche
se lontano. Accelerò il passo ma poi si fermò.
Aveva sentito un rumore. Si
voltò di scatto, trovandosi davanti il nuovo arrivato del
tempio.
“Ah,
sei tu,
ragazzino! Che cosa vuoi?” sbottò, infastidito.
“Ciao,
Gigars!” salutò
il bambino.
“Si
pronuncia Gigas,
marmocchi etto. E poi perché mi hai seguito? Non ti hanno
spiegato dove devi
andare al grande tempio, vero?”.
Il piccolo
scosse la
testa.
“Non
posso certo
lasciarti al buio sotto la pioggia” si rassegnò
Gigas “Vieni con me. Casa mia è
qua dietro. Domani vedrò di trovarti la giusta
sistemazione”.
La casa era
piccola e
piuttosto semplice. Gigas accese un paio di candele.
“Sei
bagnato fradicio,
ragazzino. Vieni qui, adesso accendo il fuoco”.
“Grazie
Gigars,
cioè..”.
Gigas
tirò al piccolo
un leggero scappellotto dietro la nuca.
“Un
tempo una persona
mi chiamava sempre Gigars. E non lo sopportavo”.
“Ah
sì? E glielo hai
mai detto?” domandò il bambino, allungando le mani
verso il fuoco appena
acceso.
“Cosa?”.
“Hai
mai detto a chi
ti chiamava Gigars che ti dava fastidio?”.
“No,
certo che no!”.
“E
perché no?”.
“Perché
ero
consapevole di quale fosse il mio posto, a differenza tua, razza di
moccioso
impertinente!”.
“Il
tuo posto è fare
il vigliacco?”.
“Come?!
Con che
coraggio dici una cosa del genere?”.
“Con
il mio coraggio.
Magari, ipotizzo, la persona che ti chiamava con una R di troppo non
sapeva di
pronunciarlo nel modo sbagliato”.
“No,
ne era
consapevole. Lo faceva per infastidirmi!”.
“Ma
non è vero!”.
“Cosa
ne sai tu?”.
“Non
lo facevo per
infastidirti!”.
“Mi
prendi in giro?!
Che centri tu,
nanerottolo?!”.
“Gigas,
accendi quei
quattro neuroni, idiota!”.
Gigas
fissò il
bambino. Il suo sguardo stava cambiando. Coperti in parte da una gran
massa di
capelli neri, gli occhi passarono da un bel verde smeraldo ad un blu
scuro. Le
iridi grandi e dolci, che conferivano al bambino un’aria
quasi angelica, furono
sostituite da occhi ben più minacciosi, da demone.
“Arles!”
sobbalzò
Gigas.
“Datti
una calmata.
Non farti venire un infarto!”.
“Sei
un demone tornato
dall’inferno per tormentarmi?”.
“Ma
che stronzate
dici? No! Siediti, ti spiego un paio di cose”.
Gigas prese un
profondo respiro e sedette, anche se a distanza di sicurezza. Quel
bambino, con
alle spalle il fuoco del camino, pareva davvero un demone tornato dagli
inferi.
Il piccolo chiuse gli occhi e, quando li riaprì, erano di
nuovo dolci e buoni.
Fra i capelli, si intravedevano dei riflessi rossi.
“Intanto
ci tenevo a
farti sapere che ti chiamavo Gigars non per darti fastidio ma
perché, se ben
ricordi, avevo un difetto di pronuncia sulla S e con la R davanti si
notava
meno” iniziò il nuovo arrivato e Gigas
annuì, poco convinto.
“Seconda
cosa..io non
sono propriamente Arles. Sono suo figlio”.
“Non
sapevo avesse un
figlio!”.
“Mi
fai finire? O sai
già tutto tu?!”.
“Continua!”.
“È
una cosa non facile
da spiegare. L’ultimo desiderio di mia madre, prima di
morire, è stato quello
che io avessi la consapevolezza di mio padre. La mia coscienza
è solo un
barlume, ero destinato a morire, ma mamma mi ha donato una nuova
memoria ed una
rinnovata forza vitale”.
“Cosa
vi è successo?”.
“Non
sono discorsi da
farsi in piena notte. Te lo spiegherò, ma non ora”.
“Ma
quindi..quello che
io vedo è solo un involucro, dove dimora l’anima
di Arles?”.
“Puoi
definirlo così,
sì”.
“E
Saga?”.
“Non
può esistere
Arles senza Saga, giusto?”.
“Ma
quindi tu chi
sei?”.
“Detesto
questa
domanda del cazzo, Gigas!”.
“Non
capisco, scusa!”.
“Quello
che vedi è il
corpo di mio figlio, che però era in punto di morte. Per
salvarlo, la madre gli
ha affidato i miei ricordi e la mia essenza. Quindi quello che vedi
sono io,
Gigas. Sono Arles ma nel corpo di un bambino”.
“Quindi
il bambino non
ha coscienza? È morto?”.
“Non
è morto, ma la
sua forza vitale è quasi inesistente. Ma, scusami, non sono
pronto ora a
raccontarti ciò che gli è successo”.
Gigas rimase in
silenzio qualche istante. Si avvicinò, notando lo sguardo
triste del bambino.
“Con
che nome Vi
farete chiamare al tempio?”.
“Come
mio figlio.
Alexandros. Alex”.
“Bene.
Devo preparare
un posto dove farvi dormire”.
“Gigas..ma
tu..quanti
anni hai?”.
“Perché?”.
“Non
è il momento di
andare in pensione, invece di servire quella piaga di
Athena?”.
“In
pensione?! Non
sono così vecchio!”.
“Come
mai sei al
grande tempio? Pensavo fossi morto!”
“Non
sono morto! Mi
sono allontanato. Ma poi un giorno sono passato di nuovo da queste
parti ed ho
deciso di andare a
rivedere i luoghi
dove ho vissuto per tanto tempo. Ho incontrato Athena e lei mi ha
proposto di
tornare a lavorare qui, come coordinatore delle guardie e delle
ancelle, come
facevo con voi”.
“E tu
hai detto di
sì..”.
“Certo.
Sto bene così.
Qui sono felice e nessuno mi maltratta”.
“E
nessuno ti da
dell’idiota, insomma. Ho capito”.
I due si
guardarono in
silenzio qualche istante. Il bambino si era rigirato di nuovo verso il
fuoco.
“Quindi
me ne devo
andare, immagino” riprese il piccolo.
“Perché?”.
“Tu mi
detesti, è
evidente. Lascio subito la tua casa. Lasciami solo asciugare”.
“No,
potete restare.
Io..”.
“Gigas!”
chiamò Athena,
entrando nella casa senza bussare.
“Signora!”
esclamò
l’uomo, stupito.
“Stavo
raggiungendo le
mie stanze e mi sono ricordata di una cosa. Domani mattina voglio tu
vada in
paese a comprarmi delle cose. Ti manderò la lista”
ordinò lei.
Poi
guardò il bambino
e gli sorrise.
“Ecco
dov’eri!” gli
disse “Gigas, come mai è qui da te?”.
“Beh..lui
è..lui
è..mio nipote!”.
“Nipote?”.
“Sì.
Vero, Alex?”.
Gigas
fissò il bambino
e il piccolo annuì.
“Sì,
lui è il mio
nonnino” confermò il nuovo arrivato.
“Oh,
che dolce! Ben
arrivato al tempio!”.
Con un sorriso
ebete,
la dea lasciò la casa e si allontanò.
“È
scema come la
ricordavo” commentò Alex.
“Io
per nipote
intendevo che io ero tuo zio, non tuo nonno!”
protestò Gigas.
“Come
nonno sei più
credibile! Adesso sono davvero sfinito. Ho bisogno di un whisky, un
bagno caldo
e un buon sonno”.
“Non
darò del whisky
ad un bambino di quanti? Sei anni?”.
“Sette!”.
“Fa lo
stesso! Non te
lo darò!”
“Ne ho
bisogno!”.
“Latte
e miele, come
ai bravi bambini!”.
Alex
fulminò con lo
sguardo Gigas, ma l’uomo non cambiò idea. Era solo
un bambino, dopotutto. Anche
se con il pessimo carattere di Arles.
“Preparo
la vasca,
così potete fare il bagno. Non è di certo la
vasca enorme a cui siete abituato,
ma vi dovete accontentare”.
“Ma
Gigas! Perché mi
aiuti?”.
“Perché
siete così
carino che non riesco proprio a trattarvi male. E poi siete solo un
bambino.
Chi lo sa cosa vi riserverà il futuro!”.
“Ma..”.
“Solo
una domanda..la
madre, chi è? Vedo quei riflessi rossi nei
capelli..”.
“Sì,
ho un debole per
le rosse. Clio, musa della storia e della memoria”.
“Lei?
Me la
ricordo..molto bene!”.