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Autore: Laylath    04/03/2015    1 recensioni
(spin off di Un anno per crescere)
Le storie romantiche decisamente non facevano per loro.
Ci si poteva immaginare belle e deliziose favole, ma alla fine la loro personalità era quella della gente di campagna. Rumorosa, divertente, poco raffinata, ma con solide basi che piantavano radici nella semplicità del mondo stesso.
Ed ecco l'ultimo spin off, ossia la famiglia Havoc
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heymas Breda, Jean Havoc, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 20.
1894. Chi raccoglie i cocci




“Io, mamma! – esclamò Janet, tendendo le manine – Metto io i piatti!”
“Uno alla volta, amore – annuì Angela, passandole il primo – tutti insieme sono troppo pesanti.”
Con entusiasmo la bambina corse verso il tavolo, sollevandosi in punta di piedi per poter iniziare ad apparecchiare: a quattro anni le piaceva tantissimo collaborare alle faccende domestiche. Spesso il suo aiuto era più dannoso che altro, come quando, piegando le lenzuola, non riusciva a tenere la presa e faceva cadere tutto, ma l’entusiasmo che ci metteva era davvero encomiabile.
E poi è più che giusto che inizi a destreggiarsi in queste cose – pensò Angela osservando con attenzione la testolina dalle codette bionde, pronta ad intervenire in caso di necessità – anche se è chiaro che lo prende ancora come un gioco.
“Dopo se vuoi puoi aiutare la mamma a girare lo stufato, sei contenta?”
“Davvero posso? – saltellò Janet, felicissima, andando a recuperare un altro piatto – Evviva!”
Se anche Jean fosse un minimo collaborativo…
Ma a quasi dodici anni il suo primogenito non aveva nessuna intenzione di collaborare alle faccende domestiche, se non dopo che lo si sfiancava a furia di minacce. Ormai era un vero e proprio cavallino selvaggio che bramava soltanto di correre libero per la campagna. Ad onor del vero dava un grande aiuto in emporio, e di sua spontanea volontà, quindi era più che normale che desiderasse il resto del tempo per la sua persona. Però Angela era un pochino gelosa del forte rapporto che ormai Jean aveva instaurato con il padre: le confidenze, i piccoli dubbi, ormai erano confidati a James e non più a lei. Ed era dura ammettere che era passata quella parte dell’infanzia in cui è la madre al centro del mondo.
“Mamma – la richiamò Janet, tirandole la gonna – ti aiuto?”
“Ma certo, cara – la prese in braccio – ecco, prendi il mestolo e gira, ma piano, mi raccomando.”
E poi c’era Janet, ovviamente. Forse Jean si era in parte staccato da lei perché aveva intuito che era la bambina ad avere maggior bisogno della presenza materna. Per quanto non sembrasse quel testardo era parecchio attento alle esigenze della sorella minore… e quando avesse terminato di nascondere questo amore fraterno con il farle i dispetti così tante volte al giorno sarebbe stata una vera benedizione.
“Sono a casa!”
Proprio la voce dell’interessato squillò allegramente dall’ingresso.
“Fratellone!” esclamò Janet, muovendo maldestramente il mestolo e facendo uscire parte dello stufato.
“Oh no, Janet, attenta! – la bloccò Angela – Sì, adesso ti metto giù, ho capito. Ma devi fare attenzione, altrimenti ti potresti bruciare e… oh, non mi ascolti nemmeno!”
La bambina si era infatti letteralmente divincolata dalla sua presa per correre verso il fratello che aveva fatto il suo ingresso in cucina. Ma invece di venire accolta da un abbraccio, venne bloccata dalla mano di Jean che si posò sulla sua testa, tenendola lontana da lui.
“Alla larga, nana! –sogghignò l’undicenne – Lasciami in pace!”
“Santi numi, Jean Havoc! – esclamò la donna – Che hai fatto?”
“Solo qualche graffio – scrollò le spalle lui, come se quei lividi sulle braccia ed il labbro spaccato non fossero nulla – niente di che! Dovresti vedere invece come sta quello che ho pestato io!”
“Bisogna subito disinfettare – scosse il capo lei, accostandosi e prendendogli il mento tra le mani – ti fa molto male, caro? Racconta alla mamma, che ti hanno fatto?”
“Che mi hanno fatto? – sbuffò Jean incredulo – Oh, mamma, finiscila di farti idee strane! Sono cose tra indipendenti, te l’ho già detto!”
“Cose tra indipendenti, come no! Ed intanto io ti devo vedere tornare a casa in questo stato…”
Si bloccò: stava per dire qualcosa come “aspetta che tuo padre lo venga a sapere”, ma non si poteva più permettere questo tipo di minaccia. Per un semplice motivo
“Papà! – sorrise Jean, quando vide James entrare – grandioso, papà! Ne ho steso uno con la mossa che mi hai insegnato!”
E liberandosi dalla presa di Angela corse verso il genitore che lo sollevò tra le braccia con una risata soddisfatta, arruffandogli i capelli dorati
“Ahaha, ragazzo mio, mi rendi fiero di te! Stasera te ne mostro una nuova! Tutto bene con questo labbro?”
“Nemmeno lo sento che fa male!” mentì chiaramente il ragazzino.
“Ottimo, sei una pellaccia dura proprio come me! Forza, vai comunque a fartelo disinfettare da tua madre, così è più tranquilla.”
Fu solo allora, quasi per gentile concessione, che Jean acconsentì a farsi vedere il labbro spaccato.
 
Se c’era una cosa che Angela aveva sempre detestato negli uomini era il loro fare a botte come se fosse un modo per farsi valere.  Aveva più volte rimproverato a James questa sua caratteristica e sebbene suo marito si fosse dato una regolata in merito, sembrava che Jean avesse ereditato appieno questa mentalità del padre.
Ora, in fondo Angela sapeva che non c’era niente di cattivo: non era per odio o altro, semplicemente c’era l’esigenza di uno sfogo fisico che, come conseguenza, portava a stabilire determinate gerarchie tra i ragazzi delle varie classi.
Tuttavia per lei era intollerabile vedere suo figlio così pesto far finta di nulla e dissimulare il dolore. Avrebbe preferito di gran lunga che piangesse e si sfogasse con lei, ma ovviamente era l’ultima cosa che il ragazzino avrebbe fatto. Per Jean il dolore era sempre stata una cosa relativa: eccetto le punizioni, non si era mai fatto traumatizzare da sbucciature, tagli o quanto altro la sua esuberanza gli faceva subire. A maggior ragione, ora che c’era anche una componente d’orgoglio del tutto nuova, non aveva alcuna intenzione di mostrarsi vulnerabile, almeno non con lei.
“Dovresti smetterla di incoraggiare tuo figlio in questo modo – sbottò quella sera, quando si ritirarono per la notte – conoscendolo si mette contro quelli più grandi di lui.”
“E’ un torello il mio ragazzo, lascialo stare – sbuffò James, per niente contento di quella discussione – vuoi che diventi lo zimbello di tutti? Cazzo, lui ed Heymans sono già indipendenti in seconda media!”
“Ma perché deve essere così importante per voi questa storia degli indipendenti…”
“Ehi, io lo ero!”
“Non ti ho certo sposato per quello!”
“Oh, dai che parte del mio fascino derivava anche da quello – la stuzzicò lui – essere indipendenti attira le ragazze, è risaputo, cara mia!”
Angela si rifiutò di guardarlo: forse era in parte vero che aveva messo gli occhi addosso a James anche per il suo essere indipendente. Ma considerato che avevano iniziato a frequentarsi che lui aveva praticamente terminato le scuole la cosa non importava.
“E comunque a nemmeno dodici anni è troppo presto! – sospirò accucciandosi sul bordo del letto – non mi ha voluto dire niente, eppure si capisce che gli fa tanto male quell’assortimento di lividi e tagli!”
“Nah, fidati che sta benone! – la rassicurò James abbracciandola – l’ho controllato personalmente anche io e non c’è nulla che in due settimane non sparisca. E’ rapido e furbo il nostro ragazzo: mi ha raccontato nei dettagli lo scontro e ha la stoffa del campione!”
“Con me ha liquidato tutto con questione tra maschi.”
“Ehi, un giorno Janet spettegolerà con te sui ragazzi o su chissà che altra questione femminile… non verrò certo a metterci il naso dentro.”
“Lascia stare, James!”
 
L’analisi che aveva fatto Angela era perfetta, ma anche se James era arrivato alle stesse conclusioni, non aveva nessuna intenzione di rinunciare al rapporto privilegiato che aveva instaurato con Jean.
Fino a nemmeno due anni prima il bambino non aveva mai fatto niente di particolare per cui cercasse specificatamente le attenzioni paterne, anzi aveva avuto una predilezione per la madre. Ma scoprire l’ebbrezza del fare a botte gli aveva letteralmente aperto un mondo dove era il padre l’eroe.
E a James piaceva passare simili momenti con il proprio figlio.
“Avanti, prova! Pugno chiuso, ragazzo, e gioca soprattutto con la spalla, come ti ho fatto vedere!”
Con espressione attenta, gli occhi azzurri brillanti, Jean si mise in posizione d’attacco e sferrò il pugno contro la mano paterna pronta a parare.
“Bel colpo, figliolo! Avanti, prova a fare tutta la sequenza: pugno, schivata e sgambetto!”
Jean annuì prontamente ed eseguì quella simulazione, senza però riuscire a far cadere suo padre: ma era chiaro che su un ragazzo delle superiori quel giochetto avrebbe invece funzionato. Preso dalla foga del momento, come spesso succedeva, non smise l’attacco, ma continuò a tempestare il genitore di giocose botte, con il concreto risultato che in dieci secondi si trovarono entrambi distesi sul pavimento del magazzino.
“Io sono il più forte di tutti!” esclamò il ragazzino con una felice risata, prima di buttarsi sul petto del padre. Gli piaceva farsi accarezzare i capelli e abbracciare: dalla madre avrebbe rifiutato un gesto simile, ma col padre, dopo la lotta, si lasciava andare.
“Certo che lo sei, piccolo infame! – lo prese in giro James, arruffandogli con fierezza la chioma – Li batti tutti quegli altri scavezzacollo: tu ed Heymans siete i veri indipendenti della scuola.”
“Ce ne sono altri due – ammise Jean dopo qualche secondo – ma non ci consideriamo molto… si chiamano Roy e Maes. Un giorno mi batterò pure con loro, lo so! E anche se sono un anno più grandi di me non avrò di certo paura!”
Lo disse con fierezza, ma anche con serietà: per quanto sembrasse sempre scherzoso prendeva determinate cose molto seriamente. Aveva già capito il gioco di sottili equilibri che esisteva all’interno della scuola e ne era entrato a far parte con estrema tranquillità.
“Cerca solo di non tornare con le ossa troppo rotte – lo avvisò James – non vogliamo che tua madre impazzisca di apprensione, vero?”
“Non capisco proprio perché si preoccupa tanto – sbuffò il bambino, mettendosi supino e fissando il soffitto con aria pensosa – eppure glielo dico sempre che sono cose tra maschi e che le ferite non mi fanno troppo male!”
“Beh, figliolo, stai iniziando a capire che maschi e femmine sono differenti – spiegò James – ed in particolare tua madre.”
“E’ una cosa stupida…”
“Suvvia, fa sempre piacere avere una persona che raccoglie i cocci, come dice sempre lei.”
“Sì, però li raccoglie sempre lamentandosi e rimproverandomi… non va per niente fiera di quello che faccio, non come te.”
“Sono i grandi misteri dell’universo, ragazzo mio. Vuoi un consiglio? E’ tua madre, comunque ci dovrai convivere per sempre: ogni tanto lasciati abbracciare e vezzeggiare, la rendi più felice.”
“Non ho più tre anni…”
“… e se lei è più felice rompe meno le scatole quando ti vede tornare pesto per qualche rissa.”
“Non è vero – ridacchiò Jean mettendosi seduto e fissandolo con occhi furbi – mamma non romperà mai meno le scatole, altrimenti non sarebbe la mamma.”
“Probabile – concesse James – ma è il suo modo di dimostrarti che ti vuole bene.”
“Mah, le femmine sono proprio strane… penso che mamma e Janet mi basteranno per tutta la vita – rifletté con serietà – altre non ne voglio.”
“Aspetta qualche anno ancora e ne riparleremo.”
 
“Secondo te perché le madri si preoccupano così tanto per qualche livido?” Jean lo chiese la mattina successiva, mentre lui ed Heymans passeggiavano per il cortile della scuola.
I loro lividi erano ancora evidenti e le occhiate di molti erano su di loro, ma questo non creava problemi al biondo. Anzi ne andava particolarmente fiero e teneva la schiena più dritta del solito.
“Presumo perché quando da piccoli ci facevamo male erano loro a curarci… fa parte dell’essere madri.”
“Io però lo dico sempre alla mia di non preoccuparsi, ma lei mica mi ascolta.”
“Non penso funzioni così – ammise il rosso con aria pensosa – insomma, credo che sia una di quelle cose inevitabili per sempre. Insomma, se a tua madre succedesse qualcosa ti preoccuperesti per lei, no? E così è per loro… solo che lo fanno anche per lividi e sbucciature. E’ per dire che ci vogliono bene.”
“L’ha detto pure mio padre.”
“Se l’ha detto lui ti puoi fidare – annuì Heymans con convinzione – sa un sacco di cose. A proposito: grandiosa la mossa che ci ha insegnato, vero?”
“Alla prossima rissa la dobbiamo assolutamente mettere in atto!”
 
Ma, nonostante tutto, Jean non si convinceva assolutamente: mostrarsi debole con sua madre era l’ultima cosa che voleva. E dunque, con buona pace di tutti, continuò con il solito andazzo, limitandosi a farsi curare lividi e ferite senza lamentarsi e senza proferire parola.
“Maledetto orgoglio maschile – sbottò Angela dopo l’ennesima medicazione, mentre rimetteva in ordine bende e cerotti – questa è tutta opera tua, James.”
“Ancora? – sospirò l’uomo – e lascialo divertire!”
“Divertire? Un occhio nero ti sembra un bel divertimento?”
“Non è quello il punto… oh, senti, Scheggia, sono cose che voi donne a quanto pare non capite. A noi piace così e non ci sembra di fare nulla di male.”
“Tanto poi a raccogliere i cocci ci siamo noi, vero? Avesse un minimo di gratitudine quel disgraziato!”
“E’ che sei sua madre, aspetta che abbia la ragazza e vedrai come sarà felice di farsi curare da lei… specie se lei sarà più che fiera di vederlo pieno di lividi. E’ uno strano gioco e…”
“E’ un gioco talmente idiota che non voglio nemmeno commentarlo. Per la cronaca io non ti ho mai curato amorevolmente dopo una rissa: l’unica volta che hai rissato, da quando siamo fidanzati, ti ho dato il ben servito per un mese. E poi mi spieghi che sarebbe questa storia che noi donne dobbiamo solo aspettare che voi torniate a casa pesti?”
“… oh, dai, non vorrai mica dire…”
“Credi che non vi terremo a bada?”
James ridacchiò e le mise una mano sulla testa
“Scusami, amore, ma eccetto le tue incredibili sberle non credo che saresti capace di…"
“Brutta stupida, molla!”
“No, lo voglio io!”
Le voci provenienti dalla camera di Jean impedirono qualsiasi risposta.
“Sempre a litigare quei due – sospirò Angela – e adesso che cosa è successo?”
Con aria arrabbiata si diresse verso il luogo del misfatto, pronta a calmare il nuovo litigio tra fratelli: per quanto Janet idolatrasse il maggiore, non mancava mai di provocarlo in qualche modo. E di conseguenza i capricci tra i due erano all’ordine del giorno e si concludevano quasi sempre con la bambina in lacrime.
“Vedi che non lo prendi? Stupida sorella, adesso vai via!”
“No! Dammelo! Lo voglio io!”
“E’ il mio soldatino, stupida, torna a giocare con le bambole! Non rom… ouch!”
La porta venne aperta proprio mentre Jean emetteva quel lamento ed Angela trovò il figlio maggiore a terra che si teneva le mani sullo stomaco con espressione dolorante. Dall’altro lato della stanza Janet si massaggiava la testolina con aria perplessa, ma poi, con un sorriso felice, raccolse uno dei soldatini che stavano per terra ed uscì dalla stanza.
“Adesso posso giocare al re e alla regina!” esclamò felice, sgusciando tra le gambe dei genitori.
“Dannata – sibilò Jean, cercando di recuperare il fiato – Stupida… stupida sorella.”
“Ma che ti ha fatto?” chiese James perplesso.
“Mi ha dato una testata sullo stomaco, l’infame – tossì lui – mamma, tua figlia avrebbe bisogno di una sgridata… e anche di qualche sculacciata bella forte, non credi?”
“Ah no – ridacchiò Angela, beandosi di quella piccola vittoria contro il mondo maschile – in questo caso proprio no, anzi sono molto fiera di lei.”
E se ne andò, lasciando padre e figlio a guardarsi perplessi.
“Femmine… vero, papà?”
“Sì, figliolo… femmine. Fattene una ragione.”

 
  
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