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Autore: TheDarkLightInsideMe    27/02/2015    1 recensioni
Povera ingenua.
Dopo così tanti anni, era di nuovo l’amore ad incatenarla a quel mondo che tanto odiava. Un sentimento dolce come il miele, ma letale come il veleno. Certo, possono sembrare frasi fatte, ma per lei erano, sono e saranno sempre la verità.
Non vi dirò il suo nome; lo capirete man mano ed è facile da intuire. Voi dovreste conoscere già la seconda parte della sua storia, che accennerò solamente.
Per due volte, a condannarla erano stati i sentimenti. Per due volte, l’amore le aveva giocato un brutto tiro, la sorte l’aveva abbandonata fra le sue braccia.
La prima volta, lei capì cos’era realmente l’amore e giurò di non ricadervi in trappola. La seconda, capì di esservi invischiata dentro quando era troppo tardi, sacrificandosi di nuovo, perdendo, stavolta del tutto, se stessa.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Shinigami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Beginning

 



<< Signorina! Signorina, per lei è pericoloso stare lì fuori! >>
Nonostante la pioggia, la ragazza albina era uscita nel giardino della sua villa a Londra, osservando le macchine passare.
Da quanto tempo era lì? Non sapeva dirlo con certezza. E potete intendere la domanda anche come “da quanto tempo era al mondo?”
René. Almeno il suo nome lo ricordava. Per una qualche ragione, sentiva che presto tutti gli altri attorno a lei l’avrebbero dimenticata; allora perché ricordarsi da soli? Qual era lo scopo della sua esistenza?
Un panno bianco le fu poggiato sulla testa e uno schiaffo le arrivò dietro la nuca. La tutrice cui era stata affidata alzava un po’ troppo spesso le mani, per i suoi gusti, ma ormai che importava?
La donna robusta alle sue spalle le asciugò con foga i capelli (quando era arrivata dentro la villa? Non lo ricordava neppure)
<< La signorina si prenderà un malanno, se continua a non badare a se stessa in questo modo! >> le urlò nelle orecchie, menzionando la sua salute altamente cagionevole. In realtà –René lo sapeva –quel modo di chiamarla “signorina” non derivava dal fatto di essere figlia di nobili, quanto dalla voglia della tutrice di prenderla in giro. Anche per questo non riusciva a sopportarla e ad obbedirle. E, d’altra parte, una persona che ti ricorda ogni cinque minuti che non puoi uscire di casa col sole, sei spesso malata e una volta hai rischiato di morire non è esattamente il tipo di donna adatta a fare da tutrice ad una sedicenne, non trovate?
René aveva sempre osservato le regole della propria famiglia, del proprio paese; rispettava anche le leggi della natura, nonostante i suoi coetanei le dicessero che era una cosa folle; ma quella donna e i suoi ordini gridati a destra e a manca; quelli proprio no.
Dopo averla fatta cambiare, la sua “dama da compagnia” (che la lasciava sempre da sola, quindi questo nome proprio non poteva permetterselo) uscì –appunto –dalla camera, chiudendola all’interno a chiave. Non aveva calcolato che René sarebbe potuta benissimo andare sul tetto tramite la finestra della propria stanza e che aveva delle forcine che avrebbe subito usato per forzare la serratura, ma va beh.
La ragazza si stese sul letto e prese a guardare il soffitto, rigorosamente tinto di bianco.
Non le piaceva il bianco; forse le ricordava troppo i propri capelli. Il suo colore preferito era il viola, voleva avere o gli occhi o i capelli viola, ma il suo era un sogno impossibile… e comunque presto nessuno l’avrebbe più ricordato. Non che lo facessero allora, beninteso.
Il pensiero della ragazza volò rapido al padre, lontano, in guerra. Che giorno era partito? Non lo sapeva più. E che giorno era? Era il… 1943, di sicuro. Era in atto la seconda guerra mondiale.
Gran bella cosa; magari il mondo implode e ci lascia morti stecchiti tutti. Sarebbe a dir poco straordinario.
Si alzò, pensando ai propri genitori ormai lontani (per sua sfortuna sua madre era in viaggio e non sarebbe tornata prima di una settimana) e si mise a camminare in lungo e in largo per la stanza.
Non aveva idea di che fare: poteva leggere, ovviamente, ma aveva voglia di fare qualcosa di diverso. I pensieri tristi le stavano già inondando la mente; aveva bisogno di distrarsi. E come?
Prese un foglio di carta e una penna stilografica e si mise alla scrivania. Era o non era un’aspirante poetessa? Poteva scrivere qualcosa anche senza la dovuta ispirazione.
Non appena la prima goccia d’inchiostro cadde sul foglio color latte, però, l’ispirazione venne.
Sotto forma di tonfo proveniente dalla finestra.
Il primo pensiero fu che un uccello si fosse schiantato contro il vetro, e rabbrividì. Odiava quelle strane bestie, anche se forse inconsciamente le invidiava per le loro ali. Volare via lontano… poteva scriverci qualcosa su.
La curiosità, comunque, ebbe la meglio sulla voglia di scrivere, e René si rimise in piedi, avvicinandosi alla fonte di luce della sua camera. Sul piccolo davanzale, chiuso e rivolto verso l’alto, stava un quaderno nero dalle dimensioni piuttosto piccole. Il come fosse arrivato lì era un mistero, e anche il perché lo era innegabilmente.
Qualcun altro avrebbe indubbiamente pensato ad un miracolo divino e sarebbe corso alla chiesa più vicina, ma non lei. Lei, piuttosto lo aveva preso tra le mani e lo aveva sfogliato, per trovarci magari qualcosa di già scritto.
La copertina sembrava di cartone, ma era morbida come velluto, ed erano incise in bianco su di essa delle parole strane, arcane, come un codice segreto di punti e linee. Di certo non era inglese.
Sul retro della copertina vi erano altre parole, stavolta nella sua lingua. Dopo averle lette, René si ritrovò ancora più pallida del solito, e guardò verso il giardino per vedere se qualcuno l’avesse lanciato fin lassù per prenderla in giro.

Regola numero uno: se scrivi il nome di un umano su questo quaderno, esso muore. Mentre scrivi, devi avere ben in mente il nome della persona
da uccidere, oppure non ci riuscirai.


René scorse le parole più velocemente, strizzando gli occhi. Era tutto estremamente reale e definito per essere un sogno o un’allucinazione.

Regola numero due: l’umano morirà entro 40 secondi di arresto cardiaco se la causa non sarà specificata. Hai 6 minuti e 40 secondi per specificare le cause ed ulteriori dettagli.

Quello scrittore dalla strana e curiosa scrittura sosteneva che la vittima sarebbe morta di arresto cardiaco… idiozie, ovviamente erano idiozie. Una persona non poteva avere un infarto a comando, andiamo, sarebbe stato ridicolo. E privo di senso. Estremamente privo di senso.

Regola numero tre: il possessore di questo quaderno può scambiare metà della sua durata vitale restante con gli Occhi del Dio della Morte cui appartiene il quaderno (da approfondire con il dio).

Ancora più assurdo. Il tipo che scriveva sosteneva che esistessero più dei, e che esistessero in particolare gli “dei della morte”. Assurdo. Inconcepibile. Certo, in quel periodo di cose inconcepibili ne accadevano, però…. Quello era folle. Fuori da ogni schema ed ogni logica. Insensato.
Sotto le tre regole, troneggiava un enorme “Tryche sembrava ridere beffardo. René credette di essere pazza e di avere le visioni, ma una vocina dentro di lei continuava a sostenere il contrario. Eppure, in che altro modo si poteva spiegare quella pazzia, se non con i deliri di una febbre presa nel giardino della villa? Non sapeva rispondersi.
Si rigirò il quadernino tra le mani, non sapendo bene che fare. Sempre quell’odiosa voce nella sua testa le sussurrava di provare davvero ad uccidere qualcuno, anche se il buonsenso non era esattamente della stessa opinione. Voleva dire assecondare le proprie follie, uno scherzo o –nel caso remoto in cui la cosa avesse funzionato –un assassino. Certo, se avesse ucciso Hitler, magari… no, lei sapeva che la guerra sarebbe andata avanti lo stesso. Come al solito, quel tipo di guerra non aveva senso e non si sarebbe fermata a breve.
Presa dalla più completa certezza che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto, comunque, la ragazza puntò i suoi occhi scuri sulla prima pagina bianca del quaderno. La vocina ora era intenzionata a farle scrivere il nome della sua odiata cugina. Lo fece, senza esitazione.
È solo uno stupido scherzo; che c’è da preoccuparsi?
Si scoprì schifosamente felice alla possibilità che sua cugina potesse morire per davvero. Di certo non se lo meritava. Avrebbe potuto effettivamente scrivere il nome di Hitler, ma… i giochi erano fatti.
Quei quaranta secondi parvero infiniti, ma come tutto il resto trascorsero normalmente. Ma forse, proprio con quei quaranta secondi, la normalità aveva abbandonato quella villa.
René si rese conto solo allora –era evidente che non ci aveva riflettuto affatto, prima di scrivere il nome della ragazza, e si diede della stupida per questo –che non aveva modo di sapere della morte della cugina a breve, e tra l’altro sarebbe potuta essere una coincidenza. Certo, però, l’arresto cardiaco…
Scosse la testa, facendo svolazzare il nastro lilla tra le ciocche: aveva bisogno di un altro soggetto, di un’altra cavia. La dama da compagnia sarebbe andata benissimo. E questa volta avrebbe espresso anche le cause della morte, giusto per essere sicura che non si sarebbe trattato di una coincidenza.
Stavolta leggermente riluttante, scrisse quelle undici lettere con il volto della donna fisso nella mente. Poi la sua grafia ordinata e tonda chiarì le cause:

Muore cadendo per le scale con le mani nelle tasche e rompendosi la testa.

René aveva eliminato tutte le parole superflue ed era stata il più generica possibile nei particolari. Non poteva sbagliare, non quella volta.
Dopo trentacinque secondi contati in mente, sentì passi decisi avviarsi verso il piano terra della villa.
Dopo trentasette dalla bocca della donna fuoriuscì un urlo sgraziato.
Dopo trentanove René si catapultò fuori a vedere la situazione.
Al quarantesimo, le grida si interruppero con un tonfo sordo. Non ci fu neppure bisogno di controllare, René poté giurare di aver sentito le ossa del cranio della sua dama da compagnia spezzarsi non appena erano entrate in contatto con il pavimento. Un conato di vomito la piegò in due alla vista delle mani della signora rigorosamente affondate nelle tasche della vestaglia.
Dovette ricorrere a quasi tutta la sua volontà per non vomitare lì per terra e sporcare il prezioso pavimento. Ma se i muri hanno le orecchie, allora soffitto e pavimento hanno gli occhi? Se ne avesse visti un paio spuntare dal tappeto, probabilmente non si sarebbe sconvolta affatto. In fondo di cose strane ne stavano succedendo.
Tuttavia, nel caso in cui quella statuetta di porcellana affianco a lei avesse aperto bocca, o se l’avesse fatto il dipinto alla parete, ci sarebbe stato davvero un bel problema da risolvere. D’altra parte, lì, da sola, René pensava di essere l’unica testimone di quel miracolo divino (o di quella condanna, come scoprirà in seguito). Come accadeva raramente, però, si sbagliava.
Un essere uscì dall’ombra alle sue spalle (o forse uscì proprio dal muro?) ridacchiando sommessamente, ma lei parve non accorgersene neppure. Fissava il punto in cui si trovava il cadavere della sua tutrice, gli occhi a tratti vacui, a tratti spaventati, la pupilla ridotta ad una capocchia di spillo.
Una lacrima (di gioia o di tristezza?) le scorse rapida su una guancia, fino a finirle nella bocca semi-aperta e tremante. Voleva imporsi di smettere di stare lì ferma, ma la sua volontà era ormai andata a farsi friggere.
<< I- il quaderno… >> balbettò, sperando forse che qualcuno la sentisse nei suoi deliri, o forse aspettando che qualcuno la scuotesse per le spalle e la svegliasse da quello che, doveva ancora decidere, era un sogno o un incubo. << Il quaderno funziona sul serio! >>
Nel buio, la figura alta e snella continuò a ridere ancora più forte.




















Angolino autrice.

E rieccomi qui! Innanzitutto un grazie enorme per aver letto questo capitolo, che all'inizio sembrava alquanto deprimente, mi sa! XD Avete fegato, se siete arrivati fin qui!
Suppongo che ormai tutti abbiate capito chi è questa ragazza, ma nel caso in cui fossi riuscita a nascondere bene i fatti nell'introduzione, allora non dico niente. Solo... c'è un piccolo indizio nel titolo... ok, devo stare zitta!
Avevo questa storia in mente da un po' di tempo, e ho deciso di pubblicarla in 27 febbraio perché, a rigor di logica, non potevo farlo domani, dato che è il compleanno di Light. Chi vuole intendere intenda. Cavolo, non riesco a trattenermi dal fare spoiler!
Mi volatilizzo, prima che sia troppo tardi. Grazie di tutto e a presto,

DarkLight.
   
 
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