Modern!au, Merthur, Leogana, baby!Mordred, zio!writer!Arthur, pianist!Merlin.
D’istinto, vorrei
dedicare questa storia a Filippo, sperando di essere una zia
un filino migliore di Arthur con Mordred.
E poi è dedicata a chi
mi segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene con i suoi pareri.
Voi rallegrate le mie
giornate!
Grazie.
Magic Melody (Mordred’s Lullaby)
Capitolo IV
“Odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri! Odio Arthur De Bois e i suoi dannati libri! Odio Arthur De
Bois e i suoi dannati libri!”
L’eco rimbombò nella testa di Arthur come uno sparo, mentre il suo piccolo castello di speranze si sgretolava inesorabilmente.
Quasi a rallentatore, osservò Merlin chinarsi a raccogliere il libro e spazzolarne la copertina, per poi riporlo nello scaffale con tutti gli altri. Con… tutti gli altri?
Solo in quel momento Arthur si accorse che il realtà c’era la collezione completa delle sue opere.
“In verità, lo amo!” riprese Emrys, dandogli le spalle, e Arthur sussultò un’altra volta, ma l’altro non se ne accorse. “Adoro – ti giuro, adoro! – come scrive De Bois”, ammise, voltandosi. “Se solo non avesse quel dannato vizio di finire sempre con un cliffhanger! Ogni volta! Ma ne vale la pena e lo si perdona, perché ha uno stile coinvolgente, una prosa accattivante e un realismo che ti cattura, e le sue trame e gli intrecci… per non parlare dei suoi colpi di scena! Oh, hai mai letto niente di suo?” domandò retorico, prima di continuare la sua lode. “In ogni libro che sforna, credo che non riesca a superarsi, e invece lo fa. Questo, per esempio, l’ho divorato! Ma sul più bello ci strappiamo i capelli, per non poter sapere come prosegue! Hai idea di quante volte ho riletto questo volume per ammazzare l’attesa? E il prossimo capitolo della saga – si dice che forse sarà l’ultimo! – non uscirà prima di… di… Dio solo sa quando!”
“Il prossimo marzo, se l’editor non-”
Merlin sgranò gli occhi. “E tu come lo sai?”
“Ehm… perché, ehm…” temporeggiò, incerto se dire la verità o raccontare una bugia.
Emrys era quasi uno sconosciuto. E
quello che sentiva per lui era così acerbo, ancora, come uno stadio larvale di
sentimento. Cosa sarebbe successo se la persona davanti a lui si fosse
invaghita solo dello scrittore e non di lui, come uomo, come Arthur?
Inghiottendo a vuoto, osservò lo sguardo stranito di Merlin, la stessa persona che lo aveva sconvolto con un sorriso, e accolto in casa anche se era un estraneo e adorava quell’idiota di suo nipote. Per un istante, fu lì lì per dirlo.
“Tra tipografi, sai… gli addetti del mestiere si passano le informazioni…” mentì invece, sentendo la colpa strisciare in gola.
“Oh, beh… certo. Voglio dire… immagino di sì”, ammise l’altro.
“Ma è un segreto!” lo ammonì.
“Naturalmente!” s’affrettò a confermare il pianista. “In marzo, eh?” Gli occhi gli luccicavano di anticipazione, anche se mancavano quasi nove mesi – praticamente una gestazione.
“Non vedo l’ora di averne una copia tra le mani!” gioì Merlin, rivelando inaspettatamente una sfaccettatura del carattere alquanto prolissa ed espansiva. “Cioè… due copie!” si corresse svelto, indicando lo scaffale dietro a lui. “Una copia da leggere e una da conservare…”
“Eh?”
“Sai… a furia di rileggere, il libro si sgualcisce un po’…” motivò arrossendo, quasi a scusarsi.
“Francamente non pensavo che qualcuno si prendesse una tale briga”, ammise Arthur, a metà fra sconcerto e compiacimento.
“A dire il vero, del primo romanzo ne ho tre copie…” confessò Merlin, lanciando un’occhiata affettuosa alla zona dove la preziosa reliquia sostava. “Sono riuscito a farmelo autografare, con dentro addirittura una dedica personale!”
In tutta sincerità, Arthur non rammentava di aver firmato alcunché per il famoso pianista, ma non avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco, semplicemente perché – durante le sessioni organizzate degli autografi – lui finiva per nascondersi dietro un paravento, per non farsi vedere, e Cenred gli dettava alla velocità della luce nomi e frasi che lui copiava in gran fretta, senza neppure ricontrollare. Alla fine, si ritrovava sempre coi crampi alla mano e un’emicrania allucinante, ma sapeva di aver reso felici i suoi fans.
Vedendo la faccia entusiasta di Merlin davanti a lui, Arthur realizzò quanto, in realtà, avesse perso fino a quel momento: l’eccitazione palpitante che lui raccoglieva sempre e solo filtrata da terzi.
Come suo agente, Cenred gli consegnava regolarmente le lettere e i regali dei suoi ammiratori; e nei suoi profili c’erano un sacco di messaggi entusiasti, che spuntavano ogni giorno come funghi… Ma nascondendo la sua identità, Arthur si perdeva la gioia sincera e istantanea di chi amava le sue storie, le strette di mano e le convention, il bello e il brutto di tutto quello che, nel suo piccolo, significava essere un personaggio conosciuto.
“Arthur?” lo richiamò Merlin, facendolo uscire dalle sue riflessioni. “Perdonami se ho monopolizzato la discussione…” si scusò, chiudendo la questione, offrendogli il tè che era andato a preparare prima che lui facesse la grande scoperta.
***
Nei giorni seguenti, nulla cambiò molto fra loro, anche se il peso della menzogna – Arthur la chiamava omissione, per acquietarsi la coscienza – gli pesava sempre più e ogni volta che rivedeva il sorriso sincero di Merlin si sentiva sempre un po’ più indegno e bugiardo.
Ma, allo stesso tempo – e forse egoisticamente – non voleva rinunciarvi, perché se ne stava innamorando.
L’altra cosa sconcertante fu che, in un impeto di pazzia (come altro chiamarla?) Arthur si era offerto di portare Mordred a passeggio dal suo concertista privato anche quando Morgana ebbe finito col suo lavoro di emergenza.
La settimana prevista inizialmente erano diventate due e, alla fine, semplicemente Pendragon non aveva più smesso.
Certo… Suo nipote
rimaneva comunque un Serpeverde. Sì. Viscido e scaltro.
Ed era nato per
ucciderlo. Pannolino dopo pannolino. A colpi di
pappette. Lo sapeva...
Sapeva che il suo
compito era stato quello di rendergli la vita un
inferno, ma era divenuto un inferno sopportabile, se la sua ricompensa era poter
rimanere un pomeriggio in compagnia del suo pianista.
Ad onor del vero, sua sorella lo aveva torchiato per bene, perché quest’inusitata generosità puzzava fin da lontano… ma, una volta appurato che il Pupino non sarebbe divenuto la vittima sacrificale di qualche maniaco e che il Prezioso Unigenito era felice di quelle sortite, ella fu ben lieta di concedergliele.
***
E fu così che, pian piano, quella strana routine prese piede e, nei giorni in cui non c’era Mordred di cui occuparsi, Arthur e Merlin finivano comunque per vedersi, anche al di fuori di quel salottino col pianoforte.
Era stato Arthur a suggerire l’idea di un caffè all’aperto – sempre che Merlin non fosse allergico anche a quello, o che essere visto gironzolare per Londra non fosse un problema per lui.
Il pianista aveva riso di quei dubbi, apprezzando tuttavia la sua preoccupazione.
E da un caffè erano passati per una cena, poi ad un cinema e infine ad un bacio sotto casa, rubato sotto un cielo stellato, al quarto appuntamento.
Fosse stato per Arthur, avrebbero potuto approfondire l’argomento in camera da letto già al primo rendez-vous ufficiale, ma Merlin non sembrava il tipo da una scopata e via, e lui voleva capire se, effettivamente, sarebbe potuto nascere qualcosa di serio fra loro (sempre ammesso che le sue bugie non avessero rovinato tutto anzitempo).
Dopo giorni e giorni di ripensamenti, fu per questo che, accoccolati sul divano davanti ad un film, una sera Arthur prese finalmente il coraggio di essere sincero con lui.
“Merlin?” bisbigliò, smettendo di baciarlo.
“Mh?” rispose l’altro, fermando la mano che gli stava accarezzando i capelli in un gesto d’intimità.
“C’è… ehm… c’è una cosa che devo assolutamente confessarti…” dichiarò mortalmente serio, separandosi da lui.
“Hai una moglie da qualche parte e Mordred è davvero tuo figlio?” tirò a indovinare l’altro, impallidendo.
“Oh, Dio, no! No! Non lo pensare neppure!” esclamò, schifato.
“Ah, beh… se non è questo, niente può turbarmi…”
“Una moglie? Un figlio?? Sono più gay di un melo a maggio!” continuò Arthur, imperterrito. “E per inciso: Mordred e il sottoscritto siamo incompatibili e ci va benissimo così!”
“D’accordo, ho capito!” lo rassicurò Merlin, sorridendo. “Sono pronto ad ascoltare il tuo sporco segreto!”
Giusto in quel mentre, il telefono di Arthur squillò, interrompendoli. Vedendo il nome di Morgause sullo schermo, Pendragon rabbrividì, istantaneamente memore del suo accordo. Tuttavia, egli non rispose, perché non poteva parlarle liberamente davanti a Merlin. Le inviò un messaggio di scuse, promettendole che l’avrebbe richiamata più tardi, poi rimise in tasca il cellulare.
“Dov’eravamo rimasti?” domandò, come diversivo, soffocando il disagio e fingendo interesse per il film che avevano ignorato tutta la sera.
“Ehi! Mi stavi per rivelare il tuo segreto!” gli ricordò l’altro, annuendo curiosamente per incitamento.
Arthur sentì freddo lungo la colonna vertebrale.
“È che… senti… io… io devo andare in bagno!”
“Cosa?! È tutto qui, il tuo gran mistero?”
“Sì, mi dispiace; mi sento in imbarazzo, ma è urgente!” esclamò, sollevandosi in piedi con gran fretta.
Merlin gli lanciò un’occhiata basita, prima di concedergli il permesso, nascondendo a malapena la propria perplessità per educazione.
***
Le cose cominciarono ad andare male dopo la metà di giugno.
Il concerto privato per
“Puoi portare con te chi vuoi!” gli aveva detto, ma l’altro si
era dimostrato titubante nel farsi accompagnare da qualcuno e, alla fine, si
era presentato alla Royal Albert Hall da solo.
L’esecuzione era
stata perfetta, il pubblico aveva ricoperto di applausi il ‘Mago
del pianoforte’ – che, ancora una volta, aveva dimostrato di meritarsi pienamente
quel soprannome – e Arthur si era sperticato in elogi infiniti, quando
finalmente aveva potuto avvicinarlo.
E lui era arrossito
per la profusione di lodi e per le allusioni su come fosse sexy con
quell’espressione un po’ selvaggia e gloriosa. Poi aveva rimirato a sua volta quanto
un completo elegante (un taglio su misura, indubbiamente) giovasse su quello
che ormai considerava il suo uomo, ma non aveva potuto non notare l’evidente assenza
di compagnia e, come sempre, Pendragon aveva
accampato un paio di scuse e lo aveva distratto con una pomiciata ben piazzata.
La questione era che, mentre Merlin non si era fatto scrupoli a presentargli i suoi amici – niente cose formali, ma almeno quelli trovati nel suo pub preferito e nelle zone abituali, per strada –, Pendragon non gli aveva ancora permesso di incontrare nessuno dei propri e, anzi, in un’occasione o due avevano persino deviato percorso per non dover incrociare quelli che Arthur definiva ‘logorroici seccatori’.
Per esempio, c’era stato un tale che avevano urtato mentre curiosavano dentro una libreria e, quando l’uomo aveva apostrofato Arthur con un: “Ehi, Artie, com’è che non saluti il tuo Cenred? Dovevi richiamarmi, sai?”, Arthur era letteralmente fuggito da lì, senza neppure acquistare il libro che aveva appena scelto di prendere.
Poi, aveva borbottato qualcosa su quel tizio, definendolo subdolo,
squilibrato e dalla lingua lunga; ed il pianista, vedendolo
alquanto seccato, aveva preferito accantonare la faccenda.
***
Ma c’erano tante cose che Merlin non conosceva su Arthur.
Non era mai andato a casa sua, neppure una volta, da che si frequentavano. A ben vedere, non sapeva neppure dove l’altro abitasse, con precisione.
Era sempre Arthur a passare a prenderlo e a riaccompagnarlo, in un paio di avvenimenti dormendo da lui, ma mai il contrario.
Quello che Merlin non poteva immaginare era che il rischio, per Arthur, sarebbe stato troppo grosso.
Non si vergognava assolutamente della propria casa, anzi. Viveva in un bel quartiere di Londra e aveva un’abitazione di tutto rispetto.
Ma dentro il suo appartamento c’erano il suo computer e i suoi libri, appunti sparsi dappertutto, dove prendeva tracce e spunti, le sue documentazioni. C’era il suo mondo creativo in bella vista – con tanto di premi e riconoscimenti vari, come il Booker Prize vinto l’anno prima – ed era troppo pericoloso portarcelo.
Ogni volta che Merlin aveva suggerito la cosa – più o meno scherzosamente – Arthur aveva glissato, inventando le scappatoie più assurde: un buco di casa in completo disordine, la donna delle pulizie ammalata, un lontano cugino in visita, che dormiva sul divano… Per essere uno scrittore affermato, Pendragon aveva una pessima capacità di inventarsi scuse su due piedi…
E probabilmente fu quello a segnare il punto di svolta. Quello, assieme ad altri piccoli indizi.
Giorno dopo giorno, il coraggio per rivelargli la verità veniva sempre meno.
Arthur aveva capito di amare Merlin e, proprio per questo, temeva che – con l’essere sincero – avrebbe rotto lo splendido equilibrio che c’era fra loro.
Come avrebbe reagito,
Merlin? E se si fosse arrabbiato per avergli nascosto la propria reale
identità? Se l’avesse presa come scarsa fiducia nei suoi confronti o, peggio, come un gioco di cui ridere alle sue spalle? Cosa sarebbe successo se…?
Mille dubbi gli
stringevano lo stomaco, facendogli mancare il respiro.
E questo lo fermava
ogni volta che prendeva coraggio e stava per vuotare il sacco.
Arthur sapeva che, a lungo andare, questa ‘felice ignoranza’ era una via minata da percorrere ma, parallelamente, si diceva che dandosi tempo – dando alla loro relazione appena nata del tempo per consolidarsi – dava anche modo a Merlin di conoscerlo meglio come una persona semplice, un uomo buono e sinceramente innamorato di lui.
Sarebbero stati i suoi gesti, il suo affetto, la quotidianità condivisa a dimostrare l’onestà delle sue intenzioni, più delle parole, nel momento della verità.
O, almeno, così
sperava…
***
La bolla, invece, esplose un mercoledì sera, tre giorni prima dell’ultimo concerto di Merlin.
Arthur avrebbe dovuto essere al lavoro – o così aveva detto, quando era venuto a casa sua con Mordred, quel pomeriggio – e il pianista, accompagnato dal suo migliore amico Will, aveva deciso di visitare una galleria d’arte che era stata appena inaugurata.
Mentre aspettava l’arrivo di William nel punto di ritrovo concordato, anche se era buio, Merlin riconobbe quasi subito la zazzera bionda di Arthur, all’altro lato della strada, in attesa come lui.
Come mai era lì, invece che al lavoro?, si chiese d’istinto, certo che l’altro non avesse la serata libera – perché gli aveva detto esplicitamente che sarebbe stato occupato a guadagnarsi il pane.
Mentre le ipotesi più disparate si affollavano nella sua mente, Merlin rammentò un piccolo, insignificante particolare che aveva liquidato troppo in fretta, realizzando, con sommo sconcerto, che forse era già la seconda volta che succedeva.
Un paio di giorni prima, infatti, la sua amica Freya gli aveva detto di aver incrociato Arthur in un orario in cui, teoricamente, l’uomo doveva lavorare e Pendragon, vedendola, aveva finto di non riconoscerla.
Merlin ci aveva riso sopra, scherzando sulla sbadataggine del suo ragazzo, o sul fatto che forse, invece, Freya – che non era un’accanita fisionomista – avesse davvero confuso qualcun altro con lui.
“Beh, meglio così”, aveva detto la ragazza, chiudendo la faccenda. “Anche perché non era da solo!”
Ma ora non c’erano dubbi. Quello era certamente Arthur. Il suo Arthur.
Merlin stava per chiamarlo, perché l’altro uomo non si era ancora accorto della sua presenza, quando era sopraggiunta una persona.
Emrys impiegò qualche secondo a ricordarne il nome: Cenred, aveva detto di chiamarsi.
Sì, era lo stesso tizio che avevano visto nella libreria, e da cui il suo ragazzo era praticamente fuggito con fastidio... Solo che, in quel momento, Arthur sembrava tutt’altro che infastidito, mentre si lasciava abbracciare da quel Cenred, che aveva modi fin troppo amichevoli.
Buon Dio!, Merlin deglutì a vuoto, sentendosi gelare. Il tipo stava palpeggiando il culo del suo uomo! E Arthur glielo lasciava fare!
Fu Will a salvarlo da una crisi di nervi, arrivando giusto in quel momento.
“Ehi, Merls! Sei bianco da far spavento, amico! Hai per caso visto un fantasma?” scherzò, dandogli una fraterna pacca sulla spalla e Merlin barcollò, impreparato.
William fu lesto ad acchiapparlo, sostenendolo.
“Ma che succ-?”
“Andiamo via, Will. Per favore”, lo supplicò, perché l’ultima delle sue intenzioni era quella di fare una scenata in pubblico, anche se si sentiva rimescolare le viscere.
Solo quando furono a distanza di sicurezza, raccontò quello che aveva visto e, come prevedibile, William s’era infervorato.
“Vuoi che torni là e gli spacchi il muso?!” propose, facendo scrocchiare le dita delle mani. “Così impara la lezione, quel bastardo traditore!”
Ovviamente no, Merlin
non voleva un regolamento di conti con tanto di urla e nasi rotti, ma Will aveva
ragione a chiamare Arthur ‘traditore’, perché questo
lui era.
Lo aveva tradito,
vedendo di nascosto quel viscido di Cenred.
Lo aveva ingannato,
mentendogli quella sera, e chissà quante altre volte, e su quante altre cose…
Lo aveva imbrogliato,
probabilmente, in un sacco di momenti.
E questo spiegava come
Oh, Cielo! Forse
viveva con Cenred ed era Merlin l’amante
inconsapevole! Forse conduceva una doppia vita… altro che cugino sul divano!
Merlin sentì gli occhi bruciare, ingoiando un singhiozzo, mentre il fedele Will lo trascinava a casa, a leccarsi le ferite.
Tradito e usato,
ecco come si sentiva. E col cuore
spezzato, a dirla tutta.
Perché Arthur non era
stato sincero con lui? Perché?!
Dopo un paio di sonniferi, William lo aveva messo a letto, offrendosi di restare, in caso di bisogno; ma lui aveva rifiutato, pregandolo di lasciarlo da solo.
L’indomani mattina, Merlin ignorò i messaggi di buongiorno che Arthur gli aveva mandato e, col cuore pesante, fece l’ultima cosa per confermare i propri sospetti.
Due ore dopo, l’ennesima voce gentile e professionale al telefono, dall’Ufficio Risorse Umane, gli confermò che nessun signor Pendragon aveva mai lavorato lì. Né lì né in qualunque tipografia, stamperia, o-dove-diavolo uscissero i giornali e le riviste che poi venivano venduti a Londra.
Merlin ringraziò, riattaccando. Poi, esausto, nascose il viso fra le mani.
Quindi… Arthur gli aveva mentito anche sul suo lavoro.
Ma perché? Diamine, perché?!, imprecò mentalmente, raccogliendo i cocci della sua vita affettiva.
L’unica cosa buona era l’aver scoperto tutto adesso, mentre
erano ancora agli inizi della loro relazione. Anche se, in quel momento, Merlin
dubitava che fosse stata persino quello. Forse
era stata tutto un gioco, uno svago, un capriccio per far perdere la testa al
famoso Emrys…
Chissà quanto si era
vantato per quella conquista! E per la recitazione da Oscar e la sua faccia da
schiaffi!
Merlin era caduto
nella sua rete di tranelli con tutte le scarpe, ma ora aveva capito l’inganno e
ne sarebbe uscito, in qualche modo.
Sì, aveva fatto male a
fidarsi di quel bastardo... Ma non avrebbe più
commesso lo stesso errore.
Di certo, non rivoleva
nella sua vita un bugiardo seriale.
Tuttavia… c’era ancora una piccola parte di lui, quella non ancora soffocata dal dolore, che gli sussurrava di dare ad Arthur una possibilità. Di inchiodarlo con le spalle al muro, se fosse servito, ma che almeno fosse stato sincero con lui davvero, del tutto, per mettersi il cuore in pace e chiudere per sempre la questione. Che si spiegasse, perdio!
Ma quella piccola parte razionale era troppo debole, e per la confusione, la rabbia, il dolore e la delusione fu facile zittirla.
***
All’Horchard Hall i biglietti erano tutti esauriti già una settimana prima del concerto e Merlin si sentì onorato per l’accoglienza calorosa che il Giappone gli aveva riservato, lì a Tokyo, e in tutte le sedi che il suo tour asiatico avrebbe toccato.
Era fuggito da Londra in fretta e furia saltando sul primo volo, la mattina dopo la scoperta, chiamando la sua manager e annullando l’ultima esibizione con la scusa di una dolorosa (ma non grave) tendinite e si era rifugiato là, dall’altra parte del mondo, sperando – forse ingenuamente – che oceani e continenti di distanza avrebbero giovato.
La verità era che solo il lavoro lo avrebbe distratto dalle sue disgrazie di cuore; ma, sebbene andasse contro la sua etica irreprensibile, poteva permettersi di indulgere, per una volta, nella sua miseria ed essere un po’ egoista.
Non importava che Arthur avesse cercato di contattarlo, riempiendolo di messaggi e di chiamate nella segreteria, perché finivano inesorabilmente cancellati ancor prima di essere letti o ascoltati.
Alla fine, Merlin aveva cambiato numero, rendendosi irreperibile, e la persecuzione era finita.
Sì, sarebbe finita.
Anche se in quel momento faceva male da morire.
Anche se il suo cuore
– anch’esso traditore! – sussultava ogni volta che Merlin intravedeva per
strada una zazzera bionda.
Anche se Arthur Pendragon gli era entrato
sottopelle... sarebbe finita.
Tempo tre mesi, e sarebbe tornato a casa, negli States, e quel delirio sarebbe sbiadito, diventando solo un
sogno strambo.
-
Fine -
(Prima di essere picchiata, rendo noto che ci
sarà un epilogo).
Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ugualmente, le immagini che ho
scelto di inserire nei capitoli sono prese dal web e non mi appartengono.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai e a Laura, che subiscono
le mie paranoie. X°D
Note: Il Giubileo di diamante della Regina è stato nel 2012. Ho deciso quindi di ambientare in quell’anno la storia, giusto per pignoleria, ma ai fini narrativi non cambia nulla.
Ho volutamente evitato di chiarire il genere di libri scritti da Arthur, più avanti dirò il perché.
Un cliffhanger,
per chi lo ignora, è un espediente narrativo usato in letteratura, nel cinema,
nelle serie televisive e in altre forme di fiction, in cui la narrazione
si conclude con una interruzione brusca in
corrispondenza di un colpo di scena o di un altro momento culminante
caratterizzato da una forte suspense. In genere, un cliffhanger
conclude un episodio (per esempio di una serie
televisiva, o di una storia a fumetti o romanzo a puntate), con l’intento di
indurre nel lettore o nello spettatore una forte curiosità circa gli sviluppi
successivi (e quindi il desiderio di acquistare il prossimo volume o di
guardare la prossima puntata).
Letteralmente, l’espressione inglese ‘cliffhanger’
indica chi ‘rimane appeso a un precipizio’, una situazione che rappresenta uno
stereotipo della suspense nei film e telefilm d’azione.
In questa stessa fic, per esempio, il salto tra il
cap. 3 e 4 è un cliffhanger.
Ho scritto nel capitolo che Arthur vinto un Booker Prize.
Il Booker Prize è uno
dei più prestigiosi premi letterari inglesi.
Il Man Booker Prize for Fiction, più
conosciuto come Booker Prize,
è un premio letterario istituito nel 1968 e assegnato ogni anno al miglior romanzo,
scritto in inglese, da un cittadino del Commonwealth delle nazioni, dell’Irlanda
o dello Zimbabwe.
Al vincitore del Booker Prize sono generalmente assicurati fama e successo internazionale, e per questo motivo il premio è di grande importanza per il mercato dei libri. È un segno di distinzione per gli scrittori venir nominati nella rosa dei finalisti.
L’Horchard Hall di Tokyo è una famosissima sala di concerti, soprattutto per musica classica.
(Tutte le info succitate sono prese da Wikipedia).
Visto
che siamo alla fine, metto
un’unica anticipazione per non rovinarvi la sorpresa:
*evil smile*
Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):
- Postato il seguito di Linette: “The He in the She 2: La Raccolta” col cap. 1.
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Ringrazio i lettori che hanno inserito questa fic nei preferiti/ricordate/seguiti.
Vi ringrazio della fiducia, e vi invito, ancora una volta, a lasciarmi qualche parere per sostenermi in questa passione che condividiamo. ^^
Campagna di Promozione Sociale -
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elyxyz