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Autore: moonwhisper    08/12/2008    4 recensioni
Sono tanto inutile?
Sono tanto insignificante?
Non c'è qualcosa che manca?
Non c'è nessuno a cui io manchi?
E se io dormo solo per sognarti,
Mi sveglierò senza te qui,
Non c'è qualcosa che manca?
Non c'è nessuno a cui io manchi?
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mirror Kisser

 

 

 

Affondare le mani in tasca è un modo come un altro per proteggersi. Nascondere una parte del corpo vulnerabile, quando fa freddo. Oggi fa freddo, più del solito. Magari nevicherà, questa notte. Certo, forse farei prima a comprarmi un paio di guanti. Me lo dicono tutti. Compra un bel paio di guanti, di quelli colorati, spessi, con delle fantasie assurde. Ma proprio non c’è verso che io decida di comprarli. Non lo voglio, un paio di guanti. Voglio nascondermi.

Come adesso. Si è fatto buio, e invece di prendere il tram, preferisco tornare a casa a piedi. Dopotutto le probabilità che qualcuno mi osservi, per strada, sono limitate. Mentre sul tram non si sa cosa fare, si studia la gente. Questo è uno di quei momenti in cui essere studiata potrebbe solo farmi male.

Mi capita così, per caso, di sentirne la mancanza. Come fosse una persona fisica, tangibile, e non un insieme di cose totalmente fittizie, immaginate. Il piacere di un abbraccio, avvertire una presenza accanto al proprio corpo, frasi qualunque. Tutto inventato. Completamente. Conversazioni di fronte ad uno specchio, interpretazione di due voci estranee a me e alla mia vita. Fingere. Parlare da sola. Sono cose che fanno i pazzi, ma non riesco ancora a considerarmi tale. Dopotutto i miei sono solo lamenti di un cuore vuoto.

Non c’è vento. C’è silenzio, c’è pace. Qualche macchina lontana, ma solo perché ho scelto una strada da viandante solitario. Le finestre accese in alto, i cancelli di metallo e le ringhiere dipinte di verde scuro. Affondo le mani in tasca e mi nascondo sotto la luce arancione dei lampioni, dove tutti potrebbero vedermi, ma non c’è nessuno che desideri farlo, adesso.

Ci sono degli istanti, come ora, in cui riesco a percepire il mio senso di solitudine in modo molto più violento. Lo avverto come una pellicola sulla pelle, che mi impedisce di sentirmi completamente bene, anche in un periodo di relativa serenità. E’ una solitudine che ha una sola soluzione, ma talmente patetica, scontata… una soluzione in una parola, che mi vergogno perfino di pronunciare ad alta voce.

Amore.

Voglio quello che tutti vogliono, e lo voglio con un’insistenza traumatica, che va’ oltre i miei pensieri, oltre la concezione di ciò che posso avere e ciò che è lontano dalla mia portata. E’ semplicemente istintivo. Un “volere” che sento in fondo allo stomaco, e poi un po’ più su, dentro, proprio dentro, al cuore. Un “volere” silenzioso. A chi potrei mai confidare di desiderare “l’amore”? Voi non ridereste? Non provereste pena per me? E’ un desiderio troppo comune. Usato, sfruttato, male, bene, così così. Ma il punto è sempre quello.

Come spiegare concretamente che cosa desidero?

A volte, la sera, prima di addormentarmi, penso a come sarebbe la mia vita se la condividessi con “l’amore”. L’amore incarnato in un essere umano, uguale a me, ma diverso. Qualcuno della mia stessa specie. Si, perché ho la netta sensazione di essere aliena. Diversa da coloro che questo “amore” ce l’hanno accanto tutti i giorni, che la considerano come una cosa normale, a disposizione di tutti. Non è così. Per me l’amore non c’è. Nessuno mi ha detto dove posso trovarlo, tutti dicono di non cercarlo.

Immaginare di toccare per caso le mani di una persona, sentirne la pelle tiepida. Immaginare un abbraccio, che giunge alle spalle, di soppiatto. Immaginare la sensazione di un corpo che ti si aggrappa addosso, immaginarne l’odore, i movimenti. Immaginare le parole. Sussurrarle una dopo l’altra nel buio della stanza vuota. Conversazioni qualunque, parlare di niente che potrebbe significare tanta dolcezza, anche soltanto recitando una lista della spesa. Fare le cose insieme, condividerle. Scoprire qualcuno che sorride per te. Non avvertire mai più un vuoto accanto, nel letto, sentire che sotto le coperte c’è un calore che non appartiene unicamente al tuo corpo.

Alcune notti, sogno “l’amore”. E’ un uomo senza volto, ma sento di amarlo. Sento proprio quelle emozioni nel petto, come se tutto fosse reale.  Riesco ad avvertire altre labbra premere contro le mie. Ma al risveglio è tutto grigio come la sera prima. Tutto uguale. E tutto irrimediabilmente vuoto. Lui non c’è. Ci sono solo io. E quelle mattine sento sempre più pressante quel desiderio d’amore, che non si riduce unicamente alla paura della solitudine. E’ qualcosa di più. Se fossi ammalata di solitudine mi basterebbe un cane, un gatto, o anche due canarini. Mi basterebbero le amiche, uscirci la domenica, e la mia vicina di casa che mi invita sempre a vedere qualche film insieme. E invece queste cose non mi bastano. Mi pettino piano davanti allo specchio e c’è sempre una ruga in più che ho il terrore di scoprire, ci sono sempre gli stessi occhi tristi, un po’ malinconici, e sempre lo stesso viso tirato, come se fossi costantemente in pena. Posso fingere di essere felice, a volte.

Tento ogni mattina, di fronte allo specchio, di riesumare quel brivido dei sogni. Ripeto le frasi che mi ricordo, parlo con la mia immagine riflessa, e lei mi risponde. Non può essere la stessa cosa, ma non riesco a farne a meno. Devo farlo. O tutta la giornata va a rotoli, insieme alle mie lacrime e alla versione pacata e piatta di me. E’ opinione condivisa che io non abbia una grandissima personalità. La verità è che sono malata. Ho questa malattia di cui non conosco il nome, ma so che è una malattia, e non è curabile. Non c’è un medico, nessuna ricetta da prescrivere. Me la porto addosso, e c’è spazio per poco altro. Sorrisi gentili, vestiti qualunque, un bilocale e diverse conoscenti che ho preso l’abitudine di chiamare “amiche”. Ormai sono anni che la mia vita si è ridotta a questo. Non c’è nient’altro. Niente da raccontare. Solo io che bacio lo specchio, nella luce bianca della stanza, e penso di impazzire, anche se non succede mai. Preferirei accadesse, prima o poi, per liberarmi di questo peso, per smetterla di aspettare ogni compleanno con una giustificazione in più.

La settimana prossima spegnerò trentacinque candeline. Forse dovrei smetterla di festeggiare.

Affondo le mani in tasca e mi nascondo sotto la luce arancione dei lampioni.

In questo momento vorrei solo qualcuno che mi regali un paio di guanti. O che mi tenga le mani al caldo, giusto un po’, giusto per chiudere gli occhi e fingere.

Presumo che l’unica decisione possibile sia continuare a baciare gli specchi.

Uno dopo l’altro.

Fin quando non ci saranno più candeline da spegnere.

Fin quando non avrò più nulla da sognare.

Fin quando mi arrenderò.

O fin quando arriverà. “L’amore”.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

Introduzione estrapolata da "Missing", Evanescence.

Scritta sulle note di "Yanqui Girl In Rafah" Klimt 1918

 

Un grazie immenso a Vale.

 

Note di Phan: ed io stavolta voglio, pretendo, per forza, un parere. Voglio sapere cosa pensate, e lo voglio tantissimo. E non perché sono presuntuosa, non perché credo che sia un’opera strabiliante… solo per sapere che avete letto, che avete sentito. Solo per questo. E' possibile?

 

 

  
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