Serie TV > Buffy
Ricorda la storia  |      
Autore: Melian    10/12/2008    2 recensioni
“Avverto ancora la stretta della sua mano attorno alla mia, avverto ancora il senso di sicurezza e d’eternità che quel tocco mi trasmetteva. Ma adesso, come allora, sono conscia che quella stretta non aveva nulla d’eterno.”

[Questa storia partecipa alla IV Disfida indetta dal sito "Criticoni".]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Willow Rosenberg | Coppie: Oz/Daniel Osbourne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

TENEVA LA TESTA INCLINATA DI LATO

 

Teneva la testa inclinata di lato, poggiata sul palmo della mano. Rispecchiava esattamente la posizione del mio corpo.

Sorrideva.

Poco abituata, anzi, per niente abituata a vederlo sorridere proprio a me, restavo sorpresa, incantata: era un sorriso affettuoso, venato di quella dolcezza che si dispensa ai bambini .

O forse è il mio ricordo che lo colora di tenerezza?

Eppure lui sorrideva, di questo son certa. Ed era bello, il suo sorriso, perché mi sentivo scaldare, mi sentivo svuotata di ogni pensiero e poi improvvisamente riempita, come da un fiume in piena.

Lui mi osservava ed era strano e nuovo avere i suoi occhi nei miei. Ricordo bene i suoi occhi sul mio corpo: il suo sguardo correva lungo il profilo del mio viso, sul mio seno, sul ventre rotondo e morbido, sulle gambe tese. Mi osservava e io arrossivo, mi vergognavo, mi esaltavo: era il primo a guardarmi nuda, il primo ad accarezzarmi. Il suo tocco era caldo, delicato, eppure forte, deciso, esperto, pungeva come il sale delle onde di mare. Il suo tocco era… inebriante.

Le immagini scorrono nella mia mente come sullo schermo di un cinema e la pellicola si mette a fuoco pian piano.

Sdraiata sul letto dalle lenzuola bianche, fresche, aspettavo lui. Aspettavo le sue mani, la sua bocca sul collo, dove indugiava a mordermi, facendomi perdere la testa.  Aspettavo i suoi baci che ricambiavo timida e impacciata, così inesperta, così desiderosa di perdermi tra quelle sensazioni nuove, assurdamente piacevoli, inevitabilmente violente.

Ad un certo punto, però, la pellicola si sfoca: le immagini perdono i loro contorni e i suoni divengono ovattati.

Sento ancora la sua voce: un caldo sussurro al mio orecchio, come se lui avesse avuto la capacità di racchiudere tutto l’amore che avevo sempre cercato in un suono e che ora riverberava in immagini dai contorni sfolgoranti e assieme soffici, morbidi come le curve d’un amante.

Si confondevano, le sue parole.

Si confondevano in un turbinio di pensieri senza logica, che erano null’altro che nuvole alla deriva. Le sue parole si perdevano fra i miei gemiti incessanti, mi risuonavano dentro, come una eco giù per le valli; riemergeranno nelle mie notti solitarie come le stelle; risorgeranno nei miei giorni futuri, quando meno me lo aspetto, e in quel momento saranno chiare, limpide, perfettamente udibili.

Conficcavo le unghie nella sua schiena tesa, travolta da una sensazione a cui non sapevo dare nome; poi lo accarezzavo con dolcezza, tutta quella che possedevo, nel momento in cui riemergevo da quel caleidoscopio di emozioni.

Nel ricordo aleggia il tepore che lui emanava, mi giunge alle narici il suo profumo; quale esso sia non saprei adesso dirlo con certezza, ma so che basterebbe un istante per riconoscerlo.

Profumava e sapeva di buono.

Sapeva di dolce e amaro assieme e mi suggeriva il gusto dei fiori di mandorle che non ho mai conosciuto.

Mi scaldava come nessuno aveva mai fatto.

Sapeva di buono, lo so per certo.

Le sue mani sul mio sesso chiuso si muovevano piano, poi più rapide, più decise, più avide. Si muovevano come volessero scoprire un segreto troppo a lungo celato, come se volessero portare alla luce le emozioni più recondite.

Era stato dentro di me per la prima volta, ed era stato come avvertire uno strappo, uno strappo vero e proprio, come staccare una pagina vecchia e aprire un libro nuovo. Avrei voluto iniziare a scriverlo con lui che mi aveva reso donna nel corpo, quel libro. Ma ero cosciente da tempo che il mio sarebbe rimasto solo un desiderio inespresso, un grido della mia anima un po’ troppo giovane, forse un po’ troppo fragile, perché ero persa, scossa, profondamente annichilita, ma io non sortivo il medesimo effetto su di lui.

La mia anima cantava al suo solo pensiero. I miei occhi si sarebbero nutriti volentieri ogni giorno della sua figura. Le mie mani avidamente avrebbero percorso la sua schiena ancora e ancora. Di nuovo, infinitamente, avrei voluto sentire i suoi muscoli guizzare sotto le mie dita. Avrei voluto avvertire il suo sesso in me muoversi lento, poi più forte, fino a raggiungere il piacere più alto, fino ad avvertire la sua vita fluire in me.

Sua, sarei stata ancora sua. Sarei stata sua in quell’unico modo che abbia conosciuto, l’unico che mi sia stato consentito, e lui sarebbe stato mio, come in quel un solo istante. Congelo quell’attimo nella mia mente, lo rivivo adesso, o almeno ci provo.

L’ho assaggiato: ho assaporato il sapore salino della sua pelle, del suo sesso e il  frutto stesso del suo sesso. Non capivo cosa facevo, non lo sapevo. Ricordo solo che adoravo sentire i suoi ansiti leggeri, i movimenti improvvisi dei suoi fianchi, il suo gusto d’uomo. Io, così piccola, come friabile statua di sale sotto la pioggia, così  inesperta, perdevo la testa dinanzi lui, e mi abbandonavo agli istinti più atavici.

 

Teneva le braccia attorno alla mia vita e mi stringeva forte, tanto quanto io abbracciavo lui. Affondavo il viso sul suo petto e chiudevo gli occhi per assaporare meglio quelle strane sensazioni che mi procurava l’averlo fin troppo vicino; mi aggrappavo alla sua maglia e ascoltavo il suo respiro, perché volevo che si imprimesse a fuoco nella mia memoria.

Alzavo la testa e mi sollevavo sulle punte dei piedi, perché era troppo alto per me, allungavo le mani verso il suo viso e chiudevo gli occhi: così attendevo, speravo in un suo bacio.

Erano tanti piccoli gesti a travolgermi, a farmi capire che era tutto vero, che lui era lì con me. Rrano dei particolari forse insignificanti a darmi la certezza di essere viva.

L’ho amato, l’amo ancora. E forse lui, in qualche modo a me sconosciuto, ha amato me. Mi ha amata per quanto e nel modo che gli è stato possibile. Voglio almeno fingere che sia così; se non altro questa bugia è più piacevole di ogni alta verità.

Mi ha tenuta stretta quando le lacrime mi hanno rigato il viso, mi ha fatta ridere di gusto, ha compreso ogni mio silenzio, ogni parola non detta e ne è stato felice.

Quei giorni, quelle ore trascorse in sua compagnia appaiono lontani, come visioni di un mondo antico, perlaceo, senza fissi confini, una sorta di piccolo giardino segreto di cui, però, ho dimenticato la strada.

Ricordare quegli attimi intensi è come cadere nell’abisso e poi rialzarsi e danzare seguendo il moto delle stelle.

Il suo volto, le sue mani, la sua voce, il suo sorriso, il profumo, il sapore e il calore…  tutto di lui è impresso indelebilmente in me.

 

Teneva la mia mano stretta nella sua, forte e sicura. Intrecciava dolcemente le sue dita con le mie, intrecciava il suo sguardo col mio.  E io… Io intrecciavo i battiti del mio cuore coi suoi, o perlomeno ci provavo. Tentavo di intessere la mia vita nella sua, come nella fitta trama di un arazzo medievale pieno di colori e, come un’alchimista, avrei voluto rendere eterni quei giorni, scivolati via troppo in fretta.

Con le dita disegnavo sul suo petto, la testa abbandonata sulla sua spalla, e ridevo come una bambina, mi sentivo bene per la prima volta in vita mia, mi sentivo speciale, infinitamente a mio agio, mi sentivo bella e unica; non mi era mai successo, e lui me l’aveva consentito.

 

Teneva la testa inclinata di lato, poggiata sul palmo della mano, dolcemente, senza nemmeno accorgersene: rispecchiava esattamente la posizione del mio corpo.

Sorrideva, ed era bello. Sapeva di buono e io ne sono sicura, anche se la memoria ora è un po’ fallace.

Avverto ancora la stretta della sua mano attorno alla mia, avverto ancora il senso di sicurezza e d’eternità che quel tocco mi trasmetteva. Ma adesso, come allora, sono conscia che quella stretta non aveva nulla d’eterno.

Lo strano presentimento, che mi oscurava il cuore durante gli improvvisi silenzi che calavano tra noi, era null’altro che la consapevolezza che quanto stava accadendo era un’eccezione che non avrebbe mai avuto implicazioni future, era una rara eclissi, un’insolita quadratura astrale.

Eppure ero consapevole che quella era l’unica occasione per provare cosa significa averlo accanto. Dovevo cogliere l’attimo o perderlo per sempre.

Allora, ho amato come fosse l’unica e ultima volta concessami per farlo. Ho amato follemente, pazzamente, disperatamente, sperando che lui lo comprendesse, che capisse tutto ciò che non avevo il coraggio di confessargli in un mio sguardo, in un mio abbraccio, in una carezza, in un bacio, nel mio corpo che consegnavo a lui, che gli offrivo come un sacrificio a un antico dio…

Tutto inutile.

Quelle giornate sono fuggite via come i sogni al sorgere del sole, ed erano sogni nel momento stesso in cui le vivevo: erano già destinate a svanire, erano già effimere, già caduche come le foglie.

E io lo sapevo.

L’unico sapore che sento ora è quello della scia delle lacrime che corre lungo il profilo del mio viso, sporcandomi le labbra. La solitudine arde pazzamente, come se un torturatore mi avesse squarciato la pelle ficcandovi dentro manciate di sale e mi obbligasse a sentirne il devastante effetto senza darmi respiro.

 

Tuttavia, io voglio ricordarlo così: mentre passeggiava con me lungo il mare, sotto al sole di gennaio che sapeva stranamente di primavera. Voglio ricordare il calore del suo corpo e il sussurro della sua voce, dolce come un frullar d’ali d’una farfalla; voglio rivederlo  mentre mi sorrideva e teneva gli occhi chiari fissi nei miei, facendomi imbarazzare, mentre fissava un punto indistinto sopra la mia spalla, e teneva la testa inclinata di lato, poggiata sul palmo della mano, teneramente, senza nemmeno rendersene conto.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice: “Buffy The Vampire Slayer” e i suoi personaggi appartengono a Joss Whedon, ovviamente.
Seconda cosa da sottolineare è il fatto che il linguaggio alle volte un po’ “pomposo” è perfettamente voluto: ho cercato assolutamente di “parlare” come Willow. Non so… mi ha sempre dato l’impressione di essere una ragazza che, in certi momenti, s’abbandona quasi gratuitamente ad elucubrazioni e giri di parole in modo impacciato. Ho cercato, in qualche modo, di rispecchiare questo lato del suo carattere.  

 

Questa storia partecipa alla IV Disfida indetta dal sito "Criticoni". (Speriamo bene u.u) Il prompt usato è "dolce/salato".

 

Avvertimenti: pairing Willow / Oz

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Buffy / Vai alla pagina dell'autore: Melian