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Autore: The Writer Of The Stars    02/03/2015    1 recensioni
Rachel volse lo sguardo verso l’alto, osservando la luna incantata. Era piena, quella notte, bella e luminosa come poche volte le era capitato di vedere ...
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“Io cerco solo di arrivare a te …” prese un respiro profondo, conscia che ormai parlare sarebbe stato troppo difficile.
“N- Non farmi sentire come una pazza … non fare come gli altri, che dicono che sono solo una pazza che parla alla luna …” rigettò le ultime parole tutto d’un fiato, prima di abbandonare il capo tra le ginocchia e prendere a singhiozzare sommessamente.
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Prima storia su questo fandom, spero vi piaccia. ;)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rachel Berry | Coppie: Finn/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il portone d’ingresso si aprì con pesantezza, cigolando leggermente. Mille volte i suoi papà avevano avanzato la proposta di lubrificare i cardini arrugginiti con un po’ d’olio, ma ogni volta lei era sempre intervenuta prontamente, stroncando sul nascere quel semplicissimo lavoretto domestico. Era anche stupido a pensarci bene, perché diamine, che cosa le importava di quella vecchia porta rumorosa? Eppure era più forte di lei. Il cigolio le piaceva, perché c’era sempre stato. Dacché aveva memoria, quello stridulo rumore aveva sempre accompagnato il suo ingresso all’interno della propria casa a Lima, e negli anni le aveva dato un certo senso di sicurezza. Ogni volta che rientrava a casa lo sentiva, che si fiondasse nell’appartamento sbattendo la porta arrabbiata o che facesse il suo ingresso canticchiando deliziosamente allegra, il cigolio aveva sempre fatto da sottofondo al suo rientro a casa. Sembrava volesse dirle “Okay, la giornata è andata male, ma sai una cosa? Ora sei a casa.” E le piaceva sentirsi a casa. Quando era poi partita per New York, un inspiegabile nodo si era formato alla bocca dello stomaco, al pensiero che di certo ora che se ne era andata, i suoi genitori avrebbero deciso una volta per tutte di mettere fine a quell’insopportabile “cliin …”. In verità, era anche un po’ spaventoso, ghiacciava le vene al solo udirlo. Ma non a lei. Poi era successo un disastro, il suo show era miseramente fallito e lei aveva impacchettato tutta la sua roba in quella vecchia valigia piena di sogni infranti con la quale era arrivata speranzosa nella Grande Mela, e se ne era tornata a casa. La cosa che l’aveva colpita più di tutti era stato sentire, aprendo la porta con le lacrime agli occhi, il cigolio di benvenuto. Si era bloccata un attimo, quasi paralizzata, dando il tempo al suono di scemare nell’aria. Poi aveva spinto con celerità la valigia all’interno dell’abitazione, e da lì era stata invasa da una nuova ondata di confusione, incredulità e tristezza. I suoi papà in corso di divorzio, la casa in vendita … stava diventando troppo per una ragazza reduce da una delle più grandi delusioni provate, tornare a casa e ricevere nuove coltellate, una dietro l’altra. Però almeno una cosa buona la stava combinando. Il nuovo Glee Club era ancora alquanto mal nutrito, ma stava cominciando a prendere vita, e tutto ciò grazie a lei … e si, anche grazie all’aiuto di Kurt. Ormai passava le sue giornate all’interno di quella vecchia aula canto dove era, per così dire, “cresciuta” e anche se non lo avrebbe ammesso, le faceva un effetto alquanto strano essere lei ora ad insegnare ai ragazzi a far sentire la loro voce, al posto di Mr Schue. Era una sensazione strana, ma bella. Si sentiva realizzata, in un certo senso. New York e Broadway sarebbero sempre stati il suo sogno, ma doveva ammettere che anche fare l’insegnante non era male …

Sorrise leggermente tra sé, chiudendosi la porta alle spalle. Rachel si avvicinò al divano in salotto, con passi cadenzati e ritmati dal leggero tacco delle sue scarpette di vernice nera. Si sfilò con calma il cappotto, adagiandolo sul sofà  e con calma si fece strada in cucina. Spalancò il frigorifero, canticchiando distrattamente tra sé e sé, e dopo una celere ispezione all’interno del freezer, optò per una semplice insalata per cena. Estrasse la ciotola di verdure da uno dei ripiani e chiudendosi il frigorifero alle spalle, uscì dalla cucina, facendosi strada verso la sua amata camera da letto. Lanciò una fugace occhiata al suo comodo letto, per poi posare gli occhioni color cioccolato sul davanzale della finestra. In pochi minuti si ritrovò avvolta dal suo caldo pigiama e con la ciotola di verdure in grembo e una forchetta nella mano destra, si sedette lascivamente sul tiepido ripiano. Poggiò la testa contro il vetro della finestra, avvertendo un brivido di freddo percorrere la sua schiena al contatto con la fredda superficie trasparente. Erano appena agli inizi di dicembre, ma già il freddo aveva avvolto ogni cosa a Lima. Rachel lanciò uno sguardo all’insalatiera poggiata in bilico sulle sue ginocchia, e una smorfia di disappunto le adombrò il viso. Non aveva fame in verità, perciò posò in terra la ciotola, sistemandosi meglio sul ripiano del davanzale. Abbracciò le gambe, portandole al suo petto, accoccolandosi tra sé e sé. Non aveva nemmeno acceso la luce e l’unica illuminazione concessa le era data dalla luna che svettava in cielo quella notte. Rachel volse lo sguardo verso l’alto, osservando la luna incantata. Era piena, quella notte, bella e luminosa come poche volte le era capitato di vedere. E lei la luna la guardava spesso, oh si se la guardava. Da quando Finn era morto, ogni notte, meccanicamente, i suoi occhi si volgevano alla luna. Anche a New York lo faceva sempre. Aspettava pazientemente che Kurt e Santana si addormentassero per poi, in punta di piedi, avvicinarsi silenziosamente alla finestra del loro appartamento. Si infilava la vestaglia con velocità, intirizzendo per il freddo ma senza rinunciare alla sua impresa. Si avvicinava alla finestra, alzando gli occhi verso il cielo. New York è una città che non dorme mai, non una luce viene spenta nel corso del giorno e della notte. Però da casa sua la luna si vedeva comunque bene. Doveva magari rinunciare alle stelle, ma non le pesava poi così tanto, perché era la luna che le interessava. E stava ore così, con il viso rivolto alla dea del cielo, che in quella caotica città ben pochi rimiravano con la sua stessa attenzione. Rachel non lo faceva per una casuale passione astronomica o osservazione scientifica. Rachel sentiva la necessità di guardare la luna. E ora non prendetela per pazza, ma anche di parlarci.

“Ehy …” sussurrò alla luna di Lima, che le pareva addirittura più bella di quella di New York. E non perché fosse diversa o altro. Ma perché sentiva che Finn fosse più vicino, lì.

“Era da un po’ che non mi sedevo qui, eh?” continuò, abbassando gli occhi quasi in senso di colpa. Chiunque al vederla avrebbe pensato che quella brunetta dal naso strano e gli occhi cioccolato fosse pazza. Stava parlando con un satellite, accidenti! Solo lei sapeva che non era così. Non che non fosse pazza, per carità, probabilmente un po’ lo era. Ma sapeva che non stava parlando con una roccia. Parlava con Finn.

“Lo so che sei là fuori, da qualche parte lontano …” disse, osservando la luna. “Però ti rivorrei indietro …” il suono del silenzio le rispose e per la prima volta da quando quella assurda abitudine aveva preso posto nella sua vita, Rachel si chiese se forse non fosse davvero impazzita. Lei parlava, parlava in continuazione, senza mai ricevere una risposta, e quella sera per la prima volta si rese conto di sentire di essere completamente sola. Aveva sempre creduto che l’anima di Finn fosse sempre stata al suo fianco, alla sua destra o meglio, davanti a lei, pronto a proteggerla dal dolore e dalle granite. Per un attimo le sembrò di essere ritornata agli anni del liceo, a quando lei e Finn stavano insieme e lei parlava, parlava in continuazione, mentre Finn annuiva distrattamente, fingendo suo malgrado di ascoltarla. Faceva male ora rendersi conto che stesse accadendo la stessa scena, senza però vedere gli occhi di Finn alzarsi esasperati verso il cielo, e la cosa faceva male. Accidenti se faceva male.

“Sai che se scoprissero ciò che sto facendo mi prenderebbero tutti per pazza, vero?” però Rachel continuò a parlare, come se non potesse fare a meno di confidarsi a quella sfera luminosa, nella quale vedeva riflessi gli occhi e il sorriso di Finn.

“Vedi cosa faccio la notte? Vedi, quando tutti dormono, dove vado? Mi siedo da sola … e parlo con la luna.” Disse, sentendo un nodo formarsi al centro della sua epiglottide.

“Ma non sono pazza, te lo giuro.” Disse, cercando quasi di giustificarsi. Sfregò piano le mani una contro l’altra, alla ricerca di un po’ di calore.

“Cerco solo di arrivare a te … vedi? Spero che tua sia dall’altra parte, magari anche tu stai parlando con me ma non riesco a sentirti …” disse speranzosa, sentendo la voce incrinarsi maggiormente e farsi un po’ più acuta. Per diversi secondi restò immobile a fissare la luna, che sembrava non essersi spostata di un centimetro. Chiuse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime, ma tutto ciò che riuscì a fare fu permettere loro di solcare le sue guance abbronzate.

“O forse sono solo una pazza, vero?” disse tremando, aprendo gli occhi e puntandoli verso il cielo. Annuì tra sé, assaggiando il salato sapore di una lacrima scontratasi con le sue labbra.

“Rispondimi …” sussurrò supplichevole, non curandosi più delle lacrime che avevano preso a scendere copiosamente dai suoi occhi.

“Non farmi sentire sola …” continuò con voce spezzata. Quella sera ormai era scoppiata, non era riuscita a trattenere più quelle lacrime che minacciavano i suoi occhi da diversi giorni ormai. Tornare a Lima, al McKinley aveva significato tornare con la mente a Finn, a tutti i momenti passati con lui tra quelle mura … ed erroneamente  non aveva messo in conto la probabilità di non essere pronta a tutto ciò.

“Non mi senti? Non senti che ogni notte ti chiamo?” continuò disperatamente. Tirò su col naso,passandosi una mano  sugli occhi gonfi di pianto.

“Io cerco solo di arrivare a te …” prese un respiro profondo, conscia che ormai parlare sarebbe stato troppo difficile.

“N- Non farmi sentire come una pazza … non fare come gli altri, che dicono che sono solo una pazza che parla alla luna …” rigettò le ultime parole tutto d’un fiato, prima di abbandonare il capo tra le ginocchia e prendere a singhiozzare sommessamente. I contorni della sua ombra si alzavano in modo disconnesso sulla sua schiena curva e sulla testa tra le ginocchia, e Rachel decise che non voleva darsi un contegno in quel momento, che voleva piangere e non le importava se qualcuno entrando in casa l’avesse scoperta. Si sentiva sola, ecco qual era la verità. E allora perché? Perché, quando con gli occhi serrati e il volto premuto sulle ginocchia, aveva percepito una lievissima carezza sul volto e sui capelli? Poteva essere stato il vento, insediatosi in una delle fessure di legno della finestra. Ma quel tocco non era stato gelido e freddo, come il vento pungente di quella notte. Era stato un contatto caldo, dolce, rassicurante … bello, come le carezze di Finn …
 

Nota autrice:
Salve a tutti! Sono iscritta su questo sito da un bel po’ ormai e pubblico assiduamente su altri fandom, ma questa è la mia prima storia in questa sezione. Il fatto è che pochi giorni fa, guardando il nuovo episodio di Glee mi sono chiesta come fosse possibile che una Gleek sfegatata come me non avesse mai scritto una fan fiction sulla sua eroina, Rachel Barbra Berry. E così l’ho fatto. Ciò che ho scritto è nato ascoltando una meravigliosa canzone di Bruno Mars (altro mio grande amore) “Talking to the moon” che ritenevo perfetta per Rachel e Finn. Sono Finchel fino al midollo, adoro Rachel e sono una Leanatic, perciò come potevo non scrivere una storia su di lei? E questo è quanto. Mi rendo conto che effettivamente non sia chissà quale grande lavoro, ma sentivo di dover scrivere questa cosa. Spero che vi sia piaciuta, e se così fosse vi invito a lasciare un piccolo commento, giusto per farmi sapere che ne pensate. Mi farebbe piacere. ;) spero di farmi di nuovo viva su questo fandom, intanto vi ringrazio già da ora per l’attenzione e vi saluto alla prossima. :)


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