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Autore: lullaby_89    09/12/2008    5 recensioni
1° calssificata al conest di scrittura, tema vampiri di WriterTemple
Quando vivi, si fa per dire, da quasi due secoli..
Cosa ti importa delle vite altrui?
Quando sei solo un mostro..quando puoi ottenere tutto..
Quando il peccato è il tuo migliore amico..
è la mia prima one-shot! siate clementi!
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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X MelCullen: Grazie Mel^^ sei sempre un tesoro!!!

X Faby hale: Lo so è un po’ triste e molto tenebrosa, però io è così che li vedo, belli ed eternamente dannati! Ti dico una cosa, in effetti mi sono basata su di lui, è così, un vampiro che ha vissuto anche “altra vita” quella del mostro, se si può definire così!
Sono felicissima che ti sia piaciuta! Ci sono molto affezionata!

Kia do87: Grazie!!!!!!!!!

XXManu: Ci tenevo a non scrivere la solita storia del vampiro che uccide per vivere, e vedo che ci sono riuscita! Addirittura poetica??? Non so cosa sire se non che apprezzo molto il tuo commento! Ho postato anche un’altra FF, ma è un po’ diversa, tratta di vampiri, ma questa volta mi sono ispirata a Twilight! Si intitola ..New Dawn.. Se ti va di dare un’occhiata mi farebbe molto piacere!

Dark Damned Eyes

Notte. Vedevo solamente quella da ormai duecento anni.

Già, ho duecentodiciannove anni precisamente, e vivo, si fa per dire, questa esistenza dannata ormai da due lunghissimi e interminabili secoli.

Chi sono io?

Sono una creatura dell’inferno, un assassino un tossicodipendente di quell’ambrosia rossa che scorre nelle vene altrui, ma non nelle mie ormai da parecchio. Il mio corpo è freddo, il mio cuore non batte, ma io inspiegabilmente sopravvivo, non muoio, io non posso morire.

Sembro forse un presuntuoso affermando ciò?

Bè, non lo sono, io veramente non muoio, la mia è una condanna che mai avrà termine, mai potrò chiudere gli occhi e non riaprili, seppure lo desideri io continuo ad esserci e per sempre ci sarò. Io creatura maledetta non cesserò mai di vagare.

Il vento freddo dell’autunno muoveva la mia camicia e i miei capelli color della notte, così neri da sembrare blu, le strade di Central Park erano vuote, solo poche foglie roteavano vicino a me, ma anche loro sembravano aver timore a starmi così vicino e cambiavano direzione.

Le stelle erano coperte dalla miriade di luci della città, la luna era ridotta ad un piccolo nastro argentato in quel mare di oscurità che era il cielo di New York. Mentre vedevo le pesanti nuvole mosse dalle correnti d’aria pensavo a come il mondo cambiasse, il tempo scorresse, ed io che invece rimanevo lo stesso giovane uomo di sempre, il mio volto quello di un ragazzo attraente e misterioso.

Amavo in qualche modo stare da solo, in disparte, nascosto da tutto e da tutti; perciò sceglievo quella panchina sotto le betulle, nessuno aveva la mente così ottusa da inoltrarsi nel parco a quell’ora della notte, se non qualche ubriaco e qualche banda.

Erano le due di notte quando accadde, un gruppo di ragazzi strepitava venendo verso di me, restai fermo sapendo che mai avrebbero osato darmi fastidio, mettevo timore solo con uno sguardo. Nessuno mai si era avvicinato a me. Io, il dannato.

Una decina, illuminati dai lampioni fiochi, parlavano di cose futili, le stesse di ogni adolescente di questo secolo senza più nessun ideale. Si avvicinavano sempre di più e le loro voci erano fastidiose per i miei orecchi, volevo silenzio, lo pretendevo prima di una caccia.

Avevo sete. Seppur non volessi uccidere il mio destino era quello, la mia condanna eterna, dovevo prendere le vite altrui per far continuare la mia.

Avevo provato a lasciarmi morire, ma l’istinto aveva prevalso tutte le volte, magari un odore più invitante di un altro o una donna troppo audace che si avvicinava. In quei momenti il mostro usciva allo scoperto e dilaniava le sue vittime come una bestia senza controllo.

Adesso erano davanti a me, tutti appostati sulla panchina di fronte alla mia intenti a bere birre e non so quali altri tipi di alcolici, erano giovani, ragazzi e ragazze di forse diciassette anni.

In quel momento i miei occhi scuri da demone incontrarono i suoi limpidi e puri, così caldi e dolci, inspirai profondamente e la gola divenne secca e desiderosa di essere bagnata, fu così che sul mio volto si disegnò il ghigno del cacciatore e i denti perlacei brillarono alla luce argentea della luna.

Lei sarebbe stata la mia prossima vittima.

Aspettai con calma, quella calma innata che da decenni avevo imparato ad avere, la pazienza era il segreto di un delitto perfetto, la lucidità di ogni gesto e la cura dei dettagli.

Dato che il mio era un eterno castigo a cui non potevo fuggire tanto valeva divertirmi, forse ero veramente un demonio sadico e senza cuore. Ovviamente se non batteva non poteva nemmeno amare, ma soffrivo.

Intanto la osservavo meglio, jeans bianchi e una maglia lunga di lana arrivava appena sotto il suo fondoschiena, sui fianchi una cintura di pelle marrone con una grossa fibbia. I capelli erano lisci e lunghi, di un color mogano brillante, quando scuoteva la testa o si muoveva il suo odore mi colpiva come uno schiaffo.

Così dolce. Così dissetante, il suo sangue pulsava dentro di lei e sarebbe stato mio.

Alle tre di quella notte fredda e scura i ragazzi si allontanarono, lei con loro camminava ondeggiando il suo corpo come fosse una ballerina, c’era qualcosa di più in lei che mi attirava oltre al suo odore, era bella.

Si voltò per guardare, forse me, i suoi occhi color cioccolato incrociarono i miei profondi come l’oceano e mi sembrò sorridere.

Che faceva? Sorrideva al suo assassino?

Piccola tu sarai la mia preda, non cercare di addolcirmi, sei la mia cena.

Mi alzai piano, sistemando la giacca nera e i jeans firmati, un segreto per non far scappare le vittime era non avere un aspetto spaventoso.

Silenzioso, proprio come un’ombra la seguii, abbandonò i suoi amici ad un incrocio e proseguì da sola, ancora invisibile continuai a pedinarla fino a quando non si fermò a sedere su un muretto di pietra di fronte ad una villa bianca. Perché non aveva paura a vagare da sola per le pericolose strade di New York? Certo non sapeva che io ero in giro, ma io non ero l’unico pericolo di quella caotica metropoli.

“Ciao” disse senza timore non appena mi presentai di fronte a lei, le mani nelle tasche dei jeans e il mio sorriso dolce a cui nessuna aveva mai resistito. Inspiegabilmente seppur spaventoso io ammaliavo le donne.

“Che fai mi hai seguito?” domandò alzando i suoi occhi marroni verso il mio viso d’avorio, anche lei mi aveva notato nel parco.

“Non mi sembrava normale che una ragazza come te vagasse sola di notte” le spiegai con quella voce calma e rassicurante.

“E chi mi dice che tu non sia un maniaco o un assassino?” mi sfidò.

Coraggiosa la ragazza, riusciva a sostenere il mio sguardo, nessuna mai prima d’ora ce l’aveva fatta, solo lei sembrava non essere spaventata dai miei occhi, le striature vermiglie che avevano non la spaventavano.

Sorrisi quando lo disse e lasciai che vedesse i canini affilati, sapevo che la mia risata era come una melodia, una sinfonia di cui non ci si scorda, qualcosa da cui si diventa dipendenti.

“Giusta domanda” tornai serio e la guardai cupo, non duramente, solo serio.

“Chi sei?” balbettò e si ritirò indietro, ma trovò la ringhiera a bloccarla.

“Nessuno..sono un’ombra” mormorai.

Questa volta si spaventò seriamente e mi guardò implorante, aveva paura, sentivo il suo cuore accelerare e il respiro rotto, la pupilla spalancata e la bocca semiaperta a cercare aria.

“Co..sa?” domandò spaventata.

“Io sono nessuno” ripetei con una risata.

“Cosa vuoi da me?” si rimpicciolì ancora di più stringendosi con le braccia, come se potessero proteggerla. Ridicolo, nessuno ti avrebbe salvata, io non perdonavo mai.

“Tutto e niente” restai sul vago, amavo giocare con le mie vittime “ti accompagno solo a casa” la rassicurai.

Annuii, capendo che un rifiuto non mi sarebbe piaciuto, mentre camminavamo colpiti dal vento freddo che non mi scalfiva, lei lanciava occhiate verso di me. Spaventata. Soprattutto attratta da questo corpo perfetto.

Avrei potuto anche divertirmi un po’ prima di ucciderla.

Davanti ad un cancello di una piccola villetta si fermò e poggiò una mano sul ferro gelato dell’inferriata desiderosa di fuggire da me il prima possibile.

“Grazie” mormorò cercando di inserire le chiavi nella serratura, ma non glielo permisi e le afferrai il polso cercando di essere delicato.

“Non così in fretta” scherzai con quella mia voce sicura e tremendamente sensuale.

Mi guardò per un istante senza far trasparire alcuna emozione, come se fosse in trance, non più in grado di ragionare. I miei occhi scuri e dannati avevano colpito ancora una volta.

Presi il suo volto tra le mie mani e rabbrividì al contatto, ero freddo, ero morto, ero vuoto. Cercò di ribellarsi quando posai le mie labbra sulle sue, calde e invitanti esattamente come la vena che pulsava nel suo collo.

Cercò di ribellarsi, ma quando sentii le sue mani sulla mia schiena e fra i miei capelli capii che era fatta, era mia. Giocai un po’ con lei, facendola sospirare quando le leccavo il collo, le baciavo il mento e accarezzavo il suo corpo.

“Chi..s..ei?” domandò ancora fra i sospiri.

“Te l’ho detto..” mormorai nel suo orecchio “io sono nessuno..non esisto”

Tornai a baciarla con estrema calma, con passione poggiandola alla colonna in pietra, intrappolata tra le mie braccia di marmo, senza via di fuga e senza speranze.

Lasciai stare la sua bocca e lentamente passai al collo, era caldo, decisamente vivo, profumato e fragile, morbido. La afferrai per le spalle e sussultò quando sentì i miei denti stapparle la pelle, affondare dentro di lei, il caldo nettare color rubino che scendeva nella mia gola secca, il suo corpo che futilmente cercava di ribellarsi.

Quasi sorridevo mentre la sentivo pregarmi di lasciarla, non capiva cosa le stava succedendo, ma nel suo inconscio sapeva di morire, sapeva di essere stata ingannata.

“Chi sei?” chiese un’ultima volta con una voce stanca.

Non si può non concedere un ultimo desiderio e così l’accontentai “Sono colui che non ha anima. Una creatura rinata dalle tenebre, dall’inferno. Un vampiro” mormorai lasciando la presa del suo corpo e sorridendole mentre il sangue sporcava le mie labbra e lei cadeva inerme a terra.

La mia risata nacque spontanea e ruppe il silenzio di quella notte d’autunno, ancora una vittima sulla mia coscienza.

Ma chi aveva più una coscienza? Certo non io.

Il vampiro dannato e bellissimo che da due secoli vagava solitario spargendo terrore.

Accarezzai il volto della ragazza, i capelli sparsi per terra e sul suo volto, li spostai e ammirai ancora il suo viso candido, ancora rosa.

“Avevo ragione, il tuo sangue era dolce..proprio come te” stampai un bacio sulla sua guancia e corsi via nel buio senza meta.

Io e il vento, simili, sue cose invisibili eppure esistenti. Io c‘ero, ma come un’ombra non ero nessuno, il senza nome, il vampiro.

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Questa One shot è stata premiata con il 1° posto al Contest di scrittura tema vampiri di Writer Temple

  
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