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Autore: Soul of Paper    28/02/2015    4 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 44: “Behind blue eyes – prima parte”
 


Nota dell’autrice: Lo so, lo so, sono imperdonabile ma tra il viaggio di lavoro, la lunghezza assurda del capitolo e i malanni di stagione (mi sono beccata un’influenza con i fiocchi) non ce l’ho fatta prima. Vista la lunghezza infinita del capitolo, posto oggi la prima parte più investigativa e d’azione (che è già lunghissima), ma che avrà anche ehm-ehm dei momenti più “intimi” ;) . La seconda, piena di romanticismo arriverà tra tre – quattro giorni, giusto il tempo di rileggere, editare e finire le ultime due scene. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note a fine capitolo.


 
“Maledizione, rispondi!”
 
Il cuore come uno yo-yo tra gola e stomaco, è così che si sente, mentre prova per la quinta volta a comporre il numero, ma è sempre dannatamente occupato.
 
La coscienza che alterna momenti di sollievo nel sapere che probabilmente Lui non è in pericolo, non è in mezzo all’azione, con l’angoscia nel rendersi conto della tragedia che potrebbe consumarsi di lì a breve, per colpa dell’orgoglio, dell’immagine, della politica e delle pubbliche relazioni.
 
E sa che Lui non se lo perdonerebbe mai, mai, sebbene non sarebbe in ogni caso colpa sua.
 
Ma potrebbero farla diventare colpa sua – le ricorda una vocina, la vocina dell’istinto, che conosce benissimo l’attitudine allo scaricabarile di chi è al comando. Ed è stato Lui a metterci la faccia durante la conferenza stampa, Lui, non il questore, quello al centro dell’attenzione.
 
Forse è stato proprio questo che il questore non gli ha perdonato, più dell’aver voluto dare fiducia ad Ilenia e… e a lei, inutile girarci intorno. Perché è ancora e sempre lei il più grande rischio per la sua carriera, un segreto di pulcinella che però potrebbe diventare scottante se finisse nelle mani sbagliate, alle orecchie sbagliate.
 
E se il questore non ha avuto problemi a passargli sopra peggio di un caterpillar già una volta, perché dovrebbe porsi problemi in futuro?
 
Lo squillo del telefono la fa trasalire, spaventandola e tranquillizzandola nello stesso istante.

“Gaetano, finalmente!!”
 
“No, non sono Gaetano, anche se, visto il numero di volte in cui mi hai chiamato così per sbaglio, forse dovrei fare un salto all’anagrafe e cambiare definitivamente nome,” ribatte una voce sarcastica e amara, quanto inconfondibile, dall’altra parte della cornetta, “magari avrei qualche speranza in più che tu mi dia retta o di riuscire a parlare con te.”
 
“Renzo?!” domanda, spiazzata, allontanando lievemente il cellulare dall’orecchio, mentre il display conferma l’evidenza.
 
Non si aspettava proprio questa chiamata, non solo perché lo sapeva nuovamente a Londra con Carmen, impegnati nei loro progetti, ma, soprattutto, perché non le aveva mai fatto una telefonata da quando erano arrivati a Roma: aveva solo mandato un paio di messaggi a Livietta. Se per la presenza di Gaetano, di Andreina o se per esprimere il suo dissenso verso questa vacanza e quello che rappresentava e rappresenta, non avrebbe saputo dirlo.
 
“Sai, ricordo ancora la prima volta in cui mi hai chiamato Gaetano, tanti anni fa: eravamo al cellulare e ti avevo telefonato io, proprio come ora,” prosegue con un tono sempre più amaro e basso, mentre anche lei non può fare a meno di ricordare quell’episodio, “tu avevi avuto la faccia tosta di sostenere che potessi avere capito male, essermi confuso e… e ho fatto finta di niente e non ho fatto domande, come sempre. Avrei dovuto capirlo che era solo l’inizio, no, Camilla? L’inizio della fine, di una lunga, inutile agonia.”
 
“Renzo, per favore, ascolta, se mi hai chiamata per litigare e discutere, mi dispiace ma non è il momento: devo assolutamente chiamare Gaetano e mi serve la linea libera, è una questione della massima urgenza, di vita o di morte,” replica cercando di mantenere il tono della voce paziente ma di tagliare corto, “ti richiamerò io appena-“
 
“Eh no, Camilla, stavolta no. Ho sempre fatto finta di niente, non ho mai fatto domande, ma adesso basta, stavolta no. Qual è questa questione della massima urgenza, eh, Camilla? C’entra forse con un incendio in un Luna Park che sta terrorizzando la capitale e che campeggia su tutte le prime pagine dei giornali, insieme alla faccia del mio eroico quasi omonimo e a quella di una certa Ilenia Misoglio?” la blocca, il tono di voce che continua ad aumentare, mentre dall’amarezza emerge la rabbia.
 
“Renzo, senti, non-“
 
“No, Renzo non sente più, Renzo ha già sentito abbastanza Camilla. Torno da Londra poche ore fa e scopro dai giornali e dalla televisione che la ragazza che hai accettato di ospitare da tua madre durante questa tua vacanza romantica in famiglia con il poliziotto è una serial killer, catturata dopo una rocambolesca fuga e dopo incendi, sparatorie, peggio di un film d’azione americano! E tu, ovviamente, non ti sei nemmeno degnata di avvertirmi di cosa stava accadendo in questi giorni, perché sai, io se voglio andare a prendere un gelato con mia figlia devo chiederti il permesso in carta bollata, mentre tu non ritieni opportuno informarmi di una cosa da niente come il fatto che la ragazza che probabilmente ha condiviso la stanza e ore, pomeriggi interi, con mia figlia, abbia ucciso e ferito un numero di persone che non voglio nemmeno stare a calcolare!!”
 
“Renzo, conosci benissimo il motivo per cui i rapporti tra noi ultimamente sono stati tesi e perché sono stata cauta, riguardo al fatto che passassi del tempo da solo con nostra figlia e-“
 
“Allora almeno te lo ricordi ancora che è nostra figlia? Perché da come ti sei comportata in questi giorni mi è venuto il dubbio che forse te lo fossi scordato che Livietta ce l’ha un padre, che non si chiama Gaetano ma Renzo e che magari aveva diritto di essere informato di quello che stava succedendo!”
 
“Renzo, se non ti ho avvisato prima è innanzitutto perché sono stati giorni a dir poco concitati, come potrai immaginare, ma soprattutto perché Livietta non c’entra nulla in questa storia e-“
 
“Come fa a non c’entrare nulla quando le hai messo in casa, a lei e a tua madre, una serial killer, Camilla?! Quando sua madre, cioè tu, va in giro ad indagare e a ficcare il naso in faccende pericolose, come se questo fosse il suo pane quotidiano, come se fosse una cosa normale!! O vuoi dirmi che non c’eri anche tu in quel Luna Park, Camilla? Non negarlo perché non ci credo!” grida, furioso come raramente l’ha sentito.
 
“Sì, ero in quel Luna Park ma non per i motivi che pensi tu, Renzo, e comunque Livietta era al sicuro a casa con mia madre e non si è nemmeno avvicinata lontanamente a nulla e a nessuno di pericoloso e-“
 
“Quindi una serial killer non sarebbe pericolosa?”
 
“Ilenia non è una serial killer, non ha ucciso nessuno e non ha alcuna colpa!! Gaetano sta tentando di arrestare il vero colpevole proprio adesso, Renzo e-“
 
“E quindi vuoi dirmi che il colpevole è ancora a piede libero? Ancora meglio! E in che modo garantiresti l’incolumità di mia figlia? O la tua? Visto che evidentemente sei invischiata in questa storia fino al collo e-“
 
“E infatti sai dove sono? In questura, mentre nostra figlia è a casa con mia madre, lontana da me e da chiunque possa essere invischiato in questa storia, non solo fino al collo, ma persino alla lontana. Mi farei ammazzare, torturare piuttosto che permettere che capiti qualcosa di male a Livietta e lo stesso vale per Gaetano, anche se so che tu non ci credi e lo ritieni capace di qualsiasi nefandezza!!” urla, senza riuscire più a contenere l’indignazione e la collera nel tono di voce, per il fatto che lui possa anche solo pensare che lei o Gaetano metterebbero mai in pericolo Livietta, “ma adesso ho bisogno del telefono, Renzo, come ti ho già detto è una questione di vita o di morte e le tue recriminazioni e questa discussione dovranno aspettare!”
 
“Ma a cosa ti serve il telefono se Lui è impegnato in un arresto? O devi avere la notizia in anteprima?” le domanda, nuovamente sarcastico.
 
“Mi serve perché probabilmente Gaetano sta cercando il colpevole nel posto sbagliato, Renzo, e se non riesco ad avvertirlo in tempo è possibile che succeda una tragedia, lo vuoi capire? Non a Livietta, o a me, o a qualcuno che conosci personalmente, d’accordo, ma soltanto a decine di persone che non c’entrano niente: decine di malati e un buon numero di poliziotti.”
 
“Cosa?! Ma cosa stai dicendo? Cosa c’entrano i malati?” domanda, stupito e confuso, con il tono di chi non ci sta capendo più niente.
 
“Renzo, ti prego, lo so che ultimamente non hai una grande opinione di me, ma quando in un’indagine c’eri coinvolto tu o Carmen o nostra figlia mi hai praticamente implorato di indagare, di occuparmene – non che non l’avrei fatto comunque – , quindi so che, da qualche parte nel tuo intimo, sai che sono in grado di farlo e che… che spesso ci azzecco. Ti chiedo di fidarti di me un’ultima volta e di lasciare libero questo maledetto telefono. Tra poche ore questa storia sarà finita e tra pochi giorni sarò di nuovo a Torino e abbiamo mesi, anni davanti a noi per discutere e litigare su ogni singolo dettaglio di questa separazione, del nostro rapporto e di tutte le mie colpe e di tutte le tue colpe, ma non adesso. Per favore, lascia libero il telefono.”
 
“Ok, ok, va bene, non voglio certo avere decine di persone sulla coscienza, Camilla, meno che meno te o… o Lui, per quanto possa odiarlo,” ammette con voce stranamente più calma, mentre è di nuovo l’amarezza a farla da padrone, “ma tu dovevi informarmi di quello che stava succedendo, Camilla, dovevi farlo, quindi sappi che non finisce qui. E se questa storia non sarà finita sul serio entro poche ore, Camilla, io vengo lì a riprendermi mia figlia e a riportarla a Torino con me, è chiaro? A costo di affrontare te, tua madre e… e il poliziotto superpiù, tutti insieme.”
 
“Chiarissimo…” sospira, percependo chiaramente dalla voce di Renzo che è serio, serissimo, come raramente l’ha mai sentito prima d’ora.
 
Il clic di chiusura della comunicazione non le provoca quel sollievo che si sarebbe aspettata. Perché questa è stata allo stesso tempo la conversazione migliore e peggiore che ha avuto con Renzo da quando… da quando aveva osato dire quelle cose… inconcepibili su Gaetano e su Livietta.
 
Era sempre arrabbiato, ostile, sarcastico ma c’era una consapevolezza diversa nel suo tono: non era più l’uomo pieno di livore che l’aveva attaccata alla gola quella mattina al ritorno da Londra, né l’uomo disperato e che non sembrava avere più nulla da perdere che si erano trovati di fronte a San Remo. C’era qualcosa del vecchio Renzo, sia quello dei tanti litigi durante il loro matrimonio, sia quello degli ancora più numerosi contrasti durante la loro prima separazione. Ma allo stesso tempo c’è qualcosa di diverso, una decisione, una fermezza che Renzo di solito non aveva, non lui, sempre così timoroso e conciliante, che sfuggiva ai problemi e alle discussioni invece di affrontarli, affrontarle, affrontarla.
 
Anche durante la prima separazione era stata quasi sempre lei a cercare il confronto, lo scontro, anche perché era stata lei ad avere molto di più da recriminare, mentre Renzo… Renzo era caduto in piedi, era sereno: in fondo era stato lui a porre la parola fine sul loro matrimonio e aveva Carmen al suo fianco, pronta a sostenerlo.
 
No, c’era qualcosa di diverso in questa telefonata, in questo Renzo, che la lascia spiazzata.
 
Ma ora non ha tempo per pensarci – un problema alla volta, Camilla – si ricorda, riprendendo in mano il telefono e riprovando per l’ennesima volta a comporre quel numero talmente familiare che potrebbe digitarlo ad occhi chiusi.
 
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“Che cosa???!!”
 
“Sì, Gaetano, mi dispiace, ho cercato di avvertirti prima, ma avevi il telefono sempre occupato…”
 
“Certo, perché stavo cercando disperatamente di contattare il questore ma lui evidentemente era preso da ben altri impegni…” risponde sarcastico, un senso di nausea nello stomaco che sovrasta la rabbia che gli brucia nel petto, “come ha potuto? Anzi, come avete potuto? Visto che evidentemente ci sei di mezzo anche tu! Ti rendi conto che avete appena armato una bomba, anzi, peggio di una bomba?”
 
“Gaetano, lo so, ma ti giuro che ci ho provato in ogni modo a convincerlo a desistere ma non ci sono riuscita. Ginger è morta, Gaetano, e Sisma è più di là che di qua. Il questore non vuole rischiare che muoia anche lui e che magari ci sia una fuga di notizie in tal proposito, prima di poter far scattare la trappola. E se il questore mi dà un ordine diretto, io non posso rifiutarmi di obbedire, lo capisci questo, vero?”
 
“No, che non lo capisco! E sì, che potevi, Claudia, sì che potevi rifiutarti, se sai benissimo che quello che stai facendo potrebbe portare ad una strage! E-“
 
“Ci stiamo preparando, Gaetano, non siamo degli sprovveduti, maledizione!” grida Claudia nella cornetta, ormai visibilmente alterata e irritata.
 
“Tu non hai la minima idea di chi sia la persona con cui abbiamo a che fare, Claudia, e di cosa sia capace, non ne hai la minima idea!”
 
“E tu sì?”
 
“Sì, io sì! Si tratta del padre di Ilenia Misoglio, Claudia, ti basta questo?”
 
“Il padre della Misoglio? Ma... quindi ha fatto tutto questo per vendicare il figlio ucciso dallo Scortichini? Ma perché lasciare che la figlia si prendesse la colpa?” domanda, stupita da questa nuova rivelazione.
 
“Ecco appunto… tu non hai idea la benché minima idea di chi sia Fausto Misoglio, Claudia. Io sì, purtroppo. E l’amore paterno qui non c’entra niente, anzi, tutt’altro: c’entra solo la sete di vendetta. E sono davanti a casa sua, dove ho appena cercato di fare irruzione, e ho evitato per un soffio a me e ai miei uomini – agli uomini della squadra di De Matteis – e probabilmente a mezzo isolato, di saltare in aria.”
 
“Saltare in aria?!”
 
“Quella casa a mio avviso è una bomba, una polveriera, ho già chiamato gli artificieri e i reparti speciali. Ma a questo punto credo che Misoglio non sia in casa: sta venendo lì. Ed è un uomo pericoloso, violento, consumato dall’odio, dalla vendetta. Un uomo che, evidentemente, si è costruito negli anni un arsenale e che sa come usarlo. Un uomo che, oltretutto, non ha più nulla da perdere, Claudia.”
 
“Quindi sa che lo state – che lo stiamo cercando?”
 
“No, forse ancora no, altrimenti non starebbe cercando di coprire le sue tracce. Ma è malato, Claudia, ha la Rabbia e-“
 
“La Rabbia? Quella dei cani?!”
 
“Sì, l’ha presa dai cani dello Scortichini… è una lunga storia, ma è probabile che ormai se ne sia reso conto anche lui, ed è una malattia letale, se non presa in tempo e… e che comunque altera la mente, le inibizioni, rende più violenti ed instabili. E su un uomo del genere, che è già violento e instabile di suo, sai cosa significa?”
 
“Dio mio…” è il sussurro strozzato che lo raggiunge, flebile e metallico e sa che Claudia finalmente ha capito.
 
“Vi raggiungo lì appena posso, ok? Lascio qui un paio dei ragazzi e arrivo coi rinforzi e-“
 
“No, non può vedere nessuno in divisa: siamo tutti in incognito. Descrivimelo,” è la risposta concitata di Claudia, mentre la sente trafficare con qualcosa, “o riesci a mandarmi una sua foto?”
 
“Non ne ho con me e non è schedato, dovrei tornare in questura. Però è basso per essere un uomo, sotto al metro e settanta, robusto, forte, occhi azzurri, stempiato, calvo dietro, un neo sopra il sopracciglio destro e-“ cerca di spiegare, ma viene interrotto da grida agitate dall’altro capo della cornetta, “Claudia, che succede?”
 
“Devo mettere giù, amore, c’è un’urgenza con un paziente, ti richiamo io…” lo raggiunge la voce di Claudia, apparentemente tranquilla, ma è una tranquillità finta, esattamente come le parole che ha appena pronunciato.
 
“Claudia? È lì con te?” esala, una colata d’acido nello stomaco: cazzo, cazzo, cazzo!
 
“Sì, ti amo anche io, un bacio,” è la risposta flebile quasi quanto un sussurro, prima che la comunicazione venga bruscamente interrotta.
 
Rimane per qualche secondo a fissare il cellulare, indeciso sul da farsi, fino a che, improvvisamente, riprende a squillare.
 
“Claudia??!!”
 
“Mi dispiace deluderti ma sono solo Camilla,” proclama ironica dall’altro capo del telefono e, per una volta, nemmeno la Sua voce lo rasserena, “sono due ore che provo a chiamarti, è-“
 
“Camilla, scusami ma non è il momento: c’è un’emergenza, Misoglio-“
 
“Misoglio sa tutto, Gaetano, sa tutto di Ginger e Sisma! C’è stata una soffiata e sono su tutti i tg: lo sa dove sono e probabilmente sta andando all’ospedale!” lo interrompe Camilla, angosciata.
 
“Non probabilmente, Camilla: è già all’ospedale e Claudia è con lui,” spiega, mentre intorno a lui vede i volti di Marchese e di Grassetti passare dalla sorpresa alla preoccupazione: sa che, pur avendo sentito solo pezzi della sua conversazione con Claudia, ora hanno capito tutto.
 
“Che cosa??!! Gaetano, cosa pensi di fare?? Quell’uomo è… è una bomba pronta ad esplodere: se si sente braccato e scoperto… non ha più niente da perdere!” esclama, sembrando come sempre leggergli nel pensiero.
 
“Lo so, Camilla, lo so. Devo andare all’ospedale: è l’unica cosa da fare a questo punto. Tu invece, qualsiasi cosa succeda, promettimi che non ti muovi da lì,” la prega, conoscendola troppo bene e temendo un suo intervento.
 
“Gaetano…”
 
“Promettimelo!”
 
“Sì, tranquillo, te lo prometto,” lo rassicura con un sospiro.
 
“Camilla, giuro che se fai anche solo un passo fuori dalla questura ti faccio arrestare e stavolta non scherzo,” le intima, con un tono che conferma le parole appena pronunciate.
 
“Gaetano, stai tranquillo, te lo giuro, non mi muoverò di qui. Però tu promettimi che starai attento e che mi terrai informata, ok?” lo implora con una voce talmente carica di preoccupazione, che gli causa un piacevole dolore nel petto.
 
“Certo che ti tengo informata e ti ho già detto che non riuscirai a liberarti tanto facilmente di me, professoressa.”
 
“Ti amo,” sussurra lei semplicemente, ma quelle due parole per lui, per loro significano tutto.
 
“Ti amo anche io, Camilla, sempre.”
 
E, prima che il nodo in gola gli impedisca di respirare, chiude la comunicazione.
 
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“Berardi!”
 
“Ah, signor questore, vedo che si è finalmente liberato da i suoi innumerevoli impegni: è tutto il pomeriggio che provo a chiamarla,” sibila Gaetano, troppo indignato e preoccupato per poter dare peso all’etichetta, per tenere su una facciata, non ora.
 
“Sì, ho visto le sue chiamate, Berardi, e per questo le sto telefonando, ma sa, sono state ore frenetiche, sono-“
 
“Mi faccia indovinare… è all’ospedale dove sono ricoverati Ginger e Sisma? Anzi, no, mi scusi, solo Sisma, visto che Ginger è morta, anche se ufficialmente dovrebbero essere entrambi ormai quasi il ritratto della salute,” proclama sarcastico, mentre cerca allo stesso tempo di dribblare l’ennesimo ingorgo di traffico. Le sirene spiegate aiutano ma solo in parte.
 
“Lo sa già?” domanda con un tono di voce sorpreso, prima di aggiungere, dopo un attimo di pausa, “ha sentito la Milani?”
 
“Sì, ho sentito Claudia, giusto il tempo per capire che era nei guai fino al collo. E infatti sto venendo lì, spero di farcela in una decina di minuti. Com’è la situazione? Se si è deciso a chiamarmi, immagino che non si sia ancora… risolta, né in un senso, né nell’altro,” proclama con un sospiro, temendo di conoscere già la risposta.
 
“C’è un uomo armato, vestito da infermiere, stiamo cercando di identificarlo… a quanto dice uno degli agenti che era sotto copertura, si è avvicinato alla stanza dove abbiamo fatto credere si trovassero i due punkabbestia ma… in qualche modo ha mangiato la foglia, probabilmente si è accorto che alcuni dei medici non erano veri medici e si è allontanato senza entrare nella stanza, tanto che all’inizio pensavano ad un falso allarme. Ma poi è entrato nello spogliatoio degli infermieri e ha preso la Milani che, a quanto mi riferiscono, si era allontanata per cambiarsi e fare una telefonata, ed un’infermiera come ostaggio e si è barricato con loro nel reparto di terapia iperbarica, nella stanza in cui c’è la camera iperbarica più grande.“
 
“Claudia era al telefono con me: mi aveva chiamato per avvertirmi… del vostro, anzi, del suo cambio di piani, signor questore,” sibila, non facendo di nuovo nulla per nascondere quello che pensa del questore e delle sue idee.
 
“Dottor Berardi, lei mi capisce, non potevo rischiare di perdere l’occasione per far scattare la trappola, poteva essere la nostra unica occasione di trovare e catturare il complice della Misoglio e-“
 
“E l’avete trovato, congratulazioni! Peccato che sia stato lui a catturare qualcuno e non viceversa,” commenta sarcastico e duro, “ed ora rischiamo una tragedia, che era esattamente quello che volevo evitare ed il motivo per cui l’avevo scongiurata di aspettare prima di fare mosse azzardate!”
 
“E quale sarebbe stata l’alternativa, allora? Aspettare che lei, anzi, forse sarebbe meglio dire che la sua compagna, avesse un’intuizione geniale per risolvere questo caso? E che magari riuscisse a dimostrare pure che la Misoglio è innocente?”
 
“Sì, perché la mia compagna l’intuizione geniale ce l’ha avuta sul serio e, come volevasi dimostrare, Ilenia Misoglio è innocente!”
 
“Che cosa?! Vuole dirmi che lei sa chi è l’uomo che ha preso in ostaggio la Milani?”
 
“Sì, si tratta di Fausto Misoglio, il padre della Misoglio e-“
 
“E quindi un suo complice: avranno progettato tutto per vendicare Mauro Misoglio, insieme,” lo interrompe il questore, ignorando completamente quanto da lui detto poco prima.
 
“No, affatto, signor questore, ma adesso non ho tempo di spiegarle il movente di Fausto Misoglio. Sappia solo che è armato, pericoloso e che io e gli uomini di De Matteis siamo appena stati a casa sua, dove mi sono permesso di lasciare Grassetti, Lorenzi e un paio di altri agenti in attesa degli artificieri e di una squadra dei reparti speciali.”
 
“Che cosa??!! Ma è impazzito??!! Chi l’ha autorizzata a prendere un’iniziativa del genere??!!” tuona il questore, chiaramente furioso.
 
“Nessuno, ma mi è sembrato di intuire che non disdegni le iniziative personali, anche se fatte senza consultare prima le altre persone che si stanno occupando di un caso,” ribatte, gelido.
 
“Lei non può permettersi di parlarmi così, Berardi, ha capito?! Posso comprendere che sia risentito ma-“
 
“No, lei non può comprendere, signor questore e mi permetto eccome, mi permetterei ancora di più se lei non fosse un superiore, per quanto non diretto. Se succede qualcosa a Claudia, a quell’infermiera o a chiunque altro in quell’ospedale, la riterrò l’unico responsabile!” esclama, decidendo di scoprire le carte, furioso come raramente si è sentito prima d’ora, per poi aggiungere, serissimo, “e per quanto riguarda l’iniziativa personale, ci ho provato ad avvertirla e l’avrei fatto se fosse stato reperibile, ma immagino che in ogni caso non voglia nemmeno lei rischiare di far saltare in aria mezza frazione di Selcetta.”
 
“Saltare in aria?!” domanda, facendo eco alla domanda stupita posta da Claudia prima che succedesse tutto quello che è successo.
 
“Sì, saltare in aria. Fausto Misoglio è un ex falegname che però evidentemente ha anche grandi conoscenze di elettronica ed è a suo agio con esplosivi, inneschi eccetera, eccetera. Non mi stupirei se ne avesse portati con sé anche in ospedale. Ho evitato per un soffio di far scattare i sensori di una trappola posta all’ingresso di casa sua.”
 
“Maledizione…” sussurra il questore che sembra avere infine compreso tutte le implicazioni delle sue decisioni di quel pomeriggio.
 
“Senta, dopo che è stata sequestrata non ci sono altri aggiornamenti su Claudia? Se è ancora in ostaggio o se…” chiede, decidendo di concentrarsi sull’emergenza ma lasciando la frase a metà, perché non riesce nemmeno a contemplare l’altra ipotesi, “visto che ignoravate ancora l’identità di Misoglio, immagino che non vi abbia contattato per fare richieste.”
 
“No, non ne ha fatte e non sappiamo niente di più di quanto le ho detto. E, prima di contattarlo noi, volevamo essere sicuri di avere qui i rinforzi pronti e di evacuare almeno i reparti vicini alla terapia iperbarica,” spiega con voce stanca, prima di aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “quel reparto è in sé una bomba, potenzialmente, per via dell’ossigeno, che è un comburente…”
 
“E basta una scintilla per trasformare una camera iperbarica in una trappola mortale…” conclude Gaetano, che ricorda benissimo casi di cronaca riguardanti incidenti mortali durante terapie di questo tipo.
 
“I dottori mi hanno rassicurato che la camera che c’è nella stanza dove si è barricato Misoglio, il rischio di incendio è molto ridotto, che ci sono standard di sicurezza molto più alti, perché l’aria non è più satura di ossigeno, che arriva al paziente solo attraverso le maschere, ma purtroppo basta manomettere i tubi o le maschere stesse. Certo, non è così immediato farlo e avviare i macchinari ma non è impossibile, specie se, come mi sta dicendo, il Misoglio non è uno sprovveduto ed è a suo agio con l’elettronica. E poi, lì vicino c’è il deposito delle bombole dell’ossigeno per l’ossigenoterapia mobile e anche nelle camere del reparto di pneumologia ci sono le tubazioni che portano ossigeno. Abbiamo messo degli agenti armati a guardia del deposito, ma finché non evacuiamo i pazienti, non possiamo interrompere il flusso nei condotti alla sorgente. E comunque ci vorrà tempo per svuotarli completamente dall’ossigeno.”
 
“E come sta procedendo l’evacuazione?”
 
“Abbiamo avviato il protocollo, ma molti pazienti non possono essere spostati nell’immediato: devono essere trasferiti in ambulanza ad altri ospedali, sono intubati e collegati a respiratori artificiali o comunque hanno bisogno dell’ossigeno… ci vorrà tempo per completare tutte le operazioni e c’è anche il problema dei posti letto disponibili, che scarseggiano. Stiamo facendo tutto il possibile ma potremmo non riuscire a trasferire tutti i pazienti. Nel frattempo abbiamo allertato i reparti speciali, che dovrebbero arrivare a breve. L’unica cosa che possiamo fare a questo punto è cercare di guadagnare tempo con il sequestratore…”
 
“Il tempo potrebbe essere l’unica cosa che non abbiamo…” sospira Gaetano, circumnavigando un altro ingorgo e maledicendo il traffico della capitale, sentendo il solito mal di testa che ormai lo accompagna da qualche giorno farsi ancora più presente e pulsante, “non potevate pensarci prima di organizzare questa trappola, proprio in un reparto del genere, oltretutto?! Magari prenderle prima queste precauzioni, invece che correre ai ripari dopo.”
 
“Pensavamo di poterlo contenere con facilità e comunque credevamo di avere più tempo, non che accorresse in ospedale dopo un paio d’ore da quando è uscita la notizia. Insomma, che prima di tentare una mossa del genere avrebbe pianificato il tutto, come ha pianificato tutto il resto, anche l’omicidio e il tentato omicidio dei punkabbestia…” ammette il questore e di nuovo Gaetano avverte una nota di cedimento nella voce, che fino a pochi minuti prima era così altezzosa.
 
“Signor questore, Fausto Misoglio ha contratto la Rabbia da uno dei cani dello Scortichini. È un uomo violento e pericoloso già normalmente, e ora la malattia potrebbe averlo reso ancora più instabile e disperato…” spiega, decidendo di non girare ulteriormente il dito nella piaga. Del resto, ormai, a che servirebbe?
 
“La Rabbia? Ma è sicuro?” domanda il questore, stupito, con il tono di chi sta per avere un infarto.
 
“Purtroppo sì… sinceramente non so se e quanto possa esserci spazio per una trattativa con lui e più tempo passa e più il rischio di un colpo di testa aumenta. Specialmente se ha capito chi è Claudia…”
 
“A questo riguardo c’è un particolare che mi fa essere un minimo ottimista, o forse sarebbe meglio dire meno pessimista: la Milani era già vestita da infermiera e non aveva armi addosso. Abbiamo ritrovato la sua pistola ancora nascosta nel suo borsone. È una donna relativamente giovane e molto bella, non il classico prototipo del commissario di polizia. Credo quindi che il sequestratore non si sia reso ancora conto di chi si tratta e che continui a ritenerla soltanto un’infermiera come un’altra.”
 
“Capisco…” mormora Gaetano, comprendendo del tutto le parole usate da Claudia prima di chiudere la telefonata, del resto la collega aveva sempre avuto la capacità di pensare rapidamente durante le situazioni di pericolo, “ma Claudia non aveva addosso un microfono, qualcosa per tenersi in contatto con voi?”
 
“Sì, ha un auricolare di quelli invisibili, senza fili e un microfono nascosto nell’uniforme. Da quello che siamo riusciti a intuire ascoltando il microfono, lei e l’infermiera sono state immobilizzate, legate, probabilmente dentro la camera iperbarica, e poi c’è stato rumore di oggetti trascinati, come se sequestratore stesse sbarrando la porta. Adesso è da un po’ che c’è silenzio, non sentiamo voci ma il microfono è attivo…” spiega il questore, aggiungendo con evidente apprensione, “mentre per quanto riguarda il suo auricolare… mentre il sequestratore sembrava impegnato, abbiamo provato a parlarle, a fornirle anche istruzioni in codice, insomma, le classiche cose tipo – se mi senti, dai due colpi di tosse – ma Claudia non ha mai dato alcun segnale.”

“Quindi, o Claudia non può rispondere perché non vi sente e l’auricolare non funziona, oppure…”
 
Di nuovo non serve che finisca la frase, perché sia lui che il questore sanno benissimo qual è l’altra possibilità.
 
A volte il silenzio fa più rumore di mille parole.
 
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“Tutto tace… i poliziotti ci staranno preparando un bel comitato di accoglienza. Ma non temete: sono solo dei poveri idioti che non riescono nemmeno a nascondere bene le pistole sotto i camici!”
 
Claudia sente un brivido correrle lungo la schiena. Non sa se per lo sguardo di quell’uomo: così ferale e gelido allo stesso tempo, gli occhi azzurri e lucidi che brillano in modo inquietante. O forse per quella risata sguaiata, seguita da forti colpi di tosse, con cui ha pronunciato le prime parole dopo lunghissimi minuti di silenzio, riempiti solo dal rumore di macchinari e mobili spostati in fretta e furia per creare una barriera, dopo averle immobilizzate su due delle seggiole della grande camera iperbarica che campeggia al centro della stanza da lui scelta come prigione. Sedute una di fronte all’altra, il busto bloccato contro lo schienale, i piedi fissati al tubo che corre sotto le file di sedie, le braccia a quello sopra le loro teste, da cui penzolano le maschere di plastica. Sente le spalle e il collo bruciare, mentre le braccia… le braccia non le sente più e basta.
 
Si chiede cosa stiano facendo i ragazzi là fuori, si chiede se sia riuscita ad attivare il microfono che ha addosso – nascosto in una delle tasche interne del camice da infermiera – se funzioni ancora, se riescano a sentire o meno quello che capita intorno a lei.
 
Non sa sinceramente cosa sperare: da un lato, se il microfono fosse acceso, forse questo potrebbe dare indicazioni preziose durante il blitz che, con tutta probabilità, prima o poi scatterà. Dall’altro lato però… sa benissimo cosa accadrebbe se Misoglio decidesse di chiudere la camera ed azionarla. Ha letto tutti gli avvertimenti che tappezzano la stanza e sa che l’elettricità statica generata da un apparecchio del genere potrebbe essere più che sufficiente a far partire una scintilla e a trasformare la camera in un forno, una trappola mortale. Che è poi lo stesso motivo per cui, anche mentre Misoglio sbarrava la porta della stanza, non ha osato forzare troppo i lacci a mani e piedi: non può permettersi di danneggiare le tubazioni e le apparecchiature della camera.
 
Come non sa se benedire o maledire il fatto che, quando Misoglio l’ha intercettata, lei non avesse una pistola su di sé. Si era appena cambiata nel completo da infermiera, dopo aver aiutato il questore a posizionare gli altri ragazzi per tutto il reparto e dopo aver terminato di evacuare i pazienti dalle camere iperbariche, riportandoli in pneumologia – reparto o terapia intensiva –  mentre Sisma era stato, per sicurezza, temporaneamente trasferito nella terapia intensiva di cardiologia, intubato e attaccato all’ossigeno, nonostante le proteste dei suoi medici curanti. Aveva poi chiamato per l’ennesima volta Gaetano, per avvertirlo, ma Misoglio era arrivato troppo presto. Non si era ancora nemmeno infilata l’auricolare invisibile e, sotto tiro, mentre Misoglio le sequestrava il cellulare e si concentrava per un attimo sull’altra infermiera, aveva avuto giusto il tempo di tentare di attivare il microfono tramite il pulsante cucito all’interno di uno dei polsini.
 
La verità è che avevano fatto tutto troppo in fretta: avrebbero dovuto aspettare ad essere pronti al cento per cento prima di far scattare la trappola, ma il questore non aveva voluto sentire ragioni, pressato, lo sa bene, da persone ben più in alto di lui. Avevano fatto una cazzata, una cazzata che ora rischiano di pagare con la vita non solo lei, ma un sacco di persone innocenti, deboli, malate, che non hanno colpa di tutto questo.
 
Guarda di nuovo Misoglio che si è buttato – per non dire accasciato – due seggiole a sinistra di Oksana, questo il nome della giovane e sfortunata infermiera che condivide la sua stessa sorte, una smorfia di dolore che gli increspa il volto, mentre stringe il braccio destro poco sotto la spalla in un modo che, se si trattasse del sinistro, le farebbe quasi pensare – o sperare – in un infarto in corso. Cerca per l’ennesima volta di valutare se, a parte le due pistole con cui le ha tenute sotto tiro, abbia altre armi – o peggio – nascoste sotto i vestiti. Ma il camice è largo e non è per nulla semplice intuire cosa si celi lì sotto. Aveva provato ad appoggiarsi a lui mentre le trascinava lungo il corridoio, fingendo uno svenimento, sperando di riuscire a fargli perdere l’equilibrio, di dare ad Oksana l’occasione di scappare ed ai ragazzi quella di bloccarlo. Ma lui per tutta risposta l’aveva buttata a terra con una gomitata, tenendola sotto tiro, mentre puntava una pistola alla testa dell’infermiera, intimandole di alzarsi in fretta e ai ragazzi di allontanarsi, minacciando di gambizzarla.
 
Per fortuna era riuscita ad attutire il colpo con le mani, anche se i lividi su gambe e braccia e i palmi abrasi testimoniavano la caduta. Aveva dovuto rialzarsi rapidamente ed arrendersi all’evidenza che non c’era modo per lei di evitare questo sequestro, che non poteva permettersi altre iniziative, se non voleva rischiare la vita sua e, soprattutto, la vita dell’infermiera. Misoglio non è uno sprovveduto, ha sangue freddo, anzi, una crudele freddezza che lo rende terribilmente pericoloso. Ma allo stesso tempo è evidentemente abbastanza disperato da essere corso all’ospedale ad eliminare Ginger e Sisma senza aver avuto il tempo materiale di pianificare con cura le sue mosse, spinto dall’impulso del momento o forse… forse dal fatto di non avere più nulla da perdere, se Gaetano ha ragione. Ma, se sa di essere, con tutta probabilità, un morto che cammina, perché tutta questa ostinazione di eliminare Ginger e Sisma e di coprire le sue tracce? Che differenza può fare la prospettiva di essere incriminato quando sai di essere ad un passo dalla tomba?
 
Ed un pensiero la fulmina: si chiede se la zona del braccio che sta afferrando in modo così spasmodico sia quella vicina al morso. Perché deve esserci stato un morso.
 
Le palpebre si spalancano e quegli occhi lucidi e taglienti si fissano nei suoi, quasi come se avesse percepito il suo sguardo e i suoi pensieri. E non c’è nulla di benevolo nella sua espressione.
 
“Che hai da guardare?” sibila, afferrando la pistola dal grembo e tornando a puntargliela contro.
 
“No, niente… è che… mi è sembrato di notare che avesse dolore alla spalla…” abbozza, dato che dire parte della verità è sempre la miglior bugia, affrettandosi ad aggiungere, notando il suo sguardo farsi ancora più torvo, “deformazione professionale…”
 
“Non sto avendo un infarto, se è ciò che speri,” proclama sardonico, prima di aggiungere con un sorriso inquietante, “e se stai invece pensando di fare la parte della brava infermiera, magari di convincermi a slegarti per permetterti di curare le mie ferite… non sono un idiota.”
 
“Non ho mai pensato questo e-“
 
“Ah no? E allora il tuo svenimento nel corridoio? Devi ringraziare la presenza dei poliziotti e il fatto che avere due ostaggi è meglio di averne uno soltanto, o saresti già morta, chiaro?” soffia, alzandosi e avvicinandosi in due rapide falcate, fino a torreggiare su di lei, il viso a pochi centimetri dal suo, l’alito pesante e quasi marcio che le causa un conato che trattiene a stento, “e se ci tieni a rimanere in vita, ti consiglio di non farti venire altre idee per tentare di fregarmi.”
 
“Non stavo cercando di fregarla: mi sono spaventata e ho avuto un mancamento… non avevo mai avuto una pistola puntata addosso…” risponde, cercando di sembrare sincera quanto spaurita, “e, se lei è ferito, il giuramento di Ippocrate che ho fatto quando sono diventata infermiera, mi impone di aiutarla e di curarla, per quanto mi è possibile.”
 
“I giuramenti sono fatti per essere rotti, sono solo parole vuote che non significano niente,” ribatte, tagliente ma con una punta di amarezza, lasciando involontariamente trapelare forse la prima flebile traccia di umanità, “nessuno fa niente per niente: fai questo lavoro perché ti pagano per farlo.”
 
“Ho scelto questo mestiere perché mi piace farlo, perché mi piace aiutare gli altri e-“
 
“E un conto è aiutare gli altri, un conto è farlo rischiando la propria vita. Se te ne darò la possibilità, so che farai qualsiasi cosa per salvarti la pelle, anche uccidere, anche uccidermi, come farebbe chiunque altro al tuo posto. Tutti noi usiamo gli altri: l’amore, l’amicizia, la famiglia… sono tutte palle. Sopportiamo gli altri fino a che ci danno qualcosa in cambio, fino a che ci fa comodo,” la interrompe, nuovamente gelido tanto quanto cinico, per poi soffiarle sulle labbra, “o sei forse una masochista? Mia moglie era così, lei amava soffrire, stare male, recitare la parte della martire, avere sempre qualcosa di cui lamentarsi, per avere la scusa buona per non fare mai nulla.”
 
“Perché ne parla al passato? È morta?” domanda Claudia, decidendo di farlo parlare e di vedere dove questo la condurrà. Nonostante il cinismo è comunque un contatto, un’apertura, anche se minima, e deve sfruttarla.
 
“No, ma è come se lo fosse. Se ne è andata anni fa, mi ha abbandonato, lei e mia figlia mi hanno abbandonato, dopo tutto quello che ho fatto per lei, per loro. Mi hanno rovinato la vita… e per cosa, per cosa?!” esclama, rialzandosi e camminando per la stanza, come se stesse parlando da solo più che con lei, prima di tornare a fissarla in quel modo febbrile ed inquietante, e di scoppiare in una risata metallica, seguita da un paio di altri colpi di tosse, “lo so cosa stai cercando di fare, ma non funziona…”
 
“Che cosa?” gli chiede, fingendo di non capire.
 
“Cercare di farmi parlare, aprire, magari di psicanalizzarmi, anche se non sei una psicologa o una psichiatra ma solo un’infermiera. Non mi metterò qui a fare una confessione cuore a cuore. Non me ne frega niente di parlare con te, con voi,” le sputa addosso sprezzante, prima di sedersi nuovamente, questa volta accanto a lei.
 
“È stato lei a tirare in ballo la sua ex moglie, io mi stavo solo accertando se stesse bene e mi ero offerta di aiutarla in caso contrario. Sarò solo un’infermiera ma so curare molte ferite, quelle fisiche. Per quanto riguarda le ferite della psiche o dell’anima o come vuole definirle, ne ho viste tante in questi anni, ma non mi sognerei mai di mettermi a psicoanalizzare qualcuno. Soprattutto non qualcuno che mi ha prima puntato una pistola addosso e poi mi ha legata e imprigionata e che può farmi fuori in qualsiasi momento,” replica, decidendo di cambiare tattica, capendo che essere troppo… troppo buona e dolce non la porterà da nessuna parte, non con un uomo del genere.
 
“No, non sei affatto un’idiota come la mia ex moglie. Anche perché non le somigli per niente, non hai la faccia appesa da martire, per non parlare del resto…” commenta, squadrandola da capo a piedi, indugiando sul seno e sulle gambe in un modo che le fa correre un brivido lungo la schiena: si rende conto ancora di più di essere completamente indifesa e di quanto lui sia vicino, troppo vicino, “tu gli uomini sei abituata a rigirarteli come vuoi, non è vero?”
 
“Non so come fosse la sua ex moglie ma io ho di meglio da fare che passare il mio tempo a raggirare o rigirare gli uomini, anche perché sono felicemente fidanzata,” replica d’istinto, senza dover nemmeno sforzarsi di recitare, “e mi dispiace che sua moglie e sua figlia l’abbiano abbandonata, ma a me sembra che in quanto a vittimismo anche lei non scherzi. Se sua moglie era davvero come la descrive, avrebbe dovuto ringraziare il cielo di essere nuovamente libero e cercare di rifarsi una vita!”
 
Il silenzio cala nella stanza, Misoglio la fulmina con un’occhiata omicida, sollevando una mano tremante e chiusa a pugno a due centimetri dal suo viso. Claudia sente il cuore rimbombarle nel petto, rendendosi conto di avere forse esagerato con la provocazione e aspettando uno schiaffo o un pugno che non arrivano.
 
Improvvisamente, la mano si apre e dita spesse, forti e piene di calli la afferrano per la mandibola e tirano, costringendola ad allungare il collo, mentre lame calde e pulsanti le trafiggono la nuca e le spalle e si sente quasi soffocare.
 
“Bene, bene, abbiamo gettato la maschera. Dimmi, nascondi spesso il tuo caratterino e la tua lingua lunga per interpretare la parte dell’infermierina innocente, ingenua e compassionevole?” le sibila in un orecchio, mantenendo la presa ma abbassando la mano, dandole modo di respirare nuovamente.
 
“Non recito nessuna parte e sono un’infermiera, una brava infermiera che cerca di fare il suo lavoro al meglio, senza mai risparmiarsi!” ribatte infine, trattenendo una smorfia di dolore.
 
“Lo immagino… in altre circostanze mi piacerebbe molto farmi curare da te,” le soffia sulle labbra, l’espressione che passa dalla furia ad un’evidente eccitazione.
 
Claudia trattiene a stento un conato di vomito e la voglia di sputargli in faccia mentre sente l’altra mano posarsi su un ginocchio velato solo dai collant e risalire di qualche centimetro: la situazione le è sfuggita completamente di mano.
 
Non si è sbagliata quando ha pensato che contraddirlo avrebbe fatto più presa su di lui che essere accondiscendente, ma ha funzionato troppo.
 
Misoglio è indubbiamente un sadico, un sadico che prova piacere a provocare sofferenze agli altri, a soggiogare gli altri. Ed è anche in parte un masochista, che si crogiola nelle sue disgrazie e che, soprattutto si attacca ancora di più alla preda quando questa reagisce, si ribella, lo sfida, in una specie di gioco di sottomissione.
 
“Non mi tocchi: non sono quel genere di infermiera, né di donna!” intima in modo deciso ma senza alzare i toni, serrando ancora più forte le gambe.
 
“Voi donne siete tutte fatte della stessa pasta, tutte uguali! Lo vuoi sapere perché non mi sono rifatto una vita? Un uomo della mia età, non bello, non ricco? Sai che genere di donne trovano gli uomini come me? Al massimo qualche badante, di solito dell’Est, ma con la crisi magari si trova anche qualche italiana, per cui i miei pochi soldi e la mia casa sono meglio che niente,” proclama sprezzante, non accennando a rimuovere la mano, anzi percorrendo altri centimetri di coscia, alternando lo sguardo tra lei e la giovane Oksana che, dal nome, sicuramente viene o dalla Russia o da uno dei paesi limitrofi, “ma se voglio una puttana, vado in strada e me ne trovo una che non finge di essere quello che non è!”
 
Claudia avrebbe mille risposte sulla punta della lingua, dal fargli notare che anche se bello e ricco nessuna donna non opportunista o senza gravi problemi di autostima e amor proprio si sarebbe mai interessata a lui, al fatto che per ogni “puttana” o “opportunista” di solito c’è un “cliente” consenziente e consapevole dall’altra parte. Ma non può permetterselo, la verità è che una parte di lei è paralizzata dalla consapevolezza di quello che potrebbe succedere e che l’atterrisce ancora di più della prospettiva della morte. Cerca di tirare un respiro e di scacciare in un angolo le paure: lei è addestrata per situazioni di questo tipo, deve essere razionale, non deve lasciarsi prendere dal panico. Lei può farcela, può sopravvivere, è più forte di questo, è più forte di lui.
 
Prima che possa aprire bocca, il suono di un telefono cellulare squarcia il silenzio della stanza. Claudia riconosce la suoneria ancora prima che Misoglio sposti finalmente quella maledetta mano per estrarre da una tasca il cellulare che le appartiene e che le ha requisito. Ringrazia il cielo di avere sempre avuto l’abitudine di salvare i contatti solo per nome, con al massimo il cognome puntato, e di non tenere mai in memoria alcun messaggio riferibile ad indagini in corso o al suo lavoro. Una precauzione martellatale nella testa dal suo primo capo fino alla nausea, in caso il suo cellulare fosse andato “smarrito” o fosse stato rubato, per evitare mal di testa enormi a sé stessa, ai colleghi e possibili pericoli per amici, parenti e semplici conoscenti. Misoglio non le aveva nemmeno controllato il cellulare, ad onore del vero, ma almeno non avrebbe trovato nulla che potesse immediatamente identificarla come un vicequestore di polizia.
 
Misoglio chiude la comunicazione ma il telefono riprende quasi subito a squillare, ancora prima che possa riporlo in tasca.
 
“Chi è questo Gaetano che non capisce che non hai voglia di parlargli?” le domanda sarcastico, mostrandole il display dello smartphone.
 
“È il mio fidanzato…  ero al telefono con lui quando lei ci ha… ci ha prese in ostaggio,” replica, continuando con la bugia inventata su due piedi per avvertire Gaetano di cosa stava accadendo, “gli avevo detto che l’avrei richiamato e magari non sentendomi si è preoccupato, forse è già uscita la notizia di… tutto questo.”
 
“Benissimo… bisognerà rassicurarlo, no?” le chiede Misoglio con un tono ancora più sardonico, prima di sfiorare il display e accettare la chiamata, mettendo il viva voce, “pronto?”
 
“Pronto? Cercavo Claudia ma forse ho sbagliato numero…” replica dall’altra parte della cornetta una voce lontana, distorta e metallica, come quando c’è poco campo.
 
“No, non hai sbagliato numero, caro Gaetano. Claudia è qui con me,” ribatte con tono derisorio, “ma ha le mani… impegnate e non può rispondere al telefono.”
 
“Chi è lei? Un collega?”
 
“No, sono… un amico. Io e Claudia ci stavamo divertendo un po’, non è vero?”
 
“Gaeta-” prova a rispondere Claudia, ma il nome di lui si perde in un mugugno disperato perché Misoglio le tappa la bocca con una mano.
 
“Che sta succedendo lì?” domanda la voce dall’altro capo della cornetta, tra gli sfrigolii di elettricità statica.
 
“Che cosa vuoi che stia succedendo? Perché non usi la tua immaginazione, Gaetano?” replica Misoglio, scoppiando in una risata beffarda.
 
“Senta, non so chi è lei e a che gioco sta giocando, ma mi faccia parlare con Claudia!”
 
“Non posso: io e Claudia siamo troppo impegnati in questo gioco, non è vero, Claudia?” continua a provocarlo in modo canzonatorio e malizioso, “invece so chi sei tu, Gaetano: uno che non guarda spesso i telegiornali, non è vero?”
 
“Cosa sta dicendo? Mi faccia parlare con Claudia, maledizione!!”
 
“Senti, qui le regole del gioco le detto io, non tu. Ti consiglio, se ci tieni alla tua Claudia, di cambiare tono, anzi di stare proprio zitto e di dare un’occhiata alle ultime notizie…” intima minaccioso, essendosi evidentemente stufato di giocare con lui, buttando giù la comunicazione.
 
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“Ha buttato giù, maledizione!”
 
“Non può richiamare, Berardi, lo sa anche lei, non possiamo permetterci di innervosirlo di più,” lo blocca il questore, posandogli una mano sul braccio che regge il cellulare.
 
“Innervosirlo?! Ma ha capito cosa stava per fare a Claudia? La situazione sta precipitando!” ribatte Gaetano, ancora scosso e schifato da quello che ha sentito.
 
“Noi abbiamo fatto quello che potevamo, l’abbiamo distratto e magari abbiamo dato alla dottoressa Milani una scappatoia. Non possiamo fare altro!”
 
“Potremmo cercare di contattarlo per capire cosa vuole e-“
 
“Lo sa anche lei che non possiamo farlo, che se lo contattiamo noi e iniziamo le trattative non avremo molto tempo per dargli ciò che vuole, qualsiasi cosa sia. E stiamo ancora evacuando l’ospedale e fino ad allora non possiamo interrompere il flusso d’ossigeno e la Milani e l’infermiera sono sedute in una bomba pronta ad esplodere. Dobbiamo aspettare che ci contatti lui, ascoltare ed aspettare, lo sa anche lei Berardi che è l’unica cosa sensata da fare!”
 
“Quindi dobbiamo aspettare ed ascoltare mentre quel… mentre Misoglio… non riesco nemmeno a dirlo!” sbotta Gaetano, il cuore e lo stomaco che bruciano… in tanti anni di carriera non ha mai provato nulla di così viscerale come la rabbia e l’odio che prova per quel sadico, lurido maiale che risponde al nome di Fausto Misoglio.
 
“Capisco quello che prova, Berardi, ma la priorità ora è tenere la Milani e l’infermiera in vita. Da qualsiasi esperienza, anche la più traumatica, ci si può ancora riprendere, ma alla morte non c’è rimedio,” ribatte il questore, con un tono che fa imbestialire ancora di più Gaetano.
 
“Eh, certo, facile a parlare quando le esperienze traumatiche capitano agli altri e non a lei, signor questore!” sibila Gaetano, sentendo l’odio e la rabbia nei confronti di Misoglio mischiarsi a quelli nei confronti di chi aveva innescato questo disastro.
 
“Davvero sveglio il tuo Gaetano… si vede che l’hai scelto per l’intelligenza,” la voce di Misoglio, sprezzante, esce dagli altoparlanti collegati al microfono di Claudia, “toglimi una curiosità, che lavoro fa? Operaio, netturbino, falegname, immagino?”
 
“No, certo che no… tu sei una che può puntare in alto, anche se ormai stai diventando vecchia. Ma ancora per qualche anno puoi avere qualsiasi pollo da spennare, no?” prosegue imperterrito, di fronte al silenzio apparente di Claudia, evidentemente proseguendo le sue fini argomentazioni su come le donne sarebbero tutte paragonabili a delle prostitute.
 
“Gaetano non è un pollo da spennare e non è uno stupido! Anzi, è un vero genio!” sentono infine Claudia pronunciare, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “Gaetano è un medico e-“
 
“Ma certo il medico e l’infermiera: un classico! Ti sei sistemata bene, eh?! Ed è davvero un genio, visto che non sa nemmeno cosa sta succedendo nel suo ospedale…”
 
“Gaetano non lavora qui… ma al centro malattie infettive e tropicali. È uno dei maggiori esperti in diagnostica in Italia, ha girato mezzo mondo e c’è gente che viene da tutta Italia per farsi visitare da lui!”
 
“Claudia…” sussurra Gaetano, capendo dove la donna stia andando a parare, ammirato e preoccupato al tempo stesso.
 
“Cercatemi i nomi dei medici del centro malattie infettive e tropicali, presto!” ordina Gaetano a Marchese, seduto in un angolo del furgone della polizia da cui stanno coordinando l’operazione, mentre lui invece compone di nuovo il numero di Claudia.
 
“Ma che fa, Berardi? È impazzito?” sbotta il questore, cercando di bloccarlo.
 
“Stia zitto e ascolti!” taglia corto Gaetano, svicolandosi dalla presa del questore.
 
Sentono la suoneria del telefono di Claudia risuonare, distorta dalle casse.
 
“Come volevasi dimostrare: è di nuovo il tuo pollo… non deve proprio tenerci alla tua sopravvivenza…” commenta Misoglio, prendendo di nuovo la chiamata, mentre Gaetano sente, sia negli altoparlanti, sia nel ricevitore del telefonino, “Gaetano, sei sordo o non capisci l’italiano?”
 
“Ho visto le notizie… lei ha preso in ostaggio Claudia,” pronuncia deciso, avendo già nuovamente attivato il distorsore vocale che dovrebbe impedire a Misoglio di riconoscere la sua voce.
 
“Che intuito! Sai, io e Claudia stavamo giusto parlando di te… a quanto dice lei sei un vero genio, ma a me sembri solo un povero idiota,” replica Misoglio sprezzante, “toglimi una curiosità, Gaetano, che lavoro fai?”
 
“Non vedo questo cosa c’entri… mi dica cosa vuole per liberare Claudia: se è per i soldi, non sono un problema!” ribatte Gaetano, sperando di riuscire ad essere credibile nella recita.

“Lo immaginavo… una come la tua Claudia non si accontenta certo degli spicci e vale un bel po’ di soldi. Ma se vuoi avere una minima speranza di rivederla tutta intera, ti consiglio innanzitutto di rispondere alle mie domande. Non devi nemmeno fare lo sforzo di pensare, solo di rispondere…”
 
Gaetano afferra il tablet che Marchese gli sta porgendo. L’elenco dei medici… lo scorre rapidamente, mentre risponde per prendere tempo.
 
“D’accordo, d’accordo… sono un medico, per quanto le possa interessare…”
 
“Che tipo di medico? Chirurgo plastico?” domanda sempre più derisorio e beffardo.
 
“Mi occupo di diagnostica… i miei pazienti sono persone con malattie strane, rare o apparentemente inspiegabili. Io li visito, cerco di capire che cosa abbiano e spesso ci azzecco. Soddisfatto?”
 
“Dipende… dunque, Gaetano, questo è quello che devi fare: apri bene le orecchie e non farti venire brillanti idee. Ora tu metti giù questo telefono e invece di continuare a disturbarmi e a farmi innervosire, chiami la polizia e spieghi loro chi sei e che hai parlato con me e-“
 
“Ma io non so nemmeno chi sia lei e-“
 
“A te non deve importare chi sono io, gli sbirri o lo sanno o lo scopriranno presto. Chiedi dell’eroico vicequestore Berardi, si chiama Gaetano come te, anche se mi sembra un po’ più sveglio di te, non di molto in realtà. E dici a loro di chiamarmi al numero della tua Claudia, che comincio ad offendermi per questa mancanza di considerazione e che se mi annoio, potrei sempre decidere di far partire i fuochi d’artificio per divertirmi un po’. Poi alzi le chiappe e vieni qui in ospedale e… vedremo quanto ci tieni alla tua bella.”
 
“Venire lì? Perché?”
 
“Usa la tua immaginazione, dottore… a proposito, ce l’hai un cognome?”
 
Gaetano conosce il motivo di quella domanda: ormai ha fatto scorrere tutto l’elenco, e, come temeva, non c’è nessuno che si chiami Gaetano. Ma ha già scelto il nominativo di uno dei diagnosti e fatto una rapida ricerca su google: nessuna foto, grazie al cielo.
 
“La Torre, dottor Gaetano Andrea La Torre. Ha bisogno di altre informazioni?” domanda sarcastico, inserendo il vero nome del medico come secondo nome. Non è detto che Misoglio controlli, ma non si sa mai, visto quanto è paranoico.
 
“No, ma ti consiglio di evitare quel tono. E non chiamare più. Sarò io a chiamarti. E dì agli sbirri che aspetto una chiamata entro un’ora… altrimenti qui l’atmosfera si farà… incandescente…”
 
“Si  può sapere che le ha preso?!” chiede il questore, furioso.
 
“Ho colto al volo l’assist che ci ha offerto Claudia, prima che fosse troppo tardi… ora dobbiamo-“
 
“Ora dobbiamo richiamare quel pazzo entro un’ora! Le ho detto che bisognava prendere tempo e lei invece-“
 
“Ed è quello che sto facendo: sto prendendo tempo e sto organizzando un modo per tirare fuori Claudia e l’altro ostaggio di lì! Non potevamo aspettare in eterno e lo sa anche lei… cosa sperava? Che Misoglio non si facesse vivo fino a notte inoltrata? Che Claudia si sacrificasse e lo… lo tenesse impegnato fino ad allora?” lo interrompe a sua volta, altrettanto furioso, “ora abbiamo un piano, signor questore, un piano per depistare Misoglio, prendere tempo, infiltrare uno dei nostri uomini lì dentro e neutralizzarlo. Ma mi servono informazioni per metterlo in atto con successo e ho meno di un’ora per ottenerle. Ho gestito decine di sequestri come questo e grazie a dio non ci sono mai state vittime: mi lasci lavorare!”
 
“Berardi…” sussurra il questore, tirando un respiro prima di annuire, “va bene: ma la responsabilità sarà solo sua se qualcosa dovesse andare storto!”
 
Gaetano si limita a scuotere il capo, incredulo e ancora più disgustato dall’enorme faccia tosta del questore. Ma non ha tempo di ribattere: è ora di entrare in azione.
 
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“Sì, ho capito tutto, credo… dottor La Torre, non so come ringraziarla: è un’idea geniale. E mi scuso per averla coinvolta in questa messinscena, ma, se tutto va in porto, grazie al suo contributo salveremo la vita di ben più di una persona ed eviteremo la distruzione di interi reparti di questo ospedale.”
 
“No, si figuri, dottor Berardi, anzi, mi ritengo onorato che abbia scelto proprio me per questo ruolo,” replica il dottore, con il tono gentile ed appassionato che ha mantenuto praticamente per tutta la conversazione, da quando gli aveva riferito di essersi fatto passare per lui con un sequestratore, “devo ammettere che è la prima volta che mi capita una cosa del genere, di usare le mie conoscenze in questo modo ma… la mia missione come la sua è proprio quella di salvare quante più vite possibile, quindi può contare su di me…. Venti minuti al massimo e sarò lì: è davvero sicuro di non volere che intervenga io di persona?”
 
“Sì, dottore, è molto generoso da parte sua, ma sarebbe troppo pericoloso e non posso permetterlo. Allora la aspetto e se qualcuno dovesse cercarla…”
 
“Stia tranquillo, ho già dato precise istruzioni alla mia segretaria e al centralino di riferire che non sono qui e di dare il suo numero di telefono a chiunque dovesse cercarmi oggi pomeriggio. E anche i miei colleghi e il primario sono già stati allertati mentre studiavamo la soluzione al problema che lei ci ha posto. Nessuno qui farà saltare la sua copertura: abbiamo a che fare quasi ogni giorno con malattie che potrebbero causare delle vere e proprie psicosi tra la popolazione e siamo abituati a tenere il massimo riserbo. A tra poco!”
 
“A tra poco!” conferma, chiudendo la chiamata e tirando finalmente il fiato. Afferra i fogli su cui ha scarabocchiato gli appunti presi durante questa telefonata e sente quel fermento, quell’adrenalina in circolo che scatta quando sa esattamente cosa deve fare e come farlo e si prepara ad andare in prima linea.
 
“Marchese, contattami il primario di pneumologia: lo so che sarà impegnato con l’evacuazione, ma ho bisogno del suo aiuto. Signor questore, lei conosce gli uomini della Milani?” domanda, rivolgendosi per la prima volta dopo più di mezz’ora all’uomo che ha assistito in disparte a tutta la scena e che ora lo osserva tra lo sconcertato e l’ammirato.
 
“No, ammetto di no, ma può chiedere al vice della Milani, l’ispettore De Santis. Glielo chiamo,” replica il questore, aprendo la porta del van e facendo un paio di cenni ad un uomo lì vicino, ancora travestito da infermiere.

“Mi cercava signor questore?” chiede l’ispettore, un uomo sulla quarantina, alto, magrolino e dai folti capelli ricci, salutando formalmente entrambi i superiori.
 
“Sì, il dottor Berardi aveva bisogno di qualche informazione sui tuoi colleghi,” spiega il questore, facendosi nuovamente da parte.
 
“Mi serve qualcuno che sia in grado di interpretare un medico. Deve essere di sesso maschile, capace di recitare una parte che gli spiegherò e di seguire precisamente le istruzioni e, soprattutto, capace di fare un’iniezione. Non un’endovena, una semplice iniezione. C’è qualcuno che corrisponde a queste caratteristiche?”
 
“Beh, io ho fatto il volontario del 118 quando ero più giovane, sono in grado di fare un’iniezione e in quanto a recitare… non è la prima volta che mi capita di interpretare un ruolo durante una missione. Se mi spiega che cosa devo fare…” risponde l’ispettore, senza un attimo di esitazione.
 
“Quindi ha già fatto delle irruzioni? Nel corpo a corpo come se la cava? Non avremo armi a disposizione,” gli ricorda Gaetano, un po’ dubbioso, dato che l’ispettore sembra molto esile e sa quanto sia forte e robusto Misoglio.
 
“Pratico arti marziali da una vita, lo so che sembro mingherlino ma so difendermi,” ribatte l’ispettore, punto nell’orgoglio.
 
“Non sarebbe meglio attendere i reparti speciali e chiedere a uno dei loro agenti? Intanto può ricontattare Misoglio per prendere tempo, visto che non manca molto allo scadere dell’ora…” si intromette il questore, sembrando altrettanto dubbioso.
 
“Non lo so quanto tempo abbiamo e gli uomini dei reparti speciali hanno praticamente tutti “Rambo” scritto in fronte. Lui di aspetto è più credibile e meno sospetto, e poi conosce bene la Milani, sicuramente ha più intesa con lei di quanta potrebbe averne un perfetto sconosciuto. Io non posso interpretare questa parte: Misoglio mi riconoscerebbe. E lo stesso vale per Marchese, che è anche troppo giovane per il ruolo,” controbatte Gaetano, dopo aver soppesato i pro e i contro.
 
“Intesa?”
 
“Sì, forse ho dimenticato di dirle che lei, oltre ad essere un brillante medico diagnostico, è anche il fidanzato dell’infermiera Claudia Milani,” spiega Gaetano, notando immediatamente le guance dell’uomo farsi quasi paonazze.
 
Claudia ha fatto un’altra vittima, tanto per cambiare.
 
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“Cinque minuti ancora e poi una di voi due farà una brutta fine e mi sa che tocca proprio a te, mia cara Claudia. Evidentemente il tuo fidanzato non ci tiene poi così tanto alla tua incolumità…”
 
“Magari ha avuto  problemi a farsi credere dalla polizia… sono sicura che chiameranno!” risponde Claudia ad alta voce, mandando un chiaro messaggio ai colleghi che, ora lo sa, la possono sentire.
 
Quando Gaetano aveva richiamato quasi subito e Misoglio gli aveva chiesto che lavoro facesse, per un attimo aveva visto la morte in faccia, sicura che la sua bugia sarebbe stata smascherata.
 
E invece, come sempre accadeva dai tempi dell’addestramento, lei e Gaetano si erano capiti al volo, ed era sicura che lui stesse pianificando le prossime mosse e, soprattutto, cercando qualcuno che potesse interpretare la parte del suo fidanzato.
 
Ma adesso teme che stiano tirando troppo la corda e prega con tutte le sue forze che quel dannato telefono squilli.
 
La sua suoneria la fa quasi sobbalzare e sa già che, se uscirà viva di lì, le toccherà cambiarla: ormai ne odia il suono.
 
“Pronto? Con chi ho il piacere di parlare?” domanda Misoglio, sarcastico, vedendo sul display un numero a lui sconosciuto e attivando nuovamente il vivavoce.
 
“Sono Berardi, mi hanno riferito che mi voleva parlare…” risponde la voce familiare ed inconfondibile dall’altro capo del telefono.
 
“Alla buon’ora, pensavo che il dottorino se la fosse fatta sotto. Del resto si chiama come lei, ma mi chiedo se lei sia leggermente più sveglio, Berardi…” commenta sprezzante, prima di aggiungere con tono canzonatorio, “almeno lei sa chi sono o devo fare le presentazioni?”
 
“No, signor Misoglio, non è necessario. Riconosco la sua voce e in ogni caso le registrazioni delle telecamere dell’ospedale non lasciano dubbi,” ribatte Gaetano e Claudia capisce che non vuole scoprire del tutto le sue carte e far capire a Misoglio esattamente quanto sa.
 
“Benissimo. Allora non perdiamo altro tempo, lei sa meglio di me come funziona. Basta un mio gesto e qui salta tutto in aria… o posso bruciare vive gli ostaggi, anche una alla volta… un po’ mi dispiacerebbe, ci stiamo divertendo molto insieme,” proclama Misoglio, scoppiando in una mezza risata seguita dall’immancabile attacco di tosse.
 
“Che cosa vuole Misoglio?” taglia corto Gaetano, dopo che l’uomo ha smesso di tossire.
 
“Molte cose… ma, per cominciare, voglio il dottorino, voglio che venga qui a trovare me e la sua bella e che si porti dietro il necessario per… diciamo per visitare un paziente. Ma niente oggetti taglienti, appuntiti, niente che possa essere usato come un’arma, altrimenti mi costringerete a testarli su una delle mie due infermiere personali… o forse su tutte e due…”
 
“Quindi vuole che il dottor La Torre venga lì da solo a farle da terzo ostaggio?” domanda Gaetano, con tono apparentemente incredulo, “e lei cosa mi offre in cambio, Misoglio?”
 
“Qualche altra ora di vita di queste due bellezze e comunque no, non da solo. Voglio vedere mia figlia, Berardi,” chiarisce Misoglio con tono improvvisamente serio e deciso.
 
“Ilenia?!” chiede Gaetano e questa volta, Claudia lo capisce, è davvero spiazzato.
 
“Non ho altre figlie, Berardi. Per fortuna o purtroppo …”
 
“Signor Misoglio, sua figlia ha la polmonite, la sua situazione è molto grave e ha bisogno di riposo assoluto. È ricoverata al policlinico, lo saprà anche lei. Non può muoversi da lì,” ribatte Gaetano, altrettanto deciso.
 
“Dovrà muoversi da lì e venire qui, se non vuole avere almeno altre due morti sulla coscienza… anche se ne ha già tante altre. E poi questo è un ospedale, siamo perfino accanto alla pneumologia… può avere tutto l’ossigeno che le serve,” commenta sarcastico e gelido e Gaetano capisce che non cambierà idea. Che è per questo che ha preso quegli ostaggi, solo per questo.
 
“Quindi lei vorrebbe che io le spedissi lì dentro altri due ostaggi, tra cui sua figlia che è gravemente malata?”
 
“Ma non sarebbero da soli, oh no, perché voglio anche lei, Berardi,” aggiunge Misoglio in quello che suona quasi come un sibilo, “ovviamente disarmato e senza microfoni e altri trucchetti del mestiere, a meno che non vuole diventare un carboncino insieme agli altri ostaggi.”
 
Claudia sente il silenzio dall’altra parte della cornetta, sa che Gaetano, come lei, sta riflettendo su cosa abbia in mente Misoglio. Niente di buono, ne è sicura.
 
“Che c’è, commissario? Non dirmi che hai paura… in ogni caso o vieni tu o non se ne fa niente… a meno che al tuo posto vuoi mandarmi qui la tua… amichetta, se preferisci. Tanto lo so che è lei che porta i pantaloni tra voi due,” sputa Misoglio, tra l’irritato e il derisorio.
 
“Camilla?!” pronuncia Gaetano e anche senza vederlo, Claudia percepisce che sta trattenendo a stento la rabbia, “senta Misoglio, è ovvio che verrò io, ma prima voglio qualcosa in cambio da lei…”
 
“Voglio qui voi tre entro un’ora o sapete che succede…”
 
“Eh, no, Misoglio, così non va. Le vite di sua figlia e del dottor La Torre per me valgono esattamente quanto quelle dei due ostaggi che ha già in mano. Facciamo così… ora io sento i medici di sua figlia e sua figlia e vedo cosa posso fare. Intanto posso mandarle il dottor La Torre che è qui con me e mi ha confermato di essere disposto a… a raggiungerla. Ma in cambio voglio una delle due infermiere o si può scordare che io consideri anche solo l’ipotesi di farle incontrare sua figlia.”
 
“Va bene… ora le mando fuori miss Russia e mi tengo qui la fidanzatina del dottore. Se ci tiene a lei, farà meglio a raggiungerci molto presto, altrimenti avrà un bel puzzle da mille pezzi da ricomporre!”
 
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“Ha sentito? Le avevo detto che era complice di sua figlia, vuole fuggire con lei!” lo assale il questore, non appena Misoglio butta giù il telefono.
 
“No, signor questore, non ha proprio capito. A lei Misoglio sembra un uomo interessato alla fuga? Quando si è accorto che c’erano i poliziotti in ospedale, invece di andarsene prima che lo notassero, è corso a prendere degli ostaggi e a barricarsi in quella che è a tutti gli effetti una trappola senza uscita, non solo per gli ostaggi, ma probabilmente anche per lui. Se avesse voluto liberare sua figlia, il blitz avrebbe potuto farlo al policlinico dov’è sotto sorveglianza e aiutarla a fuggire. No, lui voleva scaricare la colpa su sua figlia, coprire le sue tracce. E non ha fatto alcuna richiesta per la fuga: auto, elicotteri, anche solo una bicicletta. Niente…” ribatte Gaetano, serissimo, componendo intanto un numero a lui molto familiare, “comunque se non mi crede, chiediamo un altro parere.”
 
“Chi chiama? Uno dei nostri psichiatri?” chiede il questore, stupito.
 
“No, qualcuno che conosce Misoglio padre e figlia molto meglio di me e di lei, e del cui parere mi fido ciecamente, visto che ci azzecca praticamente sempre…”
 
“Gaetano? Grazie a dio! Come stai, che succede lì? Siete su tutti i tg!” lo saluta la voce di Camilla, infondendogli immediatamente un senso di pace.
 
“Tutto bene per ora, Camilla, ascoltami, ti ho messo in vivavoce, c’è anche il questore con me e voglio un tuo parere…”
 
“Berardi, per favore, le sembra il momento?!” sbotta il questore, a dir poco irritato.
 
“Mi sembra che il questore invece non lo voglia un mio parere, Gaetano,” replica Camilla dall’altra parte del telefono con tono neutro e cauto.
 
“Ma io sì. Camilla, Misoglio in cambio della liberazione degli ostaggi vuole, tra le altre cose, che porti da lui Ilenia. Che ne pensi?” le domanda, anche se in cuor suo conosce già la risposta.
 
“Misoglio ha capito di essere gravemente malato, vero?” chiede di rimando Camilla, in quella che suona come un’affermazione.
 
“Sì, diciamo che ha chiesto anche la visita di un medico – o meglio, di quello che lui ritiene essere un luminare della diagnostica, quindi sa che c’è qualcosa che non va. E se è stato morso, immagino che sospetti che si tratti di Rabbia…”
 
“Non so chi sia questo medico, ma è importante che non confermi la diagnosi a Misoglio, che si inventi qualcosa: Misoglio non deve avere la certezza che sta morendo,” replica Camilla, la voce carica di preoccupazione, confermando la sua idea, prima di chiedere, esitante, “ha chiesto altro?”
 
“Sì… vuole che vada anche io da lui, con Ilenia,” ammette, dopo lunghi attimi di silenzio, interrotti solo dal respiro dall’altra parte della cornetta. Sa che è come se stesse dando una pugnalata al cuore di Camilla, ma non può mentirle, non servirebbe a niente mentirle ora.
 
“Nient’altro?” sussurra infine Camilla e Gaetano sente nettamente il tremore nella voce.
 
“No, nient’altro,” conferma, sapendo benissimo quello che sta pensando.
 
“Se tu e Ilenia vi consegnate a lui, non ne uscirete vivi, Gaetano, ne sono sicura. Misoglio farà di tutto per far sì che tu e Ilenia… maledizione!” esclama, mentre la voce le si spezza in più punti, prima di aggiungere, in un tono basso e roco che quasi lo spaventa, “anche se riuscirete a convincerlo che non sta morendo, magari tenterà di fuggire invece di… invece di suicidarsi anche lui, come credo avesse in mente quando ha deciso su due piedi di tentare questo sequestro. Ma voi… lui vuole distruggere Ilenia, Gaetano, è quello che ha tentato di fare fin dall’inizio. O forse di distruggere la sua ex moglie, non lo so. E poi… e poi ce l’ha anche con me, per il ruolo che secondo lui ho avuto nella fuga di sua figlia e di sua moglie. E sa benissimo cosa tu significhi per me, Gaetano.”
 
“È quello che penso anche io, Camilla,” ammette Gaetano, e sono forse le parole più difficili che abbia mai pronunciato, “ma ho un piano, un buon piano e credo possa funzionare.”
 
“Lo sai che non ti chiederei mai di… di rinunciare Gaetano. E mi fido di te,” pronuncia a fatica con un tono che vorrebbe essere deciso ma Gaetano sente benissimo che sta trattenendo le lacrime, “fai quello che sai fare e… chiamami appena… appena sarà tutto finito, ok?”
 
“Ok, ricordati cosa ti ho detto, professoressa. Sempre.”
 
Sempre,” sussurra lei di rimando, prima di chiudere la telefonata.
 
“Se queste sono davvero le intenzioni di Misoglio, non posso permettere a lei e alla Misoglio di andare lì dentro,” pronuncia il questore, sembrando sinceramente scosso.
 
“Sono convinto che Camilla abbia ragione, signor questore, ma lo sappiamo tutti e due che non c’è altra scelta e che lei non mi ordinerà mai di fermarmi,” ribatte, senza più rancore, solo un senso di inevitabilità, “non può permetterselo, non possiamo permettercelo.”
 
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“Amore, tutto bene?!”
 
“Gaetano! Sei stato gentile a raggiungerci! Certo, devo proprio dire che non l’hai scelto per l’avvenenza, vero Claudia?” ribatte Misoglio, canzonandolo, “e nemmeno per la voce melodiosa, che era quasi meglio distorta dal telefono.”
 
“Io sto bene, tranquillo,” rassicura Claudia con un sorriso amorevole, affrettandosi a svicolare da questo argomento pericoloso, guardando negli occhi De Santis, vestito da medico, con camice e tanto di valigetta in mano. È ridicolo e surreale allo stesso tempo e prega che l’ispettore sappia quello che sta facendo, che Gaetano sappia cosa sta facendo.
 
“Come siete teneri! Molla la valigetta! Al muro, appoggia le mani sul tubo lì sopra,” intima, spingendolo con la pistola premuta nella schiena. Continuando a tenerlo sotto tiro lo perquisisce e lo tasta, cercando qualsiasi rigonfiamento sospetto.
 
“Bene, svuota la valigetta su quella sedia e non tentare nessuna mossa, se ci tieni al prezioso cervello della tua Claudia. Perché immagino che sia quello che ti attrae di lei, no?” gli ordina sarcastico, puntandole l’altra pistola alla tempia.
 
De Santis non commenta, si limita a fare quanto chiesto. Claudia intravede guanti in lattice, il misuratore di pressione, una torcia, un martelletto per misurare i riflessi, disinfettante, i bastoncini di legno per abbassare la lingua, un termometro e quel congegno per guardare nell’orecchio di cui ignora il nome.
 
“Bene, bene, ora siediti lì, dal lato opposto alla tua amata, così ti immobilizzo. E ti consiglio di non farti venire strane idee, se non vuoi un proiettile nello stomaco. Mi dicono che sia una morte orribile,” sibila Misoglio, indicando una delle seggiole.
 
“Ma come faccio a visitarla legato come un salame?” domanda De Santis, stupito.
 
“E infatti non mi visiterai tu. Mi faccio visitare da lei, tu le dai le istruzioni e lei le esegue…” spiega Misoglio con un sorriso beffardo e provocatorio, spingendolo verso la sedia.
 
“Claudia è una bravissima infermiera ma non è un medico. Certe cose devo sentirle e vederle di persona per capire di cosa si tratta e non posso farlo dall’altra parte della stanza. Se vuole il mio consulto, deve permettermi di visitarla personalmente,” ribatte De Santis, deciso, dopo un attimo di esitazione, seguendo alla lettera le indicazioni che gli vengono fornite in cuffia da Berardi e dal vero dottor La Torre.
 
Ringrazia il cielo che le cuffie sono praticamente invisibili, il ripetitore nascosto nello stetoscopio che tiene al collo e di non avere avuto bisogno di microfoni: quello addosso a Claudia è più che sufficiente.
 
“D’accordo, allora visitami!” concede dopo qualche attimo di riflessione, continuando a tenergli la pistola premuta nello stomaco, sedendosi accanto a lui e agli strumenti del mestiere.
 
“Non posso visitarla da vestito: deve togliersi il camice e la maglia,” obietta di nuovo De Santis, ricordando le istruzioni e lanciando un’occhiata verso Claudia, per poi aggiungere, con tono di chi sarebbe a disagio in caso contrario, “i pantaloni li tenga pure su.”
 
“Ma no, meglio essere accurati…” ribatte Misoglio con un sorrisino malizioso e De Santis ringrazia il cielo che la psicologia inversa funzioni sempre.
 
Tenendolo sotto tiro, lo lega per i polsi alla tubazione superiore. Soddisfatto, si piazza accanto a Claudia e inizia a spogliarsi, in un evidente tentativo di innervosire il “fidanzato”.
 
Sia De Santis che Claudia non gli levano gli occhi di dosso, anche se lui finge occhiate risentite e lei imbarazzate. Non studiano il corpo di Misoglio, non ancora, ma i vestiti. Dal modo in cui il camice cade a terra e dal suono che fa non sembra avere niente di consistente in tasca. Anche i pantaloni e la maglia sembrano “puliti”: c’è solo un coltello infilato nelle scarpe e uno alla cintura, oltre alle due pistole.
 
Niente esplosivo, del resto Misoglio non aveva avuto il tempo materiale di prepararlo questo blitz. E poi per uccidere un paziente in stato semi-comatoso, non serve certo un granché, non servono armi: le pistole e i coltelli erano già i suoi piani di back-up.
 
Non possono fare a meno di notare il fisico, indubbiamente ancora possente per la sua età, e la fasciatura che copre la spalla e la parte superiore del braccio destro, in cui è filtrato un po’ di sangue ormai rappreso. Il colore della pelle vicino alla fasciatura è scuro e ha un aspetto ben poco salutare.
 
“Che dici, bellezza? Scommetto che ho un fisico migliore io di quel mucchio d’ossa del tuo dottorino,” provoca con una mezza risata, avvicinandosi fin troppo a Claudia.
 
“Senta, vuole farsi visitare o no?” lo interrompe De Santis, spazientito.
 
“Ti consiglio di non usare quel tono con me, dottore,” sibila Misoglio, afferrando di nuovo il mento di Claudia, “altrimenti potrei farla io una visita approfondita alla tua fidanzata, che ne dici?”
 
“È evidente che vuole che guardi quella ferita e già da qui, anche se è fasciata, le posso dire che non ha un bell’aspetto. Le conviene lasciarmi fare il mio lavoro, glielo dico nel suo interesse, nell’interesse della sua salute,” replica in maniera più pacata e Misoglio, dopo attimi infiniti di silenzio, lascia andare Claudia e si avvicina a lui, slegandolo, e sedendosi accanto a lui, mentre nuovamente gli tiene lo stomaco sotto tiro.
 
“Forza, allora, visitami!” intima Misoglio, con aria spazientita.
 
De Santis si infila i guanti e, per prima cosa, rimuove la fasciatura. Pur non essendo un esperto, riconosce benissimo i segni di un morso e di una lacerazione: si vede la carne e in certi punti perfino l’osso. La ferita è in condizioni terribili, suppurata, la pelle livida e rigonfia: è evidente che ci sia un’infezione in corso e, nonostante negli anni di ferite ne abbia viste parecchie e anche di morti violente, trattiene a stento un conato di vomito.
 
“Ferita da morso con lacerazione, recente ma non troppo, direi che ha almeno una settimana… infetta…” comincia a pronunciare, dando indicazioni a Berardi e al dottore che, a loro volta, gli forniscono istruzioni.
 
Prosegue così la visita, descrivendo ciò che vede, mentre il dottore gli suggerisce termini tecnici e cosa cercare. Quando gli apre la bocca, per un attimo ha un momento di esitazione: sa che la saliva è infetta e Misoglio ha un’ipersalivazione nonostante, come sospettavano, a causa del laringospasmo e dell’idrofobia, abbia anche tutti i segni di una forte disidratazione.
 
Quando gli proietta la luce della torcia negli occhi, Misoglio la scaraventa lontano e per un attimo De Santis teme che, per una reazione riflessa, prema il grilletto.
 
“De Santis, i sintomi ci sono tutti: ipersensibilità alla luce, al tocco, battito accelerato, pressione bassa, disidratazione, laringospasmo, idrofobia, problemi respiratori, febbre, la parestesi nella zona del morso, spasmi muscolari, oltre all’infezione in corso. Non ci sono dubbi: è Rabbia e in stadio avanzato. Il morso è avvenuto in una zona vicino alla testa e quindi la malattia si è sviluppata rapidamente. Ormai per il Misoglio non c’è più niente da fare: l’unica terapia possibile è sintomatica, ma ha pochi giorni di vita, direi tre, massimo quattro,” gli conferma il dottor La Torre nell’auricolare, “probabilmente presto comincerà la paresi dei muscoli... fino alla morte per apnea.”
 
De Santis tira un profondo respiro, sa cosa deve dire e spera di risultare credibile.
 
“C’è un’importante infezione in corso, signor Misoglio. Avrebbe dovuto farsi visitare da un medico giorni fa e-“
 
“E se non sei completamente idiota, capirai perché non potevo farmi visitare da un medico. Ho disinfettato e ho preso antibiotici ma-“
 
“Ma non è stato sufficiente: la ferita non era ben pulita e non è stata medicata correttamente…” spiega De Santis pazientemente, ripetendo le parole di La Torre.
 
“Senti, andiamo dritto al punto: qual è la diagnosi? Non è solo un’infezione, vero dottore?” chiede Misoglio e per la prima volta sia De Santis che Claudia percepiscono un tremore nella sua voce, mentre attende la sentenza.
 
“Lei teme che si tratti di Rabbia, immagino, signor Misoglio, visto che si tratta di un morso?” domanda De Santis, con nonchalance.
 
“Complimenti per l’intuito, dottore. Allora? Quanto mi resta da vivere?” chiede di rimando, con un tono spavaldo che però suona vuoto.
 
“Lei sa dove è il cane che l’ha morso?”
 
“Immagino che sia in quarantena con gli altri cani sequestrati al capanno dello Scortichini, se non è già morto…” replica Misoglio, prima di aggiungere, ironico, “hai sentito la notizia al tg o devo anche spiegarti cosa è successo e perché ci troviamo qui?”
 
“Ho sentito parlare dell’omicidio di questo Scortichini e il dottor Berardi mi ha spiegato a grandi linee chi è lei e… perché siamo qui,” conferma De Santis con un sospiro, “mi ascolti, se quei cani sono in quarantena all’ospedale veterinario, le garantisco che se anche uno solo di loro avesse la Rabbia, lo avrei saputo, visto che sarebbero stati allertati tutti gli ospedali e in particolare il nostro. E visto che, mi corregga se sbaglio, è ormai passata ben più di una settimana da quando è stato morso, i cani, se infetti, ormai avrebbero già dovuto manifestare almeno i primi sintomi. Se non l’hanno fatto, non sono infetti e quindi lei non ha la Rabbia. Se vuole può chiedere conferma al dottor Berardi o-“
 
“No! Questa cosa non deve uscire di qui!” si oppone fermamente e sia De Santis, sia Claudia notano come Misoglio, insieme alla speranza, sembri aver recuperato colore in viso e decisione. Se si trattasse di qualcun altro, si sentirebbero in colpa all’idea di ingannarlo in questo modo, ma non c’è alternativa.
 
“Ma allora che cos’ho? Perché mi sono documentato e i sintomi della Rabbia mi sembra ci siano tutti…”
 
“Signor Misoglio, sa quanti casi di rabbia isterica arrivano ai pronto soccorsi in un anno? Non è vera Rabbia, semplicemente le persone che vengono morse da animali selvatici spesso cercano i sintomi, magari su internet e si autosuggestionano, e poi i sintomi compaiono sul serio: è una reazione psicosomatica.”
 
“Quindi mi stai dicendo che è tutta suggestione? Che a parte l’infezione non ho nulla?”
 
“L’infezione che ha non è da poco, signor Misoglio e comunque nel suo caso, visti i sintomi e la sua reazione agli stimoli… io credo che forse qualcosa di più ci sia, ma non è certo Rabbia. Mi dica: quando ha fatto per l’ultima volta l’antitetanica? Più o meno di dieci anni fa?” chiede De Santis, di nuovo ripetendo come un pappagallo i suggerimenti del medico.
 
“L’antitetanica? Mah… saranno… 15 anni?”
 
“Lei lo sa che i richiami vanno fatti ogni dieci anni? Se non ho capito male lei è un falegname e il suo mestiere è molto a rischio da questo punto di vista…”
 
“Sì, ma sono in pensione anche se in realtà lavoro ancora e… non sono più obbligato a farla, non mi hanno mandato avvisi e me ne sono dimenticato,” ammette Misoglio e De Santis tira un sospiro di sollievo: come avevano previsto.
 
“Il tetano ha parecchi sintomi in comune con la Rabbia: gli spasmi muscolari, la difficoltà a deglutire, a respirare, la paralisi progressiva… potrebbe averlo contratto con il morso o nei mesi scorsi durante il suo lavoro. Non ne sono certo al cento per cento, ma le consiglierei di fare la profilassi contro il tetano, antibiotici specifici e devo iniettarle il siero: prima lo facciamo e meglio è. E poi dovrei inciderle la ferita e pulirla accuratamente e-”
 
“No, te lo puoi scordare di avere in mano un bisturi o di farmi un’anestesia!” lo interrompe Misoglio con tono irremovibile.
 
“Ma una ferita del genere non guarirà mai da sola se non viene pulita prima!” obietta De Santis, trattenendo il respiro e sperando che funzioni.
 
“Tu non ti preoccupare: dammi i nomi degli antibiotici e di questo siero, così me li faccio portare. Mi fai questa puntura e basta, chiaro?!”
 
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“Sì, signor Misoglio, ho capito. Le farò avere quello che chiede e-“
 
“No! Me li porti qui tu, insieme a mia figlia!”
 
“Sua figlia sta venendo qui in ambulanza, ma ci vorrà ancora del tempo: ha l’ossigeno portatile non può muoversi liberamente…” spiega Gaetano, cercando di prendere tempo, “intanto posso mandarle i medicinali e-“
 
“No, posso aspettare, me li porti tu insieme a mia figlia! Ma vi voglio qui entro mezz’ora o questi due innamorati moriranno insieme! E non cambierò idea!”
 
Gaetano lancia uno sguardo verso La Torre, che gli fa segno che si può fare. Sa che sta rischiando molto ma sa anche che non c’è altra alternativa. Del resto anche se Misoglio, come crede, ha intenzione di farli fuori tutti, dovrà comunque farsi curare dal “medico” prima di ucciderli e fuggire.
 
“D’accordo, Misoglio, si fa come vuole lei…”
 
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“Entrate, forza!”
 
“Signor Misoglio, lo vede anche lei che sua figlia non si regge in piedi,” tenta di farlo ragionare Gaetano, sostenendo Ilenia tra le braccia, che si appoggia alla sua spalla, mentre l’uomo li tiene sotto tiro.
 
Si sente ancora in colpa per averla coinvolta, anche se la ragazza ha accettato praticamente subito, volendo evitare una tragedia e, probabilmente, sentendosi anche lei in colpa per tutto quello che era successo, anche se è la persona che ha già sofferto più di tutti.
 
Gli occhi di Ilenia si alzano ad incontrare quelli del padre e l’odio, il disgusto che vi legge è assolutamente ricambiato. Forse è l’unica cosa che padre e figlia hanno in comune.
 
“Mia figlia è nata stanca… non è una novità,” commenta velenoso, per poi indicare una seggiola della camera iperbarica, “mettila lì.”
 
Ilenia si accascia sulla sedia, la bombola dell’ossigeno in mano e la mascherina sul volto.
 
“Legala come gli altri!” intima, puntandogli la pistola nella schiena.
 
“In quella posizione sua figlia non riuscirà a respirare, se ne rende conto?” chiede Gaetano, che sa benissimo come sia difficile inalare aria con le braccia sollevate in quel modo, anche quando si è perfettamente sani.
 
“D’accordo, allora legala alla sedia e basta, ma niente scherzi,” acconsente e Gaetano esegue gli ordini, prendendo le corde improvvisate che Misoglio gli indica, fatte con lenzuola arrotolate.
 
“Bene, i farmaci sono in quella borsa, immagino…” deduce, indicando il piccolo contenitore che Gaetano ha appoggiato a terra, “aprilo e rovescia il contenuto su quella sedia.”
 
“E adesso spogliati, completamente: non voglio sorprese e se scopro che hai tentato di fregarmi… sai cosa succede non è vero?” intima Misoglio, che nel frattempo si è invece rivestito, con un sorriso sprezzante.
 
Gaetano ribolle di rabbia ma fa come richiesto: sa che manca poco, così poco. Getta gli indumenti a terra, uno dopo l’altro. Prevedendo una perquisizione, non ha nascosto nulla dentro o sotto gli abiti.
 
“Bene, bene… ora capisco perché la tua puttanella ha mollato il marito per te. Invece tu… almeno potevi scegliertela più giovane!” proclama Misoglio, sequestrandogli i vestiti, il sorriso talmente tirato che sembra quello del Joker.
 
“Non le permetto di parlare di Camilla in questo modo!” sibila Gaetano, quasi spellandosi i palmi delle mani per trattenersi dalla tentazione di saltargli addosso.
 
“Sei tu quello che non è nella posizione di parlarmi in questo modo, visto che sei letteralmente in mutande. Se ci tieni alla vita tua e degli altri, sta zitto e slega il dottorino, che mi sa che sta diventando geloso,” ordina, puntandogli di nuovo la pistola alla schiena, ed estraendo anche l’altra pistola per tenere sotto tiro De Santis.
 
“Caro il mio dottore, penso proprio che la tua Claudia non ti è molto fedele, considerato come guarda il nostro poliziotto. Avete anche lo stesso nome… almeno quando sarà a letto con te, non ti accorgerai se starà pensando a lui,” commenta, prima di esplodere in altri colpi di tosse.
 
“Signor Misoglio, ma lei ha proprio un chiodo fisso…” interviene Claudia, esasperata di fronte alla milionesima provocazione a sfondo sessuale con inclusa battuta su come tutte le esponenti del genere femminile siano delle troie. Lancia un’occhiata alla figlia di Misoglio, che osserva la scena senza aprire bocca, un’espressione tra lo schifato e il rassegnato sul volto, e si chiede che razza di inferno debba essere stata la sua infanzia.
 
“Zitta tu! Dottore, lega il commissario a quella sedia, bello stretto, prima che mi tocchi insegnare alla tua Claudia come ci si comporta con un vero uomo!”
 
De Santis esegue gli ordini e si lascia poi condurre da Misoglio fino alle medicine portate da Berardi.
 
“Prepara l’iniezione, le pastiglie me le prendo anche da solo…”
 
De Santis apre la confezione e prende una delle tre fiale, poi, con cautela, riempie la siringa, cercando di sembrare il più disinvolto possibile. Si gira con la siringa in mano verso Misoglio ma lui lo blocca, la pistola alla bocca dello stomaco.
 
“Ah, ah. Non a me. Iniettala alla tua bella,” sibila, spingendolo verso Claudia.
 
“Cosa? Ma perché?”
 
“Perché non sono un idiota. La nostra Claudia non avrà problemi a farsi un’antitetanica, no?”
 
“Il siero non è come un vaccino, è molto più forte. Di solito non si somministra se non serve ma… ok, va bene,” annuisce De Santis, voltandosi verso Claudia e facendole l’occhiolino, “amore, non hai nessuna allergia a farmaci e non hai mai avuto reazioni avverse a vaccino o sieri, giusto?”
 
“No, tranquillo,” lo rassicura Claudia con quello che spera sembri il sorriso dolce e intenerito di una fidanzata.
 
“Forza, Romeo, diamoci una mossa! O dovrebbe fermarsi, Berardi? Perché se la nostra infermiera si sente male, si addormenta o altro…”
 
“È un siero per il trattamento del tetano, signor Misoglio, non è un veleno. Può iniettarlo tranquillamente, dottore,” conferma Gaetano con un sospiro.
 
De Santis fa l’iniezione, cercando di trattenere il timore nella mano.
 
“Bene, attendiamo qualche minuto e se la nostra Claudia non manifesta strani effetti, puoi iniettarmi una delle altre due fiale,” concede Misoglio, legando di nuovo De Santis per poi mettersi a sedere vicino ad Ilenia.
 
“Intanto che aspettiamo… mi chiedo se mia figlia mi farà la gentile concessione di farmi sentire la sua voce. Non saluti il tuo amato papà?” domanda sarcastico, sollevandole il mento e tenendola sotto tiro.
 
“Di solito mi preferivi quando stavo zitta… e ho troppo poco fiato per sprecarlo con te,” risponde a fatica Ilenia, il respiro pesante.
 
“Ma tu non mi hai mai dato retta e non sei mai stata zitta. È inutile che mi guardi in quel modo schifato. Lo so che pensi che sono un mostro, che mi odi, che pensi che ho rovinato la vita a te, a tua madre e a tuo fratello e-“
 
“Ed è la verità! Tu ci hai condannato ad una vita d’inferno, mi hai impedito di avere un’infanzia, mi hai tolto mio fratello: è per colpa tua che è finito in mezzo ad una strada e che ha fatto la fine che ha fatto!” esclama prima di erompere in colpi di tosse.
 
“Io? Quella che dovresti odiare è tua madre! È lei che mi portava all’esasperazione: è sempre stata pazza, debole, non ha mai avuto voglia di fare nulla. E vi ha cresciuto deboli come lei, vi riempiva di vizi, non pretendeva niente da voi: non facevate nulla dalla mattina alla sera, andavate male a scuola e lei se ne fregava!”
 
“Lo so che anche mamma ha le sue colpe, ma lei era depressa per causa tua: tu le hai tolto l’autostima, la voglia di vivere e l’hai tolta anche a noi!”
 
“Tutte palle e lo sai anche tu! Dimmi, cosa ha fatto tua madre dopo che ve ne siete andate? Mi avete rovinato la vita e per cosa, eh per che cosa?!” grida Misoglio, fuori di sé, stringendole ancora più forte il mento, “dimmi, cosa ha fatto tua madre? Dimmelo!”
 
Ilenia, cerca di ritrarsi, evidentemente spaventata e facendo fatica a respirare.
 
“Non mi rispondi?! Perché non ce l’hai una risposta, vero? Tua madre non ha fatto niente, niente!! È andata avanti come una parassita, imbottita di psicofarmaci, sfruttando te e tua zia, dimostrando una volta per tutte che non era colpa mia se non era felice, anzi lei vuole essere infelice! Lei è ed era una buona a nulla, un peso, una zavorra, ma il mostro ero io, io, solo io. Sono stato io a pagare, solo come un cane, non avevo nessuno su cui appoggiarmi io, nessuno su cui scaricare i miei problemi!” grida, prima di scoppiare in un attacco violento di tosse che lo costringe a lasciarla andare e a sedersi per riprendere fiato.
 
“Ma a tutto il resto del mondo va bene così, tutti la giustificano, tu odi me, me e non lei… quando eri a casa con me non avevi mai voglia di fare niente: non studiavi, non ti impegnavi, ti strafogavi dalla mattina alla sera come un maiale! Mai un grazie per me, che ero l’unico che faceva qualcosa, che si impegnava per portare a casa la pagnotta, che sudava e respirava la polvere in quel maledetto laboratorio. E poi te ne vai a Torino con tua madre e improvvisamente inizi a studiare, a lavorare, a darti da fare, addirittura a mantenerla! Diventi la dottoressa Ilenia Misoglio, la figlia perfetta! Per lei, solo per lei!”
 
Ilenia si limita a guardare suo padre, il volto pieno di disprezzo quanto di tristezza, mentre lui, di nuovo, esplode in un altro accesso di tosse.
 
Gaetano lancia un’occhiata a Claudia e sa che entrambi stanno pensando la stessa cosa. Il motivo per cui Misoglio non si è rifatto una vita è che un sadico come lui, maniaco del controllo, ha trasformato la fuga della moglie in una specie di ossessione. Il fatto che la sua vittima, le sue vittime fossero sfuggite al suo controllo deve essere stato un colpo quasi mortale per il suo ego malato. E soggiogarle di nuovo è diventato a quel punto il suo unico scopo di vita: farle pagare, soffrire, tornare di nuovo ad avere il controllo, ad essere lui quello che poteva ridere per ultimo, quello che poteva distruggerle.
 
E probabilmente nemmeno la prospettiva di attirare qualche altra povera donna disperata in trappola, qualche altra donna debole, condizionabile e che forse non avrebbe avuto altra scelta che sottomettersi a lui, aveva potuto distrarlo. Nulla aveva avuto importanza rispetto allo smacco, all’ossessione, alla vendetta.
 
“Non l’ho fatto per lei, non solo, l’ho fatto per me, per avere la minima speranza di una vita migliore! E non avrei potuto abbandonarla a sé stessa perché io, grazie al cielo, non sono come te. So cos’è la pietà, so capire i problemi degli altri. Mamma è malata, anche e soprattutto per colpa tua e sì, ha bisogno di cure costanti e forse non ne uscirà mai!” pronuncia Ilenia, il tono duro, triste, amaro, “forse avrei potuto avere un po’ di comprensione anche nei tuoi confronti se avessi mai ammesso di avere un problema, di essere anche tu malato, se avessi almeno provato a farti curare. Ma tu ci stavi e ci stai benissimo nella tua malattia, o forse sei proprio nato così, non lo so.”
 
“Io non sono pazzo, anche se voi ci avete provato a farmi diventare matto!” grida, paonazzo in volto, piegandosi in due, scosso dalla tosse.
 
“Signor Misoglio, non le fa bene agitarsi in questo modo, cerchi di calmarsi. Rischia di peggiorare la sua condizione,” interviene De Santis, con tono da perfetto medico, “mi sembra che Claudia stia benissimo e sono passati alcuni minuti, mi permetta di farle questa iniezione.”
 
“D’accordo… d’accordo,” acconsente Misoglio, tirando il fiato e guardando Claudia che non sembra avere alcun problema apparente.
 
Slega De Santis, che prova a prendere una fiala, ma lui lo ferma e gli porge l’altra, paranoico fino in fondo. De Santis sospira, riempie la siringa inietta il liquido vicino alla ferita.
 
“Ora vorrei misurarle temperatura e pressione, adesso e tra cinque minuti, e tenerla sotto osservazione per verificare che non ci siano eventuali reazioni avverse…” spiega De Santis con nonchalance.
 
“Ora ti lego di nuovo e temperatura e pressione me le misuro da solo, grazie,” ribatte Misoglio, immobilizzandolo nuovamente ad una sedia.
 
Mentre i rumori del termometro e del misuratore di pressione riempiono la stanza, trascorrono minuti interminabili.
 
“Bene, bene, sembra tutto a posto, e bravo il mio dottorino!” esclama Misoglio con una risata, mentre De Santis e Gaetano si lanciano un’occhiata preoccupata.
 
“Quindi temperatura e pressione sono stabili? Non sente alcuna reazione avversa?” chiede De Santis, ad alta voce, lanciando un messaggio in codice al dottor La Torre, visto che ormai avrebbe già dovuto vedersi qualche effetto. E ora che fanno se non funziona?
 
“No. Quanti giorni ci vorranno per guarire del tetano e non avere più sintomi?”
 
“I sintomi potrebbero peggiorare per qualche giorno mentre il suo corpo combatte la malattia e poi dovrebbero migliorare, ma solo se si lascia curare quella ferita, se no le sue difese immunitarie non riusciranno mai a reagire e rischia di morire di shock settico, se non di tetano,” spiega De Santis, seguendo le indicazioni del medico che lo rassicura anche che è questione di minuti: deve solo tenerlo impegnato e farlo parlare.
 
“Lo farò ma sa… dubito che questo sia l’ambiente ideale per la mia convalescenza. Signori… è stato un piacere condividere queste ore con voi ma ora devo proprio scappare, in senso letterale,” proclama, sollevandosi dalla sedia ed estraendo uno dei coltelli dalla cintura dei pantaloni.
 
Si avvicina a passo rapido verso Gaetano, brandisce la lama e, tenendolo sotto tiro con la pistola nella mano sinistra, gliela punta alla gola.
 
Gaetano contrae la mascella e deglutisce, aspettando la mossa di Misoglio, sa di avere pochi secondi per reagire e non può permettersi un errore.
 
“Tranquillo commissario, non intendo tagliarti la gola, oh no, sarebbe uno spreco inutile e sarebbe troppo facile… il coltello mi serve per queste,” proclama, tagliando il tubo di plastica della maschera di ossigeno sopra la sua testa, prima di conficcare il coltello con incredibile forza direttamente nella tubazione superiore ed estrarlo nuovamente.
 
“Che sta facendo?” chiede Gaetano, conoscendo benissimo la risposta. Sta manomettendo le sicurezze della camera. Vuole attivarla e farli bruciare vivi o forse provocare un’esplosione.

“Penso che tu lo sappia, commissario. Vedi, ormai grazie a te e alla tua amata e alle vostre trovate… mi avete costretto a giocare a carte scoperte. Sapete chi sono, tutti sanno chi sono e, se ora fuggo da qui, tutti mi daranno la caccia. Ma nessuno dà la caccia ad un morto. Quindi ora registrerò un bel messaggio di addio da mandare ai tuoi colleghi in cui spiegherò loro come, riunito alla mia amata figlia, braccati dalle forze dell’ordine, in un gesto disperato ho scelto di morire insieme a lei. Che ve ne pare?”
 
“Lei non vuole davvero suicidarsi Misoglio, non è vero?” domanda Claudia, anche se è più un’affermazione.
 
“No, certo che no. Ma diciamo che saranno tutti troppo presi dall’incendio e dall’esplosione, dall’evacuazione per fare caso a me. E anche dopo, quando le acque si saranno calmate, vi garantisco che nessuno riuscirà mai a capire che manca un morto alla conta,” spiega con un ghigno, prima di avvicinarsi a lei e posarle di nuovo una mano sulla coscia, “certo, mi dispiace un po’ sacrificare tutto questo ben di dio, mi sarebbe piaciuto divertirmi un po’ con te ma… nella vita non sempre si può avere tutto quello che si vuole.”
 
“Perché? Perché tutto questo? Il tuo obiettivo sono sempre stata io, non è vero? Era me che volevi uccidere. Non potevi farmi fuori subito invece che mettere su tutto questo piano assurdo? Lo Scortichini, Marcio… perché?” domanda Ilenia all’improvviso, interrompendolo: ha anche lei l’auricolare da cui il dottor La Torre continua a rassicurarli che non può essere che questione di minuti. Sa che devono guadagnare tempo, che deve spingerlo a parlare e poi c’è una parte di lei teme e desidera conoscere quella risposta quasi in egual misura.
 
“Ucciderti? Io non ho mai voluto ucciderti, no… dopo la morte non c’è più niente, il nulla, il vuoto, non si soffre, non si sente niente. Avrei soltanto fatto del male a tua madre ma non a te… a che serviva ucciderti? No, io volevo fare capire a te e a tua madre che cosa ho provato io in questi anni. Cosa ho provato ad essere abbandonato da tutti, tutti che mi consideravano un mostro, quello che aveva fatto scappare tutta la famiglia, un pazzo, un violento!” sbotta Misoglio, infervorandosi di nuovo ed avvicinandosi a lei, “avresti marcito in galera, odiata da tutte le persone a cui avevi voluto bene, mentre tutti ti consideravano un’assassina. Tu e tua madre avreste provato sulla vostra pelle cosa significa perdere tutto e tutti avrebbero capito finalmente che avevo ragione su di te, su di voi.”
 
Il silenzio cala nella stanza, Gaetano e Claudia si guardano sconvolti, nonostante gli anni di carriera, nonostante avessero già potuto vedere con i loro occhi in che abissi può precipitare la mente umana. Ma Misoglio… Misoglio era senza dubbio il peggior sadico con cui avessero mai avuto a che fare. E a Gaetano tutto questo fa doppiamente male perché riapre ferite mai chiuse anche se… anche se, in confronto a Misoglio, le violenze psicologiche di suo padre sembravano talmente piccole ed insignificanti.
 
“E tu ne avresti goduto, non è vero? Tu ti sei sempre nutrito della nostra sofferenza… mi fai schifo!” urla Ilenia, non riuscendo più a trattenersi e a trattenere le lacrime di rabbia, prima di scoppiare in un attacco di tosse ancora più violento.
 
“Soffochi? Forse è meglio togliere questa mascherina, tanto a te non servirà più!” proclama beffardo, strappandole la maschera dal viso e lasciandola cadere per terra “ma questo ossigeno avrà un uso migliore. Mi renderà le cose ancora più semplici!”
 
“Perché hai coinvolto Marcio? Doveva servire a contattarmi? A farmi venire qui per cadere nella tua trappola?” domanda con un filo di voce, sollevando di nuovo gli occhi per guardarlo.
 
“Sì… Marcio era il complice perfetto, sapevo che ti saresti fidata di lui, che saresti stata curiosa di sapere di più su tuo fratello…. Lui mi ha aiutato a preparare tutto: era un povero idiota, ma sapeva fare alcune cose che io non ero in grado di fare-”
 
“Come rubare l’automobile per il delitto, ad esempio? O insegnarle ad usare un fucile di precisione?” interviene Gaetano, cercando di mantenerlo distratto e, soprattutto, di cogliere l’occasione per scagionare definitivamente Ilenia da qualunque sospetto, visto che i colleghi nel van stanno registrando tutto.
 
“Hai fatto i compiti a casa, vedo. Sì, esatto, mi è stato molto utile, devo ammetterlo…“
 
“Ma come hai fatto a conquistare la sua fiducia? Lui sapeva chi eri: è per quello che voleva che mi incontrassi con te la sera del delitto. Sapeva che eri mio padre, il padre di… di Black. E credo che Mauro gli avesse parlato di te, di com’eri violento…”
 
“Mia piccola, ingenua Ilenia. Marcio era un povero idiota sentimentale, legato alla memoria di quel vagabondo di tuo fratello. Me lo sono fatto amico poco alla volta, offrendo cibo per i suoi cani, aiutandolo a sistemare una di quelle catapecchie che usava come rifugio. E poi gli ho spiegato chi ero, che dopo la morte di mio figlio non avevo avuto pace, che mi ero pentito di quello che era successo e ora vivevo per espiare le mie colpe. Insomma… gli ho raccontato una bella storiella commovente e lui piano piano ci è cascato con tutte le scarpe. Mi sono conquistato la sua fiducia: ero diventato un padre per lui, il padre che non aveva mai avuto, visto che era cresciuto in un orfanotrofio,” spiega con una mezza risata sprezzante.
 
“Da quanto tempo è che andava avanti?”
 
“Da più di un anno… quasi due… era da quando lo Scortichini era uscito di galera che avevo questa idea in testa e mi sono preso tutto il tempo per realizzarla. Come si dice? La vendetta è un piatto che va servito freddo!”
 
“Due anni… quando ha ucciso il povero signor Giuliani e si è preso la sua casa e in parte la sua identità…” intuisce Gaetano, facendo due conti.
 
“E bravo il nostro poliziotto… ma sono idee tue o della tua professoressa?”
 
“Mie, della mia professoressa e di tutti gli altri poliziotti che hanno lavorato a questo caso. Come ha contattato il signor Giuliani? Le forniva il legname per il suo laboratorio?”
 
“Sì, esatto. Lui mi dava il legno e io gli sistemavo quel rudere di casa quando c’erano problemi. Sono stato da lui un po’ di giorni di fila una volta, per riparargli il fienile, e ho notato che non lo visitava mai nessuno. Sapevo che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza, non in tempi brevi. E allora… ho colto l’occasione, l’ho sepolto e ho aspettato. Quando dopo qualche mese nessuno ha denunciato la sua scomparsa, ho iniziato ad usare la casa. Avevo bisogno di un posto per incontrarmi con Marcio: i miei vicini sono gente troppo curiosa e non volevo fare sapere a Marcio dove abitavo. Lo volevo lontano da casa mia.”
 
“E ha convinto Marcio a tenere la bocca chiusa su chi lei fosse con tutti, anche con Ginger e Sisma.”
 
“Sì, gli ho detto che per non rischiare di farci scoprire e di avere problemi con la polizia non doveva dire a nessuno di me e del nostro piano. Che doveva essere il nostro segreto, che mi fidavo solo di lui.”
 
“Ma come hai fatto a convincerlo ad aiutarti? A convincerlo persino ad uccidere lo Scortichini? Marcio non mi sembrava un violento!” interviene di nuovo Ilenia, continuando a farlo parlare, a fare leva sul suo ego malato che, ne è sicura, non vedeva l’ora di sbatterle in faccia il suo piano perfetto per incastrarla, tutto il suo odio, tutta la sua crudeltà.
 
“Marcio odiava lo Scortichini e non credeva più nella giustizia dopo che era stato assolto e dopo quello che gli era successo… Lui una volta voleva fare il soldato, il cecchino… insomma è sempre stato un povero idiota, pronto a farsi ammazzare per un ideale. Ma poi un ragazzo è morto durante uno stupido scherzo organizzato da alcuni sottufficiali, tra cui il figlio di un colonnello. Lui ha testimoniato ma sono stati tutti assolti e gli hanno fatto terra bruciata intorno. E così da soldatino modello è diventato un punkabbestia,” esclama con una mezza risata, “non ci è voluto molto a convincerlo che uccidere lo Scortichini era l’unico modo per avere giustizia, per vendicare tuo fratello e per lanciare un messaggio a tutti quelli come lui, di cosa succede quando si maltrattano gli animali.”
 
“Ma anche voi maltrattavate i cani! Li avete usati come cavie, come armi in un omicidio, li imbottivate di farmaci!”
 
“No, Ilenia. Noi stavamo curando quei cani dopo una vita di combattimenti clandestini. E stavamo aiutando i cani dello Scortichini a vendicarsi di quello che avevano subito. O questo è quello che credeva Marcio… Marcio non ha mai capito a cosa servivano in realtà quei farmaci: per lui servivano solo a curare i nostri cani, a farli stare meglio, più tranquilli… gli effetti collaterali, diciamo, li testavo quando lui non c’era.”
 
“E il giorno del delitto, dopo che le aveva procurato la macchina, ha fatto in modo che Marcio si incontrasse con Ilenia, per far sì che Ilenia non avesse un alibi per le ore del delitto. Per questo l’ha fatta contattare da lui mesi prima, per lavorarsela,” si inserisce Gaetano, senza dargli un attimo di tregua.
 
“Gli ho detto che volevo riconciliarmi con mia figlia ma che lei mi odiava e non me ne dava la possibilità. L’ho pregato di convincerla a venire e che avremmo fatto scattare il piano quando lei era qui a Roma, in suo onore: gli ho detto che sapevo che anche lei voleva farla pagare allo Scortichini quanto noi. Insomma… le solite storielle. L’ho convinto a incontrarla e a tenerla lì a parlare il più a lungo possibile, per cercare di conquistarsi la sua fiducia e creare le basi per poi convincerla piano piano a incontrarmi e a riavvicinarsi a me, per farle capire che ero cambiato, che tenevo alla memoria di mio figlio e a lei.  Gli ho raccomandato però di non parlarle di me, non ancora, o del nostro piano, e che nessuno doveva sapere che loro due si erano incontrati, che non volevo che qualcuno potesse collegare lui e me ad Ilenia, che sarebbe stato pericoloso in caso di indagine. Quindi le ho consigliato di incontrarla lì al Pincio, in una zona dove le telecamere erano rotte, in un posto affollato, dove nessuno avrebbe fatto caso a loro.”
 
“E Marcio non si è insospettito del fatto che questo incontro avvenisse proprio nelle ore in cui lei metteva in atto il piano per uccidere lo Scortichini?” domanda Gaetano, incredulo.
 
“No, perché lui sapeva che il piano doveva scattare più tardi, mentre la mia piccola Ilenia aveva un alibi di ferro, circondata da tutti i suoi ex compagni di classe, compresi dei poliziotti. Quella sera tardi ci sarebbe stato un combattimento clandestino, come tutti i sabati sera. Misoglio sarebbe andato a tirare fuori i cani, al solito orario, e a quel punto l’avremmo immobilizzato e spinto in una delle gabbie con uno dei nostri cani, il più aggressivo e incontrollabile, visto che l’avevamo preso da poco –  e che l’avevo imbottito di farmaci, ovviamente, ma questo Marcio non lo sapeva. Volevamo essere sicuri che avrebbe aggredito subito lo Scortichini ma non noi. Io quel pomeriggio in teoria dovevo soltanto sostituire uno dei cani dello Scortichini con il nostro, mentre lo Scortichini era via a fare le sue solite commissioni. Lo Scortichini non era uno stupido e sapeva contare e… si sarebbe accorto subito che c’era qualcosa di strano e questo non potevo permetterlo. A questo non ci eravate arrivati, non è vero commissario?” domanda beffardo, mentre Gaetano tace, perché non avrebbero mai potuto scoprirlo se i cani non avessero avuto la Rabbia e non vuole insospettire Misoglio.
 
“Ma non ha senso: tutta la storia del piano in mio onore… era chiaro che già solo la mia presenza a Roma mi avrebbe reso la principale sospettata, anche se avevo un alibi... avrei sempre potuto essere la mandante o una complice. Se davvero non avessi voluto coinvolgermi, avresti fatto tutto mentre io ero a Torino. Come ha fatto Marcio a crederti?”
 
“Mia piccola ingenua Ilenia, lui ormai pendeva dalle mie labbra, credeva a tutto quello che gli raccontavo. A volte basta così poco per conquistarsi la fiducia delle persone… basta coltivare le loro ossessioni… e poi lo sai che il valium dà più dipendenza di una droga? E quando uno non è completamente lucido, anche le idee più stupide sembrano sensate se sai come presentarle.”
 
“Che cosa? Mi sta dicendo che lo imbottiva di valium?” domanda Gaetano, sentendo un freddo fin nelle ossa che non ha niente a che vedere col fatto di essere praticamente nudo e che continua ad aumentare ad ogni parola di Misoglio. Si rende conto di non avere mai visto l’autopsia di Marcio, non di persona e non si stupirebbe di scoprire che non erano stati fatti i test tossicologici, probabilmente ritenuti superflui data l’evidentissima causa di morte.
 
“Sì… gli mettevo le gocce nel cibo o nelle bottiglie di birra aperte… così se non mi vedeva per qualche giorno diventava ansioso, irrequieto, stava male, mentre con me, solo con me stava bene…” spiega, con una lucidità che non può nemmeno essere definita folle. No, Misoglio non è un pazzo ed è per questo che fa ancora più paura.
 
“Gli hai fatto il lavaggio del cervello… Lo hai fatto anche con mamma, vero? Era dipendente da quella roba… ora capisco tante cose…” sussurra Ilenia, la voce che trema.
 
“No, tua madre ha iniziato a prendere quella roba per conto suo, consigliata dal medico. Diciamo che… col tempo ho capito tutti i vantaggi che avevano quelle gocce…” risponde con un ghigno beffardo.
 
“Lei… lei ha fatto scattare proprio quel piano ma prima del previsto, quando lo Scortichini stava andando a dar da mangiare ai cani e Marcio era ancora con Ilenia,” intuisce Gaetano, avendo improvvisamene un’illuminazione, “quindi non ha lasciato agire solo i cani. È intervenuto direttamente, non è vero?”
 
“Certo che sono intervenuto direttamente: ho imbottito di farmaci tutti i cani dello Scortichini per farvi sospettare di Ilenia, per farvi pensare ad un omicidio compiuto da una persona debole, con poca forza fisica, che non poteva sperare di cavarsela in uno scontro fisico con lo Scortichini e che aveva quindi bisogno di un piano così complicato. Una persona che non voleva sporcarsi le mani. E i farmaci ovviamente servivano anche per aumentare ancora di più l’aggressività del cane che avevo scelto. Ma non potevo rischiare di fallire: era la mia unica occasione e non potevo sprecarla sperando nel caso, nella fortuna. L’ho colto alle spalle mentre era distratto e aveva le ciotole in mano e l’ho buttato nella gabbia dove avevo messo il mio cane. Il cane l’ha aggredito subito e io… mi sono goduto la scena a distanza di sicurezza: dovevate vedere come cercava di scappare,” esclama con una risata, come se stesse parlando di uno spettacolo divertente e non di guardare un uomo mentre viene sbranato vivo.
 
“E poi è tornato al cascinale, dove aveva appuntamento con Marcio, ma Marcio non ha seguito il suo piano alla lettera: ha portato Ilenia con sé, e questo lei non l’aveva previsto, vero?” domanda Gaetano, sentendo il desiderio fortissimo di vomitare, intuendo, dall’espressione dei presenti, che non è l’unico.
 
“No, quell’idiota era troppo entusiasta, troppo impaziente. Era convinto di farmi un favore, che mia figlia parlandomi e sapendo che avremmo vendicato il fratello mi avrebbe subito perdonato e che saremmo stati tutti una grande famiglia felice…”
 
“Sì… mi ha detto che eravamo come fratelli…” sussurra Ilenia, provando sincera pena per quel ragazzo sfortunato. Suo padre aveva analizzato e sfruttato ogni sua debolezza, ogni sua paura, ogni suo desiderio, “poi tu l’hai chiamato e lui mi ha portata via di lì.”
 
“Stavo tornando in macchina e vi ho visti, ti ho vista in lontananza, per fortuna. Mi sono allontanato di nuovo e l’ho chiamato, gli ho detto che non ero  pronto ad incontrati, non subito, che doveva essere una cosa graduale, che avevo bisogno di tempo per parlarti, per spiegarmi, tempo che non avevamo, dato che dovevamo tornare presto dallo Scortichini. L’ho pregato di portarti in paese e non dirti niente.”
 
“Lei ha progettato di ucciderlo fin da subito, non è vero? Al ritorno dall’appuntamento con Ilenia, prima che potesse accorgersi che lei aveva già ucciso lo Scortichini, senza aspettarlo… Marcio era troppo pericoloso e non poteva certo rischiare che raccontasse tutto a sua figlia,” si inserisce Gaetano, chiedendosi quanto tempo ci voglia ancora e cominciando a temere di dover usare il piano di emergenza.
 
“Sì, l’avrei fatto sparire e nessuno avrebbe più saputo nulla di lui: nessuno si preoccupa se scompare un punkabbestia.”
 
“Ma Marcio era ancora vivo giorni dopo, visto che mi ha telefonato per darmi appuntamento e ho riconosciuto la sua voce,” ricorda Ilenia, trattenendo il fiato prima di fare la domanda, sperando almeno per un secondo che suo padre avesse, da qualche parte, ancora un briciolo di pietà, di coscienza, di rimorso, magari che si fosse affezionato a Marcio, in fondo in fondo, a modo suo, visto che sembrava essere diventato il figlio ubbidiente ed adorante che non aveva mai avuto, “perché hai aspettato ad ucciderlo?”
 
“Perché avevo ancora bisogno di lui… avevo uno dei cani dello Scortichini sulla macchina, quello che avevo sedato e poi sostituito con il mio. Quando finalmente sono potuto tornare al cascinale ed è tornato anche Marcio abbiamo scaricato il cane ma, per colpa di quell’idiota e della sua idea, era passato troppo tempo e il cane si era risvegliato, non era più addormentato come credevo e… mi è saltato addosso, alla gola. Ho cercato di difendermi ma non riuscivo a levarmelo di dosso. Per fortuna Marcio gli ha dato una botta in testa e mi ha salvato la vita… ironico, non credete?”
 
“E quindi, ferito e debilitato non poteva ucciderlo: Marcio era la sua unica speranza, giusto? Quella ferita deve aver sanguinato molto…” intuisce Gaetano, confermando la sua ipotesi.
 
“Già… il piano per lui ormai era saltato, ovviamente, era stato rinviato, quindi di quello almeno non dovevo preoccuparmi. Mi ha procurato le medicine, mi ha medicato, mi ha curato. Ero troppo debole, stavo malissimo e non potevo andare in ospedale. Gli ho detto che non potevamo rischiare di attirare l’attenzione su di noi, sui cani, o non avremmo più potuto far scattare il piano quando sarei stato meglio. Lui mi ha fatto da infermiere, stava lì con me al cascinale, ma usciva per comprare cibo e medicine e per vedere i suoi amici. E ovviamente ha sentito già il giorno dopo la notizia che lo Scortichini era morto.”
 
“E non si è insospettito? Avrà capito che lei aveva fatto scattare il piano prima del previsto…”
 
“No, sono riuscito a convincerlo che doveva essersi trattato di un incidente, che forse il nostro cane aveva reagito lo stesso e lo aveva aggredito, senza bisogno del nostro intervento.”
 
“E lui di nuovo le ha creduto?”
 
“Sì, per un paio di giorni è andato tutto bene ma poi ha scoperto che la polizia stava indagando e che sospettava di mia figlia, della sua sorellina. Me l’ha detto, voleva addirittura andare dalla polizia per fornirti un alibi e ho cercato di calmarlo, di dirgli che dovevamo aspettare, che voi non potevate avere nulla in mano per pensare che non era un incidente, che bisognava avere pazienza, che non sarebbe successo niente a Ilenia, che l’alibi che poteva fornirle non valeva niente, anzi, avrebbe peggiorato le cose. Lui allora ha insistito per raccontarle tutto… ho cercato di convincerlo che avevo bisogno di parlarle prima, di spiegarle io com’erano andate le cose, ma che stavo troppo male per incontrarla. Sembrava essersi calmato ma…  deve aver cominciato a sospettare qualcosa, ad avere dubbi. Era agitato, essendo bloccato a letto non avevo più potuto dargli il valium, era in astinenza ma probabilmente era più lucido di prima...“
 
“E poi cos’è successo?”
 
“Ho deciso di tenerlo d’occhio e ho sentito che ti faceva quella telefonata, che ti dava appuntamento, che voleva raccontarti tutto. Ho capito che non c’era più tempo: doveva sparire.”
 
“Ma lui mi ha chiamato anche il giorno dopo, poco prima dell’appuntamento, per confermarmi che ci saremmo visti anche se poi non si è presentato,” ricorda Ilenia, sempre più confusa.
 
“Perché tuo padre voleva che tutti pensassero che avevate avuto questo appuntamento e che lo avevi ucciso tu.”
 
“Sì… ho fatto finta di niente e la mattina dopo gli ho detto che ci avevo pensato, che aveva ragione lui, che non potevo aspettare oltre, che volevo spiegarti tutto e poi costituirmi, prendermi tutta la colpa, anche se era stato davvero un incidente, per proteggere te e lui. Che così ti avrei fatto capire quanto tenevo a te e avrei pagato per quello che avevo fatto a tuo fratello…”
 
“E lui ci ha creduto di nuovo?” domanda Ilenia, incredula.
 
“Aveva bisogno di credermi, perché mi voleva bene, non voleva perdere il suo nuovo padre…” spiega Misoglio, gelido, non tradendo alcun sentimento, alcun rimorso, solo disprezzo, “mi ha detto che avrebbe preso appuntamento con te e poi mi ha confermato che ci saremmo incontrati quel pomeriggio.”
 
“Gli ha lasciato fare la telefonata, vi siete messi in macchina e l’ha ucciso…” deduce Gaetano non riuscendo più nemmeno a definire quello che pensa, quello che sente nei confronti di questo che non si può definire un uomo, “poi ha fatto sparire qualsiasi cosa che ci potesse ricondurre a lei e ha lasciato lì i cani a morire. E ha lasciato quella stanza piena di foto di suo figlio e dello Scortichini e i medicinali per i cani, perché prima o poi, se mai qualcuno avesse trovato il cadavere di Marcio, avrebbero pensato che fosse un’altra vittima di sua figlia.”
 
“Vedo che cominci a capire, poliziotto… sei più sveglio di quanto pensassi… peccato che non ti servirà a molto…”
 
“Quel frammento dei miei pantaloni… sei stato tu a strapparmelo e a metterlo su quella ringhiera. È stato su quel tram, vero?”
 
“Allora non sei proprio del tutto scema… sì, certo: dovevo far capire a chi indagava che non si trattava solo di un incidente e… spingerli nella direzione giusta.”
 
“Ma se i poliziotti non si fossero accorti di nulla? Se fosse davvero sembrato a tutti un incidente? Cosa avrebbe fatto a quel punto?” chiede Gaetano, esprimendo il dubbio che lo aveva assalito fin dall’inizio.
 
“In quel caso avrei dato ai tuoi colleghi idioti un’altra spinta… facendo ritrovare il cadavere di Marcio ad esempio. A quel punto anche un cretino avrebbe fatto due più due…”
 
“Ma poi, quando stava per essere arrestata, Ilenia è scappata, si è resa latitante e lei questo non lo voleva, vero Misoglio? Voleva che pagasse, che fosse catturata e voleva ovviamente allontanare ogni sospetto da sé stesso. Ed è allora che ha pianificato un modo di farla uscire allo scoperto e di farla sembrare la più pericolosa della assassine. Ma perché il Luna Park? Perché un piano così complicato?”
 
“Perché era un posto che conoscevo bene: ci avevo lavorato in nero, durante uno dei tentativi inutili di risistemarlo per riaprirlo al pubblico. Mi ero fatto di nascosto una chiave del cancello laterale, sapevo come muovermi. E ho imparato un sacco di cose sui congegni, sui meccanismi, studiando quelli delle giostre: mi sono sempre piaciute le trappole. È un luogo isolato ed era un posto in cui quella perdigiorno di mia figlia andava spesso con i suoi amichetti quando non aveva voglia di studiare…” spiega per poi aggiungere con un ghigno, l’odio dipinto sul volto e nella voce, “il luogo perfetto per attirare la tua professoressa con la sua maledetta curiosità. Ero sicuro che si sarebbe precipitata, con il suo spirito da ficcanaso, da crocerossina. Erano anni che volevo fargliela pagare a quella stronza per aver convinto mia moglie e mia figlia ad abbandonarmi. Volevo che morisse lentamente in quell’incendio, come un topo in trappola… ma è stata furba o fortunata e quella ragazzina si è messa in mezzo…”
 
Gaetano sente le mani che prudono e respira profondamente. Non ha mai desiderato tanto fare del male a qualcuno come in questo momento. Ma lui non è così, lui è migliore di Misoglio, lui non vuole la vendetta ma solo giustizia. E la avrà, ne è sicuro.
 
“E quando se ne è reso conto era ormai troppo tardi… lei aveva fissato l’appuntamento al ristorante per verificare chi si sarebbe presentato, ma a quell’ora aveva appena finito l’interrogatorio con l’ispettore Mancini e stava tornando a casa accompagnato da Lorenzi. Quando l’hanno convocata per l’interrogatorio, ormai non aveva altra scelta che fare scattare la trappola, visto che aveva già chiuso sua figlia nel castello e forse aveva anche già mandato il messaggio a Camilla. Deve essere andato in panico…”
 
“No, avevo predisposto tutto… la trappola doveva scattare in automatico: quando si entrava nell’ultima stanza c’era un sensore che faceva richiudere la porta, bloccandola, e che faceva partire l’innesco. E poi avevo il fucile di precisione come assicurazione, se qualcosa andava storto: lo sapevo che probabilmente saresti arrivato anche tu e magari qualche altro sbirro. Il problema era che dovevo liberare quella stupida di mia figlia al momento giusto, poco prima dell’arrivo dei soccorsi: non volevo rischiare un’altra fuga,” spiega, fermandosi un attimo per prendere fiato e asciugare un rivolo di sudore che gli imperla la fronte, “quando sono arrivato al Luna Park e sono salito sul tetto del labirinto degli specchi per controllare la situazione, ormai la casa era già in fiamme. Ho visto arrivare la tua amichetta e ho capito che le cose non erano andate secondo i piani, ma poi l’ho vista buttarsi nell’incendio e ho creduto che sarebbe morta cercando inutilmente di salvare lo stupido o la stupida che era rimasta intrappolata al posto suo.”
 
“E quando invece ha visto che sono arrivati i rinforzi e ha capito che Camilla non sarebbe rientrata in quella casa, le ha sparato. Ma De Matteis le ha fatto scudo con il suo corpo…” pronuncia Gaetano a fatica, perché il solo pensiero di quello che poteva capitare ancora lo tormenta.
 
“Già... erano così teneri insieme, come in uno di quegli orribili film romantici. Quindi non devi preoccuparti di lasciarla da sola: credo che avrà chi la consolerà per la tua morte e anche molto presto,” sibila tagliente e beffardo, prima di aggiungere con un ghigno diabolico, “certo… potrei sempre farle visita tra un po’ di tempo, quando mi sarò ripreso. La tua professoressa ha l’abitudine di ficcare il naso dove non deve… una delle sue prossime indagini potrebbe finire male e chi mai sospetterebbe di un povero defunto?”
 
Gaetano digrigna i denti fino a sentire dolore alla mandibola, vorrebbe spaccargli la faccia, ma si trova a chiedersi se Misoglio non godrebbe perfino di quello, nella sua mente completamente deviata e allo stesso tempo inconcepibilmente lucida.
 
“È inutile che fai quella faccia e che ti scaldi, tra poco l’atmosfera sarà rovente…” proclama con un altro ghigno, asciugandosi nuovamente il sudore, prima di allontanarsi leggermente da lui e da sua figlia. Gaetano capisce che sta per andarsene e non c’è più tempo: è evidente che il piano non ha funzionato. Non resta che l’ultima spiaggia.
 
“Bene, mi sono divertito abbastanza a parlare con voi, ora è arrivato il momento di salutar… vi,” pronuncia, balbettando sull’ultima sillaba, mentre lo vedono portarsi le mani al basso ventre e traballare, il viso che da paonazzo diventa in pochi secondi bianco come un cencio.
 
Incespica per un paio di passi verso il fondo della camera, dove ci sono i medicinali, rischiando di cadere. È un attimo: Gaetano si libera delle corde e si proietta addosso a Misoglio con tutto il suo peso, afferrandolo da dietro per il collo e spingendolo contro la parete. Gli prende il polso destro e gli picchia la mano chiusa a pugno contro il duro metallo della camera, una, due, tre volte, fino a portarlo a mollare la presa sulla pistola, che cade a terra.
 
Misoglio lancia un urlo terribile mentre lui cerca di immobilizzarlo, tirandogli il braccio destro dietro la schiena. Sembra che ce l’abbia fatta ma in pochi secondi, con una forza quasi sovrumana, Misoglio si rianima e usa il braccio sinistro per spingersi via dalla parete, facendogli perdere l’equilibrio.
 
Gaetano afferra Misoglio per il retro della camicia, per non cadere, trascinandolo invece con sé sul pavimento, riuscendo per un soffio ad evitare di picchiare la testa, il corpo pesante di Misoglio che si abbatte in parte sul suo, togliendogli il fiato.
 
Cerca di nuovo di bloccarlo, ma Misoglio gli tira una gomitata nelle costole e si gira sopra di lui, tentando di afferrarlo per il collo. Gaetano gli blocca i polsi, e prova a spingerlo via con le gambe, ma l’uomo si dimena e combatte con una forza incredibile, alimentata dalla disperazione, la bocca spalancata a mostrare i denti, mentre cerca di avvicinarsi per mordergli il collo. Gaetano prova a spingerlo via, ma sente i muscoli deboli, per via dei troppi minuti passati con le braccia tese in aria, tenendo ferma la corda, perché Misoglio non si accorgesse che i nodi fatti da De Santis erano finti, come quelli con cui lui aveva “legato” Ilenia.
 
D’improvviso, un rimbombo, come un gong, risuona nella stanza, Misoglio urla di dolore e si porta le mani alla testa e Gaetano riesce finalmente a spingerlo a lato, facendolo cadere supino al pavimento. Alza gli occhi e vede Ilenia, la bombola dell’ossigeno, con cui ha colpito il padre alla testa, ancora in mano. Percepisce con la coda dell’occhio un movimento: nonostante tutto, Misoglio tenta ancora di rialzarsi ma Claudia, appena liberata da Ilenia, gli è davanti e gli tira un calcio dove non batte il sole.
 
L’urlo di Misoglio è straziante: piegato in due dal dolore, si contorce in posizione fetale e, dopo pochi secondi, non si muove più, il capo che ciondola.
 
Gaetano è subito su di lui: non vuole correre altri rischi, ma Misoglio è completamente esanime.
 
“Voi state bene?” domanda a Ilenia, che sta liberando anche De Santis, e a Claudia, che barcolla visibilmente.
 
“Io sì, adesso sì…” lo rassicura la ragazza, nonostante la voce tremante che tradisce le lacrime.
 
“Io non sento più le braccia ma tra poco starò bene,” lo tranquillizza Claudia con un sorriso tirato.
 
“Grazie mille, a tutte e due, davvero!” esclama Gaetano, con un tono pieno di gratitudine e rispetto per queste due donne che gli hanno dimostrato, per l’ennesima volta, che, se esiste un sesso debole, non è di certo quello femminile.
 
“Figurati: tirargli quel calcio è stata una delle soddisfazioni più grandi di tutta mia carriera,” proclama Claudia, l’orgoglio che si mischia ancora al disgusto.
 
“Dottor La Torre,  potete intervenire: Misoglio è privo di conoscenza, ha il polso molto debole, la pressione deve essere bassissima, come aveva previsto, il diuretico ha fatto effetto… in tutti i sensi,” annuncia,  notando la pozza maleodorante che si spande sul pavimento, “anche se cominciavo a pensare che non avrebbe funzionato.”
 
“Era matematico che, dato il suo stato di disidratazione e la pressione già bassa, tipici della Rabbia a questo stadio, la perdita di liquidi provocata dal diuretico avrebbe fatto crollare ulteriormente la pressione, causando uno shock ipovolemico e quindi la perdita dei sensi,” risponde il dottore, mentre Gaetano sente rumore di passi, “un’endovena avrebbe agito molto più rapidamente, ma non può essere fatta da una persona non qualificata e lei ha insistito per non coinvolgere un medico ma per inviare un poliziotto. Ed evidentemente Misoglio ha una resistenza a questo tipo di farmaco più elevata della media: non siamo tutti uguali.”
 
“Un diuretico?!” domanda Claudia, con una smorfia, stringendo le gambe, “ve possino! Dove sarà il bagno?!”
 
“E non fatemi ridere!” intima poi, vedendo le espressioni di Gaetano e di De Santis, prima di scoppiare insieme a loro in una risata liberatoria e di correre fuori dalla camera a passo più rapido possibile.
 
“Maledizione! C’è pure la barricata da togliere!” la sentono gridare, esasperata.
 
“Vada ad aiutarla, De Santis e la segua, per cortesia… No, non dentro al bagno, anche perché, altrimenti, ha già visto che come minimo finisce a cantare nelle voci bianche,” chiarisce, notando il viso dell’uomo diventare di nuovo paonazzo, “stia fuori dalla porta e si accerti che non si senta male: io attendo l’equipe medica.”
 
Balbettando un paio di frasi incomprensibili, De Santis parte all’inseguimento di Claudia.
 
Lo sguardo di Gaetano si posa di nuovo su Ilenia, che sta ancora osservando suo padre, come ipnotizzata, con un’espressione che nessun aggettivo potrebbe mai definire, gli occhi pieni di lacrime, la mascella serrata.
 
Come se sentisse di essere osservata, Ilenia solleva gli occhi e incrocia i suoi, prima di guardarsi intorno e notare che la camera è vuota, a parte loro.
 
“Grazie…” sussurra, cedendo infine al pianto, i singhiozzi che la scuotono e Gaetano capisce immediatamente quante cose ci siano comprese in questo grazie, senza bisogno di parole.
 
“No, grazie a te… e scusami per… per tutto…” le sussurra di rimando e dal modo in cui Ilenia gli si butta tra le braccia e lo stringe forte, sa che anche lei ha capito quanto sia grande quel tutto.
 
“Andiamocene da qui,” mormora non appena vede arrivare i medici che attorniano immediatamente il corpo esanime di Misoglio, sentendola annuire e quasi accasciarsi su di lui, esausta.
 
Raramente si è sentito così stremato e sa che la stanchezza fisica non c’entra niente.
 
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È notte ormai, ma il piazzale davanti all’ospedale è illuminato a giorno: tra i fari dei furgoncini delle varie reti televisive, le sirene della polizia, i flash che lo accecano mentre tenta di uscire insieme a Claudia e a De Santis.
 
“Dottor Berardi, una dichiarazione! Come si è risolto il sequestro? Mi conferma che non ci sono state vittime? Si dice che il sequestratore sia l’incendiario del Luna Park, corre voce che si tratti di Fausto Misoglio, il padre della Misoglio, finora la principale sospettata dell’incendio e del delitto Scortichini. Padre e figlia erano complici per vendicare Mauro Misoglio?”
 
“Vi confermo che il sequestro si è risolto nei migliori dei modi e non ci sono state vittime, compreso il sequestratore, Fausto Misoglio, che è stato arrestato. E abbiamo avuto conferma di ciò che sospettavamo dai riscontri e dagli elementi di prova emersi durante gli ultimi giorni di indagine, ossia che Ilenia Misoglio non è affatto colpevole né dell’omicidio Scortichini, né dell’incendio del Luna Park, ma è stata volutamente incastrata da Fausto Misoglio, suo padre, l’ideatore ed esecutore materiale di tutti questi eventi delittuosi, che ci ha reso una piena confessione,” dichiara, fregandosene delle convenzioni che forse gli imporrebbero di trincerarsi dietro ad un no comment: non potrebbe sopportare che Ilenia venisse ancora additata come un’assassina, nemmeno per un secondo di più.
 
“Poiché la fase di indagini non si è ancora formalmente chiusa, non posso fornire ulteriori dettagli, vorrei però ringraziare per il grandissimo lavoro di squadra il dottor De Matteis e tutti gli uomini della sua squadra omicidi, la dottoressa Milani, l’ispettore De Santis e tutta la loro squadra, tutto lo staff di questo ospedale e di tutti gli altri ospedali di Roma per la prontezza con cui hanno risposto a quest’emergenza, in particolare il dottor La Torre ed il suo team per la preziosa consulenza. È tutto, grazie!”
 
Cerca di svicolare prima che vengano fatte altre domande, non può dire della Rabbia, almeno non ora: sa che si scatenerebbe il panico tra la popolazione. Che forse si scatenerà il panico, che presto gireranno voci sul trasferimento di Misoglio al centro per le malattie infettive e che quando, come è inevitabile, morirà, potrebbe venire tutto a galla. Ma non sarà lui a doversene preoccupare, a dover decidere quanto e cosa dire e, almeno di questo, è incredibilmente grato.
 
“Un attimo! Dottor Berardi, e i punkabbestia ricoverati in questo ospedale? Si dice che fossero loro gli obiettivi di Misoglio e oggi i loro volti erano su tutti i TG, con indicazioni di contattare la questura in caso si avessero notizie sulla loro identità. Ignoravate il collegamento con il caso Scortichini o è stata una trappola da voi ideata per far uscire allo scoperto il Misoglio?” domanda una voce decisamente familiare, “perché in quel caso… il rischio altissimo per i pazienti e il personale, l’evacuazione, una città praticamente paralizzata… mi chiedo, ne è valsa la pena?”
 
Gaetano, ancora accecato dai flash, mette finalmente a fuoco una chioma bionda e due occhi scuri che lo trafiggono, un sopracciglio alzato ed un mezzo sorriso serpentino stampato sul volto.
 
Roberta.
 
Dal brusio di voci, le implicazioni di questa domanda sono chiare a tutti e si sente completamente esausto, svuotato, per trovarsi di nuovo a combattere un’altra battaglia. Ma non può tirarsi indietro proprio ora.
 
“Beh, veramente-“
 
“Veramente l’idea di questa trappola è stata mia: il dottor Berardi e la dottoressa Milani non erano d’accordo ma ho avuto l’ultima parola e di questo mi assumo ogni responsabilità,” lo interrompe un’altra voce familiare e Gaetano vede il questore allontanarsi dal furgone della polizia e farsi largo tra la folla di giornalisti, scortato da alcuni agenti.
 
“Le persone nella mia posizione si trovano ogni giorno a fare delle scelte difficilissime, a volte tra due mali minori. Dopo gli eventi del Luna Park, sospettando che ci fosse ancora un complice in libertà, se non – come poi abbiamo potuto confermare – il vero assassino, temevo un’ulteriore escalation di violenza. La mia idea era quella di anticipare le mosse di questa persona o di queste persone per prevenirla o contenerla in un ambiente controllato. E l’urgenza è stata una cattiva consigliera. Ho commesso un imperdonabile errore di valutazione e porgo pubblicamente le mie scuse per questo a tutte le persone che ne sono rimaste coinvolte e i miei ringraziamenti vanno al dottor Berardi e alla dottoressa Milani per come hanno gestito la situazione, rimediando ai miei sbagli a rischio stesso della vita, intervenendo in prima linea. Nonostante, ve lo garantisco, fossi in buona fede e mosso dalle migliori intenzioni, come ho già detto, sono pronto a prendermi le mie responsabilità per quanto successo e vi annuncio che ho intenzione di rassegnare le mie dimissioni.”
 
Gaetano e Claudia si guardano, sgomenti e scioccati da questo Mea Culpa del questore quasi quanto da tutto quello che era successo in quella lunghissima giornata.
 
Gaetano poi incrocia gli occhi di Roberta, mentre i flash nuovamente esplodono ed un boato di domande rimbomba nell’aria calda d’estate. Lo sguardo di lei è talmente glaciale che sembra quasi abbassare la temperatura, prima che sussurri all’orecchio un paio di indicazioni al fotografo a lei vicino, giri i tacchi e si allontani tra la folla.
 
“Vi prego, vi prego: domani  indirò una conferenza stampa e avrò modo di rispondere alle vostre domande. Per stasera non rilasceremo altre dichiarazioni: è stata una lunga giornata per tutti. Vi ringrazio!” si congeda il questore, prima di fare loro un cenno e avviarsi a fatica verso il furgone da cui è stata coordinata tutta l’operazione.
 
Dolorante, stremato, entra nell’abitacolo dall’aria stantia e opprimente, ma mai quanto la folla, tira un respiro, si massaggia il collo, solleva gli occhi e la vede: in piedi davanti ai sedili laterali, vestita con una tuta della polizia, pallida come non l’ha mai vista, le borse sotto gli occhi gonfi, l’espressione tirata e stanca che improvvisamente si illumina e si apre in un sorriso commosso e sollevato, mentre gli occhi le si fanno lucidi.
 
Gli sembra un miraggio, un’oasi nel deserto.
 
“Camilla?” sussurra, ritrovandosi in un secondo avvolto in un abbraccio fortissimo e disperato, che gli scalda il cuore e le ossa, sciogliendo tutto il gelo in cui si era sentito intrappolato nelle ultime ore.
 
La stringe a sé più che può, godendosi il suo profumo, i suoi capelli ricci sul collo, le sue mani sottili che gli accarezzano la schiena con quella dolcezza, quell’amore che non aveva mai conosciuto prima di conoscere lei, e che sono l’unica cosa di cui ha bisogno. Si sente vivo, vivo come non si è mai sentito prima ed incredibilmente fortunato.
 
“Ti amo… sono così orgogliosa di te, non hai idea quanto,” la sua voce, il suo fiato all’orecchio e la battaglia con le lacrime è ormai definitivamente persa.
 
“Ti amo anche io… e… avevi ragione tu, Camilla, su tutto. Sei… sei incredibile, non so come fai ma… sei la persona che ammiro di più in assoluto, la persona più straordinaria che conosco e non devi dimenticarlo mai, ok?” mormora di rimando, sentendola singhiozzare e stringersi ancora di più a lui.
 
“Temevo ti saresti arrabbiato a vedermi qui: lo so che ti avevo promesso che sarei rimasta in questura, ma non ce la facevo più a stare lì senza sapere niente,” ammette, staccandosi lievemente da lui per guardarlo negli occhi lucidi come i suoi, un’espressione ancora timorosa sul volto.
 
“Camilla, come potrei essere arrabbiato con te? Io volevo solo che tu rimanessi lontana dai guai e l’hai fatto solo che… non mi aspettavo di vederti… qui dentro…” chiarisce, stupito dalla sua presenza lì insieme a Marchese, Grassetti e al questore.
 
“Sono venuta qui, tra la folla, ma nessuno sapeva niente. Allora ho chiamato Marchese per chiedere tue notizie e il questore, saputo che ero qui fuori, mi ha fatta venire qui, così che potessi… seguire quello che stava accadendo,” spiega, la voce che le trema leggermente.
 
Gaetano solleva di nuovo gli occhi verso il questore, stupito dal suo comportamento e non sa se essergli grato o se spaccargli la faccia.
 
“Quanto hai sentito?” le domanda, preoccupato, non potendo immaginare nemmeno lo stato d’animo di Camilla durante tutti quei minuti col fiato sospeso, senza potere fare niente, e ricordando benissimo le minacce di Misoglio, le sue parole disgustose, quello che aveva detto di lei.
 
In realtà ogni singola parola di Misoglio l’aveva sconvolto come non gli capitava da molto tempo: entrare in quella mente sadica e… perversa era stato come fare un viaggio all’inferno e non se lo scorderà mai finché vive. Un viaggio che avrebbe preferito che Camilla non facesse mai.
 
“Ho sentito abbastanza… non ti preoccupare, lo so cosa stai pensando ma… credo che avessi bisogno di sentire, di capire anche se è… inconcepibile ma purtroppo è la realtà. E poi… volevo esserti accanto in qualche modo, qualsiasi cosa fosse successa, volevo esserci fino in fondo e questo era l’unico modo che avevo per farlo,” spiega, causandogli quel dolore piacevole al petto che associa solo a lei, “e mi sento così fortunata ad avere te, mia figlia, mia madre… a non aver mai dovuto vivere un solo giorno della vita di Ilenia e della sua famiglia. Mi hanno detto che le hanno dato dei tranquillanti per farla riposare ma che sta bene, è vero?”
 
“Sì… non volevano che si affaticasse oltre, per via della polmonite. Ora sta dormendo, domani potrai farle visita,” la rassicura, sembrando leggerle nel pensiero.
 
“Scusatemi, non vorrei interrompervi ma… tra poco avrò un appuntamento e non posso mancare,” annuncia il questore e Gaetano capisce benissimo dalla sua espressione che non sarà affatto un appuntamento piacevole, specialmente dopo le dichiarazioni da lui rese, “volevo ancora scusarmi con entrambi: ho già cercato di farlo con la professoressa, ma so che le scuse non bastano.”
 
“Perché l’ha fatto?” domanda Gaetano e il questore capisce immediatamente a cosa si sta riferendo.
 
“Ascoltare Misoglio è stato come uno schiaffo in pieno volto, è stato un brusco risveglio, che mi ha fatto aprire gli occhi su tante cose e rivalutare le mie scelte e il mio comportamento, non solo in questi ultimi giorni. Sono stato orgoglioso, stupido e superficiale: vi ho sottovalutato, ho sottovalutato il pericolo e Misoglio. Non so come, ma ad un certo punto della mia carriera credo di aver perso di vista le cose veramente importanti ed i motivi per cui sono entrato in polizia tanti anni fa. Se fosse successo qualcosa in quell’ospedale non me lo sarei mai perdonato: lei e la Milani mi avete salvato da una vita di rimorsi e non avrei potuto permettere che prendeste la colpa al posto mio. Forse un po’ di stop mi farà bene, mi aiuterà a riflettere,” ammette l’uomo con tono stanco ma che Camilla e Gaetano percepiscono come sincero.
 
“Per quanto mi riguarda… oggi ho provato un desiderio irrefrenabile di spaccarle la faccia, sono sincero signor questore, ma tutti facciamo degli errori. Ma solo in pochi sono in grado di ammetterlo e di metterci la faccia, rischiando tutto, come ha fatto lei. Spero che non abbia conseguenze troppo gravi e lo dico sinceramente,” replica Gaetano porgendogli la mano in segno di pace.
 
“Grazie, Berardi. Ho capito perché tutti dicevano meraviglie di lei… di lei e della professoressa. È stato un piacere conoscervi,” si congeda, stringendo la mano di Gaetano e poi quella di Camilla ed avviandosi all’uscita.
 
“Grassetti, come sono andate le cose a casa di Misoglio?” domanda Gaetano dopo un attimo di pausa, immaginando che, se la ragazza è lì, la situazione dovrebbe forse essersi risolta.
 
“Abbiamo dovuto fare evacuare l’isolato tutto intorno: gli artificieri hanno confermato che quella che abbiamo evitato per un soffio era una bomba e ne hanno trovate altre di trappole del genere, innescate da un sensore, oltre ad un vero arsenale di armi ed esplosivi, nascosto nello scantinato. Misoglio doveva avere un bel fegato a vivere in un posto del genere, che era una polveriera pronta ad esplodere, o forse non viveva sempre lì…”
 
“Sì, lo credo anche io. Come si è preso la casa di Giuliani potrebbe averne diciamo… occupate altre nel corso degli anni. Domani voglio che torniate lì tutti e due e che ricontrolliate tutto, palmo a palmo: se c’è un altro arsenale nascosto da qualche parte dobbiamo individuarlo. Credo che un paranoico come Misoglio avesse pronto più di un piano di back-up in caso di fuga,” spiega, rivolgendosi a lei e a Marchese, entrambi dall’aria sfinita, “grazie ragazzi: in questi giorni avete fatto un lavoro incredibile, dico davvero. Ora però andiamo a riposare, ok?”
 
“Vado anche io… Gaetano, non potrò mai ringraziarti abbastanza: ti devo la vita,” proclama Claudia, avvicinandosi a lui con un sorriso, prima di aggiungere, rivolta a Camilla, “anzi, in realtà la devo a tutti e due: Gaetano mi ha detto che l’intuizione sul fatto che Misoglio fosse ferito e malato di Rabbia è stata sua, professoressa, e non so come ne saremmo usciti, se non l’avessimo saputo. Gaetano non esagerava quando mi parlava delle sue capacità, professoressa.”
 
“Sono sicura che Gaetano avrebbe trovato un altro modo di risolvere la situazione,” risponde Camilla con un sorriso, guardandolo orgogliosa, “ma la ringrazio. E da quello che  ho sentito mentre era prigioniera di Misoglio, anche lei non scherza affatto: ho capito perché Gaetano ha tanta stima di lei. E mi dispiace che siamo partite col piede sbagliato.”
 
“Si figuri, le ho già detto che  la capisco perfettamente, però me lo tratti bene, ok? Anche perché, mi creda, da quello che ho visto e sentito, non ha proprio niente da temere, né da me, né da nessun’altra,” la rassicura, prima di rivolgersi di nuovo a Gaetano con un ironico, “ci sentiamo domani, un po’ sul tardi immagino? Anzi, chiamami tu, che non vorrei disturbare il… meritato riposo.”
 
Gaetano e Camilla scambiano uno sguardo imbarazzato, mentre lei rivolge la sua attenzione all’ispettore De Santis, che se ne sta ancora impalato in un angolo del furgone, osservandola come ipnotizzato. Riconoscono entrambi quell’espressione e sanno che il povero De Santis difficilmente si riprenderà mai da questa operazione sotto copertura.
 
“De Santis, forza, andiamo. Sono in macchina con lei, se lo è già dimenticato? Spero che con la sua vera fidanzata sia un po’ più premuroso e soprattutto che non le faccia mai un’iniezione, se non vuole ritrovarsi single. Mi rimarrà il livido per un mese!”
 
L’ispettore la insegue quasi di corsa fuori dalla porta.
 
Si guardano senza parlare per qualche secondo, esausti ma con un sorriso sulle labbra, gli occhi che ritornano a farsi lucidi.
 
“Andiamo a casa?” chiede Camilla e, di nuovo, non c’è bisogno di altre parole.
 
“Sono già a casa,” lo sente sussurrare, protetta nel suo abbraccio, appoggiata al suo petto, mentre la porta via dal mare di gente, di flash, di voci.
 
Ma l’unica cosa che sente è il battito ritmico e forte del suo cuore nell’orecchio. È davvero a casa.
 
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Sono ormai le due di notte: infila la chiave nella toppa, la gira per poi abbassare lentamente la maniglia con una delicatezza degna di un neurochirurgo. Le sembra di essere tornata adolescente, quando rientrava oltre il coprifuoco e sperava – invano – di non essere intercettata dalla generalessa Baudino. Il generale, di solito, non si palesava ma, invariabilmente, la mattina dopo si ritrovava ad essere svegliata alle 7 per fare “una bella corsa al parco”. Suo padre odiava correre e odiava alzarsi presto nei weekend quasi più di lei, quindi il messaggio era chiarissimo. Poi però si fermavano a mangiare i bomboloni alla crema e facevano un salto in libreria. Lui comprava un libro per sé e uno per lei per “passare bene il tempo” durante i giorni di punizione che sua madre le aveva appioppato. Non c’era uno solo di quei libri che non avesse amato, che non avesse letto e riletto più volte. Li conservava ancora gelosamente in uno scaffale a loro dedicato nella sua libreria, sopravvissuti ai mille traslochi.
 
Con cautela spinge la porta ed entra nell’ingresso buio ma, improvvisamente, la luce si accende e, nel giro di due secondi, si ritrova avvolta in un abbraccio a morsa.
 
“Livietta!” esclama, stupita, accarezzandole i capelli, ormai non più abituata a simili slanci da parte della ragazza, che la riportano indietro nel tempo, a quando era bambina, prima che l’adolescenza portasse con sé la tipica ritrosia alle manifestazioni pubbliche di affetto nei confronti dei genitori.
 
Solleva gli occhi e vede sua madre, in vestaglia, appoggiata alla porta che dà in salotto.
 
“Cominciavamo a darti per dispersa e a pensare che non saresti tornata nemmeno stanotte,” commenta Andreina, con un tono che invece le fa fare un ulteriore salto indietro, di nuovo ai tempi della sua di adolescenza.
 
“Ho visto Gaetano in tv… è tutto finito, vero mamma?” le domanda Livietta, preoccupata, quegli occhi azzurri che sembrano scrutare i suoi alla ricerca di ogni minima bugia.
 
“Sì, è tutto finito. Ma sono state ore concitate, siamo tornati non appena possibile…” la rassicura con un sorriso, scompigliandole di nuovo i capelli
 
“Siamo?” chiedono in contemporanea nonna e nipote, mentre gettano un’altra occhiata verso la porta d’ingresso, dove, dal pianerottolo buio, emerge una figura maschile con un borsone della polizia in mano.
 
“Gaetano!” esclama Livietta con un sorriso, sorpresa e felice, trascinando anche lui in un abbraccio, per poi lanciare un’occhiata al borsone e aggiungere, fulminandolo con un’occhiata che è un misto tra un avvertimento e una preghiera, “sei tornato per restare, vero?”
 
“Nel borsone ci sono i vestiti che indossava ieri tua madre e un cambio per me, per la notte… la mia valigia è a casa di mia sorella e non potevo buttarla giù dal letto alle due di notte, ma-“
 
“Mentre buttare giù noi dal letto non è un problema?” si inserisce Andreina con un sopracciglio alzato.
 
“No, certo che no, ma Camilla voleva tornare a casa,” spiega Gaetano, alternando lo sguardo tra nonna e nipote, “e, Livietta, io sarei felicissimo di poter restare, ma… dopo tutto quello che è successo in questi giorni, capisco che probabilmente non sono un ospite gradito.”
 
“Sicuramente ha un bel coraggio a presentarsi qui alle due di notte dopo essersene andato all’improvviso senza nemmeno salutare,” commenta Andreina, sarcastica, le braccia conserte ed un’espressione imperturbabile.
 
“Signora Andreina, per favore, mi ascolti,” la prega, mollando il borsone per terra ed avvicinandosi a lei, “lei ha tutte le ragioni ad avercela con me. Se esistesse un decalogo delle cose che un aspirante futuro genero dovrebbe evitare di fare quando è ospite della madre della sua compagna, probabilmente io sono riuscito ad inanellarle tutte. Si, ha ragione, lo so che me ne sono andato senza salutare, anche se davvero avrei voluto farlo, ma non ne ho avuto il tempo. Lo so che ho lasciato sua figlia per andare a prendere quel maledetto treno, che mi sono comportato come un perfetto idiota per colpa della mia gelosia e che in questi giorni ho praticamente sequestrato sua figlia in questura, per via delle indagini, ma l’ho fatto per tenere lei e Livietta al sicuro e lontane da questa storia, anche se forse non mi crederà. Posso solo dirle che qui con voi mi sono sentito anche io a casa, lei mi ha fatto sentire a casa, mi ha dato la sua fiducia, mi ha fatto sentire accolto in famiglia e mi dispiace di averla delusa, di aver distrutto tutto.”
 
“Senta, Gaetano, mettiamo una cosa in chiaro, io- “ prova di nuovo ad intervenire Andreina, ma lui ormai è un fiume in piena.
 
“Lo so, lo so che non bastano due scuse e che le parole valgono poco, che quello che contano sono i fatti. E io voglio dimostrarle coi fatti quanto amo sua figlia e che non vorrei mai farla soffrire, che non avrei mai voluto farla soffrire. Vorrei provare a riconquistarmi poco a poco quella fiducia che lei riponeva in me. Se mi darà anche solo una possibilità, le garantisco che non avrà mai modo di pentirsene e-“
 
“E in ogni caso, capisco che questa sia casa tua, mamma, ma se Gaetano non può restare io vado con lui. Non ho alcuna intenzione di lasciarlo da solo stanotte, dopo tutto quello che è successo,” mette in chiaro Camilla, decisa, mettendo di nuovo una mano sulla spalla di Gaetano, come aveva già fatto in ospedale.
 
“E io vengo con voi,” si inserisce Livietta, altrettanto decisa,  imitando il gesto della madre e schierandosi, letteralmente, con Gaetano, “nonna, per favore: lo sai anche tu che pure mamma ha avuto la sua parte di colpe e-“
 
“E MI FATE PARLARE??!!” urla Andreina, zittendoli e, probabilmente, svegliando tutti i vicini.
 
“Mamma, calmati, per favore, il tuo cuore-“
 
“Io mi calmo se mi fate parlare!” sbotta, per poi aggiungere, dopo aver tirato un sospiro, “stavo dicendo, prima che mi interrompeste che Gaetano ha avuto un gran coraggio a presentarsi qui stasera ma non lo stavo dicendo in modo negativo. Lei Gaetano ha coraggio, ha avuto il coraggio di affrontarmi stasera, nonostante, ne sono sicura, sarà stato distrutto; ha avuto il coraggio di dire di no a mia figlia, di andare a prendere quel treno e di rischiare di perderla per sempre, pur di farla ragionare ed evitare una tragedia. Certo, c’è stata anche la gelosia e, da questo punto di vista, spero si sia reso conto di quanto sia assurda, visto che so che mia figlia la ama moltissimo e non ha alcun motivo di dubitare di lei. Ma per il resto, mi ha dimostrato di tenere di più al bene di mia figlia e di mia nipote che al suo e sono convinta che se mia figlia non è morta intrappolata in quella casa stregata al Luna Park, lo devo soprattutto a lei. Quindi per me qui lei è il benvenuto, ma a due, anzi, a tre condizioni irrevocabili.”
 
“Tutto quello che vuole,” le assicura con un sorriso, sentendo come se un macigno gli fosse stato tolto dal petto.
 
“La prima è che si impegni sempre a rendere felice mia figlia e mia nipote come sta facendo e che continui a prendersi cura di loro. La seconda è che, visto come è andata questa vacanza, lei mi prometta che me le riporterà qui presto e che sarà di nuovo anche lei mio ospite. La terza è che la smetta di chiamarmi signora e si decida a chiamarmi solo Andreina, che se no mi fa sentire terribilmente vecchia. Affare fatto?” domanda l’anziana con piglio quasi militare tendendogli la mano.
 
“Ma certo, affare fatto,” acconsente, sentendosi quasi stritolare la mano in una stretta incredibilmente forte, specialmente una donna così anziana e così minuta.
 
“Ma se prova a far soffrire mia figlia… lei sa cosa succede, non è vero?” la sente sibilargli nell’orecchio, prima di lanciargli un’ultima occhiata e girargli intorno per abbracciare Camilla.
 
 Non riesce a trattenere un sorriso: le donne di casa Baudino sono davvero tutte uguali.
 
Per fortuna.
 
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“Non mi sembra vero… di essere di nuovo qui con te, insieme…”
 
Solleva gli occhi e la guarda: di ritorno dal bagno e da una doccia, i capelli ancora umidi e una di quelle sue camicie da notte blu che lo fanno impazzire.
 
“Nemmeno a me…” ammette lui con un sorriso, attirandola a sé in un altro abbraccio e rabbrividendo quando sente i suoi capelli profumati, la seta e la sua pelle morbida sfiorargli il collo e il torso nudo.
 
È lei a sciogliere per prima l’abbraccio, allontanandosi da lui di un passo e sollevando una mano fino a sfiorare il contorno degli ematomi lasciati dalla lotta con Misoglio .
 
“Ti fanno tanto male?” chiede, preoccupata, sentendolo trattenere un lamento.
 
“Un po’…” ammette, anche se in realtà, queste carezze stanno anche provocando tutt’altro tipo di effetto. Ma sa che Camilla sarà esausta quasi quanto lui e che casa di Andreina è off-limits per certe cose, visto che Camilla è in imbarazzo all’idea che sua madre possa sentire qualcosa.
 
Non riesce quindi a contenere un gemito quando, improvvisamente, sente due labbra morbide e umide sfiorargli il petto all’altezza del cuore, per poi tracciare scie di baci vicino a tutte le aree più livide, nel punto dove la pelle non duole ma è invece ancora più sensibile del solito. Non ha mai provato niente di simile e il suo corpo risponde con un’intensità tale che sente la testa girargli leggermente, mentre tutto il sangue confluisce verso altre zone.
 
“Camilla… cosa stai facendo?”
 
“Sto cercando di alleviare il tuo dolore: non lo sai che certe… attività rilasciano endorfine… e sono meglio di un antidolorifico?” lo provoca, soffiandogli sulla pelle mentre continua a baciarlo.
 
“Camilla…” rantola dopo poco, prendendole delicatamente il viso e sollevandoglielo per guardarla negli occhi che brillano divertiti, “Camilla, così mi fai impazzire e… se vai avanti così… non so se riuscirò a trattenermi ancora per molto.”
 
“E allora non trattenerti…” sussurra lei con un sorriso malizioso, prendendolo per la nuca e trascinandolo in un bacio che gli toglie il fiato e la ragione.
 
“Camilla… tua madre…” prova a protestare, debolmente, anche se non riesce a trattenersi dall’accarezzarla attraverso la seta della camicia da notte, sentendola premersi contro di lui, “potrebbe sentirci… e…”
 
“Solo se si mette ad origliare ed in quel caso sono problemi suoi. Ho bisogno di te e non voglio perdermi più niente, non voglio perdere più nemmeno un minuto facendomi paranoie su mia madre. Abbiamo già perso dieci anni per colpa delle mie paranoie e il tempo è così prezioso, l’ho capito ancora di più in questi giorni,” ammette, guardandolo negli occhi in un modo che lo fa tremare, mentre sente la gola e gli occhi bruciare.
 
Baciandola con tutta la passione di cui lei lo rende capace, la solleva in braccio, sentendo la sua esclamazione di sorpresa e una risata riverberargli sulle labbra, perdendosi con lei in quello che è finalmente di nuovo il loro letto.
 
C’è qualcosa di diverso nell’aria carica di elettricità, mentre le mani tremanti sfilano gli ultimi indumenti che li separano e poi esplorano, si intrecciano, amano. C’è un significato diverso in ogni bacio, in ogni carezza, in ogni movimento… come se ogni gesto fosse una preghiera, un ringraziamento, una dichiarazione d’amore.
 
Si amano senza fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo e come se non ci fosse un domani, come se entrambi volessero far durare questo momento per sempre, farlo bastare per sempre, qualsiasi cosa succeda, come se volessero racchiudere tutto quello che provano, tutto l’infinito in un istante.
 
Le mani sulle bocche a trattenere quello che non può essere trattenuto, a custodire gelosamente quell’universo segreto che esiste solo per loro.
 
“Sempre,” la sente sussurrare, mentre le sfiora i polpastrelli con le labbra, avvolto dal suo corpo morbido e da una sensazione di completezza e di pace talmente potente che non riuscirebbe mai a descrivere a parole.
 
“Sempre,” promette, incrociando i suoi occhi scuri, prima di baciarle delicatamente la fronte e le labbra,.
 
La sente stringersi ancora più a lui e posargli un ultimo bacio all’altezza del cuore, il respiro che si fa più lento e cadenzato, cullandolo come una ninna nanna in un sonno profondo e senza sogni.
 
 
 


Note dell’autrice: E finalmente ce l’ho fatta! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbia ripagato almeno un poco l’attesa infinita. Che ne pensate delle motivazioni di Misoglio e del suo piano? Erano come ve li aspettavate? Lo so che la confessione del “cattivo” è un po’ un cliché ma in Provaci Ancora Prof. praticamente tutti confessano, sempre xD. L’ho quindi voluta inserire come un ultimo “sfregio” di Misoglio, un ultimo canto di vittoria da parte sua, uno sfogo del suo ego, provocata dai “buoni” per questione di sopravvivenza. Come sempre, i vostri pareri sono preziosissimi per tararmi sulla scrittura, quindi fatemi sapere in assoluta libertà cosa vi ha convinto e cosa no. Cosa ci attende nel prossimo capitolo? Chiarimenti e parecchio romanticismo… Dico solo alcune parole chiave: Camilla e De Matteis, Grassetti e De Matteis, Marchese, Ilenia, Sammy e Mancini e… i nostri Gaetano e Camilla dovranno pur festeggiare la fine di questo caso come si deve e godersi un po’ di tranquillità, no?
Se vi va, vi do quindi appuntamento tra pochi giorni per la seconda parte del capitolo, ringraziandovi come sempre per avermi seguita fin qui!
   
 
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