Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Harmony394    27/02/2015    8 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Going home
Take me to church
I'll worship like a dog at the shrine of your lies
I'll tell you my sins so you can sharpen your knife
Offer me my deathless death
Good God, let me give you my life

  

«PROVA DI NUOVO A METTERMI LE MANI ADDOSSO, PICCOLA STRONZA, E GIURO CHE TI-».

Apro gli occhi, il cuore che mi batte così forte da sentirne il rimbombo della testa, e mi tiro a sedere di scatto. Dèi… ma cosa sta succedendo? Mi guardo attorno confusa, il viso ancora impastato dagli ultimi residui del sonno, ed i ricordi della sera prima mi tornano in mente tutti assieme: Beric Dondarrion, il Mastino, Arya... Dov’è Arya?!

«Che fai, mi ammazzi?! Ma certo, tu sai solo uccidere ragazzini, vero? Scommetto che se ci fosse tuo fratello te la faresti sotto!».
«Piccola stronza, io ti—». 
«Che cosa sta succedendo?!», urlo un attimo prima che il Mastino strangoli mia sorella. Entrambi smettono di litigare di colpo e rivolgono i loro sguardi verso di me. Non appena mi vede, Arya mi punta un dito contro e si avvicina inferocita.
«È colpa tua!», grida. «Se avessi lasciato che questo idiota venisse ucciso da Beric, allora noi—».
Lui l’afferra per un braccio e la fa voltare verso di sé, la cicatrice grottesca che gli si contrae per la rabbia. «Allora cosa, ragazzina? Sareste tornate a casa? Sei davvero così idiota da credere ad una favoletta simile?!».
«Sta zitto! Taci, taci, taci! Sei solo un grosso, stupido scimmione! Se non fosse stato per Sansa, a quest’ora saresti morto!».
«Ti faccio vedere io chi è che sarebbe morto, lurida stron—».
«Smettetela!», grido di nuovo, e loro si fermano. Per un istante, gli unici rumori che aleggiano attorno a noi sono quelli dell’acqua del fiume che scorre qualche metro più in là e delle fronde degli alberi che sfregano tra loro. Mi passo una mano sul viso con pesantezza, quasi che in questo modo possa portar via tutta la stanchezza che mi grava addosso, e sospiro. La testa mi martella terribilmente a causa del brusco risveglio.  «Perché state litigando?».

Il Mastino digrigna i denti e scocca un’occhiataccia ad Arya che, impertinente, ricambia lo sguardo con la medesima furia. Se in lei c’è una cosa che non è cambiata dopotutto questo tempo, quella è di certo è il suo atteggiamento.

«La tua dannata sorella mi ha colpito con una pietra! Le avevo detto di stare al suo posto e che se avesse osato sfiorarmi le avrei spezzato entrambe le mani, ma lei mi ha colpito comunque! Brutta stronza, te le taglio quelle mani!».
«È vero, Arya?» Chiedo, sinceramente allibita. Come ha potuto fare una cosa simile?!
Lei rotea gli occhi e mi guarda come se fossi un insetto. «Sì, e che io sia dannata per non essere riuscita a spaccargli il cranio! È così stupido che persino la sua testa è dura come il marmo!».
«Arya, ora basta! Smettila e chiedigli scusa!».

Lei spalanca gli occhi, incrocia le braccia al petto e fa una smorfia incredula. «Scusa?! E per cosa? Ha ucciso Mycah e un sacco di persone innocenti! Perché continui a prendere le sue difese?! Sei rimasta la stupida che eri ad Approdo del Re! Prima ti piaceva Joffrey e adesso invece te la fai col suo cane da guard—»
Lo schiaffo che le do rimbomba secco e deciso nel silenzio innaturale della radura. Proprio come nel nascondiglio della Fratellanza Senza Vessilli, la sua guancia diventa rossa ed i suoi occhi si riempiono di lacrime di rabbia. Non dice nulla, ma mi rivolge un’occhiataccia carica di collera e prima che possa fermarla si districa dalla mia presa e fugge via. Mi rendo conto di ciò che ho fatto solo quando lei è ormai lontana. Subito, i sensi di colpa mi stringono il petto.

 Ma che mi è saltato in testa? Perché ho fatto una cosa del genere?!

«Arya!», parto spedita verso di lei, incurante delle urla del Mastino che mi urla di lasciarla perdere e che se dovessi perdermi lui non ha alcuna intenzione di venirmi a cercare, e la scorgo mentre corre lontano svelta come una lepre. Quando riesco a raggiungerla l’afferro per un braccio e la tiro verso di me; lei si dimena, urla, mi insulta nei peggiori dei modi, ma io non cedo. È spaventata, realizzo, chissà quante cose avranno visto i suoi occhi che devono averla segnata, e la stringo in un abbraccio, il suo odore di terra e di sudore che mi riempie le narici, e fa quasi impressione constatare quanto sia piccola e fragile. È Arya, mi dico, abbracciandola con più energia, è mia sorella. Lei continua ad agitarsi e a graffiarmi, finché lentamente, dopo un po’, si calma e rimane inerme contro il mio petto: non una sola lacrima solca il suo viso sporco di terra e fuliggine. Là dove ogni bambina della sua età avrebbe pianto, singhiozzato o fatto qualsiasi altra cosa, lei si limita a digrignare forte i denti. È una giovane lupa, Arya, molto più di quanto potrò mai esserlo io, e questo è un bene perché presto i lupi torneranno ad ululare, più forti e maestosi di prima, ed io voglio essere al suo fianco quando questo accadrà.

«Mi dispiace, Arya», sussurro allora, accarezzandole i capelli scuri e pieni di nodi. Lei si irrigidisce contro il mio petto ma non protesta. «Non avrei dovuto colpirti. Sono una stupida.».

«Sì, lo sei», ribatte lei, la sua voce che tradisce una nota d’angoscia. Si stacca da me e mi guarda dritta negli occhi, la mascella rigida come roccia e le braccia strette lungo i fianchi ossuti. Nel suo sguardo vedo qualcosa di diverso, qualcosa che prima non c’era e che stona col suo viso da bambina. È odio. Odio vero, sincero, così forte da far male… ma non è per me. «Ed io con quello lì non ci voglio stare. Lo odio, Sansa… voglio vederlo morto!».

Sospiro. «Arya, lui… lui è così, capisci? È strano, violento e pieno di odio per il mondo intero, ma non è cattivo. Può sembrarlo, e forse con qualcuno lo è stato, ma ti giuro – te lo giuro, Arya – che non mi ha mai fatto del male. Mi ha salvata tante di quelle volte e senza che io gli dessi mai nulla in cambio, ha fatto così tanto per me... proprio come un vero cavaliere.  Tutte quelle cose che ho detto alla grotta della Fratellanza Senza Vessilli non erano bugie: lui mi ha davvero salvato la vita. Forse, se solo tu ti sforzassi di capirlo un po’ di più, lui—».

«No», la risposta di Arya è secca, definitiva. Non ammette repliche. «Non voglio capirlo, non voglio parlare con lui e non voglio nemmeno guardare quella sua brutta faccia... Però voglio tornare a casa, e voglio tornarci con te perché anche se sei una completa scema sei comunque mia sorella e quindi—», la sua voce si spezza, le sue guance si tingono di rosso. Si passa una mano piena di piaghe e calli sul viso, nervosa, e sbuffa frustrata. «... e quindi tenterò di non ucciderlo. Non per ora, almeno… Ma giuro che se prova anche solo a parlarmi, io—».

«Non lo farà», la precedo io. «Non farà niente del genere, te lo prometto».

«Mmh», le sue dita corrono a torturare l’elsa della sua spada. «Sarà meglio per lui, a meno che non voglia ritrovarsi quel poco di quel cervello che si ritrova spiattellato su un masso... E questa volta giuro che farò ben attenzione a non sbagliare mira, puoi contarci!».

Le sue parole sono inadatte ad una lady e ancora di più alla bocca di una bambina, ma io fingo di non sentirle. Il mio cuore si riempie di sollievo e per riflesso le mie spalle si rilassano. Non sono felice per ciò che ha detto – dopotutto il Mastino ci ha salvato la vita, come potrei esserlo? - ma, considerata la situazione, è già tanto.

«Credo che questo è il massimo che potrò mai aspettarmi da te, non è vero?», lei annuisce. Be’, sempre meglio di niente. «D’accordo, allora. Andiamo adesso. Non mangio da ore, e sono certa che ci siano ancora alcune bacche conservate da qualche parte…».
 
 
 
«Quanto distano le Torri?».
«Non lo so».
«Non hai una mappa con te?».
«La prossima volta che vedrò un negozio di mappe te ne comprerò una».
«Be’ allora la prossima volta che ci imbatteremo in un negozio di maschere te ne comprerò una, così non vedrò più la tua brutta faccia!».
«Ti hanno mai detto di non stuzzicare il can che dorme, cagnetta?».
«Non sono un cane, ma un lupo. E i lupi li mangiano a colazione, i cani… lo sapevi, Mastino?».
«Potreste smetterla? Sembrate dei bambini!».

Contraggo le labbra in una smorfia, indispettito dal continuo berciare della cagnetta-Stark. Non rispondo alle lamentele dell’uccelletto e così fa anche la sua dannata sorella. Buon per lei. Non credo avrei saputo trattenermi oltre dal staccarle la testa dal collo. Fottuti inferi, era tutto più semplice quando non era con noi: Sansa è una Stark di Grande Inverno, è vero, eppure lei è docile e gentile mentre sua sorella è selvaggia e indomabile come solo un meta-lupo potrebbe essere. Inoltre non fa altro che parlare, parlare, parlare e parlare e chiedere, chiedere, chiedere e chiedere… ed io detesto i chiacchieroni.

«Sono ore che siamo in viaggio verso il nulla!», la sua vocetta stridula è fastidiosa come il ronzio di un insetto. Stringo le redini con più forza, illudendomi che siano la sua piccola gola. Se non fosse che l’uccelletto non me lo perdonerebbe mai, l’avrei già strangolata da tempo. «Ammettilo, ci siamo persi».
«Arya, smettila. Il Mastino sa dove stiamo andando…», risponde Sansa, ma è evidente che nemmeno lei ne è tanto convinta. «… non è così, sir?».

Mi irrigidisco come una statua, l’immagine della faccia da schiaffi del “sir” mio fratello mi si para davanti, disgustosa ed odiosa come al solito. Storco le labbra. «Quante altre volte dovrò ripeterti che non sono un fottuto sir, ragazzina?», lei si stringe nelle spalle, dispiaciuta, ma io la zittisco prima che abbia il tempo di aprire bocca. «No, cazzo. Non ho la più pallida idea di dove stiamo andando, ma laggiù ci sono le Torri Gemelle e se tutto va bene entro stasera dovremmo arrivarci. Seguiremo il fiume».

Lei non sembra soddisfatta di questa risposta. Sulle sue labbra rosse danzano mille proteste ed i suoi occhi cerulei si riempiono di frustrazione. Per qualche assurda ragione il ricordo della mia bocca che premeva sulla sua mi attraversa la mente, facendomi irrigidire come una statua.

Dèi, scuoierei vivo un uomo pur di poterla baciare di nuovo.

«Ehy!», parla la cagnetta. Mi volto verso di lei, scocciato dalla sola idea che un esserino tanto fastidioso debba starmi così vicino. «C’è un uomo, laggiù!».

E in effetti, a pochi metri più avanti, alle prese con un carretto pieno di vettovaglie ed oggetti vari vi è un ometto sulla cinquantina d’anni, un mantello nero sulle spalle e una grossa faccia rubiconda da cui spuntano due azzurri occhietti porcini. Mi chiedo cosa ci faccia qui, in mezzo al nulla, finché non noto la ruota del suo carretto: è a terra, bloccata sotto il peso del carro. Potrei ucciderlo e rubargli il cibo, sono settimane che non tocco del pollo e sono pronto a scommettere che lì ce ne sta in abbondanza, e prima di rendermene conto mi dirigo spedito verso di lui. Sansa ed Arya fanno lo stesso.

«Volete aiutarlo?», chiede l’uccelletto, lanciandomi occhiate perplesse e dubbiose.
«Certo che no. Vuole solo rubargli il cibo» La rimbecca la sorella. Sono quasi tentato di aiutarlo sul serio, quel dannato vecchio, giusto per farle un dispetto, ma ho troppa fame per mettermi appresso questi giochetti e quindi che si fotta anche lei.
«Ricorda di tenere chiusa quella fogna, ragazzina, se non vuoi che ti strappi la lingua», la minaccio. Lei mi scocca un’occhiataccia e incrocia le braccia al petto. Sta per ribattere qualcosa ma Sansa la fulmina con lo sguardo, e allora lei si morde la lingua e si costringe a distogliere lo sguardo. «E tu vedi di tenerla d’occhio mentre vado a vedere la situazione», aggiungo, rivolgendomi all’uccellino.
Mi avvicino all’ometto in questione. Lui alza gli occhi verso di me e mi guarda dal basso verso l’alto, il suo viso è tutto sudato e sporco di fuliggine. Non sembra avere paura di me. «Le strade sono diventate uno schifo», brontola. «È il terzo raggio che spacco!».
Inarco un sopracciglio. «Serve una mano?».
«Ne servirebbero otto», si lamenta lui, strascicando le parole. Non lo faccio parlare oltre che sollevo il carretto in questione, permettendogli così di rimontare la ruota. Il vecchio mi guarda con occhi pieni di sorpresa ed ammirazione, stupito dalla mia forza, ma subito dopo si affretta a rimettere a posto la ruota che si era allentata. Con sollievo mi rendo conto che non ha idea di chi io sia – e se lo sa ha avuto il buonsenso di far finta di nulla. «Devo portare questo cibo alle Torri Gemelle in tempo per il matrimonio, altrimenti lord Frey mi scuoierà vivo. Credimi, non c’è da scherzare con quel vecchio pazzo».

Le Torri Gemelle. Un ghigno mi incurva le labbra. Forse gli dèi sono dalla mia parte.

«Le Torri Gemelle», dico allora io, fingendomi interessato. «Come si ci arriva?».
«Basta continuare per questa strada qui, guarda», mi mostra un sentiero di ghiaia che prima non avevo notato. «Percorrilo tutto. Dovresti arrivare nei pressi di un fiume, poi basta che tiri sempre dritto e dovresti trovarti al Guado dei Frey. A cavallo non dovresti metterci più di mezza giornata, suppongo… a meno che qualche predone dannato non decida di romperti le scatole. E credimi se ti dico che ultimamente sono ovunque, quei maledetti. Che gli Estranei se li portino alla dannazione, puah!», e sputa a terra. Poi si alza in piedi, un accenno di sorriso dipinto sul suo volto paffuto, e mi porge la mano. «Grazie tant— ouch!», un manrovescio dritto sul naso lo fa finire a terra coi piedi all’aria. Sguaino il pugnale, deciso a porre fine a questa storia, ma la mocciosa-Stark me lo impedisce.

«No!», urla, parandosi davanti al corpo del vecchio. «Non ucciderlo!».
«I ratti morti non squittiscono», dico.
Gli occhi di Arya si assottigliano in due iraconde fessure grigie. «Ti credi un duro, non è così? Sai solo spaventare ragazzine ed ammazzare vecchi e bambini. Sei un vero uomo tu!».
«Più di tutti quelli che conosci».
«Ti sbagli», esclama lei, facendo un passo verso di me. «Conosco un assassino. Un vero assassino. Per lui saresti solo un gattino. Ti ucciderebbe con un solo dito!».

Aggrotto la fronte. Ma che cazzo vuole questa mocciosa? Dice di conoscere un assassino, dunque? Un vero assassino? Che me lo presenti pure, allora. Sono pronto a scommettere che lo sarà tanto quanto mio fratello Gregor è un vero cavaliere. Tutti possono essere assassini se metti loro una spada in mano, esattamente come tutti possono essere cavalieri se dai loro gli unguenti e un’armatura brillante per esserlo.

«È quello lì?», chiedo allora, spostando lo sguardo verso il vecchio. Arya si volta, lo guarda e poi torna a guardare me, confusa.
«No!».
«Bene».

La spingo di lato, stufo delle sue chiacchiere, quando qualcun altro mi si para di fronte. Alla luce del sole, i capelli rossi di Sansa Stark risplendono come fiamme ardenti. Il suo volto è pallido per l’ansia, ma i suoi occhi sono ghiaccio che brucia. Mi sovviene il momento in cui avevo ucciso quell’altro vecchio, quello che ci aveva ospitato a casa sua e che poi mi aveva minacciato di dire tutto alle guardie se non avessi lavorato per lui, e digrigno i denti. Anche quella volta lei aveva fatto quest’espressione.

«Uccelletto», la vedo stringere i pugni lungo i fianchi, le labbra assottigliate così tanto da sembrare fili rosati. «Spostati se non vuoi farti male».
«No, non uccidetelo!», supplica, la voce simile al pigolio d’un pulcino. «…vi prego, basta con tutto questo sangue.».

All’improvviso qualcosa dentro di me si dimena come impazzito e persino pensare diviene difficile. Una parte di tutto il mio essere mi urla di fottermene, di fare come meglio credo e agli Inferi le mocciose Stark ed i loro piagnistei, mentre l’altra è come paralizzata. “Vi prego”, ha implorato Sansa, e qualcosa nel suo tono di voce mi ha ricordato il viso pallido di Alina mentre mi supplicava di non dire niente a nostro padre riguardo a ciò che Gregor le faceva.

Vorrei essere furioso con lei perché mi rende ogni volta così debole, riuscire ad odiarla perché riesce ad abbattere sempre ogni mia barriera solo con un suo sguardo, ma quei suoi occhi così pieni di sincera gratitudine e quel sorriso appena accennato che si forma sulle sue labbra non appena rinfodero il pugnale nel fodero della cintola me lo impediscono, vincendomi come se fossi il più semplice dei giochi, ed io vorrei solo baciarla fino a consumarle le labbra.

«Sei troppo buona. Un giorno ti farai ammazzare per questo» La mia voce è così bassa da sembrare il rantolo di un ubriaco. Lei fa per dire qualcosa, ma all’improvviso il vecchio si sveglia e cerca a tentoni di rimettersi in piedi, gemendo per il dolore. La mocciosa-Stark lo guarda con fronte aggrottata, poi rivolge lo sguardo verso di me ed alza un sopracciglio.

«Ha detto che doveva andare alle Torri Gemelle, giusto?» Domanda, seria come una lapide. Annuisco. Lei fa spallucce, afferra un pezzo di legno e, sotto lo sguardo sconcertato di me e di Sansa, sferra un colpo dritto alla testa del vecchio. Subito quello emette un singulto strozzato e rovina di nuovo a terra con tanto di piedi all’aria. Sia io che l’uccelletto rimaniamo a guardarla in silenzio mentre si allontana, ancora incapaci di realizzare cosa cazzo sia appena successo.

«Ehi», ci voltiamo entrambi verso di lei, sul volto di Sansa vi è un’espressione di puro sgomento: Arya Stark è seduta sul retro del carretto, accanto a dei sacchi colmi di cibo, con una mela rossa in mano a cui ha già dato un morso e le gambe a penzoloni. «Ne avete ancora per molto?».

~

Passano delle ore prima di arrivare nei pressi di Seagard. Straniero è esausto, trascinare un carretto colmo di roba per ore non deve essere il massimo nemmeno per un cavallo infaticabile come lui, l’umidità mi fa sudare come una capra ed il braccio ferito inizia a pizzicarmi. Detesto questo posto. Perlomeno riesco ad avere una visuale delle Torri perfetta: basterà continuare per sud-ovest e seguire il viottolo ed arriveremo al Guado prima di domani, giusto in tempo per il banchetto nuziale. Più veloce andrai e più veloce dovrai dirle addio, mi ricorda una vocina maligna nella mia mente, ed una mano invisibile mi stringe il cuore in una morsa di ferro. Mi volto a guardare Sansa: è seduta proprio dietro di me, lo sguardo perso vuoto e le labbra schiuse in una piccola smorfia annoiata, e di colpo mi torna in mente il momento in cui l’ho baciata.

Non la rivedrai mai più. Questo lo sai, non è vero?

«Fermiamoci qui» Esclamo ad un tratto, tirando le redini di Straniero. La mocciosa-Stark spalanca le labbra in una grossa “O” e salta in piedi allarmata.
«No!», mi prende per un braccio: ha una presa possente, per essere uno scricciolo. «Siamo vicini alle Torri, posso vederle sin da qui, se ci fermiamo adesso noi—».
«Arriveremo giusto in tempo per il banchetto nuziale, lupacchiotta. Smettila di agitarti tanto».
«Ma—».
«Oh, ma vuoi stare zitta?!», per gli dèi, è una cazzo di pulce all’orecchio! «Abbevereremo il cavallo e poi riprenderemo il cammino. Stai pure tranquilla che quelle dannate Torri rimarranno lì per un altro po’ di tempo», scendo dal carretto e slego le corde che legano Straniero. Lui scuote la folta chioma scura e scalcia il terreno, quasi a volermi rimproverare per averlo fatto faticare tanto, ed io gli accarezzo il muso per calmarlo mentre lo porto nei pressi del fiume.

«Non è delle Torri che mi importa…» La sento mugugnare a mezza voce. Prima che possa risponderle, però, lei mi dà le spalle e si dirige lontano. Vedo Sansa osservarla mentre va via, le parole che danzano sulle sue labbra rosee sono piene di empatia e angoscia. Sospira, e rivolge lo sguardo verso di me.

«Sapete», la sua voce è così sottile che la sento a stento. Si avvicina a me, affiancandomi come se dovesse condividere un segreto molto importante, ed io incrocio il suo sguardo. Assurdo come le cose siano cambiate in poco meno di mese. Nei miei ricordi, ci sono ancora i suoi occhi azzurri che mi squadravano spauriti ad Approdo del Re, quando credeva che Joffrey fosse il suo fottuto principe azzurro e che la vita fosse una ballata, e le sue parole cortesi e piene di bugie che non ho mai sopportato. Adesso invece mi sta vicina senza alcun timore e alle volte arriva persino a sorridermi, e nonostante continui a mantenere quella dannata armatura fatta di cortesia e di ferro – ferro del nord, freddo ed inespugnabile– che non sono mai riuscito a scalfire, c’è qualcosa di diverso nel tono in cui mi si rivolge.
Qualcosa che ho imparato a riconoscere come fiducia. Non ha più paura di me, l’uccelletto. Le sue canzoni non sono più costruite con menzogne e rime imparate a memoria, ma con concetti chiari e con note alte. Si fida di me, adesso. Si fida di me. Ed io non so se questa sia una buona o una cattiva cosa perché prima, quando aveva paura di me, era più semplice fingere che di lei non mi importasse nulla, raccontare bugie sopra bugie nella speranza che un giorno avrei finito col crederci, mentre adesso… mentre adesso lei… ah, fanculo!

«Arya non è davvero cattiva come sembra, mio padre me lo ripeteva spesso. Non l’ho mai sopportata quando eravamo a Grande Inverno, né durante il soggiorno alla Fortezza Rossa. Eravamo – e siamo tutt’ora – troppo differenti», sul suo viso si delinea un sorriso nostalgico, i suoi occhi si velano di malinconia. «Una volta mangiò uno scarafaggio davanti ai miei occhi per spaventarmi e un’altra volta ancora nascose dello sterco di capra sotto il mio materasso, costringendomi a dormire in un’altra stanza per non sentire il fetore. La detestavo, tollerare la sua sola presenza era per me un’agonia. “Perché è così odiosa? Non può essere dolce e gentile come la principessa Myrcella?”, mi chiedevo. Quant’ero sciocca…».

Un sospiro grave lascia le sue labbra. Non sembra una ragazzina di quindici anni, Sansa Stark, così come sua sorella non sembra una bambina di dieci. I loro occhi sono velati di disillusione e rimpianto: rimpiangono i tempi passati, loro padre, la spensieratezza dell’innocenza. Tutte cose che non riavranno indietro mai più – proprio come me.

«Mio padre continuava a ripetermelo: “Siete diverse come il sole e la luna, ma entrambe avete lo stesso sangue. Due facce della stessa moneta”, ma a me non importava di ciò che diceva. Sapevo solo che Arya era un piccola mocciosa impertinente, che la odiavo e che era colpa sua se Lady era morta», le sue labbra si stirano in una smorfia triste, di chi ricorda frammenti di un passato troppo doloroso da ricordare. «Eppure, dopo che era fuggita da Approdo del Re, era il suo di abbraccio che agognavo ricevere nei momenti di solitudine, la sua voce quella che sognavo di risentire, e non c’è stata una sola notte in cui io non l’abbia pensata. Mi chiedevo dov’era, se le fosse accaduto qualcosa… l’ansia di saperla in balia di qualche stupratore o assassino mi logorava l’anima. Pregavo che fosse tornata a Grande Inverno, che fosse al sicuro insieme ai miei altri due fratelli ed a maestro Luwin e la vecchia Nan, ma poi Grande Inverno cadde ed ogni mia speranza si dissipò come sabbia al vento. Solo in quel momento capii quanto le volessi bene e quanto stupida fossi stata a non essermene accorta prima...», la sua voce si spezza, i suoi occhi diventano lucidi di lacrime. Per un motivo che non comprendo mi torna in mente Alina. I suoi occhi grigi, il naso un po’ adunco tipico dei Clegane e le labbra sottili perennemente incurvate in un sorriso sbilenco, e la gola mi si stringe. « È solo quando perdi qualcuno che ti accorgi di quanto sia importante per te, ma in quel momento è sempre troppo tardi…», all’improvviso mi prende la mano, le sue dita piccole e delicate si posano sulle mie e le stringono con forza – per quanto forti possano essere le dita di un uccelletto come lei – e mi rivolge un sorriso tremulo e commosso. «Ma voi… voi avete cambiato tutto. Voi me l’avete riportata indietro: viva, sporca di fango e piena di pulci e ancora più odiosa di prima, certo, ma viva. Mi avete restituito mia sorella, la mia piccola, detestabile sorella, e adesso ci state portando da nostra madre e da nostro fratello. Non mi importa se lo state facendo solo per la ricompensa, ciò che conta è che lo state facendo e questo è già tantissimo», mi guarda come se si aspettasse una risposta, eppure la mia gola è secca e la mia lingua sembra appiccicata al palato. Da quando un suo semplice sorriso è in grado di spiazzarmi in questo modo? «Per questo qualsiasi cosa io possa fare per ripagarvi per quello che state facendo per noi la farò con gioia. Se sarà nelle mie capacità, non esiterò un attimo. Dovrete solo chiedere».

«Canta», le parole escono dalle mia labbra di getto, spinte da un desiderio – no, da una necessità – irrefrenabile. Lei mi osserva con curiosità, la sua mano così piccola e delicata è ancora stretta nella mia così grande e piena di calli, ed i suoi occhi cerulei mi attraversano da parte a parte. «Canta per me, uccellino».

Mi sorride – è qualcosa di naturale, ormai, amare quel sorriso; quegli occhi specchio di un’anima così pura e innocente – e inizia a intonare l’inno alla Madre. Lo stesso inno che cantò mia madre il giorno del funerale di Alina.  


 
Dolce Madre, fonte di pietà, risparmia i nostri figli dalla guerra, noi ti preghiamo,
ferma le spade e ferma le frecce, lascia che abbiano giorni migliori.
Dolce Madre, forza delle donne,
aiuta le nostre figlie in questa tribolazione,
calma il furore e lenisci la furia,
insegna a tutte noi una via più gentile.


 
E per ogni strofa, per ogni sillaba sussurrata da quella voce così dolce e soave, mi sembra di morire e di rinascere lì, sulla punta delle sue labbra. Non mi importa più  niente delle Torri, della ricompensa, dei dannati lupi, dei cervi o dei leoni… e cos’è poi il ruggito di un leone in confronto al canto d’un usignolo? Un uccellino dalle ali spezzate e le piume rosse come il fuoco – un fuoco che non brucia, ma bacia e riscalda. Nulla. Non è nulla. Perché un cane è leale a chi lo nutre, ma è a colui che lascerà carezze sul suo capo che giurerà fedeltà e amore incondizionato. Ed io lo amo, questo uccellino dalle ali spezzate, piccolo e innocente come una bambola di porcellana, lo amo come non ho mai amato nessun’altro prima di adesso, e non gli farò del male. No. Non a lei. Mai a lei.

Quando il canto finisce, Sansa mi guarda con occhi colmi di aspettative. Ed io la guardo. La guardo. E la consapevolezza di voler baciare quelle labbra fino a consumarle mi colpisce come un pugno al centro dello stomaco. Le sfioro una guancia col dorso della mano, le sue labbra sono così vicine alle mie che basterebbe un solo passo per poterle sfiorare. «Uccellino…», mormoro, e lei schiude le labbra e socchiude gli occhi. Non riesce neanche a guardarti, urla una voce nella mia testa, e subito mi allontano da lei come scottato. Solo adesso mi accorgo di ciò che stavo facendo. Dèi… cosa mi è saltato in mente?! Stavo per baciarla, fottuti Inferi, stavo per baciarla di nuovo.

«Mio signore…?», le dita di Sansa si posano sul mio braccio. Me le scrollo di dosso in un gesto istintivo, così irruentemente che persino lei si ritrae spaventata, e mi allontano il più possibile.
«Non… toccarmi», sibilo, le parole che faticano a lasciare le mie labbra. «Io muoio se tu mi tocchi».

Lei aggrotta la fronte, confusa. Nei suoi occhi leggo smarrimento. Non capisce. Non capisce. E come potrebbe? Come potrebbe capire quanto ardentemente desideri mordere le sue labbra, accarezzare la sua pelle, fare mia ogni sua gioia o dolore o desiderio? Come potrebbe? E come potrei io anche solo sognare che qualcuno come lei – lei, così innocente, così pura, così tutto – possa amare qualcuno come me? La sola idea sembra quasi una bestemmia. Una mostruosa quanto meravigliosa bestemmia.

«Io… io non capisco. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non ho cantato bene, forse?».

C’è sincera apprensione nel suo tono di voce. Mi passo una mano sul volto, il mio corpo è un fremito continuo, ed improvvisamente mi viene da ridere. Una risata amara, piena di derisione per ciò che sono diventato. L’assassino senza scrupoli che si cela dietro la cicatrice che mi sfregia il volto ride a crepapelle del mio tormento, facendosi beffe di me quasi fossi il peggiore dei frocetti dediti all’amore e alle ballate. “Dov’è finito il Mastino di cui tutti i Sette Regni avevano timore?”, mi chiede, ed una parte di me, chissà quale, risponde che è morta nel momento stesso in cui gli occhi azzurri di Sansa Stark hanno incrociato i miei, in cui le sue dita sottili si sono posate sulle mie ed il suo sorriso ha distrutto ogni mia corazza, ogni mia maschera. Il Mastino ride, la sua risata tanto simile al latrato di un cane, ed io stringo i pugni così forte da conficcarmi le unghia nella carne. Ride di me, del mio dolore e del mio tormento, ed io vorrei solo prendere a calci qualcosa.

«Vattene via», la mia voce risuona simile allo stridio del ferro. Sansa corruccia la fronte e prova a sfiorarmi il braccio, ma io l’allontano prima che possa farlo.
«Ma—».
«Adesso!».

E lei se ne va, gli occhi lucidi ed i pugni serrati lungo il petto, e solo quando è abbastanza lontana torno a respirare regolarmente. Mi passo una mano sul volto, le dita che mi tremano come impazzite, e bere vino finché la testa non diventa leggera ed il peso che ho nel cuore meno oppressivo diventa una soluzione quasi naturale. E quindi bevo, bevo, bevo finché tutto gira e le ginocchia non sostengono più il mio peso. Mi appoggio al tronco d’un albero, stravolto come se avessi combattuto cento guerre e le avessi perse tutte e cento, e l’immagine distorta di Sansa Stark mi si para dinanzi, meravigliosa e dolce come nei miei sogni più reconditi.

«Sansa…», singhiozzo, crollando a terra. «Sansa…».
 
 
«… vedi? Te lo dicevo che non c’era da fidarsi di quest’ubriacone!».
«Sta’ zitta, Arya, e vammi a prendere dell’altra acqua».

Mugugnando il suo disappunto, Arya fa come le ho detto. Io rimango qui col Mastino. È da un’ora che non fa altro che dormire. Il suo volto è rosso come un pomodoro e russa come un ghiro, segni evidenti di una sbronza finita male. Forse gli salirà la febbre, a Jory Cassel una volta era capitato e Robb, Jon e Theon lo avevano preso in giro per settimane. Una parte di me, quella ancora infuriata per come mi ha trattata prima, lo desidera con ardore mentre l’altra è sinceramente preoccupata per lui. Sospiro. Non voglio che stia male, eppure non riesco a capire perché prima mi ha trattata a quel modo. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Forse avrei dovuto cantare meglio o magari lui era già ubriaco dall’inizio e quella sfuriata è stata solo frutto dell’alcool…

Arya torna con la bisaccia piena d’acqua, me la porge ed io bagno il panno e lo passo sulla fronte del Mastino. Lunghi rivoli d’acqua sgocciolano giù per il suo mento, bagnandogli la barba ed i capelli. Visto così, sembra addirittura docile. Mi chiedo che tipo di persona sarebbe stata se suo fratello Gregor non avesse bruciato metà del suo volto, se tutta quella rabbia che lambisce il suo cuore ci sarebbe stata comunque, e mi torna in mente il momento in cui mi aveva salvata dalla rivolta popolana. Nessuno glielo aveva ordinato, eppure lui lo aveva fatto comunque. Non è un vero cavaliere, Sandor Clegane, eppure è come se lo fosse.

«… vino», le sue dita si stringono attorno al mio polso di colpo, facendomi sussultare di spavento, ed i suoi occhi si schiudono a fatica. «… dammi del vino».
«No. Ne avete bevuto abbastanza per oggi» Avvicino il bordo della bisaccia alle sue labbra, ma lui subito sputa l’acqua come se fosse veleno non appena ne tasta il sapore. Si tira su a sedere, la mascella contratta e gli occhi assottigliati in due fessure grigie, e mi fulmina con lo sguardo.
«’Fanculo l’acqua. Dammi del vino, per i Sette Inferi!».
«Sì, così dovremmo badare a te per le prossime due ore solo perché sei un dannato ubriacone», ribatte Arya al posto mio. Lui le riserva un ringhio basso e intimidatorio ma, piuttosto che intimorirsi, Arya sogghigna beffarda. «E poi non potresti averne comunque, dato che lo abbiamo gettato via».

Scende un silenzio tombale. Nell’aria aleggiano ancora le ultime parole pronunciate da mia sorella ed io trattengo il respiro. Il volto del Mastino è sbiancato quasi più di prima, i suoi occhi si spalancano in un urlo silenzioso e tutto il suo corpo si irrigidisce come una statua di sale. Mi guarda. Io lo guardo. «No…», dice in un sussurro. «No, dimmi che non l’hai fatto. Dimmi che non l’hai fatto sul serio».

«Io… ecco… voi stavate male e a me serviva un recipiente per l’acqua, e—e  visto che il vino vi faceva stare male i-io ho—».
«HAI BUTTATO VIA TUTTO IL VINO?!!».

Terrorizzata all’idea che stia per picchiarmi chiudo gli occhi e mi stringo nelle spalle, pregando gli dèi di farmi svanire nel nulla finché non si sarà calmato, ma la botta non arriva. Al suo posto, riecheggia il grugnito disperato di Sandor Clegane che adesso ha affondato il viso nelle mani e continua a mordersi le dita per la rabbia. Inarco un sopracciglio, indecisa su cosa fare. Sembra proprio disperato.

«M-Mi dispiace, prometto che quando arriveremo alle Torri io—».
«Ci piscio sopra alle tue scuse, ragazzina! Rivoglio il mio dannato vino e lo rivoglio adesso» Si alza in piedi in fretta e furia, ma non fa in tempo a muovere un passo che ricade a terra un attimo dopo a causa dei rimasugli della sbornia. Rosso come un papavero e col naso arrossato, il Mastino si passa una mano callosa sul volto e bestemmia in modo così volgare da farmi drizzare i capelli. Accanto a me, Arya ride a crepapelle, così sguaiatamente da doversi tenere la pancia con le braccia, mentre lui inveisce contro di lei in modo così simile a quello di un cane rabbioso da far sorridere persino me. Alla fine, sia io che Arya siamo piegate in due e con le guance doloranti per le troppe risate.

«Sì,sì, ridete pure, dannate voi», bercia il Mastino, ancora incapace di rimettersi in piedi. «Vedremo se riderete tanto quando mi metterò in piedi e ve le suonerò ad entrambe!».

Ma il tempo passa, Sandor Clegane riesce di nuovo a rimettersi in piedi eppure, come sempre, non alza un dito su di me né su Arya. Il sole inizia a tramontare: se non ci sbrighiamo non riusciremo ad arrivare in tempo alle Torri Gemelle e questo, dopo tutto quello che abbiamo passato, sarebbe terribile. Prima che ci rimettiamo in cammino, però, decido di osare ad avvicinarmi di nuovo al Mastino. Lo raggiungo mentre sta allacciando le cinture a Straniero per trainare il carro, il suo respiro che si condensa in piccole nuvole di fumo.

«Inizia a fare freddo», esclamo, tentando di apparire il più affabile possibile. Lui mi riserva un’occhiata veloce ed annuisce. «Quando arriveremo alle Torri ci sarà di sicuro un grosso camino acceso e del cibo caldo e speziato e…».
«Mi frega solo se c’è anche del vino».
«Oh… oh, s-sì, certo, ci sarà anche del vino, ne sono sicura!», dico conciliante. Vorrei farmi perdonare per il guaio combinato, ma ogni frase che mi viene in mente sembra o troppo finta o troppo stupida. Serro le labbra e prendo a torturarmi le dita con nervosismo. Dèi… ma perché sono sempre così nervosa quando sono in sua compagnia? «Io… ecco… riguardo a prima—».
«Lascia perdere, uccelletto. Non voglio parlarne».
«No— ehm… io… io non mi riferivo a quel prima…», il cuore mi batte così forte da poter sentire il battito nella testa. Il Mastino si volta e mi guarda: i suoi occhi freddi non fanno che mettermi ancora più a disagio e all’improvviso persino respirare diventa difficile. «Io… io volevo chiedervi perché vi siete incollerito tanto, dopo che ho cantato l’inno alla Madre. Forse non sono stata abbastanza brava? Posso cantarvi qualcos’altro, se ciò vi compiace».

Sul suo viso deturpato dal fuoco si dipinge un’espressione stupita. Il desiderio scalpitante di sapere cosa si cela dietro quegli occhi gelidi mi stringe il petto e la paura di aver di nuovo detto la cosa sbagliata mi assale. Ad un tratto si volta e riprende a maneggiare le cintole dell’imbracatura di Straniero, uno sbuffo nervoso lascia le sue labbra sottili.

«No, uccelletto. Non mi compiace», replica, la voce fredda come il marmo. Non ha risposto alla mia domanda. «E adesso va’ a chiamare quel demonio di tua sorella: dobbiamo andarcene prima che faccia buio… muoviti!», aggiunge, vedendo che non ho alcuna intenzione di muovermi dal mio posto. Una parte di me mi urla di non ubbidirgli: voglio avere le mie risposte e non me ne andrò di qui finché non le avrò ottenute. L’altra parte, invece, mi esorta a fare come dice, ricordandomi che non possiamo perdere altro tempo e che le Torri sono troppo vicine per restare qui un altro minuto di più. Decido di ascoltare quest’ultima.

Non ho compiuto che pochi passi quando una mano grande e possente mi afferra il braccio: ho una fugace visione degli occhi grigi del Mastino, delle sue labbra sottili e piene di taglietti e della sua cicatrice, che qualcosa mi annebbia la vista. È il suo mantello. Prima che possa dire qualcosa, lui si volta e riprende ad allacciare fibbie e cinturoni dell’imbracatura di Straniero.

«Fa freddo stanotte», mugugna dopo un po’, tirando su col naso. «Ed io non posso proteggerti anche dal raffreddore».

Un istinto sconosciuto mi urla di corrergli incontro ed abbracciarlo, ma mi trattengo. Non sta bene che una lady si comporti in modo tanto disdicevole con un uomo, e inoltre sono certa che a lui non piacerebbe. Quindi corro lontano da lui, il viso in fiamme ed il cuore in gola, e mi dirigo verso Arya che giocherella con un rametto ed il  cadavere di uno scarafaggio morto. Le dico che dobbiamo andare e lei mi raggiunge senza fare storie. Alla fine, dopo alcuni minuti che siamo partiti, sono io ad essere quella agitata. Il mantello del Mastino è ancora sulle mie spalle, larghissimo e caldo come una coperta di lana, e l’odore che emana è quello del suo possessore. Un odore pungente, misto a sangue, vino e sudore, che ho imparato a riconoscere e, in un certo senso, amare.

Copro anche Arya, preoccupata all’idea che possa prendersi la febbre, e stringo forte il tessuto tra le dita tanto che le nocche diventano bianche. Mi manca l’aria, il ricordo prepotente delle labbra crudeli e ruvide di Sandor Clegane sulle mie mi manda in confusione e non riesco più a guardarlo negli occhi e fingere che le sue attenzioni mi lascino indifferente o che addirittura mi spaventino. Non è più lui a spaventarmi, mi rendo conto, ma questo miscuglio di sentimenti contrastanti che mi stringe il cuore e mi fa tremare le ginocchia.

È il Mastino, stupida, dice una voce nella mia testa. È un assassino. Sai bene cos’ha fatto, tutte le persone che ha ucciso. Lui stesso ha detto che ha mandato agli Inferi donne e bambini innocenti solo perché glielo avevano ordinato. Non è un cavaliere e non sa cos’è l’amore o la gentilezza. Vuole solo portarti alle Torri Gemelle e prendere la ricompensa. Smettila di farti illusioni.

È un assassino, mi ripeto, quasi che in questo modo possa scacciar via questo improvviso senso d’inadeguatezza. È un assassino e quando arriveremo alle Torri se ne andrà e tutto questo sarà finito. Sì, è così. Lui è brutto e scontroso e violento, ed io provo solo gratitudine nei suoi confronti perché sta riportando a casa me ed Arya. Nient’altro.

 E allora perché continuo a pensare a quel bacio?

«Sansa!», la voce trillante di Arya mi risveglia dai miei pensieri, facendomi sussultare. «Sansa, guarda!».

Alzo il capo e le vedo: due enormi, grandissime Torri imponenti come montagne. Le mura sono alte, perimetrali, i fossati che le circondano profondi, ed ovunque vi sono uomini che fanno baldoria, tende e vessilli riportanti gli emblemi degli Stark e dei Frey e dei Tully. Il cuore mi si riempie di commozione al pensiero di essere tanto vicina a mia madre e mio fratello, che bastano solo pochi passi e potrò finalmente riabbracciarli, baciare loro le guance, farmi scompigliare i capelli da Robb e sentire il calore delle carezze di mia madre. Incrocio lo sguardo di Arya e nei suoi occhi leggo la mia stessa emozione. Le stringo la mano, sorridendole come mai ho fatto prima d’ora, e lei ricambia la stretta con la medesima forza.

Sto tornando a casa.
           
 
 
 
 
 
 
 
 
- Note dell’Autrice.
Ed eccomi (finalmente) di nuovo!
Scusate per il ritardo, ultimamente sono davvero impegnatissima fra scuola, famiglia e palestra. Spero che questo periodo di tram-tram generale passi presto! :| Ad ogni modo, eccoci al capitolo unidici che, sì, è un “preludio” per ciò che accadrà in seguito… e penso che tutti sapete cosa accadrà in seguito, purtroppo. Sigh.

Nonostante questo sia un capitolo di “transizione”, comunque, è uno per i quali ho sprecato più tempo ed è anche uno dei più lunghi. Il POV di Sandor mi sembrava sempre o troppo artificioso o troppo profondo e alla fine ho passato una settimana a sistemarlo e cercare di renderlo quanto meno gradevole senza stravolgere il personaggio. So che le parole che pensa sono molto forti, ma alla fin fine sono dell’idea che potrebbe davvero sentirle per Sansa, dato che per lui lei è una specie di “donna-angelo”, una sorta di amore impossibile ma per il quale spera ogni giorno. Ma lui non è un cavaliere o un poeta ma un assassino, anzi odia tutto e tutti e l’amore non sa nemmeno cos’è, quindi ha sentimenti contrastanti nei confronti di questa cosa e spesso finisce con incazzarsi con tutto il mondo. Spero di aver reso il suo conflitto interiore in modo decente… questi personaggi finiranno col mandarmi al manicomio.

Per quanto riguarda Arya e Sansa… be’, di certo non potevate aspettarvi che una volta ritrovatesi sarebbe state tutte amore e felicità. XD Anche se sono felici di essere di nuovo insieme i conflitti tra i loro caratteri continuano ad esserci e spesso finiscono male… Un po’ come accade con me e mia sorella minore, ecco – che tra l’altro è identica ad Arya, caratterialmente parlando. Meh. =_=’’
Ne approfitto per dire che il capitolo NON è betato, quindi se doveste trovare e(o)rrori di ogni genere, per favore non esitate a segnalarli! Ringrazio tutti coloro che continuano a recensire e seguire la storia. I vostri pareri sono il pane di noi scrittori, ogni consiglio, che sia critico o positivo, è prezioso. Quindi grazie mille di cuore per dedicarmi ogni volta un po’ del vostro tempo, spero di non deludere mai le vostre aspettative. Grazie, grazie e grazie mille ancora!

Ci ribecchiamo al prossimo capitolo – che sarà uno dei più angst di tutti. Sigh sob.

Un bacione!

P.S: 
 La canzone ad inizio capitolo è Take me to Church, di Hozier. 
 
 
 
 

 
 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Harmony394